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Autore: Hi Fis    05/10/2010    2 recensioni
Questa raccolta continua a raccontare le avventure di Hayat Shepard, la dove Heroes si era interrotta. La narrazione riprende dalla distruzione della base dei Collettori e traccia un possibile prologo per Mass Effect 3, appoggiandosi ad elementi del gioco.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Prima di lasciarvi al capitolo, desidero ringraziere, anche in questo, goldr31 e Avventuriera, che hanno continuato a recensire questi miei racconti con dovizia e cura


“Avete sentito le ultime novità?” disse Tekar, sedendosi trafelato al tavolo, sbattendo il suo vassoio a fianco degli altri due Turian.

“Cazzo recluta, da quando il Consiglio ha dichiarato lo stato di guerra, ogni giorno c’è una dannata novità.”
“Non badargli Tekar, Saranis è incazzato come un varren perché il Generale lo ha massacrato durante il combattimento di oggi.”
“Perché non vai tu sul ring la prossima volta, stronza? Così vediamo come te la cavi contro di lui.”
“No, grazie. Mi ha già spezzato un braccio la settimana scorsa.” Dicendo questo, l’interlocutore di Saranis agitò il braccio sinistro, su cui era visibile l’impacco per la somministrazione di medi gel.
“…E poi non ho la tua stessa grazia nel cadere.”
“Vai a baciare un Krogan, Melas.” Sbottò Saranis.
“Allora le volete sapere le ultime novità, o vado da qualche altra parte?” Tekar era la recluta più giovane del gruppo, ed era l’unico ad agitarsi sulle panche della sala mensa.
Era anche uno dei pochissimi biotici Turian e, purché avesse completato il suo addestramento, la sua carriera militare era assicurata.
Melas, come Saranis, era una cadetta due anni più avanti a Tekar, e si occupava della gestione delle camerate di cui faceva parte anche il giovane cadetto. In realtà era un compito che sarebbe spettato a Saranis, il cadetto anziano, ma il suo carattere aggressivo gli era costato quella posizione.
Melas rivolse uno sguardo severo al giovane biotico:
“Cadetto, cerca di mantenere un comportamento disciplinato. Siamo Turian, non dei Vorcha.”
Tekar si ricompose:
“Mi scusi, sottufficiale Melas.”
Quando Melas giudicò che Tekar avesse ripreso il controllo, gli concesse di parlare.
“Sembra che questa mattina sia atterrata una nave, una fregata da guerra.”
“E allora?” Sbottò Saranis, prima di continuare:
“Qui atterrano un sacco di navi. Ogni giorno, i gruppi che hanno finito l’addestramento vengono imbarcati verso nuove destinazioni, ho sentito che alcuni vengono spediti perfino nei sistemi Terminus.”
“Già, ma la fregata che è atterrata non ha il design delle nostre navi.”
“Sarà un parruccone del Consiglio, venuto a stringere qualche mano della Gerarchia. Probabilmente ci dovremo sorbire uno dei loro discorsi.”
“Saranis! Dovresti sentirti onorato che i membri della Gerarchia si rivolgano a noi cadetti.”
“A dir la verità, sembra che la nave che è atterrata abbia a bordo uno Spettro.”
“Non dire stronzate, Tekar. Uno Spettro non perderebbe mai tempo a venire fin qui su Palaven in un campo di addestramento per soldati Turian, per quanto famigerata possa essere questa accademia.”

La sala mensa in cui i tre cadetti stavano discutendo apparteneva all’accademia nota come il “Macinatoio”. Ovviamente aveva il suo nome ufficiale, ma tutti i cadetti, giovani e anziani, usavano ormai solo il suo soprannome e per una buona ragione. Il Macinatoio era la migliore accademia militare su Palaven, l’orgoglio della Gerarchia: costruita in mezzo alle montagne, offriva ai propri cadetti il miglior addestramento militare che un Turian potesse volere. In quell’accademia i cadetti uscivano come candidati a Spettro e futuri membri di spicco della Gerarchia, oppure non uscivano affatto. Era la durezza dell’addestramento a cui i cadetti erano sottoposti ad aver originato il soprannome che portava.

“Eppure è così. Un mio amico allo spazioporto ha detto di aver visto il comandante della nave mentre prendeva una navetta di trasporto.”
“E come si chiamerebbe la nave?” chiese Melas, che aveva lasciato perdere Saranis per concentrarsi sulla conversazione.
Tekar cercava di sforzarsi, il nome alieno che gli era stato riferito gli sfuggiva dalla mente:
“Era qualcosa tipo Nar’mandy. Inoltre non è una fregata standard: Il mio amico mi ha riferito che era più grande del solito.”
“Scusami cadetto.”
“Sì?”
Tekar si voltò verso la voce che aveva chiesto la sua attenzione. Quando vide a chi a apparteneva, il sangue gli si ghiacciò nelle vene. Scattò in piedi, seguito a ruota da tutti i presenti nella sala mensa, una ventina di cadetti Turian di entrambi i sessi.
“Mi perdoni signore, non sapevo fosse lei.” Tekar era teso come la corda di un violino, e per una buona ragione: davanti a lui c’era un Turian, di quasi il doppio dei suoi anni. Portava una corazza azzurra da battaglia, che faceva risaltare i suoi occhi dello stesso colore dell’acciaio, con in mano un vassoio pieno di cibo: segno che era appena rientrato da una sessione di combattimento ed era venuto direttamente a mangiare.
Il visore che solitamente gli copriva l’occhio destro era spento, ma sulla schiena aveva ancora ripiegato il fucile, ad ulteriore conferma che era solo di passaggio.
Tekar cercò di non fissare lo sguardo su di lui, ma i suoi occhi caddero ancora una volta sul lato destro del volto, coperto da un bendaggio grigio che nascondeva malamente le protesi cibernetiche che doveva avere al posto del pozzo uditivo e le cicatrici che lo sfregiavano dalle tempie fino alla mandibola.

