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Autore: Melanto    05/10/2010    4 recensioni
Fuggire. Reazione immediata dinanzi ad un dolore troppo grande per essere affrontato a viso aperto. Camuffare la sofferenza in voglia di lavorare. Poi partire. Cambiare persino continente per ricostruire precari equilibri su cui camminare in punta di piedi. Dimenticarsi di tutto: amici, famiglia... assopire i ricordi e cullarli come bambini, perché non facciano troppo male, per ricaricare le certezze. E poi... e poi tornare, per affrontare il passato ed i sensi di colpa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Yoshiko Yamaoka
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Huzi - the saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Huzi

- Capitolo 23 (Parte II) -

 

Barcellona, ore 5:00 a.m.

Al primo squillo di telefono non ci fu alcuna reazione da parte degli occupanti della casa. Come a voler dire: “Ignoriamolo, avranno sbagliato numero.”
Al secondo squillo ci fu il primo mugugno tra l’infastidito e l’assonnato.
Al terzo capirono che non avrebbe smesso.
La mano sottile di Sanae si mosse a cercare il tasto dell’abat-jour, che sembrò diffondere quasi una luce abbagliante.
“Ma chi diavolo è quest’ora?” borbottò Tsubasa, nascondendo il viso dietro la spalla della moglie per sfuggire alla luce killer.
“Uno che non dorme molto, a quanto pare.” scherzò la donna, afferrando il telefono. “¿Hola?” rispose, la voce impastata.
Passò qualche minuto di silenzio, poi Tsubasa sentì la giovane muoversi in maniera agitata tra le sue braccia per mettersi a sedere.
“Yukari, aspetta, non parlare così di fretta. Mi sto alzando, dammi il tempo. Ti sei dimenticata che qui sono le cinque di mattina? Ti richiamo appena ho acceso la tv, ok?” e chiuse la comunicazione. A tentoni cercò le ciabatte.
“Che sta succedendo?” anche Tsubasa si era messo a sedere, stropicciandosi un occhio, mentre vedeva Sanae trascinare i piedi verso il salotto. Più svelto che poté la seguì, spettinandosi i capelli in un fallito tentativo di dar loro una sistemata.
“Non ho capito. Ha detto Yukari di mettere su un canale satellitare giapponese.” col chiarore che segnava il passaggio dalla fine della notte all’inizio dell’alba, Sanae raggiunse il divano afferrando il telecomando.
“Quale canale?”
“Non lo so, uno qualunque. Dice che tanto ne stanno parlando tutti.”
Lo schermo si accese, ma rimase scuro ancora per qualche attimo. Poi, d’improvviso, il Fuji comparve con la sua nera colonna di fumo e i coniugi Ozora ammutolirono. Le immagini scorsero veloci da tutte le angolazioni, così come le scritte in sovraimpressione e la voce del cronista che continuava a ripetere: “Si preannuncia come la peggiore catastrofe del Giappone del XXI° secolo. Ancora non si ha una stima delle vittime, ma la nube non arresta a fermarsi e il cielo delle Prefetture prossime al vulcano si è tinto di nero.”
Sanae allungò meccanicamente il telefono al campione del Barça.
No, non avrebbe chiamato Yukari.
“Tsubasa… chiama tua madre.”

Amburgo, ore 5:30 a.m.

Nastja allungò il braccio nell’altra metà di letto alla ricerca della possente presenza del SGGK, ma trovando solo le lenzuola vuote.
Non era ancora tornato a dormire. Si era mosso in tutta fretta quasi un’ora prima, dopo aver ricevuto la telefonata improvvisa di un suo ex-compagno di scuola. Le era parso di capire che fosse il marito di Kumiko, Mamoru. Lei aveva creduto che fosse andato nell’altra stanza per non disturbarla, ma doveva essere accaduto qualcosa di veramente importante per averlo tirato giù dal letto in piena notte, tenendolo al telefono addirittura per un’ora.
Lentamente si alzò, facendo frusciare il tessuto liscio e scivoloso della sua camicia da notte. Afferrò la vestaglia abbandonata sulla sedia e la indossò, scostando delicatamente i lunghi e sottili capelli biondi.
In punta di piedi, quasi fosse un delicato fantasma, lasciò la stanza per raggiungere colui che presto sarebbe divenuto suo marito.
Mentre avanzava per i corridoi dell’appartamento in cui vivevano, udì distintamente il rumore basso del televisore acceso.
Entrò nel salotto, dove si trovava anche la porta di ingresso. Genzo era seduto nel divano, le mani incrociate all’altezza del naso e l’espressione seria.
Nastja diede un’occhiata alle immagini sullo schermo; vide gente urlare e fuggire e fumo, ma ancora annebbiata preda del sonno non riuscì subito a capire cosa stesse accadendo.
Zoshen’ka?” chiamò con voce sottile.
Lui non si volse, ma cercò la sua mano, stringendola in silenzio. In quella presa salda e forte, Nastja avvertì sofferenza e ricerca di conforto, così si sedette accanto a lui, appoggiandogli la testa sulla spalla.
“Che succede, Zoshen’ka?”
La risposta le giunse con un tono tra l'incredulo e il ferito.
“La mia città sta per essere distrutta.”


 

Yoshiko si era accorta del lungo pennacchio di fumo candido sulla sommità del Fuji solo quando era rimasta a fissare Yuzo dal finestrino della BMW, mentre si faceva sempre più piccolo a mano a mano che l’auto si allontanava. E a quella vista, la sua espressione era mutata da preoccupata ad atterrita.
L’eruzione era ormai ad un passo e Yuzo le stava andando incontro.
Poi, lo stratovulcano era scomparso dal suo raggio visivo, coperto dagli alti edifici, e lei era rimasta a fissarsi le mani strette, con le labbra tese e un’ansia terribile a rimestarle le viscere. Gli occhi avevano seguitato a pungerle, ma lei s’era imposta che non avrebbe dovuto versare più alcuna lacrima perché Yuzo le aveva fatto una promessa e lui manteneva sempre la parola, quindi non aveva motivo di disperarsi.
Ma nonostante questo, non riusciva a non sentirsi il cuore sul punto d’andare in pezzi. Le sarebbe bastato un sussulto più forte, il minimo vacillare delle sue convinzioni per infrangerlo. La più piccola emozione, un semplice brivido sotto la pelle… il boato del Fuji alle loro spalle.
Il rumore secco e deciso del clacson la distolse dai suoi pensieri.
“Maledizione, non ci muoviamo!” sbottò il Numero Undici della Nazionale Giapponese. Solitamente un esempio irreprensibile di calma e lucidità, in quel momento sembrava averla messa da parte per lasciare campo libero alla tensione.
Yoko lo vide sbuffare con forza, mentre Azumi accanto a lui picchiettava nervosamente le dita sulla borsa che aveva in grembo. Le sopracciglia aggrottate sull’espressione spaventata.
Il traffico era terribile. Yoko nemmeno ricordava da quanto stessero muovendosi praticamente a passo di lumaca. Sentiva solo il continuo strombazzare di clacson da ogni dove; erano divenuti la colonna sonora della loro fuga.
La gente che stava cercando d’allontanarsi da lì era così tanta che le sembrò impossibile che Nankatsu avesse una tale densità abitativa. Alcune auto cercavano vie di fuga addirittura su i marciapiedi, complicando ancora di più il lavoro della forze dell’ordine.
“Questa è l’unica strada?” domandò Yoshiko ad un tratto. Taro le lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore, scuotendo il capo.
“Se non sbaglio dovevano essere tre, ma non credo che altrove siano messi meglio. E poi, ormai siamo incastrati. Indietro non possiamo tornare, possiamo solo andare avanti.”
A quella frase, Azumi strinse con forza la borsa, ma l’attimo dopo, il calore della mano di Taro sulla sua le fece volgere lo sguardo al giovane. La metà della famigerata Golden Combi le sorrideva con gentilezza.
“Vedrai che andrà tutto bene. Sta’ traquilla.”
Azumi annuì alle sue parole, recuperando un po’ di fiducia, e proprio in quel momento la fila ripartì. Tacitamente lo presero tutti come un buon segno.
Seguendo la fiumana, la BMW si accodò per immettersi sulla via principale che lì avrebbe portati fuori dalla città e verso Fujinomiya. La strada aveva due ingressi laterali che vi si immettevano, e le forze dell’ordine cercavano di gestire il traffico facendo muovere a turno le auto. In quel momento, le vetture che avevano già preso il raccordo direttamente dal centro di Nankatsu erano state fatte fermare per permettere il transito di quelle dalle traverse.
Il rumore di clacson ronzò con ferocia nelle orecchie di Yoko che si sforzò di ignorarli, ma d’improvviso qualcosa ruppe quella sorta di equilibrio precario su cui si stavano muovendo, e la terra prese a tremare.
“Delle scosse?” domandò Taro retoricamente.
Yoshiko si resse alla portiera ed il suo cuore sembrò quasi gridarle la risposta, mentre si guardava attorno.
- Eccolo! -
Fu quello l’inizio del caos.
L’auto dietro di loro li tamponò; presa dalla fretta e dalla paura cominciò ad accelerare, spingendoli in avanti fino a fargli tamponare a loro volta la vettura difronte.
“Ma che diavolo crede di fare?!” ringhiò Taro, mentre Yoshiko, dal lunotto posteriore, cercava di far segno al guidatore di smetterla, senza risultati.
Misaki tentò di frenare, ma anche le altre vetture avevano cominciato a spingere quelle che stavano intorno e l’unico modo che aveva di uscire da quella maledetta situazione era di accelerare a sua volta. La colonna di vetture, così forzata, si mosse più rapidamente, ma la BMW era ancora più difficile da tenere. Quando sfociarono sulla via principale, una nuova scossa più violenta gli fece perdere definitivamente il controllo, finendo in testa coda sulla spinta degli altri mezzi.
“Tenetevi!” gridò Taro, con Yoko e Azumi che urlarono per lo spavento.
La BMW si trasformò in una trottola, fermandosi nella direzione opposta a quella di percorrenza proprio al centro della strada. Ma non fu l’unica. Altre si bloccarono di sbieco come le pedine disordinate di un domino. La follia della paura aveva ormai preso il sopravvento sulla razionalità e sulla calma. Le vetture ferme per dare precedenza forzarono i posti di blocco, lanciandosi in una corsa nella mischia.
“Che sta succedendo?! Che diavolo sta succedendo?!” Azumi era terrorizzata, mentre Yoshiko si guardava attorno fissando con orrore il caos che li circondava; ormai era totalmente fuori controllo, tanto che nemmeno la polizia era capace di contenerlo.
Di nuovo, nel campo visivo di tutti e tre gli occupanti dell’elegante berlina, il Fuji tornò a campeggiare più alto ed imponente di qualsiasi edificio, e più minaccioso.
A Yoshiko sembrò che per un momento tutto si svolgesse a rallentatore: gli occhi furono come magneticamente catturati da quella visione inquietante, disinteressandosi di tutto il resto. I clacson e lo stridere dei freni, il fischiare della polizia e le sirene vennero come attutiti da un muro d’ovatta. C’era solo il Fuji davanti a lei, candido e freddo. Il pennacchio che le sembrò come ritrarsi, farsi più piccolo.
La calma apparente.
Yoko strinse leggermente gli occhi con sospetto e confusione.
Poi la montagna esplose e la BMW venne travolta dalla devastante onda d’urto.

