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Autore: crimsontriforce    03/10/2010    3 recensioni
In cui il Dottore fa una visita e ragiona sul fatto che i paradossi hanno un picciolo.
Genere: Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Pond, Doctor - 11, Rory Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vincitrice del primo concorso di fanfic del TorchWho forum, a tema Time War. Nata anche per il prompt Guanto di velluto della Treasure Hunt di Fiffi, ma per questioni di anonimato e date alla fine ho lasciato stare scrivendone un'altra per completare la scheda. Primo vero tentativo sul fandom, Chi il farfallino ferisce in realtà era il secondo^^



Disclaimer: mi sembra palese che se fossero miei ci sarebbe una continuity ferrea, citazioni e ripescamenti ad nauseam e avventure seriose seriosissime in cui tutti si annoierebbero un sacco. QED non sono miei, sciò sciò! (la continuity ferrea non mi dispiacerebbe, però...)










Nel famoso giorno del graffio sul naso



Rientrano nel TARDIS all'ultimo momento, di corsa, come sempre – solo Amy sembra avere ancora fiato per imprecare contro i loro inseguitori mentre sbarrano la porta e, con una certa grazia acquisita, si spartiscono senza troppi scossoni la messa in moto, fino a scomparire nella sicurezza del Vortice Temporale.

È solo dopo un tè con le acciughe che... Beh. Tè per tutti, acciughe solo per lui. Beh, anche il tè, in verità. Aveva preparato per tre, ma i Pond stanno diventando bravi a trovare impegni improrogabili a ora di merenda, quando vedono spuntare in cucina qualsiasi cosa non sia pane e marmellata. Giovani d'oggi, sospira. Così schizzinosi. È solo dopo un corroborante tè con le acciughe, quindi, che il Dottore ha modo di guardarsi allo specchio. Quando vede la forma del taglio che il Faskra gli ha lasciato sul naso, sa che è il momento. Quel momento.
Si scusa coi ragazzi: faccende private.
No, Amy: non è un amante. Nemmeno una vecchia zia. Quasi. No, cioè, davvero no. Questione di minuti, comunque, e assolutamente nulla di pericoloso, garantisce, anche se a Rory non sfugge la solennità con cui si toglie giacca e farfallino.

Perché ora? Perché si sta dirigendo solo ora verso quel planetoide minerario, cinquemilasettechiocciolacentonove virgola ventitrè anni nel futuro rispetto all'apice della civiltà Faskra da cui stanno scappando? Perché non ha mai avuto una cicatrice fresca a forma di sedano sul naso ed è ragionevole pensare che mai più l'avrà. Questa è la risposta semplice. Ma davvero, seriamente-davvero, perché ora? Ha avuto una vita intera per escogitare qualcosa di simile, senza conoscere la verità, e non si è mai mosso. Invece accade ora e non ieri, ora e non tra due vite. Gli eventi non si mettono in scena da soli, anche quando, beh, effettivamente lo fanno, ragiona il Dottore seguendo un copione già scritto. Perché?

Restate nel TARDIS, si raccomanda, poi si avvia saltando a bassa gravità giù per una discesa rocciosa, nella sua migliore imitazione di un astronauta terrestre sperso ma non troppo.
E Amy resta nel TARDIS, garantito. Per la precisione, resta nella definizione del TARDIS di “nel TARDIS”: prova a estendere la bolla protettiva di qualche metro e la vecchia signora glielo lascia fare, lo prende quindi come un invito a sgusciare fuori, unica macchia di rosso vivace sulla superficie uniformemente bluastra del pianeta.
“Qualcosa da ridire?”, sussurra a Rory spalancando gli occhi e scendendo di un'ottava. “Sono nel TARDIS, tecnicamente parlando.”
Rory è rimasto impalato sull'ingresso ma, tecnicamente parlando, non ha nulla da ridire. Segue sua moglie dietro alla grossa roccia porosa che nasconde la cabina e si affaccia assieme a lei, offrendole un binocolo tutto leve e rotelle e qualcosa che somiglia in modo sospetto a una guarnizione del lavandino. Probabilmente è una guarnizione del lavandino, visto che l'aggeggio non funziona. Aguzzano gli occhi.

Non si aspettano di vedere il Dottore chino su una figura umanoide, illuminato dalla luce che proviene da una porta aperta – e sembrerebbe aperta sul nulla, in tutto quel blu. Impossibile distinguere l'edificio, anche se Amy e Rory si trovano a pensare che la luce è accogliente e sa di casa.
L'altro uomo è riverso a terra e indossa una giacca di velluto verde che potrebbe forse essere definita vittoriana, certo non passare per la tuta da lavoro di un centro minerario ai margini della galassia del Triangolo. Tossisce e si aggrappa al Dottore, che continua a scuotere la testa e lo culla come un bambino. All'ennesimo colpo di tosse, butta fuori un fiotto dorato che si disperde nell'atmosfera. Tornando a nascondersi dietro al masso, Amy si porta una mano alla bocca: ha già visto quell'energia, la ricorda come se fosse ieri anche se era un'altra vita, in un altro universo. Forse è un bene che il binocolo non funzioni, perché qualunque cosa stia succedendo là sotto è una faccenda privata davvero. Forse non è il caso di continuare a spiare.