Il suo interlocutore era arrivato solo tre mesi prima, e nessuno sapeva ancora chi fosse e da dove venisse. I pettegolezzi si erano sprecati, anche perché i loro istruttori avevano fatto circolare ordini molto precisi su come comportarsi con il loro nuovo ospite: vietato fargli domande di alcun genere e trattarlo sempre come se fosse uno dei Primi in persona. Tutti erano tenuti ad attenersi a questi ordini, senza riguardo per il grado, pena l’espulsione dall’accademia.

Nonostante queste restrizioni, tre cose erano note sul loro ospite senza nome.
Primo: non c’era avversario che non potesse abbattere. Usando solo un fucile di precisione aveva sconfitto tutti i 180 mech d’addestramento che gli erano stati lanciati contro in una sola mattinata. Un’impresa che nessuno era mai riuscito a compiere prima di lui, cavandosela senza nemmeno un graffio.
Secondo: era il più forte combattente a mani nude e all’arma bianca di tutti i residenti del Macinatoio. Gli ufficiali d’addestramento avevano ben presto passato la mano, riducendosi ad arbitri degli scontri in cui pestava quasi a morte i loro cadetti migliori.
Terzo: era al Macinatoio per avere l’abilitazione a diventare Spettro.

Tutti i cadetti si erano chiesti quali imprese avesse compiuto, perché il suo addestramento da Spettro fosse stato riassunto in cinque mesi invece che nei sette anni di prassi. Per questo motivo e per le cicatrici che portava addosso era stato soprannominato il Generale.
“Ho sentito che riferivi ai tuoi compagni di una fregata atterrata questa mattina, di fattura aliena. Sai dirmi se il nome di quella nave era Normandy?”
Tekar sudò freddo: per quanto ne sapeva, se il Generale avesse trovato insoddisfacenti le sue informazioni avrebbe potuto farlo espellere e, ugualmente, mentirgli o riferirgli informazioni errate era il modo migliore per rovinarsi la carriera:
“Signore, questo cadetto non ricorda esattamente il nome che gli è stato riferito.”
Il Generale assunse un’espressione curiosa, tristezza e sollievo assieme: sembrava indeciso se continuare a interrogare il cadetto oppure no. Alla fine scosse la testa:
“Se dovesse tornarti in mente, per favore, riferiscimelo subito.”
“Sissignore.”
“Continuate.” Disse rivolto anche al resto dei cadetti. Poi andò a sedersi all’angolo più lontano della sala, consumando in rapidi bocconi il suo pasto.
Tekar crollò sulla panca che occupava, sforzandosi di non guardare verso il tavolo dove era seduto il Generale.
“L’hai scampata bella.” Commentò Saranis.
“Fossi in te, cercherei di farmi venire in mente il nome di quella nave e anche alla svelta.”
“Per una volta siamo d’accordo, Melas.”
Per fortuna di Tekar, non ce ne sarebbe stato bisogno.

***

“Comandante, è un vero onore riceverla tra le mura di questa accademia.”
Shepard strinse la mano che gli veniva porta. Da quando era atterrata su Palaven dodici ore prima, tutti i Turian che aveva incontrato erano ansiosi di stringerle la mano, e per quanto la sua fosse una visita non ufficiale, tutti avevano saputo del suo arrivo.
Per la prima volta Shepard ebbe un assaggio di cosa fosse l’onore Turian: solo per aver sconfitto Saren, una vergogna per la loro razza, era diventata un’eroina. Praticamente una Turian onoraria.
Il Comandante strinse la mano di Tinnas Aukar, direttore dell’accademia da vent’anni: un Turian temprato dalle battaglie, che era stato scelto per trasmettere la sua conoscenza alle nuove generazioni.
“Il piacere è mio, direttore Aukar.” Disse Lo Spettro.
“La prego, sono solo un vecchio Turian ormai prossimo alla pensione, non merito tutta questa cortesia. Soprattutto non da parte di uno degli eroi del Consiglio.”
Fece cenno di accomodarsi al comandante, che si sedette su una delle sedie per gli ospiti. Nonostante la leggera tuta ambientale che aveva addosso, atta a proteggerla dalle radiazioni impietose del sole che penetravano dall’enorme finestra alle spalle del direttore, Shepard si accorse di quando era comoda: se un umano avesse esposto la pelle nuda al sole di Palaven, in pochi minuti si sarebbe coperto di scottature dolorose. Questo perché il pianeta natale dei Turian era dotato di un campo magnetico molto minore rispetto a quello terrestre, e le radiazioni solari penetravano molto più a fondo nell’atmosfera.