“Dannazione, signor Yoshikawa, la smette di fare tante storie?!”
“Non ho bisogno di una stramaledetta barella! Come se fossi un moribondo, tsk!”
Tatsuya sospirò esasperato, passandosi una mano nei capelli. Quell’uomo era impossibile e faceva capricci peggio dei bambini, ma lui non aveva tempo da dedicargli.
“Ok, basta così.” con piglio autoritario rivolse le iridi scure ai poveri paramedici. “Caricatelo sulla barella e se oppone resistenza: sedatelo!”. A mali estremi c’erano sempre estremi rimedi e lui non aveva affatto paura di ricorrervi.
I due obbedirono, cominciando a combattere con un recalcitrante Hideki.
“Che cosa?! Sedarmi?! Kishu, questa gliela faccio pagare! Eccome!”
Ma il Vice Prefetto aveva già voltato le spalle al suo eterno borbottare per parlare con uno dei responsabili della sicurezza dell’area.
“La stavamo aspettando, signore. Il Capo Itou ci aveva avvisato del suo arrivo.”
“Bene…” lesse la targhetta sulla giacca “…Hanzo. Abbiamo un sacco di cose da fare e mezz’ora per farle, quindi, voglio tutti i vigili del fuoco, i poliziotti e chiunque sia in grado di muoversi di mettersi al lavoro.”
L’interpellato annuì grave. “Ci dica cosa dobbiamo fare.”
“Quando avete allestito il campo, cosa avete trovato all’interno dello Stadio?” Kishu sapeva d’aver interrotto i preparativi per il comizio di fretta e furia, quindi i materiali dovevano essere ancora tutti lì e facevano proprio al caso suo. Mai avrebbe pensato potessero risultargli utili.
“Di tutto, signore: lastre di metallo, tavole, cavi, luci, sedie. Anche tavoli e travi.” elencò sommariamente l’uomo.
“Perfetto: voglio che li usiate per rinforzare tutte le entrate e le uscite di questo Stadio e fatene portare quanto più possibile all’ingresso. Svelti.”
“Subito.” ed Hanzo rapidamente scomparve per cominciare a dare disposizioni e reclutare tutte le braccia disponibili.
Tatsuya si volse poi in direzione del parcheggio.
“Ehi, squadra di Morisaki!” La sua voce s’attirò gli sguardi di Rick e Rita che avevano visto l’allontanarsi di Yuzo, e di Hisui e Toshi poco distanti. “Ci muoviamo? Ho bisogno anche di voi.”
Il geochimico e Meteo-man si scambiarono un’occhiata tra loro e poi guardarono Rita e Ricardo. La sismologa incrociò le braccia al petto.
“'Sto cagacazzi comincia a starmi simpatico.” disse, avanzando seguita da Rick e gli altri due. Svelti raggiunsero il Vice Prefetto e insieme entrarono nell’enorme Stadio Ozora.
“Dovremmo avere materiale a sufficienza per riuscire a serrarci dentro.” spiegò Tatsuya, mentre salivano per il corridoio che li avrebbe portati sugli spalti. “E se abbiamo abbastanza uomini, dovremmo farcela in tempo.”
Quando emersero dall’andito, e poterono finalmente avere una visione totale dell’area, ammutolirono. Dovevano essere in centinaia. Non c’era più uno spazio libero sull’erba verde del campo e le porte erano state tolte per recuperare ogni centimetro quadrato possibile. Tutte le attrezzature del comizio, abbandonate di fretta, erano state accatastate lungo il perimetro. Gruppi di uomini tra membri della protezione civile, forze dell’ordine e rifugiati stavano già provvedendo a recuperarli per iniziare il lavoro di rinforzamento delle porte.
“Dovremmo proteggere tutta questa gente?” domandò Hisui, il tono lamentoso la dipinse come un’impresa titanica.
“E’ una grande responsabilità.” precisò Rick, ma Tatsuya non era disposto a perdersi d’animo e, soprattutto, a fallire ancora.
“Abbiamo bisogno di un modo per tenere sotto controllo il lahar.” esordì “Così da sapere quanto ancora ci resta.”
Ricardo inquadrò due poliziotti che stavano perlustrando gli spalti e si stavano dirigendo velocemente proprio verso di loro.
“Mi è venuta un’idea.” esclamò, facendo segno ai due uomini per esortarli a raggiungerli in fretta.
“Vice Prefetto.” salutò uno degli agenti cui il politico rispose con un cenno del capo. Ricardo, invece, non si perse in formalità.
“Datemi le vostre radio.” pretese sotto gli sguardi perplessi dei due. “Su, forza! Non abbiamo tutto il giorno!”
I poliziotti non se lo fecero ripetere e gli consegnarono le trasmittenti nere.
Rick ne mollò una a Hisui. “Meteo-man ce la fai a salire lì sopra?” indicando la sommità degli spalti. Dietro l’ultima fila c’era il muro di contenimento.
“Beh, sì…” valutò il meteorologo in prestito dalla JMA.
“Allora arrampicati sulla sua sommità e facci da vedetta.”
Hisui sospirò rassegnato, ma poco entusiasta. “D’accordo. Almeno finiranno di cadermi lapilli in testa.”
La pioggia di tefra era davvero rada, rispetto quella che sicuramente stava investendo il fronte di Tokyo, ma Hisui tendeva sempre a fare un dramma di ogni cosa. Ad ogni modo, non perse altro tempo e si mosse per raggiungere la sua postazione.
“Voi andatevi ad occupare del sistema di serrande.” ordinò Kishu rivolgendosi ai due poliziotti, che annuirono e si dileguarono lungo il corridoio. “Mentre noi andiamo ad aiutare gli altri con le porte.”
Abbandonarono gli spalti per entrare finalmente nel cuore dell’azione, ma, dabbasso, il via vai era concitato e senza sosta. La gente si muoveva veloce e, come una meccanica fila di formiche, andava e veniva dal campo portando tavole e scrivanie. Delle lastre di metallo erano state appoggiate contro la prima fila di porte a vetri e tenute ferme da sedie e travi dell’impalcatura.
Hanzo venne fermato da Kishu, che chiese ragguagli.
“A che punto siamo?”
“Le uscite posteriori e di sicurezza sono state bloccate e rinforzate.”
“Ottimo, ho mandato dei poliziotti a chiudere le serrante esterne, affianchi loro anche due vigili del fuoco.”
Hanzo parve titubante. “Ma, signore, le serrante sono elettriche e non c’è corrente nello Stadio-”
“E allora?! Calatele a mano, per Dio! Sbrigatevi!”
“Sì, signore!” lesto scomparve alla loro vista.
“Quanto abbiamo?” domandò Tatsuya a Ricardo il quale mise mano alla trasmittente.
“Hisui sei in posizione?”
“Ci sono quasi! Questa parete non ha nemmeno un appiglio decente; non hai idea per dove mi sto inerpicando!”
Ricardo ruotò gli occhi al cielo. Mandare Hisui, forse, non era stata proprio un’idea brillante, tuttavia la frase che seguì smentì i suoi pensieri.
“Eccomi! Ci sono e-… o cazzo!”
“Deduco che siamo nella merda. Quantifica!”
“Ok… ad… ad occhio e croce avrà una velocità di 40-45 km/h. Il fronte è enorme e sembra avere continui apporti dalla montagna.”
L’ispanico scosse il capo in un gesto contrariato. “In quanto tempo ci sarà addosso?”
“Mezz’ora, quaranta minuti. Forse.”
“Mezz’ora?!” chiuse per un attimo la trasmissione, alzando lo sguardo al cielo e lasciandosi scappare una preghiera. Cosa che non faceva praticamente mai. “¡Dios mio, pregas por nos!” poi riaprì il canale. “D’accordo, avvisami ogni cinque minuti.”
“Ok. Chiudo.”
Kishu ostentò una ferma sicurezza.
“Possiamo farcela, forza!” e si immerse nella frenesia degli uomini al lavoro, seguito dal resto della squadra di Yuzo. Percorse velocemente il perimetro del campo per raggiungere i depositi di materiali abbandonati. Gli era impossibile non rivolgere lo sguardo alla gente accampata sull’erba, piangente, impaurita e ferita. I medici e i volontari si muovevano tra tutti loro; molti avevano ancora i visi sporchi dalla polvere dei crolli, bendaggi, fasciature e nelle persone che lo osservavano e riconoscevano lesse sorpresa -  per la sua presenza -  e anche disprezzo. Ma quest’ultimo era un sentimento che lui aveva messo in conto fin dall’inizio. Lui era stato uno di quelli che aveva sbagliato, colui che aveva parlato alla televisione facendo le veci del Prefetto e ne avrebbe pagato le conseguenze, ma non si sarebbe fatto abbattere e avrebbe riconquistato la fiducia della gente. La sua risalita era già cominciata.