Il Dottore se lo trova fra le braccia e non sa da che parte iniziare. Si trova se stesso fra le braccia, il se stesso del singolo peggior momento di novecentoefischia anni di vita e non sa da che parte iniziare: questa rigenerazione ha un modo tutto suo di stare vicino alle persone, uno che necessita di molto tempo, poco spazio personale e in cui il concetto di tatto non è nemmeno una variabile presa in considerazione. 'Poco spazio personale' va bene, visto che deve sorreggersi per aiutarsi a respirare e sarebbe complesso farlo a un metro e mezzo di distanza, in preda all'istinto di defilarsi cordialmente com'è accaduto altre volte. Non impossibile, ma complesso, e comunque non è quello che è accaduto quindi chiudiamola con questa linea di pensiero tipo magari subito ecco già meglio. Sul resto bisogna lavorare. Per far sentire alla sua nona rigenerazione, appena nata dalle ceneri di Gallifrey e rotolata fuori dal suo TARDIS ancora incosciente, che può ancora esserci della gentilezza nell'universo.
“Shhhh”, sussurra con un primo imbarazzato pat-pat. “Ti ho preso. Respira.”
Resta vicino a se stesso, con la testa china e bisbigliando a ruota libera tutte le parole di conforto che gli passano per la testa fintanto che è certo di non venir ascoltato. Passerà, com'è passato tutto il resto. Mai del tutto, come tutto il resto.

“Bentornato fra i vivi. Tranquillo, non hai niente di rotto”, commenta infine quando si sente riprendere conoscenza, fingendo il distacco che suppone sia adatto a uno sconosciuto e sentendo il suo-altro sguardo concentrarsi, ancora annebbiato, sulla punta del suo-suo naso. Ecco il momento del sedano: è tempo di andare. Stringe l'abbraccio per qualche istante, ricacciando indietro le lacrime (gli riesce bene, perché non si ricorda di averlo notato), si dà un buffetto sulla spalla e si rialza con calma.
“Tutto a posto, compagno. Andrà tutto bene. Tutto bene.”
Si saluta.

Il paradosso è passato, le domande restano. Perché si è dovuto travestire mostrandosi in maglietta e jeans, come l'umano archetipico di qualunque mondo e qualunque secolo, almeno dacché sono stati inventati i jeans? Di certo perché lo ricorda in una memoria fumosa di due vite fa, una in cui si aggrappava come se stesse per soffocare ai lembi bruciati di una giacca sfarzosa, tutto quello che gli era rimasto nella vastità del tempo e dello spazio. Ricorda che così si era vestito un colono gentile di un mondo tutto blu (lo stesso colore del suo TARDIS, per coincidenza, e sembrava un buon posto per lasciarsi andare), un ragazzo allampanato, con una zazzera improbabile di capelli e una ferita sul naso che per qualche imperscrutabile motivo colpì la sua attenzione e sul momento, in un accesso di nostalgia per vite più semplici, gli ricordò un gambo di sedano. Non aveva mai detto il suo nome.
Ma non solo. Pensa. Pensa, pensa, pensa. Il tempo svicola, s'impasta e ritorna. Il tempo va in circolo, ma c'è un picciolo: un motivo a priori, una virgola di senso che s'innesta nel ciclo di causalità nulla. E forse lo vede. Perché, in quel momento in cui tutto era andato distrutto, un gesto gentile anonimo poteva diventare il gesto gentile dell'universo intero. Le parole di conforto di un umano potevano fare da promemoria per tutto quel pianeta meraviglioso, che orbitava ancora attorno alla sua stella e avrebbe ancora avuto bisogno del suo aiuto. Perché “Salve, sono il Dottore e per inciso sono l'unica persona che ti rimarrà davvero vicina almeno per le prossime due rigenerazioni e mezzo” è un modo creativo per iniziare una conversazione, ma non il migliore per dare sostegno a un disperato già troppo indurito nei resti di velluto della sua ultima esistenza.

Perché ora? Perché solo ora ha un graffio a forma di sedano sul naso. E forse perché parlandogli con ancora riflesse negli occhi le fiamme e le Orde di Farse, di Intanto e Mai-Fosse sarebbe affondato con lui. È morto altre due volte da allora. Ha chiuso un occhio al passato, poi un altro, poi un cuore (non diresti mai le volte in cui torna così comodo averne due). Oggi, alzando un braccio per salutare i suoi ragazzi riesce già ad accennare un sorriso.
   
 
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