Il Comandante sorrise: per quanto fosse cortese a parole, Aukar la stava studiando. Voleva valutare le sue reazioni e la cortesia che mostrava era nulla più che formale protocollo. In fondo Shepard lo capiva: dopotutto erano passate poco più di due decadi dall’incidente del portale 314 e dalla Guerra del Primo Contatto.
“Ho semplicemente fatto il mio dovere: ho servito il Consiglio al massimo delle mie capacità.”
“Tuttavia è comunque impressionante quanto è riuscita a conseguire. La sua ricomparsa dopo due anni di assenza dalla scena politica ha sorpreso molte persone, Comandante.”
“Le assicuro che non è stato facile nemmeno per me.” Shepard sorrise misteriosa, sfidandolo a mostrare la sua curiosità, ma Aukar si riparò dietro la sua migliore espressione di circostanza.
“Capisco.”
Shepard dubitava fortemente che qualcuno capisse cosa volesse dire essere morti per due anni, ma lasciò correre.
“Le offrirei qualcosa, ma immagino che il nostro cibo non sia indicato per lei.”
“Senza contare che con questa tuta addosso non potrei comunque gustarmelo.”
“Già.” Aukar la fissò per un po’ imbarazzato, mentre il silenzio si diffondeva per la stanza.
Il direttore rivolse la sua attenzione sull’accompagnatore del comandante, giusto per interrompere quello sgradevole silenzio.
“Devo ammettere che il suo compagno è di poche parole.”
“In effetti l’eloquio non è fra le prime doti di Armata.”
“Armata? Un nome curioso per un essere umano.”
“Credo che lei stia equivocando. Armata non è un umano.”
I Turian non potevano sollevare le sopracciglia per mostrare perplessità, ma se avessero potuto è indubbio che Aukar avrebbe mostrato incertezza: per la sua esperienza solo i Krogan erano così grossi, ma le proporzioni della figura avvolta nel mantello non appartenevano ad uno dei nativi di Tuchanka.
“Armata, credo che ora tu possa toglierti il mantello.”
“Certamente, Shepard Comandante.”
Mentre il mantello che aveva fino ad allora nascosto le fattezze di Armata cadeva a terra, Shepard commentò con un ghigno:
“Le presento Armata, direttore Aukar, membro del mio equipaggio, nonché mio assistente personale.”

Da quando Kelly Chambers aveva deciso di lasciare la Normandy, Armata aveva preso il suo posto, almeno per quanto riguardava la gestione delle e-mail. Nel caso avessero dovuto reclutare nuovi elementi, Shepard avrebbe usato il vecchio metodo del parlarci direttamente, invece che ascoltare le notizie che Kelly le riportava.
Era stata una decisione naturale: la psicologa non era adatta al campo di battaglia, e non era mai riuscita davvero a superare il trauma di essere stata rapita dai collettori. Shepard le aveva fatto i migliori auguri, prima che lasciasse la Normandy, a cui Kelly aveva risposto con un timido sorriso.
Poco meno di una settimana dopo, Armata si era offerto di subentrare al posto di Chambers: Shepard aveva accettato e così il droide era stato integrato nell’equipaggio con il grado di sottufficiale.
“È… è un Geth.” Aukar si mosse a disagio sulla sua poltrona, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra loro.
“Si sbaglia, direttore.”
Aukar la guardò stupefatto, di fronte al tono feroce del Comandante. Lo Spettro si alzò in piedi e pose le mani sulla scrivania, prima di continuare.
“Lui è un nostro alleato contro i Razziatori. Non è vero, Armata?” Shepard guardò di sbieco il geth.
“Corretto, Shepard Comandante. Noi siamo alleati.”
Il fatto che un Geth parlasse lasciò ancor più sorpreso Tinnas Aukar. Ma il colpo di grazia, la vera sconfitta, fu la mano che gli fu porta: aveva un solo dito in più rispetto alle sue, ma lo spaventava a morte.
“Avanti, direttore Aukar, non credevo si lasciasse spaventare da qualcuno solo perché è diverso da lei.”
Quelle parole lo riscossero: Aukar era un Turian, e il protocollo era il suo credo.
Strinse la mano che gli era stata porta; dopotutto Shepard aveva ragione: era un loro alleato.
Il Comandante annuì compiaciuta di fronte alla stretta fra il Turian e il Geth. Non era venuta all’accademia per farsi nuovi amici, ma il fatto di aver guadagnato il rispetto del direttore era un conseguimento insperato e quindi tanto più benvenuto.
Aukar si risedette nuovamente, prima di usare un tono molto più colloquiale con Shepard:
“Comandante, mi dispiace per il mio comportamento di poco fa. Immagino di aver voluto testare la fibra di cui era fatta.”
Shepard sorrise indulgente:
“Non si preoccupi. La metà delle persone che incontro agisce esattamente come ha fatto lei: immagino che sia uno dei difetti correlati con l’essere il primo Spettro umano.”
“E l’altra metà Shepard Comandante?”
Sia Shepard che Aukar, guardarono perplessi Armata, che spiegò la sua frase:
“L’altra metà delle persone che incontra. Come si comporta l’altra metà, Shepard Comandante?”
Shepard rispose con un sorriso:
“Generalmente tenta di uccidermi, Armata.”
“Tentativi destinati al fallimento, Shepard Comandante.”
Shepard si passò una mano sull’addome, prima di rispondere funerea:
“Quasi sempre, Armata. Quasi sempre.”