L’eco dei rumori arrivò di lontano alle sue orecchie, come se si stesse muovendo per raggiungere l’origine di quegli strani fischi e poi le esplosioni e le urla. Il fastidioso odore di fumo si faceva sempre più forte, ma sapeva di essere immobile, anche se intorno era tutto nero. Forse, se non era lei a muoversi, erano i rumori che la stavano raggiungendo, assieme agli odori acri, di uova marce.
Il primo colpo di tosse che le sfuggì rese tutto più vivo ai suoi sensi, più forte. Il secondo le fece anche mettere in moto la vista e aprire gli occhi. Oltre le palpebre, inquadrò una chiazza beige e l’odore della pelle sembrò quasi dirle che aveva il viso premuto sul rivestimento del sedile posteriore della loro auto.
Mugolò un verso tra dolore e stordimento. La testa, dove aveva il bendaggio, le pulsava di nuovo e forse la ferita s’era riaperta a causa della botta.
Un momento.
Quale botta?
Se lo domandò cercando di mettere a fuoco i ricordi delle ultime immagini che aveva prima che tutto fosse divenuto nero. Riavvolse il nastro e rivide la fila di auto, l’improvviso terremoto e la paura dilagante, loro che venivano trascinati dalle vetture che spingevano come impazzite, poi il testacoda e poi… poi il Fuji.
Yoko spalancò gli occhi di scatto, tirandosi a sedere troppo velocemente tanto che la testa protestò, facendo girare il mondo attorno a lei in una specie di trottola, ma nonostante questo la realtà non sembrò mutare.
Il vulcano aveva eruttato, come previsto, e il paesaggio che la circondava sembrò restituirle un terribile scenario di guerra.
Non sapeva per quanto tempo avesse perso conoscenza, ma doveva essere parecchio perché prima di svenire non ricordava ci fosse un simile sfacelo. Le auto erano state abbandonate in tutta fretta, bloccando la loro BMW in quello che ora appariva come un enorme cimitero. Fiamme e fumo si levavano da alcune vetture che sembravano essere state colpite da missili. E questo gli parve l’impattare di una bomba vulcanica al suolo. Il fischio che aveva sentito mentre riprendeva conoscenza, assieme alle esplosioni, doveva essere opera di quelle… cose. La deflagrazione le strappò un gridolino spaventato e le fece coprire la orecchie con le mani. I suoi occhi si strinsero impauriti e quando si riaprirono, catturando il cono del Fuji, non lo riconobbero.
Quel mostro che sputava una enorme colonna di fumo nero e denso non era più la pacifica montagna che aveva sempre creduto vegliasse e proteggesse chi abitava alle sue pendici e l’intero Giappone. Ora era irriconoscibile, un altro vulcano. Un Dio incollerito che sfogava la sua ira senza pietà, lasciando Yoko sconvolta per una violenza che non avrebbe mai sospettato essere celata sotto la coltre candida della neve.
Qualche altra bomba cadde tra edifici e vetture, ma la fase critica di quel bombardamento sembrava essere passata, visto lo sfacelo che la circondava. Doveva essere stato terribile, ma per lei lo era tutt’ora, nonostante cadessero solo piccoli sassolini che ticchettavano sul tettuccio come gocce di pioggia.
“Taro! Taro!” Yoshiko s’affacciò tra i due sedili. Dovevano andarsene da lì, ma suo fratello non rispose e quando tentò di scuoterlo per una spalla, la testa ruotò mollemente verso di lei, mostrandole il volto insanguinato del giovane.
“No!” la voce le uscì come uno strozzato lamento e le lacrime s’affollarono ai suoi occhi, riversandosi sulle guance. “Taro…” pianse, continuando a scuoterlo lentamente. Preda dello sconforto si volse verso Azumi ed anche lei aveva del sangue che le scorreva sul lato del viso.
Il parabrezza era esploso in seguito all’onda d’urto e le schegge avevano fatto il resto.
Le venne da urlare, ma non uscì nessun verso se non un lamento sottile, che si perse nel fragore dell’eruzione. S’aggrappò con tutta la sua forza alla manica del fratello, sentendosi improvvisamente così piccola come mai prima di allora, e sola. Sola nell’imperversare dell’Inferno, incapace anche di pensare.
“Oh…”
Poi, quel mugugno sembrò giungerle in soccorso assieme al movimento del braccio di Taro.
Yoshiko volse lo sguardo carico di speranza al fratello, trattenendo il fiato. Per un attimo, la paura più profonda le aveva fatto credere il peggio, ma il campione dello Jubilo Iwata aprì gli occhi, seppur con fatica sentendosi intorpidito, e la prima cosa che vide fu sua sorella in lacrime che gli stringeva il braccio.
“Yoko…” si sforzò, cercando di recuperare tutte le sue funzionalità e adagio cambiò posizione.
“Fratellone!”
“…sei ferita?”
“No, sto bene.”
Lentamente si passò una mano sul viso, che bruciava. Ricordava cosa fosse accaduto e come avesse afferrato Azumi per costringerla ad abbassarsi giusto l’attimo prima che lo spostamento d’aria dell’esplosione li travolgesse. Pensare al nome della sua compagna lo svegliò del tutto.
Allungò l’altro braccio verso di lei, che aveva la testa appoggiata al sedile e del sangue che, dalla tempia, scendeva copioso lungo la guancia, mischiandosi a quello degli altri taglietti, opera del vetro.
“Azumi… tesoro…” la scosse e lei mugugnò un verso sofferente, schiudendo le palpebre. Taro e sua sorella si sentirono sollevati nel vederla reagire, mentre la giovane metteva a fuoco le immagini.
“Taro… mi fa male la testa…”
“Non preoccuparti, non è niente.”
Azumi annuì, poi vide che c’era sangue, troppo sangue sul volto del giovane e si spaventò, lanciando un gridolino. Ma l’altro cercò subito di rassicurarla.
Shhh. Tranquilla, è solo qualche scheggia di vetro. Yoko, vedi se c’è qualcosa, della stoffa, per darmi una ripulita.” ed il fatto che riuscisse a muoversi sempre con maggiore facilità, significava che non aveva nulla di rotto.
Eppure, le sue parole non riuscirono a calmare Azumi, le cui mani cominciarono a tremare quando s’accorse che anche il suo viso era insanguinato, seppur meno di quello del giovane, e che tutt’attorno vi era solo devastazione e gente che correva, tentando di mettersi al riparo.
Un nuovo grido, terrorizzato ed in preda al panico, la fece rimanere inchiodata al sedile, mentre continuava a chiedere, tra le lacrime, come un disco rotto: “Che sta succedendo?!”  .
Vederla così, improvvisamente fragile e spaventata quando solitamente era orgogliosa e battagliera, preoccupò Taro, che le prese le mani, costringendola a guardarla in viso.
“Andrà tutto bene, tesoro. Ne usciremo, con qualche graffio, ma ne usciremo, non avere paura. Ti fidi di me?”  
Quasi come se la voce del calciatore avesse effetti catartici e terapeutici, la giovane sembrò acquietarsi lentamente e recuperare una certa calma e lucidità. Le dita di Taro, sul viso e i capelli, assieme al suo sguardo, quieto e pacato, sortirono l’effetto voluto.
“Taro, ho trovato questo!”
Rovistando nella borsa che aveva accanto, Yoshiko aveva recuperato un foulard.
“Perfetto.” accordò l’altro e si fece ripulire alla meglio e lentamente dalla ragazza, la quale gli tolse con cautela alcune schegge ma, in definitiva, non era nulla che dei cerotti e del disinfettante non avessero potuto curare. Poi, fu Taro stesso a medicare Azumi, sorridendole sempre. La donna aveva solo qualche piccolo graffio su di un lato del viso, ma nessuna scheggia, per fortuna.
Quando si fu accertato che tutti e tre erano perfettamente in grado di muoversi, Misaki si guardò intorno.
“Dobbiamo andarcene, non possiamo restare qui.”
“Per andare dove? Non sarebbe più prudente restare ad aspettare i soccorsi?” propose Azumi, ma per quanto in una situazione differente sarebbe stato d’accordo, Taro si rese conto che in quel caso non sarebbe stata una scelta possibile, non da dove si trovavano in quel momento almeno. La gente correva via disperata, c’era il caos e le forze dell’ordine sembravano non essere in grado di arginare quella folla, inoltre, avrebbero dovuto cominciare a ritirarsi anche loro per mettersi in salvo.
“Non sappiamo nemmeno tra quanto arriveranno e qui siamo troppo esposti.”
L’impatto poco lontano di un’ennesima bomba vulcanica, sembrò confermare le sue parole; era un miracolo che fino a quel momento fossero stati risparmiati e a Taro non sembrò il caso di sfidare la sorte.
Nel vedere il missile che colpiva una vettura più avanti in maniera talmente violenta da sbalzarla contro un’altra auto, Azumi si convinse che avrebbero dovuto cercare un luogo diverso in cui riposarsi e attendere di essere salvati.
Yoshiko provò ad aprire le portiere posteriori, ma la BMW era incastrata tra le altre, come in un folle tetris.
“Da dietro è impossibile uscire!” ma anche davanti la situazione era la stessa.
Taro si liberò della cintura di sicurezza, armeggiando con il seggiolino affinché scivolasse indietro per avere maggiore mobilità. Riuscì a mettersi accovacciato e a scavalcare il volante, guadagnando l’uscita attraverso il parabrezza infranto. Una volta fuori, aiutò Azumi a fare lo stesso. Yoko scavalcò invece i sedili anteriori, afferrando poi la mano di Taro ed in pochi momenti si trovò in piedi sul cofano. Da quella posizione più alta, mosse adagio lo sguardo intorno, girando anche la testa, lentamente.
Le macchine abbandonate erano talmente tante che per contarle tutte c’avrebbero impiegato più di un’ora. Occupavano il raccordo per tutta la sua interezza e altrettante si trovavano ancora alle sue spalle, puntate verso le vie di fuga, ma impossibilitate a muoversi e per questo abbandonate. Tra di esse, la fiumana di gente correva veloce verso nemmeno loro sapevano cosa, l’importante era solo allontanarsi. Allontanarsi da lui, da quel vulcano che, adesso, Yoko poteva osservare nella sua interezza sputare materiale ancora e ancora. La nube nera si inoltrava nel cielo senza mai fermarsi, allungando la sua sommità in direzioni e forme dettate dalle correnti d’alta quota, e da quella parte c’era Tokyo, la capitale; nessuno avrebbe mai pensato che, un giorno, sarebbe stata minacciata dal suo simbolo più famoso.
Ma non era quell’inquietante ironia la sua più grande preoccupazione, ma il pensare che Yuzo fosse lì, da qualche parte, più vicino al mostro, e lei non sapeva come stava, e lui non sapeva dove lei fosse.

“Torna da me.”
“Certo che tornerò.”

Quelle frasi fecero capolino nella sua memoria in un tentativo di rincuorarla e allora perché le veniva da piangere?
“Yoko, andiamo!”
La mano di Taro, che stringeva la sua, le fece capire che era il momento di muoversi, anche se lei avrebbe voluto rimanere lì, in piedi, per vederlo arrivare e farsi trovare, ma non poteva.

“Devi metterti al sicuro, solo così potrò svolgere il mio lavoro.”

Non poteva restare e negargli quella richiesta.
“Vedrai che Yuzo sta bene.”
Quelle parole di Taro la fecero volgere nella sua direzione per osservarne l’espressione sicura e avrebbe davvero voluto avere la sua stessa convinzione.
“Grazie.” si limitò a dirgli e lo ringraziava davvero per aver cercato di rassicurarla, ma quando si volse all’orizzonte, qualcosa sembrò farle battere il cuore più velocemente e non per la gioia.
Poi, Taro la aiutò a scendere e a raggiungere le altre persone in fuga, e mentre correva senza voltarsi indietro, si convinse che quella strana striscia grigia, che le era sembrato divenisse sempre più vicina senza tuttavia riuscire a comprendere cosa fosse, l’avesse solo immaginata.