Aukar tentò di disperdere la tensione che si era creata:
“C’è qualcosa che posso fare per lei, Comandante? Voglio dire, dubito che sia venuta solo per farmi stringere la mano ad un Geth.”
“In effetti c’è qualcosa che potrebbe fare per me, direttore Aukar.” Rispose lo Spettro con una maggiore verve nella voce.

Quando Shepard e Armata, opportunamente infagottato dentro il mantello, uscirono dal suo ufficio, Aukar si guardò la mano: il calore della stretta di Armata era ancora vivo nella sua memoria.

***

“A tutti i cadetti, presentarsi immediatamente sul campo di addestramento numero uno.”
Era stato l’ordine che era rimbombato per tutta l’accademia, e tutti i duecento trenta allievi avevano abbandonato le loro esercitazioni per presentarsi al campo di addestramento. Era questa un’arena al coperto di forma esagonale, con i lati di una dozzina di metri e dal fondo in terra battuta, che veniva usata per gli allenamenti di lotta. Era abbastanza grande da permettere facilmente lo scontro di piccole squadre e poteva essere “arredata” con diversi ostacoli in base alle esigenze.
Attorno ad essa c’erano tre file di gradinate degradanti, in modo che fosse possibile osservare lo scontro. Quasi tutti i cadetti trovarono posto a sedere, mentre gli ultimi arrivati si rassegnarono ad osservare l’incontro stando in piedi.
L’eccitazione era palpabile: la notizia che avrebbero assistito allo scontro d’allenamento di uno Spettro e un membro del suo equipaggio era il miglior regalo che potessero desiderare. Erano presenti perfino alcuni rappresentati Volus, giunti all’accademia per missioni di natura diplomatica.
“Che vi dicevo? Era davvero uno Spettro, quello che era atterrato questa mattina.”
“Sembri più agitato del solito, Tekar. Qualche motivo in particolare?”
“Sembra che lo Spettro possieda abilità biotiche.” Quella spiegazione era più che sufficiente per Saranis: c’era un solo istruttore dotato di capacità biotiche all’accademia, ma era vecchio e le sue abilità ne risentivano e non c’era molto che potesse insegnare al giovane cadetto.
Tekar ardeva d’impazienza, da quello scontro avrebbe potuto imparare nuove tecniche, ma
dovette ricomporsi immediatamente, quando gli si avvicinò il Generale: a quanto pareva non era la sua giornata fortunata.
Dopo aver salutato i cadetti, il Generale si sedette proprio a fianco di Tekar: questa volta non indossava la sua corazza, ma il vestito nero standard delle sessioni di allenamento.

Il chiacchiericcio nella sala si affievolì nel momento preciso in cui il direttore Aukar chiese silenzio:
“Come saprete, assisteremo ora ad uno scontro tra uno Spettro e un membro del suo equipaggio. Il Comandante Shepard ci mostrerà un saggio delle sue abilità.”
A quelle parole tutti i cadetti cominciarono a parlare contemporaneamente: il famigerato comandante Shepard? Tutti i cadetti conoscevano il nome del primo Spettro umano, la salvatrice del Consiglio. Dando credito alle voci che circolavano su di lei, con la sua abilità in combattimento avrebbe messo in fuga perfino un Krogan, dopo averlo usato come battitappeto, ovviamente.
“Mostrate il vostro rispetto e la vostra disciplina, cadetti: uno Spettro ci mostrerà le abilità che anche voi dovrete sviluppare per le vostre future battaglie.”
A quella frase di Aukar cadde il silenzio, mentre tutti gli sguardi si posarono sulla coppia che stava entrando.
Tutti notarono per primo il gigantesco geth: era così alto, che dovette chinarsi per passare sotto lo stipite: doveva superare abbondantemente i due metri e pesare come minimo mezza tonnellata.
Era il primo geth che i cadetti vedessero da così vicino ed era… imponente: a Tekar sembrò di osservare un Krogan in armatura. Sul lato destro, qualcuno aveva fissato al suo telaio il frammento di una corazza da combattimento, che si fondeva naturalmente con il chassis color oliva scuro.
A fare da contralto alla sua figura minacciosa, avanzava con noncuranza una femmina umana, più bassa del suo compagno di quasi mezzo metro, con addosso dei pantaloni neri da allenamento e una maglietta gialla a maniche corte.
Tekar fu colpito dagli occhi della donna: violetti. Un colore che contribuiva a renderla ancora più aliena ai suoi occhi, assieme al colorito scuro della sua pelle: nemmeno Melas poteva vantare una tonalità di marrone così scuro della carnagione.
Il fatto che camminasse spalla a spalla con un Geth incuteva ancora più timore.
Cosa aveva affrontato quella donna, si chiese Tekar, per mostrare una simile sicurezza?

Shepard passò brevemente lo sguardo su tutti i cadetti e Tekar credette per un attimo di essere osservato da uno spaventoso predatore: brividi gelidi gli scesero lungo la schiena mentre le sue viscere si trasformavano in cubetti di ghiaccio.
“Sbruffona.” Mormorò il Turian seduto accanto a lui.
Tekar si voltò a guardarlo: c’era un’espressione divertita sul volto del Generale.
“Signore, lei conosce lo Spettro Shepard?” riuscì a domandare il cadetto, prima che Melas gli tirasse un calcio sulla schiena.
Il Turian si voltò verso di lui, meditando se la domanda fosse effettivamente degna di una risposta:
“Piuttosto bene, in effetti.” Detto questo, tornò a fissare lo sguardo sui due contendenti.

Quando Shepard e Armata presero posizione ai lati opposti dell’arena, il silenzio dei cadetti si fece assoluto.
Lo Spettro aveva scelto come arma una lama da combattimento e il coltello di trenta centimetri, opportunamente smussato, era saldo nella sua mano sinistra e indossava un paio di guanti da allenamento che le lasciavano libere le dita e il palmo. Stranamente, lo Spettro si era tolta le scarpe e poggiava i piedi nudi direttamente sulla terra battuta dell’arena. Il suo contendente, invece, preferiva lottare a mani nude.
“Quando vuoi, Armata.”
“Pronti.” Rispose il Geth.

La registrazione di quel combattimento sarebbe stata usata come fonte di ispirazione per i cadetti dell’accademia per oltre un secolo.

***

Nell’arena, Shepard e Armata si osservarono per un paio di secondi, studiandosi l’un l’altra, elaborando la migliore strategia per sconfiggere l’avversario.

Senza preavviso, il grosso Geth scattò in avanti e di lato, con un’agilità normalmente impossibile per qualcuno di così grosso: voleva ridurre lo spazio fra di loro, costringendo il comandante in un combattimento a corta distanza in cui, data la maggiore stazza e forza fisica, era ovviamente favorito.
Shepard non rimase certamente a guardare: piroettando su se stessa, il primo Spettro umano afferrò il coltello da combattimento per la lama, sfruttando poi la forza centrifuga e i suoi poteri biotici per lanciarlo con precisione assoluta verso la testa di Armata.
Il grosso Geth non arrestò la sua corsa, ma fu costretto ad alzare un braccio per deviare il coltello: il rumore del metallo che rimbalzava sul suo braccio diffuse una nota argentina in tutta l’arena, mentre la lama rimbalzava in aria.

“Una finta!” pensò Tekar, indovinando correttamente le azioni del comandante.
Quello che successe dopo andò perso alla maggior parte degli spettatori, che si erano fatti distrarre dal coltello lanciato verso il Geth: solo Tekar e il Generale rimasero ad osservare il comandante. Sfruttando la distrazione, Shepard si ricoprì di una corona azzurro elettrico che l’avviluppò completamente: Armata non notò il comandante scomparire, dato che il braccio che aveva usato per deviare la lama aveva per un attimo coperto la sua visuale.
L’esitazione del Geth mentre scandagliava l’area alla ricerca di Shepard, quando si era reso conto che lo Spettro non era più in vista, creò un’apertura nella sua guardia che il comandante sfruttò perfettamente: materializzandosi a circa tre metri da terra, Hayat colpì Armata con un calcio biotico sulla spalla.
Il grosso Geth venne scagliato via, come se pesasse cinquanta chili appena, invece che cinquecento: i suoi scudi avevano assorbito la maggior parte dell’urto, ma era evidente che se fosse stato un organico quel colpo sarebbe stato fatale. L’impatto del suo corpo sul terreno lasciò un cratere di impatto più profondo che largo, mentre il comandante usava l’inerzia del suo calcio per compiere una piroetta in aria e atterrare perfettamente su una gamba sola.

Inutile dirlo, la lama da combattimento era di nuovo stretta nel suo pugno: l’aveva afferrata al volo quando aveva esaurito la sua carica biotica e calciato via Armata.

Tekar era… senza parole. Nessun Turian aveva mai pensato di fondere assieme capacità biotiche e tecniche marziali di combattimento: usare i propri poteri per amplificare i movimenti del corpo era qualcosa che solo le Commando Asari sapevano fare. Nessun biotico Turian aveva abbastanza controllo per utilizzarli in quel modo: così come per molti umani, la manipolazione dell’energia oscura richiedeva una concentrazione assoluta, rendendo impossibile farlo mentre si continuavano a scambiare dei colpi col proprio avversario. Senza contare che la carica biotica del comandante era per lui qualcosa di assolutamente sconosciuto, una tecnica che non aveva mai visto e di cui non aveva nemmeno mai sentito parlare.
Ma la cosa che era davvero incredibile, era che fin da quando aveva cominciato a combattere lo Spettro non aveva smesso un momento di sorridere: sembrava che fosse a proprio agio, come se affrontare un Geth a mani nude fosse per lei una cosa del tutto normale.