“Signore abbiamo un problema con le serrande!”
Hanzo comparve davanti al Vice Prefetto in tutta fretta e preda dell’ansia, mentre l’uomo era seguito da Rita, Rick e Toshi che, intenti come lui a trasportare a braccia materiale per creare la barriera, continuavano a lavorare incessantemente.
“Che diavolo c’è, adesso?!” sbottò Kishu. Avevano già ricevuto il primo avviso dal meteorologo appollaiato sul muro dello stadio e non sarebbe trascorso ancora molto prima che avesse chiamato di nuovo, indicando così la catastrofe più vicina a loro di dieci minuti.
“Sono bloccate, signore. Alcune non riusciamo a farle scendere, devono essere state danneggiate dal terremoto.”
“Che cosa?!” Tatsuya mollò la tavola al suolo con un tonfo.
“Proprio così, signore, non sappiamo cosa fare, i pompieri ci stanno lavorando-”
“Quante sono bloccate?”
“Tre, signore.” spiegò ancora Hanzo “Due centrali e l’ultima.”
“Merda!” fu il ringhio frustrato del politico. “Continuateci a lavorare senza sosta.” ordinò e l’altro si dileguò per riferire gli ordini.
Tre erano troppe, si disse Tatsuya, ma anche una sarebbe già potuta risultare fatale. Il lahar si sarebbe infiltrato, trascinando con sé anche le altre saracinesche. Bisognava chiuderle tutte.
Alle sue spalle comparve Rick.
“Io posso esservi utile.”
Tatsuya lo fissò come avesse potuto fare un miracolo da un momento all’altro. “Dice sul serio? Può ripararle?”
L’ispanico gonfiò il petto con un certo orgoglio. “Certo che sì, sono un ingegnere.”
“E allora sono tutte sue.”
Ricardo annuì prontamente, lasciando il tavolino, che aveva preso dal mucchio di materiale accantonato, pronto per mettersi all’opera quando la radio gracchiò, restituendo la voce di Hisui più allarmata del solito.
“Ditemi che ci siamo già sbarrati dentro e abbiamo buttato via la chiave!”
“Che succede?”
“Sono passati altri cinque minuti e, parola mia, ad ogni secondo che passa sono sempre più convinto che Dio si sia scordato dell’esistenza di questa città. A buon intenditore…”
Ricardo scambiò una rapida occhiata col Vice Prefetto, prima di rispondere. “Ok, continua a tenermi informato.” e chiuse, correndo subito in direzione dell’ingresso per occuparsi del problema principale.
Dietro di lui, anche Toshi, Rita e Tatsuya si mossero svelti. La barriera era quasi completa, ed era stato lasciato aperto solo un passaggio per permettere agli uomini che stavano lavorando alle saracinesche di entrare e uscire. Sembrava un’enorme trincea, addossata alla prima fila di porte a vetri. Alcuni uomini la stavano puntellando con delle travi per renderla più robusta.
Quando Rick raggiunse i pompieri, ne trovò uno arrampicato sulla scala posta precariamente nello stretto spazio che c’era tra le fila di serrande e l’ingresso, sufficiente per una sola persona.
“Che cosa abbiamo qui?” domandò ad un altro vigile del fuoco, fermo lì fuori.
“I due avvolgibili centrali non ne vogliono sapere. Si è bloccato qualcosa all’interno, ma con la serranda ancora tutta su non riusciamo a capire.”
Rick mollò la radio a Rita, che comparve proprio in quel momento.
“Ok, fatemi spazio.”
Il pompiere sulla scala scese molto lentamente per non perdere l’equilibrio e l’ispanico prese il suo posto, affacciandosi lateralmente al meccanismo di riavvolgimento, ma già ad una prima occhiata, facendo il confronto con la serranda accanto, anch’essa bloccata, gli parve di capire quale fosse il problema.
“Datemi una torcia!” disse e uno degli uomini gli passò la sua.
Ricardo illuminò l’interno che era stato leggermente spostato dalla sua guida nel muro e trovò conferma ala propria ipotesi. “Il tubo dell'albero di riavvolgimento si è storto! Datemi un'asta di quelle che erano nello stadio, più è sottile meglio è!”
Rita sapeva già a quali si riferisse.
“Vado io.” esclamò scomparendo all’interno dell’edificio. Appartenevano alla struttura che sarebbe dovuta divenire il palco. La sismologa le trovò accatastate accanto ai teloni e ne prese una ritornando velocemente su i suoi passi.
Nel frattempo, Rick era passato a dare un’occhiata alla saracinesca contigua, anch’essa bloccata e quando Rita ricomparve lo vide che ci stava già lavorando dando dei colpi sotto alla serranda, dove era ancora riavvolta.
“Che ha questa?” domandò la donna.
“Ah, perfetto, eccoti!” rapidamente, Rick si fece passare il tubo e con attenzione lo infilò all’interno della parte ancora riavvolta, creandosi lo spazio con la forza. “Un pezzo del motoriduttore si è rotto e blocca la serranda. Per grazia di Dio, funziona ancora.” spiegò. Con la punta del bastone cercava in tutti i modi di smuoverlo. Al quarto colpo ci riuscì, ritirando subito l’asta e scendendo dalle scale. “Ok, tiratela giù!”
L’avvolgibile venne chiuso senza ulteriori intoppi. Era leggermente deformato, ma andava bene.
“Rick, sono passati altri cinque minuti, ora dovreste vederlo anche voi.”
Tutti si volsero a fissare la radio che Rita teneva attaccata al bordo dei jeans, con ansia. Il silenzio cadde tra loro e restarono immobili a meno di Ricardo, che continuava a lavorare quasi fosse sordo a tutto il resto.
D’un tratto, uno dei due pompieri, che si era mosso di qualche in passo più in là, confermò le indicazioni di Hisui.
“Oh mio Dio! Arriva!”
Il fronte grigio dell’acqua era finalmente entrato in città. Dall’alto, il meteorologo aveva potuto scorgere addirittura gli spruzzi del lahar contro gli ostacoli che incontrava e gli edifici che cercavano di rallentarlo, ma con pessimi risultati. Al suo interno, le macchine venivano trascinate come fuscelli dalla melma inarrestabile, aumentando la quantità di detriti. Sembrava che la sua portata non avesse mai fine.
Agli altri, dabbasso, il muro fangoso sembrò ancora più mostruoso; si insinuava tra le costruzioni, alcune li sommergeva del tutto, altre le abbatteva e trascinava con sé. Se tendevano bene le orecchie, escludendo il rombare del vulcano, avrebbero potuto sentire anche il suo passo: lo scrosciare intenso dell’acqua che diveniva sempre più forte.
“Ricevuto, Hisui. Ce l’abbiamo. Chiudo.” la risposta di Rita fu lapidaria prima di tornare di nuovo a fissare l’incessante lavoro di Ricardo.
“Qualcuno mi dica quale cazzo è il problema dell’ultima serranda!” esordì proprio l’ispanico. Il tubo era stato fatto infilare dentro la parte riavvolta, come per l’altra saracinesca. Adesso cercava di usarlo per fare perno e tentare di raddrizzare il braccio dell'albero incrinato.
Uno dei vigili del fuoco si mise subito ad ispezionare l’avvolgibile, l’ultimo della fila. In realtà, quella saracinesca era già in parte svolta, anche se meno di metà.
“E’ uscito tutto fuori dalla guida.”
“Cazzo!” imprecò tra i denti l’ingegnere, mentre con un ultimo sforzo riusciva a rendere il braccio più o meno dritto. “Fatela scendere e dopo datele qualche colpetto dove la vedete deformata. La superficie non deve avere sporgenze o rientranze, altrimenti i detriti possono incastrarsi più facilmente e tirarla via.” infine passò all’ultima.
Rick rimase a fissarla con espressione critica. Rita gli si fece di fianco, imitandolo nella contemplazione.
“Qualcosa non va? Non riesci a ripararla?”
“Certo che sì, ma è il tempo che mi manca.”
“Cerca di abbassarla più che puoi.”
Ma lui scosse il capo. “Devo abbassarla tutta, altrimenti è come lasciare una porta spalancata al lahar e farlo entrare. Ci metterebbe un attimo a distruggere tutto il resto e ad arrivare al campo.” poi sollevò teatralmente lo sguardo al cielo, portandosi una mano al petto. “Vorrà dire che farò un miracolo!” la sceneggiata gli valse uno scappellotto dietro la nuca. “Ahia!”
Nun tenimm’ tiempo p’ ‘e strunzate[1]! Muoviti!”
Rick si mise a ridacchiare, ma non se lo fece ripetere. Recuperò la scala e si fece dare da un martello. Nel frattempo, i pompieri avevano sistemato in un attimo la saracinesca appena abbassata. Poi si fermarono ad osservare con apprensione il lavoro del giovane. Più velocemente che poteva, Ricardo faceva rientrare gli elementi ciechi nelle guide laterali. Il rumore del martello sul metallo rimbombava all’interno dell’atrio attenuato dal fragore eruttivo, ed ogni lista che veniva rimessa a posto era un passo avanti e qualche centimetro in più che si chiudeva.
Lo sguardo dell’ispanico era fisso e concentrato sul proprio lavoro, mentre dabbasso, Rita teneva d’occhio l’arrivo del lahar.
E fu quando il primo piccolo livello di fango giunse a lambirle i piedi che lei attirò l’attenzione dell’ingegnere; la serranda chiusa solo per metà.
“Riccà!”
La sua voce allarmata gli fece muovere la coda dell’occhio per un momento, senza smettere il proprio lavoro, ma non appena notò che il fango era arrivato, scorrendo come l’acqua di una pioggia abbondante, capì che il tempo era scaduto, che loro dovevano barricare anche l’ultima porta e che lui doveva prendere una decisione: mollare tutto e mettersi al sicuro nel campo, sperando in Dio, oppure restare fuori, fare il suo lavoro fino all’ultimo e sperare ugualmente in Dio?
E aveva pure detto a Yuzo: ‘niente eroismi’, come se ne fossero stati convinti, poi.
“Rita, rientrate immediatamente e sprangatevi dentro, presto!”
Lei scosse il capo, dipingendosi un’espressione di puro sconcerto sul volto.
“Che cosa?! E tu che diavolo pensi di fare?!”
“Io finisco di tirare giù quest’affare. Voi chiudetevi all’interno dello Stadio!”
“Non dire stronzate! Te pare ‘o mumento e ti mette a fa’ l’eroe ro’ cazzo[2]?!”
Ma l’ispanico non poteva mettersi a discutere con lei proprio in quel momento e alzò la voce.
“Rita, porca puttana! Vuoi starmi a sentire una stracazzo di volta?! Vattene dentro!”
In quel momento arrivarono anche Tatsuya e Toshi. Oramai era davvero tutto pronto, restava da chiudere solo i due ingressi.
“Allora?” la voce del Vice Prefetto attirò l’attenzione della sismologa che lanciò un’ultima occhiata a Rick e rientrò per farsi incontro al politico. “Quanto tempo vi ci vuole ancora?!”
“Fino all’ultimo secondo, è un lavoro lungo.”
“Ma non possiamo aspettare oltre!” sbottò, poi si passò una mano sulla fronte per cercare di mantenere la sua lucidità. “Hanzo, sono rientrati tutti nello stadio, vero?” chiese, ma l’interpellato venne interrotto da uno dei pompieri, in tono grave.
“Veramente c’è ancora uno dei nostri furgoni in giro nel quartiere.”
“Hanno una radio?”
“Sì, signore.”
“Allora mi ci faccia parlare.”
Il giovane impostò la frequenza sulla trasmittente e la passò al politico, che non perse tempo.
“Sono il Vice Prefetto Kishu, mi ricevete?”
“Sì, signore, forte e chiaro.”
“Il flusso di fango ci raggiungerà in dieci minuti, dovete rientrare immediatamente allo Stadio Ozora. Dove vi trovate?”
“A venti minuti da voi.”
“Troppo lontani!” masticò Kishu. “In quanti siete?”
“Abbiamo appena finito il giro. Abbiamo trovato quindici persone.”
“Allora fermatevi, entrate in un edificio e salite fino all’ultimo piano. Ma deve essere un palazzo alto, minimo di cinque piani.”
“Sì, signore. Ricevuto.”
Tatsuya sospirò. “Buona fortuna.”
“Grazie signore. Chiudo.”
Il politico fissò per qualche altro momento la trasmittente, annuendo adagio. Poi alzò la testa con decisione.
“Blocchiamo la porta.”
Era la scelta migliore che potesse prendere, per quanto non fosse la più giusta. Tatsuya lo sapeva, ma era suo dovere salvare le centinaia di persone che si trovavano nell’area di gioco e non poteva aspettare.
Anche Rita lo capì.
“D’accordo, allora sbrigatevi.”
Toshi la trattenne per un braccio. “Sbrigatevi? E tu?”
“Non vengo.”
“Vorrai scherzare!”
Lei si divincolò dalla presa del geochimico. “Affatto. Ricardo continuerà a lavorare a quella saracinesca fino alla fine ed io resterò con lui.”
“Allora resto anch’io-”
“Non se ne parla.”
“Rita! Se vi succede qualcosa, Yuzo m’ammazza!”
“E se murimm’ tutt’e tre gli viene un infarto. Che vulimm’ fa’[3]?”
“Ma-”
“Niente ‘ma’. Sono più anziana di te e fai quello che dico. È chiaro? Forza, vattene.”
Non ci sarebbe stato alcun verso di farle cambiare idea, Toshi lo sapeva e le rivolse un’occhiata tra il rassegnato e il preoccupato.
“Non fate i coglioni.” la minacciò, ma gli veniva quasi da piangere. Toshi era il più giovane della squadra, quello con ancora molto da imparare e teneva a tutti loro per poter accettare a cuor leggero di doversene lasciare qualcuno dietro.
Rita gli sorrise, dandogli un affettuoso buffetto sul braccio.
“Ci vediamo dopo, ma non dire ad Hideki cosa stiamo facendo o a lui viene davvero un infarto!”
Toshi annuì ancora, prima di volgerle le spalle, richiamato con urgenza dal Vice Prefetto che non poteva più aspettare. Mentre scomparivano lungo il corridoio che li avrebbe portati al campo, anche Tatsuya rivolse un cenno di congedo col capo, augurando loro, pur senza dirlo a voce, di uscirne vivi.
Pochi attimi dopo, il rumore pesante della porta tagliafuoco che veniva chiusa arrivò a Rita sommesso e coperto dal rimbombare del metallo smartellato da Rick, dalla furia eruttiva e da un gorgogliare che diveniva sempre più forte.
Quando guardò in basso, la sismologa s’accorse che del fango era riuscito ad entrare dall’unico ingresso disponibile e mentre s’avvicinava alla saracinesca, il livello prese a salire, arrivando quasi a lambire il polpaccio.
“Vuoi darti una mossa? Qua finisce che entrerà tutto lo stesso!”
“Rita?!” sbottò Rick appena riconobbe la sua voce. “Ma… ma possibile che le mie parole con te valgano sempre zero?!”
“Piantala di fare la vittima!” e fece sbucare la testa da sotto la serranda. “Gesù!”. Il livello s’alzava ancora, preannunciando l’onda di piena che ormai stava per abbattersi su di loro. La saracinesca aveva superato la metà e Rick non smetteva di lavorare, velocizzando i movimenti nonostante cominciasse a sentire la stanchezza nelle braccia.
“Con te non ho proprio possibilità né di esser preso sul serio né d’altro!”
Rita ridacchiò. “Altro? Altro cosa? Cos’è? Una proposta?”
“Sì, stramaledizione! Ma vedi se io devo fartela in un momento simile!”
E quella risposta, no, Rita non se la sarebbe mai aspettata e per quanto non ne fosse assolutamente avvezza, arrossì di colpo.
In tutti quegli anni in cui era sempre stata convinta che fosse lui quello che non capisse un accidente, si rese conto di non essere stata affatto da meno, di non aver mai saputo vedere oltre il suo perenne scherzare e prender le cose poco sul serio, quale fosse la verità.
“Ma… ma… MA!” sbottò, cavandosi fuori dall’imbarazzo e agitandogli contro la trasmittente. Il tono della voce che veniva costantemente alzato per sovrastare quello del lahar che si faceva sempre più vicino ad ogni attimo, ad ogni respiro, ad ogni nuova parola. “Perché te lo sei fatto uscire solo adesso?!”
“Tu me ne hai mai dato la possibilità?!”
“E te la dovevo dare io?! Potevi prendertela quando ti pareva!”
Lui si difese, la saracinesca che veniva abbassata sempre di più. “E come facevo? Hai sempre avuto una bassa considerazione di me!”
“Non dire cazzate! Non ho mai avuto una bassa considerazione di te!”
“Certo che sì! Non mi stai mai a sentire e mi prendi sempre in giro!”
“Ma era il mio modo per farti capire che mi piacevi!”
Lui agitò il martello, esibendo uno sguardo furbo. “A-ah! Quindi ammetti che io ti piaccio?”
“Ma certo che sì, imbecille!”
Ricardo parve davvero sorpreso. “Davvero?” chiese con un mezzo sorriso tra il felice e il soddisfatto.
“Ma vedi tu se dobbiamo fare queste tarantelle adesso!” sospirò invece Rita, passandosi una mano sul viso, quando la voce di Hisui, che era stato raggiunto da Toshi alla sua postazione interruppe la loro discussione.
“Ragazzi, fatemi sapere che siete al sicuro perché il tempo è scaduto!”
E solo dopo aver sentito quelle parole, i due si resero conto che il rumore era divenuto talmente assordante da essere impossibile da ignorare e confondere. Il flusso di fango infiltrante dallo spazio sotto la serranda si era fatto più forte e intenso. Rita e Rick si guardarono negli occhi, realizzando il tutto, poi l’ingegnere balzò giù dalla scala, chiudendo di forza gli ultimi centimetri rimasti aperti. L’avvolgibile scattò con un tonfo metallico, toccando il pavimento.
Come era avvenuto sulle scale dell’FVO, Rick afferrò Rita per un braccio tirandola all’interno dello Stadio. Ebbero solo il tempo di cercare rifugio dietro al bancone dei pop-corn ed il lahar arrivò.
L’intera struttura tremò nell’impatto, ma tenne. Come ipotizzato da Kishu, il flusso di fango scivolò attorno all’edificio favorito dalla sua forma. Le saracinesche vibrarono con forza ed in maniera scoordinata alla massa inarrestabile di acqua, prodotti vulcanici e detriti di vario genere. Il loro stridere sembrava un grido lancinante e mostruoso, acuto come quello delle arpie. Del fango riuscì ad entrare sotto le serrande il cui tintinnio fece infrangere la prima fila di porte a vetri. Accodarono il loro suono crepitante al concerto che, di fuori, si stava svolgendo. Il rinforzo tenne, dietro il vetro crollato, in maniera stoica, come la volontà di tutte le persone che avevano lavorato incessantemente per preparare quella specie di fortezza. E tra queste c’erano anche Ricardo e Margherita che, nascosti sotto al bancone, restavano stretti l’uno all’altra in attesa del passaggio della fine del mondo.