Contro quale razza di avversari aveva combattuto quella donna?

***

Fin da quando avevano accolto a bordo Samara, Shepard aveva preso l’abitudine di allenarsi con l’anziana Justicar almeno per un paio d’ore al giorno.
Dato quanto poco avevano bisogno di dormire entrambe, era stato facile farlo diventare un’abitudine e Shepard aveva appreso moltissimo da quelle sessioni di allenamento: la Justicar era un’insegnante spietata ed estremamente competente.
Non essendo più dotata della resistenza della sua giovinezza, Samara mostrò a Shepard come usare i propri poteri biotici per difendersi al meglio, sfruttando barriere e colpi precisi e potenti per attaccare.
Dopo la missione su Pragia, Jack si era unita ai loro allenamenti, saltuariamente interrotti da IDA quando i loro combattimenti simulati divenivano pericolosi per l’integrità strutturale della Normandy. Jack combatteva in modo molto più “sporco” della Justicar: Shepard aveva dovuto imparare a fare attenzione ad ogni parte del corpo della biotica, testa compresa, dopo che Jack l’aveva messa KO. Per fortuna, Jack usava i suoi poteri biotici in modo molto più lineare e prevedibile, anche se il suo potenziale superava abbondantemente quello di Shepard.
Per non rimanere schiacciata durante gli allenamenti con l’ex carcerata, il comandante aveva dovuto diventare molto più veloce e far contare ogni colpo: Jack, esattamente come Samara, non offriva seconde possibilità.
Hayat era però molto più rapida nell’imparare: ben presto aveva recuperato nei confronti di Jack e Samara e i loro incontri erano diventati fonte di intrattenimento e scommesse per gli altri membri dell’equipaggio, coinvolgendo anche Miranda, Thane e Jacob.
Di conseguenza, le sessioni di combattimento a bordo erano state strutturati in turni, in cui ognuno si confrontava con gli altri membri dell’equipaggio quando aveva del tempo libero per allenarsi. Era anche grazie a quei combattimenti che gli specialisti del suo equipaggio avevano cominciato a funzionare come squadra, superando quasi tutte le rivalità personali, tranne che per i casi più estremi come Miranda e Jack, i cui scontri erano stati eliminati dalla tabella dei turni per ovvie ragioni. Thane e Jacob invece avevano continuato a scontrarsi assieme, in incontri che attiravano la maggior parte dell’equipaggio femminile per assistervi.
Nonostante non fosse un biotico, anche Garrus partecipava saltuariamente, scambiando con Thane una raffica di colpi sul ring mentre l’assassino si limitava solo alle sue capacità marziali, il che aveva dato la scusa agli altri specialisti non biotici per salire sul ring.
A parte Grunt, che sfidava chiunque fosse libero, anche gli altri membri dell’equipaggio si erano strutturati rapidamente in coppie di allenamento: la più imprevedibile era sicuramente quella fra Zaeed e Tali, che vedeva il vecchio mercenario venir quasi sempre calciato via dalla giovane Quarian, probabilmente più per galanteria che per una effettiva superiorità della sua avversaria. Mentre Kasumi, con suo sommo dispiacere, non riusciva quasi mai a combattere contro Jacob, e si era dovuta accontentare di Tali o il comandante quando una delle due era libera.

D’altro canto, se Shepard e il suo equipaggio volevano sperare di sconfiggere i Razziatori, non potevano passare tutto il tempo chiusi in cabina a riempire scartoffie e sorseggiare caffè.

Il risultato finale di quegli scontri, oltre a costruire la base dello spirito di squadra, era stato il crollo verticale dei tempi di missione: il gruppo da sbarco atterrava e raggiungeva il suo obbiettivo ancora prima che i difensori capissero di essere sotto attacco. Allo stesso tempo, gli scontri a fuoco coi loro avversari li lasciavano fin troppo spesso incolumi, grazie anche ai frutti delle ricerche che il dottor Solus continuava ad compiere nel laboratorio della Normandy. Dopo la riconquista della Strontium Mule, una nave da carico abbordata da un plotone d’elite dei Sole Blu e la strage dei mercenari a bordo, fra le bande di pirati e tagliagole dei sistemi Terminus aveva cominciato a diffondersi la storia di una nave fantasma portatrice di sventura, il cui equipaggio era costituito da demoni infernali che radevano al suolo ogni cosa sul loro cammino.

Ma questa è un’altra storia.

***

Nell’arena del Macinatoio, Armata si rialzò in piedi facendo una capriola all’indietro, in modo da aumentare la distanza fra di loro.
Shepard gli fece cenno di farsi sotto, agitando la mano.
A quell’amichevole provocazione, Armata caricò di nuovo, saltando di lato quando Shepard alzò una mano verso di lui, liberando un’onda d’urto che avrebbe spostato una piccola astronave.
Fortunatamente dietro ad Armata non c’era nessuno, dato che quello era il lato dell’arena da cui i contendenti accedevano: la spinta biotica del comandante percorse indisturbata tutto lo spazio della sala, scardinò le porte d’ingresso della sala facendole in trucioli e intaccando pesantemente il muro dietro ad esse, che fortunatamente non era fra quelli portanti dell’edificio, altrimenti avrebbe causato un danno strutturale.
Armata riguadagnò la posizione eretta, divorando la distanza fra di loro in dieci passi nei pochi istanti in cui i poteri del comandante erano inutilizzabili.
Invece di allontanarsi dal Geth in carica, in modo da guadagnare preziosi secondi, Shepard rimase al suo posto, mantenendo la posizione: schivò il destro di Armata per un soffio, anche se sulla sua guancia si aprì un taglio sottilissimo.
Quella piccola ferita non la fermò di certo: la lama nella sua mano mirò ai cavi che dall’obbiettivo di Armata finivano nel suo collo, mimando l’arteria giugulare. Con sorpresa del comandante, il colpo fu parato da Armata che incrociò di fronte a se il braccio, fermando il polso del comandante con il suo palmo aperto. Il Geth non aveva ancora finito: il ginocchio di Armata scattò verso l’alto, mirando esattamente sul plesso solare di Shepard, unendo la potenza dei suoi giunti meccanici all’inerzia della corsa. Se l’avesse colpita, il comandante sarebbe finita al tappeto senza possibilità di appello.

“Fregato!” urlò Shepard, mentre afferrava con la mano libera il ginocchio di Armata, frapponendo fra il suo palmo e il droide una barriera biotica. Avrebbe potuto fermare lo slancio di Armata, e bloccarlo in quel punto se avesse voluto, ma Shepard preferì sfruttare la forza dell’avversario contro di lui: dilatando l’area della barriera, spingendo sul ginocchio con i suoi poteri biotici, e sfruttando poi il polso che era stato catturato da Armata come un fulcro, lo Spettro piantò un piede sull’addome di Armata, tirandolo verso il basso e scardinandolo dal terreno.
Governando la forze d’inerzia e trasformandola in forza centrifuga grazie alla spinta dell’avversario, Shepard lanciò Armata in aria, facendogli compiere una capriola perfetta.
Il Geth atterrò di schiena sul terreno, e Shepard sfruttò il corpo più massiccio del suo avversario per completare la sua rotazione, trovandosi poi in ginocchio sul petto del droide.
Liberare il polso fu facile usando i propri poteri biotici, e Armata assistette impotente mentre il comandate calava un fendente verso il suo obbiettivo focale.
Il Geth riuscì però a parare quel primo colpo, ma come all’inizio del loro scontro, non era altro che una finta: Shepard poggiò la sua mano sinistra sul petto del droide, liberando una spinta biotica da distanza zero. Il colpo fu così potente, che il Geth venne schiacciato nella terra, infossandosi in un cratere di un metro di profondità.

Per la legge di Newton, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: la forza di spinta, dopo aver scavato nel terreno la sagoma di Armata, “rimbalzò” verso il comandate, che fu spinta in aria e lanciata fuori dalla buca. Nonostante non se lo aspettasse, il comandante recuperò in volo, riuscendo ad atterrare sulle sue gambe.
A dispetto del fiatone, il sorriso di Shepard era invariato dall’inizio del combattimento.

“Avanti Armata, puoi fare di meglio di così. Smetti di farti pregare.” Sussurrò il comandante. Come se l’avesse sentita, il grosso Geth si districò dalla terra che l’aveva avviluppato, mettendo in mostra una ben visibile ammaccatura sul petto, mentre si rimetteva in posizione di guardia.
Armata rimase un attimo a guardare il danno che il comandante aveva provocato sul suo chassis: un’intaccatura della dimensione di un piatto sulla sua piastra pettorale.
Se fosse stato un organico, probabilmente avrebbe digrignato i denti mentre tornava a guardare Shepard: i due rimasero di nuovo a squadrarsi per un momento, poi il Geth scomparve alla vista, divenendo invisibile come in un trucco da prestigiatore da quattro soldi. Non solo il suo corpo era invisibile, ma sembrava che i Geth avessero trovato il modo di mascherare la luce e i riflessi dell’obbiettivo focale delle loro installazioni mobili mentre erano mimetizzate.