Yuzo inchiodò di colpo quando si trovò davanti la paurosa fila di auto di cui non riusciva a vedere la fine.
Era tornato su i suoi passi, raggiungendo il campo d’accoglienza oramai evacuato per percorrere lo stesso tragitto compiuto da Taro, ma la strada che immetteva sulla via principale era intasata di vetture ferme e abbandonate.
Yuzo imprecò, sbattendo le mani sul volante. Cercò di scorgere tra esse se riusciva ad individuare quella del suo ex-compagno di scuola, ma era oggettivamente impossibile.
Con decisione ingranò la retromarcia, facendo manovra ed infilandosi in un vicolo precedente che era l’uscita d’un garage sotterraneo. Lo percorse in senso contrario ed il muro di Dante forzò anche quell’asta ferma, sbucando sul corso principale. Purtroppo la situazione non sembrò cambiare. Il numero spropositato di vetture abbandonate sembrava non avere fine e riempiva la strada come un fiume di metallo.
Yuzo diede un’occhiata alla sua destra, che portava al cuore della città. Il fronte del lahar si faceva inesorabilmente più vicino e minaccioso tanto che, per lui, il suo rumore era chiaro ed inconfondibile. Quel rombare e scrosciare non avrebbe mai potuto dimenticarlo; per anni era stato la sua persecuzione, il sottofondo sonoro dei suoi incubi ed ora era tornato ad inseguirlo nuovamente nella realtà, confonderlo sarebbe stato impossibile, ma questa volta le cose avrebbero avuto un diverso finale.
Con una violenta sterzata salì sul marciapiede, sbalzando via ogni ostacolo incontrasse sul suo cammino fino a che non terminò e nuovamente il mare di auto si estese davanti a lui. Di Yoshiko nemmeno l’ombra. Sentiva grida in lontananza e vedeva gente che scappava, ma erano ancora troppo lontani da lui per poterli distinguere. Così Yuzo accelerò, tentando con forza di aprirsi un varco e guadare quello stuolo di cadaveri metallici. Nemmeno lui seppe come, riuscì ad infilarsi forse aiutato dalla forza della disperazione, fatto sta che le vetture vennero caricate dal muso di Dante e trascinate in avanti per alcuni metri. Poi, il peso fu troppo da spostare ed il Pick-up rimase bloccato. Le ruote stridevano, emettendo fumo per il continuo accelerare, ma senza avanzare nemmeno di un centimetro e Yuzo capì che la sua unica possibilità era proseguire a piedi.
Con un sospiro, diede un colpo leggero sul volante, quasi come una carezza.
“Le strade si dividono, eh, bambino? Sei stato una buona macchina. Addio.” e spense definitivamente il motore. Sembrava quasi un ulteriore lasciarsi indietro pezzi di un passato che, invece, tentava di tutto per restargli incollato, tanto da rendere nuovamente reali e vividi quegli incubi che aveva affrontato e sconfitto. Ma il passato aveva ancora un’ultima carta da giocare, la sfida finale, come due vecchi nemici che stanno per porre fine alla loro guerra secolare. E nessuno dei due era disposto a perdere quella partita.
Yuzo uscì dal finestrino andato in pezzi, visto che la portiera era bloccata, e s’arrampicò sul tettuccio, mettendosi in piedi e scrutando, da quella posizione dominante, l’intera area. Si guardò per un attimo alle spalle, valutando ad occhio la distanza del lahar, e poi sfruttò le auto, saltando dall’una all’altra fino ad arrivare al marciapiede opposto. Una volta a terra, i piedi toccarono qualcosa di melmoso e sciaguattante: l’inizio del flusso di fango era già arrivato ed era solo questione di una manciata di minuti prima che arrivasse anche il resto. Senza più stare a pensarci si mise a correre per raggiungere gli altri il più in fretta possibile.
Dietro di lui sapeva che il flusso di fango correva forse ben più veloce di lui, ma l’idea di rallentare o fermarsi non gli balenò nemmeno per un istante. Si concentrò solo su ciò che aveva davanti e sulla gente che diveniva sempre più vicina. Raggiunse la coda della fuga, si infilò in essa, la superò, ma Yoshiko non c’era e lui non smise di cercare. Ma scorgere da lì chi lo precedeva era impossibile, così salì nuovamente sulle auto e proseguì, camminando su cofani e tettucci, guardando lungo la fiumana di gente.
La polizia continuava a ripetere di salire in alto, ma nessuno sembrava prestar loro ascolto, troppo spaventati e con il rumore del pericolo così incombente da azzittire tutti gli altri. E poi… e poi anche loro fuggirono alla ricerca di un riparo, perché la paura non risparmiava nessuno.
Tranne Yuzo.
Non aveva tempo per pensare alla potenza dell’acqua capace di trascinare qualsiasi cosa con sé, non aveva tempo per pensare di nascondersi e salvarsi da quella calamità irrefrenabile. Non aveva tempo di lasciarsi spaventare anche perché lui, il suo nemico, lo conosceva già e aveva ancora una cosa da fare prima d’arrendersi al tempo e farsi da parte. Per questo non si dava requie, mentre le auto sotto di lui divenivano sempre più scivolose per via del materiale caduto e del fango che aveva sotto le scarpe. Il rischio di mettere un piede in fallo gli si presentò un paio di volte, ma riuscì a non cadere. Nel frattempo le sue iridi cercavano qualsiasi elemento che potesse fargli individuare Yoshiko o Taro. Qualsiasi cosa come… come un abito.
Le immagini di Yoko quando era accorso a salvarla, quando l’aveva portata al centro e poi l’aveva vista allontanarsi gli balenarono davanti agli occhi per alcuni momenti, ricordandogli come fosse vestita. Jeans, scarpe da ginnastica, cappotto e la sua sciarpa multicolore. Sì, proprio come quella che, per un attimo, fece capolino tra la folla. Il cuore gli sembrò che battesse di colpo più velocemente, così come le sue gambe che, non curanti della possibilità di cadere, accelerarono.
Forse l’aveva solo immaginata, probabilmente non era lei, ma era l’unico appiglio che gli fosse rimasto. L’unico. E lo inseguì fino a che non lo vide comparire di nuovo. Coloratissimo come un miraggio nel bianco e nero improvviso che stinse ogni immagine ai suoi occhi. C’era solo quella sciarpa, quella figura dai capelli castani che correva stretta nel cappotto e anche se non era lei, Yuzo ci provò lo stesso, chiamandola con tutto il fiato che aveva in corpo.
Yoshiko!”

Correvano lungo il marciapiede gremito di fuggitivi senza fermarsi un momento.
Nonostante l’adrenalina che riusciva a tenerla in piedi, Yoshiko sentiva le gambe pesanti come macigni, ma Taro seguitava a tenere sia lei che Azumi per mano, senza rallentare nemmeno un secondo. Tutti e tre sapevano che se l’avessero fatto, probabilmente non avrebbero più avuto scampo.
E nel procedere tra uomini, donne e bambini, tutti spaventati e disperati, ripensò a quando Yuzo le aveva detto che il Fuji avrebbe eruttato. Sembrava fosse passato un secolo, ed invece erano nemmeno quarantotto ore. Quanto rapidamente poteva cambiare la situazione in scarsi due giorni? Ben più di quanto avesse mai creduto possibile, eppure era così. Yuzo glielo aveva detto, aveva messo in guardia tutti e nessuno gli aveva prestato ascolto. Era per questo se ora correvano come formiche impazzite a cui avevano appena distrutto il formicaio.
Sotto i suoi piedi, il viscido del fango misto all’acqua aumentava ad ogni istante, ma non aveva il coraggio di guardarsi indietro.
Passarono accanto ad un posto di blocco e alcuni poliziotti cercavano di parlare alla gente in fuga per guidarla verso la salvezza.
“Salite sugli edifici!”
“Raggiungete l’ultimo piano dei palazzi alti!”
“Non restate in strada! Morirete tutti!”

Ma se qualcuno sembrava dar loro ascolto, sfondando i portoni e scomparendo al loro interno, la maggior parte continuava a correre, come sorda agli avvisi.
“Taro, hai sentito? Dicono che dobbiamo-”
“Lo so! Siamo vicini al Centro Commerciale, ci infileremo lì! È molto alto, ce la faremo!”
Ma lei non sapeva effettivamente quanto tempo avessero ancora. Il rumore alle sue spalle era sempre più forte e cupo e si mischiava a quello del vulcano in maniera inquietante. Desiderava voltarsi solo per un momento, ma la paura di vedere cosa li stesse inseguendo le bloccò lo sguardo in avanti almeno fino a che quella voce non riuscì a sovrastare ogni altro rumore. E stava chiamando il suo nome.
Yoshiko!
Girò appena il volto, convinta d’averla solo immaginata. In momenti simili, la paura sapeva sempre come giocare terribili scherzi. Ma la seconda volta, forse, non era possibile che fosse ancora un abbaglio.
Yoshiko!
Stavolta rallentò il passo, volgendosi completamente e tentando di individuare quella voce che proveniva da chissà dove alle sue spalle. Cercò di scorgere tra le teste delle persone un viso familiare, ma la confusione era terribile e quegli occhi che non la guardavano, quelle espressioni concentrate solo sulla fuga non le dicevano nulla.
Poi, una figura più isolata, che si muoveva sopra le auto catturò il suo sguardo. Una figura che si rese conto inconsciamente di conoscere fin dal primo momento e a mano a mano che diveniva più vicina. Una figura che le fece salire le lacrime agli occhi perché non credeva l’avrebbe rivista se non alla fine di tutto. Ed invece lui era lì, agitava una mano per farsi individuare e la chiamava per nome, ancora.
Yoshiko!
Era venuto a cercarla.
“Yuzo…”
Esalare il suo nome le sembrò così dolce sulle labbra. D’istinto lasciò la mano del fratello, che si volse preoccupato, ma altra gente s’era già insinuata tra di loro, aumentando la distanza.
“Yoko!”
“E’ Yuzo! Taro, è Yuzo!”
“Yuzo?! Che cosa-… Yoshiko, dove vai?! Torna indietro!”
Ma lei stava già correndo, guadando in senso contrario la fiumana inarrestabile.
Yuzo!” chiamò con forza nel riecheggiare delle altre grida.
Era lui! Lo aveva visto! E Yuzo aveva visto lei, ne era sicura!
Scorse la sua figura avvicinarsi al marciapiede e scomparire, inghiottita dalla folla. Ebbe il timore d’averlo perso di nuovo, ma poi la testa apparve e scomparve, divenendo sempre più vicina; i passi del giovane erano facilitati dalla gente attorno a lui che sembrava scorrere e si lasciò come trascinare dalla corrente.
Yuzo aveva visto giusto. Era davvero Yoshiko ed era riuscito a ritrovarla. Mentre vedeva la loro distanza ridursi e la mano di lei tendersi nella sua direzione, sentì che le cose sarebbero cambiate e che non si sarebbero ripetute. Navidad sarebbe rimasto un ricordo sepolto nel suo passato che non avrebbe rivissuto né quel giorno né mai. E ne ebbe la conferma quando sfiorò le sue dita, quando le afferrò e quando la sentì tutta stretta contro di sé. Non avrebbe mai permesso a nessun lahar di potergliela strappare via.
“Yuzo! Yuzo!” Yoshiko mormorò il suo nome, tenendosi stretta al maglione e al calore familiare anche sotto la polvere. Ora sarebbe andato tutto bene, ne era sicura. Erano riusciti a ritrovarsi nonostante tutto, nonostante il caos e la paura; come avrebbe potuto finire male adesso che erano di nuovo insieme?
“Sono qui, sono venuto a prenderti. Sapevo che eri ancora in città.”
Quella voce, quelle parole, quel tono rassicurante che aveva imparato a conoscere fin dal primo momento sembrò far scomparire ogni cosa, ogni pericolo, ogni rumore. Eruzione? Quale eruzione? Il Fuji aveva eruttato? Ah ah! Che battuta divertente! No, tutta quella realtà distorta in una eventualità accostabile solo ai filmoni che trasmettevano in tv, non faceva più così paura e sembrava troppo lontana da lei, mentre avvertiva le sue dita carezzarle i capelli. Ma era quella la vera illusione, che tutto fosse distante e attutito, perché attorno la gente continuava a scivolare via. Come acqua, come fango, lo stesso che ora arrivava loro alle caviglie, riportandola nel centro del caos.
Il Fuji aveva eruttato, il cielo s’era dipinto di nero, un lahar stava per abbattersi su tutta Nankatsu e loro dovevano fuggire.
“Yoko!” la voce allarmata di Taro emerse tra la folla assieme alla sua figura e non nascose la sorpresa nel vedere che c’era davvero Yuzo con lei. “Yuzo?!”
“Taro, Azumi! State bene? Dobbiamo metterci al riparo immediatamente!” disse il vulcanologo ed il calciatore annuì.
“Se raggiungiamo il Centro Commerciale saremo al sicuro.” ed era vero, ma Yuzo scosse il capo.
“E’ troppo lontano, dobbiamo trovare un’alternativa più vicina, non c’è più tempo.” col capo gli fece cenno di guardare in basso.
Incredibilmente, solo allora, forse perché troppo preso dall’ansia e l’adrenalina della fuga, Taro si accorse di essere con i piedi nel fango.
“Oddio!” esclamò spiazzato, e stringendo di più la mano di Azumi.
“Presto, andiamo!” lo spronò Yuzo e insieme tornarono a correre nella difficoltà del fango, il cui livello saliva in maniera progressiva e veloce, cercando un qualsiasi edificio in cui nascondersi, ma sembravano essere tutti troppo bassi fino a che non ne trovarono uno di circa sette piani, ancora in costruzione. Vi era solo lo scheletro in cemento, ma per loro era più che sufficiente. Lui e Taro sfondarono il lucchetto che chiudeva l’ingresso del cantiere ed entrarono nella struttura. Era dotata di doppia scala, interna ed esterna che loro cominciarono a salire in tutta fretta. Il segno del fango era arrivato a lambirgli metà coscia e una volta all’asciutto sembrò d’essere più leggeri e veloci. Arrivati al secondo piano, Yuzo si affacciò all’esterno e vide nettamente la cresta dell’onda di piena preceduta da altre più piccole che avrebbero portato il livello ad alcuni metri. A giudicare dalla portata del lahar, dalla neve e il materiale adagiato sul Fuji, non sarebbe stata l’unica prevista. L’onda era enorme e lo stridere dei detriti tra loro e gli ostacoli che scontrava nella sua corsa entrava nel cervello per quanto acuto e terribile. Il letto di macchine venne trascinato via come fosse stato composto da modellini di gommapiuma. Tanta forza, tutta insieme, era a dir poco spaventosa e gli era quasi addosso, ormai, ma sembrava fossero destinati a salvarsi per il rotto della cuffia, quando al quarto piano ricevettero una pessima sorpresa: le scale interne non erano state completate e vi erano ancora tre piani per arrivare al tetto.
“Dannazione!” ringhiò Taro “Non siamo ancora abbastanza in alto?”
“No! Dobbiamo raggiungere la sommità dell’edificio!”
Yuzo si affacciò alla scala esterna, guardando in basso il livello che precedeva la prima piena aveva coperto il terzo piano. Poi guardò in alto e con somma gioia si accorse che almeno quelle scale arrivavano fino in cima, ma quando si volse a sinistra il sorriso morì nel rendersi conto che la prima onda, che avrebbe rischiato di investire il piano, era seguita da una seconda, ben più alta, che l’avrebbe sommerso completamente.
Sarebbero morti tutti, se non si fosse fatto venire in mente qualcosa all’istante.
E l’idea arrivò.
Non stette nemmeno a pensare alle conseguenze, svelto rientrò nella struttura, si guardò intorno tra i materiali edili abbandonati e afferrò una porta in metallo che non era ancora stata montata. Con fermezza ordinò: “Taro, guidale fino al tetto presto! Io vi farò da scudo!” e a fatica, dando fondo a tutte le sue energie, sollevò l’oggetto, posizionandolo contro la ringhiera della scala esterna in modo da prolungare la copertura del muro.
L’attimo dopo arrivò la prima piena e l’impatto della cresta fu così violento che Yoko si portò una mano alle labbra, trattenendo il fiato. Yuzo fu costretto ad arretrare di un paio di passi, trascinato dal fango che gli scorse attorno; una parte lo scavalcò, infrangendosi contro l’ostacolo, inondandolo completamente, ma lui non perse la presa e riguadagnò, seppure con sforzo estremo, la sua posizione. Il fango gli si era insinuato dappertutto: negli abiti, negli occhi, addirittura nel naso e nella bocca. Sputò acqua e terra ripulendosi alla buona e facendo peso sulla porta con tutto il suo corpo.
Via! Portale via! Non resisterò per molto!” gridò appena fu nuovamente in grado di parlare. La seconda ondata, più grande della prima stava arrivando e non avrebbe potuto fermarla.
Taro non se lo fece ripetere e le fece uscire. Azumi salì velocemente senza fermarsi o guardarsi attorno, in un attimo raggiunse il punto di salvezza.
Yoshiko oppose resistenza, nonostante suo fratello la trascinasse via a forza. L’acqua e il fango erano dappertutto, inzuppandole gli abiti, ma lei non voleva saperne. Le convinzioni che l’avevano come rincuorata nel momento in cui si erano riuniti stavano andando improvvisamente in pezzi, travolte anche loro da quel maledetto lahar.
“Yuzo! Devi venire con noi! Non ti lascio qui! Non ti lascio, hai capito?!” si aggrappò alla manica del suo giaccone; le lacrime agli occhi e senza controllo. “Non puoi pretendere che io lo faccia!” ma l’acqua, ancora una volta, come quattro anni prima in un differente luogo, rese tutto troppo scivoloso per essere trattenuto. Yoko avvertì le dita perdere la presa, nonostante la sua volontà, fino a che non le sfuggì completamente.
Cristo! Taro, non ce la faccio più!” urlò il Prof allo stremo; gli occhi serrati per lo sforzo, ma le orecchie avevano sentito perfettamente le parole della ragazza ed il tono con cui le aveva pronunciate, eppure rimase immobile con la schiena contro la porta e le mani aggrappate alla ringhiera per non venir trascinato via.
Il giocatore dello Jubilo Iwata non se lo fece ripetere e costrinse Yoshiko a salire con sé, dando fondo ad una forza che non credeva d’avere.
La trascinò via nonostante tutto.
Nonostante lei stesse piangendo disperata, nonostante sapesse che Yuzo non ce l’avrebbe mai fatta a contrastare la forza del lahar e riuscire a raggiungerli. Nonostante tutte queste cose continuò a salire fino in cima, ignorandole con tutto sé stesso.
No! No, Yuzo! Non voglio! Mi hai fatto una promessa! Mi hai… mi hai promesso… che…” ma il pianto le divorò le parole “…che… con me…”
E Yuzo lo sapeva anche senza che completasse la frase; le aveva promesso tante cose: che sarebbe rimasto con lei, che la storia non si sarebbe ripetuta, che non l’avrebbe mai fatta soffrire. Ma quando sollevò lo sguardo verso l’alto e la vide finalmente al sicuro, capì che non avrebbe mantenuto fede a nessuna delle tre. Eppure, nonostante quel giorno l’ombra del suo passato stesse per dimostrargli la machiavellica ciclicità della storia seppur a ruoli invertiti, l’ultimo sguardo che le rivolse fu un sorriso, perché questa volta era riuscito dove quattro anni prima aveva fallito. Nessun lahar, aveva promesso anche questo, nessun lahar gliel’avrebbe strappata via. Aveva rispettato almeno quella parola e non aveva rimpianti.
Diversamente, dall’alto dell’edificio, Yoshiko si sentiva impotente, si odiava e si dava la colpa tutto insieme in un unico istante dilungato in uno straziante infinito. Se non fosse voluta rimanere a tutti i costi forse, anzi, sicuramente, Yuzo non si sarebbe trovato lì, ora, a rischiare la vita per lei. Invece, ancora una volta si era comportata da stupida testarda e queste erano le conseguenze, troppo amare per essere accettate senza sentirsi morire dentro.
Disperatamente protese le mani verso quell’acquosa immagine di lui che continuava ad oscillare nelle lacrime che correvano via da i suoi occhi, come avesse voluto afferrarlo, ma erano così lontani e tutto quello che il suo cuore riuscì ad afferrare, prima di frantumarsi, fu il suo sorriso. L’ultimo.
“Avevi… Avevi promesso che saresti ritornato da me! Che tutto sarebbe andato bene! Non puoi… non puoi… non lasciarmi!” glielo urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma le sue preghiere rimasero inascoltate e, con spregio, la seconda onda di piena si abbatté sull’edificio, sulla scala, su di lui, trascinandolo con sé come fosse stato un pupazzo. La porta metallica, la misera barriera, volò nell’impatto, mentre Yoko vedeva Yuzo scomparire nei flutti di fango e detriti. Alle grida del metallo, che strideva nel gorgogliare dell’acqua, si unirono le sue, spaventose, e quelle del suo cuore che esplose come un vulcano di cristallo. Gli occhi enormi, sbarrati su quella sequenza traumatica e le braccia che si protesero ancora di più, prima che Taro la trascinasse con forza dietro al muro affinché non si facesse altro male nel vedere il fango scorrere inarrestabile, cancellando ogni traccia del vulcanologo.
Yuzo! Yuzo!” ripeté il suo nome come una straziante cantilena, aggrappandosi alla spalla di Taro, ma non vedeva altro che acqua e grigio e massi e auto e alberi morti davanti ai suoi occhi ed il corpo del vulcanologo che veniva avvolto dall’abbraccio del lahar per poi scomparire. A nulla valsero i tentativi di suo fratello di calmarla, non vedeva e non sentiva nient’altro che la morte accompagnata dal suo scrosciante passo e continuò a gridare e piangere fino a che non perse la voce.
Avveniva così, dopo poche ore dall’inizio dell’eruzione del Fuji, la distruzione di un’intera città, e all’acqua che aveva smosso il fango assassino, si sarebbero sommate le lacrime di chi era sopravvissuto.
Di lontano si poteva udire, farsi più vicino, il rumore dei primi elicotteri.

Yann Tiersen - Comptine d'un autre été l'après midi (strumentale)


[1]“NUN… STRUNZATE!”: “Non abbiamo tempo per le stronzate!”

[2]“TE… CAZZO?”: “Ti pare il momento di metterti a fare l’eroe del cazzo?”

[3]“MURIMM… FA’?”: “E se moriamo tutti e tre gli viene un infarto. Che vogliamo fare?”


 

…E poi Bla, bla, bla…

 

Pre!Nota Relativa al capitolo precedente: seguendo i consigli di Kara, ho aggiunto qualche pezzo alla scena in cui Rick e compagnia sono bloccati nelle macerie. Credo d'averlo dato forse troppo per scontato, ma ovviamente non è che sono usciti da quel casino proprio lindi e pinti così come vi erano entrati XD. Il burbero, va beh, ha una gamba rotta, ma gli altri hanno ematomi per la botta presa in seguito al crollo e graffi vari, oltre che essere pieni di polvere XD. Il crollo non è stato piacevole, ma nemmeno estremamente traumatico. Inoltre, ovviamente le barre di ferro che Hisui trova non sono perfette come appena uscite dalla fabbrica. Credo d'aver sbagliato a non soffermarmici troppo, e questo può aver fatto pensare che avessero avuto una sequenza di botte di culo allucinanti. XD Spero d'aver rimediato, dando qualche particolare in più che facesse comprendere come loro cinque se la siano vista ugualmente scura e come potessero utilizzare davvero materiale che, in una simile situazione, possano aver trovato a portata di mano. :)

Ora veniamo al capitolo appena letto: l’ultimo colpaccio si consuma così, tra fango e fuoco.
E le vostre bestemmie XD
E anche il “TANTO LO SAPEVO CHE L’AVRESTI FATTO! TZE’!” (<- made in Kara. *ridacchia*).
Ma, ehi!, ormai dovreste conoscermi! Le cose non vanno mai lisce e pulite, non con me, almeno. Ma vi ricordo che abbiamo ancora l’ultimo capitolo e l’epilogo.
Ormai, possiamo dire di essere arrivate alle tanto sospirate battute finali e vi comunico che la storia è finita. Ufficialmente: ho scritto sia l'ultimo capitolo che l'epilogo. Quando pubblicherò questa seconda parte, i due capitoli conclusivi saranno in stand-by dalla mia beta per essere corretti. :) Ci siamo, ragazzi.
Ma parliamo dei lahar, via, che per i lacrimoni e saluti di commiato abbiamo ancora un po’ di tempo. *ridacchia*
Allora, volevo linkarvi un paio di video che a me sono piaciuti particolarmente. Sono due esempi di lahar (uno più piccolo ed uno più imponente).

- Lahar del Vulcano Fuego, Guatemala
- Lahar del Vulcano Ruapehu, Nuova Zelanda


Come potete vedere, la forza dell’acqua è davvero incredibile. Riesce a trasportare con facilità dei massi che, a mano, una persona normale non solleverebbe. Per questo ho fatto dire, per bocca di Yuzo, che i lahar non sono ‘solo acqua’ perché, davvero, non lo sono per niente.
Il primo potrà sembrare contenuto, ma vi assicuro che non vi vorreste trovare in mezzo alla corrente. Inoltre, notate i continui apporti che arrivano, e le piene che piombano quando sembra che la situazione si sia stabilizzata.
I lahar sono così: sono subdoli, perché anche se nascono come causa di un’eruzione ci metteranno del tempo prima di arrivare e, magari, ti piomberanno in testa quando meno te l’aspetti. Oppure possono cadere giù dopo piogge abbondanti, quando l’eruzione è finita da mesi.
Lahar dell’imponenza di quello che ho ricreato per il Fuji non sono frequenti; di solito i mudflow (nome inglese dei lahar) hanno altezze massime di circa 7-10 metri (che non è poco), ma ci sono casi eccezionali in cui possono raggiungere anche altezze di centinaia di metri.
Nell’evento di Armero, il lahar raggiunse un’altezza di più di 20 metri. Questo perché la loro velocità e la loro portata dipende molto dall’altezza del vulcano e dalla quantità di acqua presente.
Il mudflow di Armero venne giù da una quota di circa cinque chilometri (tanto è alto il Nevado del Ruiz), quello che ho ricreato nasce da un'altezza di tre chilometri circa, si carica degli apporti nevosi e dell’acqua che satura il terreno e viene convogliato lungo le rugosità laviche delle eruzioni precedenti che hanno creato come dei canali lungo i fianchi del Fuji-san. Entrando in una città moderna come Nankatsu, piena di edifici di cemento dai tre piani in su (ma anche di villette e case tradizionali), ovviamente il materiale non può espandersi molto facilmente, ma resta comunque convogliato e raggruppato dai palazzi attorno, come un argine, anche per questo mantiene un livello piuttosto elevato.
Ma vuoi che siano di venti metri o due la sostanza non cambia: sono capaci di trascinare cose e persone, enormi quantità di materiali, case, ponti e tutto quello che incontrano.
E sono belli, ma sono devastanti.
Ovviamente, ringraziate che ho deciso di far scendere giù solo un lahar XD perché se optavo per un flusso piroclastico facevo una STRAGE! XDDDDD

Più in generale: volete vedere l'eruzione del Fuji?
XD O almeno a quale potrebbe somigliare, come stile?
Ecco, pensatela come la sorella maggiore di questi due esempi:

- Formazione dell'Isola di Surtsey (1963)
- Mt. Ruapehu (1995-1996)
- Ghiacciaio Eyjafjallajokull (2010)


Pensate solo che l'eruzione dell'Eyja è stata catalogata come VEI-4; la nostra è una VEI-5, quindi non siamo proprio lontanissimi, come idea.
Queste sono entrambi eruzioni con stile freato-magmatico, proprio come quella che ho descritto per il Fuji. E quelle meravigliose esplosioni nere, sono i famosi fiori con stami e pistilli. Sono meravigliosi.
Nel secondo filmato, potete vedere attorno al secondo 0:50 anche le bombe vulcaniche. Ad occhio sembrano piccoline, ma contate che c'è una enorme distanza dalla colonna XD. Li vedete quei sassolini chiari, che svolazzano con la scia al seguito? Ecco, quelle sono le bombe! Salutiamole! *_*/

Infine!
Io!
Mi sono resa conto di non avervi mai fatto vedere Dante! O_O
DANTE! LO CAPITE?! IL VERO PROTAGONISTA DI QUESTA FIC XDDDD!
Io amo quel Pick-up e averlo dovuto abbandonare mi ha spezzato il cuore nemmeno fossi stato Yuzo T_T.
Ammiratelo in tutta la sua pucciosità:

- Dante ♥

Immaginatevelo col muso rinforzato e con le guide laterali in acciaio nel vano posteriore! X3 E' bello!!!


Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Eos: dopo questo capitolo, ho quasi il terrore a rispondere alla tua recensione. XD Dico sul serio! Intanto ti sto scrivendo dalla fossa che mi sono preventivamente scavata: è comoda e spaziosa, con l'abat-jour decorato con i teschi **. Ma bando alle cazzate (XD): sappi che anche io tifo per Kishu *_* te l'avevo detto che aveva ancora una cartuccia in canna e che si sarebbe riscattato con i controcazzi! XDDDD (ammetto di avere un debole per lui ♥ )
I ragazzi dell'FVO sono la mia fonte di LOL, adoro scrivere di loro, mi diverte, e sono contenta che facciano divertire anche i lettori, per il loro essere sempre e comunque molto sopra le righe.
Sì, lo so, vedo troppi film d'azione XD ma a me l'azione piace tantissimo!!! ** Altrimenti una fic (così come un libro o anche un film) mi annoiano T_T Spissicoleggiare va bene, lacrime e angst pure... ma almeno un po' dinamismo che diamine XD E poi... era una fic sui vulcani, se non ci mettevo l'azione sai che palle?!?!?!? XDDDDDD E poi... sì, è vero, Tsupalle salva tutti pure a distanza XDDDDDDD!!!!
Grazie tessora per le tue parole e non posso che appoggiare: "Huzi" mancherà molto anche a me; per quanto io sia più che felice d'averla conclusa, è come se mettessi via un pezzo di cuore. :*******

Hikarisan: \O/ ma sono stata assente solo per un paio di mesiiiiiiiii!!! T^T non bacchettarmi, ero in vacanzina-ina-ina é_è *Mela fa cerchietti nell'angolino*.
*_* ben ritrovata in questo spazio! Sei stata una lettrice fedelissima ed è anche e soprattutto per voi che mi sono imposta di concludere la storia entro l'anno. E ce l'ho fatta. :) Ormai, i capitoli finali sono pronti e quindi non tarderanno troppo ad arrivare.
XD come avrai potuto leggere, t'ho presa in parola: Nankatsu è andata in via definitiva e ti ho salvato Yoko *alzapugno*, ma Yuzo se la sta vedendo di schifo però. XD Non si può mica avere tutto, no?!
*_* i fulmini sono meravigliosi, non posso che essere d'accordo con te, e pittoreschi al massimo. ** io li adoro, per quanto anche io, come te, sia terrorizzata da i fulmini X3 Ma quelli eruttivi sono pucci *w* (XD ho uno strano gusto del 'puccio', lo so!).
** Ti ringrazio tantissimo per i complimenti che rivolgi a questa storia e sono felicissima di esser riuscita a creare quella suspance e tensione tipica di questo genere di storie. :******** grazie millissime, Hikari!

Kara: (già ti vedo che urlazzi: 'LO SAPEEEEEEVOOOOOOOO!' XD) *alzapugno* ho sistemato la cosa che mi avevi fatto notare! XD Spero che ora vada un po' meglio e stemperi l'idea di Culo Supremo avuto da 'sti cinque disgraziati. Non mi ci sono ugualmente soffermata moltissimo, però avevi ragione, avevo dato troppe cose per scontate. *mmm* spero che così vada meglio! **
XD Tu però ti devi rendere conto che non stiamo più parlando del ragazzetto delle elementari che aveva la fobia delle pallonate in faccia. Yuzo c'ha TRENT'ANNI, ha cambiato totalmente ambiente, s'è visto la moglie morirgli sotto gli occhi e alla fin fine utilizza tutte cose che io ho visto utilizzare durante i miei anni universitari (come l'esplosivo: c'era il nostro fuochino che era un grande!). La maggior parte dei vulcanologi sono dei mezzi matti che vanno DENTRO le bocche vulcaniche attive XD (come quelli che morirono sul Galeras: erano DENTRO il cratere, incuranti dell'arrivo dell'eruzione. E sono morti, sì, ma alcuni sono stati salvati dalle MOGLI - vulcanologi anche loro - che li sono andati a prendere, mentre attorno imperversava la pioggia di lapilli o_ò. Hanno tutta la mia stima incondizionata, giuro). Il suo percorso formativo è stato del tutto cambiato da che aveva 18-19 anni, e magari sarà pure stato il portiere citofono (XD e, sì, che è pippa rispetto ad un Genzo o un Ken lo so pure io e lo ammetto senza remore), ma è stato anche il Portiere Più Coraggioso (parole di Genzo): glielo vogliamo far maturare questo coraggio, o no? XD (e poi i geologi sono sempre avvolti dall'aura di estrema figaggine perché sì, anche se sono sfigati da morire XDDDDD Ti ricorda niente? *si sente la musichetta dell'Amaro Montenegro* LOL)
*_* le immagini sono l'amore infinito e hai visto i video che ho linkato in questo capitolo?!?!?! *w* non sono la meraviglia?!?!? (XD contando anche dove cazzo si è appollaiato quello per vedere l'eruzione del Ruapehu! *w* come lo invidio T_T)! *_* sono felicissima che l'eruzione sia venuta bene, mi ha fatto penare perché non ci sono immagini del Fuji in eruzione né altro e quindi son dovuta andare a ricercare quelle che potessero essere in qualche modo simili a quella ipotetica del Fuji. Ovviamente, nella realtà, il Fuji saprebbe fare molto di meglio di quello che ho descritto io XD, ma non auguro ai giapponesi di vederlo: ne hanno già tanti di vulcani cui star dietro (Unzen ♥ è un bel bimbo, ad esempio), ci mancherebbe solo il Fuji-san.
Ti ringrazio tantissimo per i complimenti! ** io amo fare il lavoro di ricerca, credo sia la parte più bella della storia, perché poi devi stare lì a pensare di far incastrare tutto con le informazioni trovate. *_* Penso che sia la cosa basilare per scrivere, anche se si tratta di sole fic, perché denotano la cura che l'autore mette nel proprio lavoro e ne aumenta il valore; poi potranno esserci errorini, sviste, quel che vuoi, ma se si 'sente' l'impegno che c'è dietro, allora tutto assume un altro significato. :******* grazie tessò! (XD ma lascia in pace Yoshiko! Povera stella!!!)

Ed anche per questo capitolo è tutto. ^^/
Ci risentiamo per l’ultimo… e se mi fischieranno le orecchie, saprò che starete parlando MALISSIMO di me!!! XDDDDD

   
 
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