Senza pensarci nemmeno un istante, il comandante si circondò di una barriera biotica: i suoi attacchi erano inutili se non riusciva ad individuare il suo avversario e vibrare colpi a caso era il modo migliore per lasciare aperta la propria guardia.
La sua analisi si rivelò corretta: un calcio, o un pugno invisibile, chissà, impattò contro la sua barriera. Il colpo fu così colossale, che Shepard venne scagliata in aria a diversi metri d’altezza: sembrava che Armata avesse deciso di smettere di limitare la sua forza, dato che la forza di quel colpo sarebbe stata sufficiente a spaccare in due un YMIR, attraversando completamente la corazza da parte a parte.
Il comandante si accorse che nonostante la barriera biotica e le sue ossa rinforzate, l’attacco di Armata le aveva fratturato radio e ulna del braccio destro, che era riuscita a usare malamente per parare quando lo spostamento d’aria l’aveva avvertita dell’attacco imminente.
Se fosse atterrata, sarebbe stata finita poiché Armata l’avrebbe catturata nella sua stretta senza lasciarle scampo: un altro colpo come quello senza la sua barriera a proteggerla l’avrebbe messa KO.
Aveva una sola speranza di farcela: Shepard “caricò” grazie ai suoi poteri biotici il terreno sotto di lei, sperando che nel frattempo Armata non si fosse mosso. Se la precedente “carica” era stata in qualche modo controllata, questa ebbe invece la stessa potenza che Shepard usava sui campi di battaglia.
L’impatto contro qualcosa di solido fu inequivocabile: Shepard colpì il Geth sulla spalla, spedendolo di nuovo nella terra e neutralizzando il suo camuffamento.
Il Comandante riuscì ad atterrare malamente sulle proprie gambe, ma non a restare in piedi: cadde infatti all’indietro, cercando di non urtare il terreno con il braccio rotto.
Mentre cercava di riprendere fiato, Armata, ora completamente visibile, uscì con un salto dalla buca, tentando di afferrarla con entrambe le mani.
Shepard si chiese di cosa il Geth fosse fatto, per riuscire a muoversi dopo una simile batosta.
Armata era riuscita di nuovo a intimorirla: per la prima volta da quando era tornata in vita, il comandante usò la sua carica biotica per allontanarsi dal nemico, mandando a vuoto il tentativo di Armata di afferrarla.
Quando fu al sicuro a circa venti metri di distanza, Shepard si concesse il lusso di prendere fiato: il prossimo attacco sarebbe stato l’ultimo, lo sapeva.
Gli impianti di Cerberus permettevano al suo corpo di spingersi fino ad un certo punto: Shepard era alla frutta e il comandante sbuffava come un mantice, mentre osservava il Geth dall’altra parte dell’arena. Lo Spettro sorrise: era felice di sapere di avere ancora dei limiti; era contenta di essere ancora umana, anche se solo al quarantasette per cento.

Il grosso Geth decise che si era riposata abbastanza, e scomparve nuovamente.
“Te lo scordi!” urlò Shepard con quanto fiato aveva ancora in gola: il comandante rivolse i suoi poteri biotici verso il terreno, sollevando una nube di povere che coprì tutta l’arena davanti allo Spettro.
La polvere, fine come sabbia, rese il camuffamento ottico di Armata inutile e la sagoma del grosso Geth fu nuovamente visibile: lo stesso droide interruppe la sua avanzata, stupito forse da quella mossa che aveva reso inutile la sua mimesi.
Non appena Shepard lo aveva individuato, aveva cominciato a corrergli contro: l’indecisione di Armata le aveva permesso di saltargli addosso, usando il suo peso e la sua inerzia per sbilanciarlo.
In qualche modo, Shepard riuscì nel suo intento e il Geth cadde di nuovo a terra, la sua mimesi nuovamente inutile e disattivata.

Trecento cinquantaquattro secondi dopo aver cominciato lo scontro, Shepard, ansimante e con un braccio rotto, sedeva sul torso di Armata, disteso a terra sotto di lei. Lo Spettro fece tintinnare la punta del coltello sulla lente focale dell’obbiettivo del Geth, con un sorriso di complicità sul volto: le mani di Armata erano a circa cinque centimetri dalla sua gola.

“Direi che possiamo considerare pari questo scontro, sei d’accordo Armata?” Shepard cercava di nasconderlo, ma era molto affannata e dolorante.
“Consenso raggiunto. L’esito proposto da Shepard Comandante è accettabile.”
Shepard rotolò giù dal torso del Geth, dandogli la sinistra per aiutarlo a rialzarsi una volta che fu in piedi. Fu un gesto compiuto di riflesso, tipico fra compagni di allenamento, ma era il vedere un umana aiutare un Geth a rialzarsi a essere incredibile, soprattutto per la naturalezza con cui veniva offerta la mano. Armata tuttavia si alzò da solo, scrollandosi di dosso la polvere dal visore una volta che fu in piedi e osservando “preoccupato” le ammaccature sulle piastre frontali.

Nessuno dei cadetti aveva ancora fiatato: da quando era iniziato lo scontro, il silenzio, a parte per i colpi scambiati dai contendenti, era rimasto inalterato.
Un singolo paio di mani che battevano ruppe l’incantesimo.
“Sempre la solita, vedo. Solo a te sarebbe venuto in mente di usare un Geth come sparring partner.”
Al sentire la voce, Shepard si voltò verso il Generale, l’unico in piedi di tutte le trecento persone lì riunite. Gli occhi dei cadetti passavano dall’uno all’altro con un’espressione stupefatta di ammirazione e terrore reverenziale.
“Detto da qualcuno che ha tenuto testa da solo contro tre organizzazione mercenarie assieme, Garrus, non credo tu abbia il diritto di farmi la ramanzina.”
Garrus Vakarian, ex poliziotto della Cittadella, eroe del Consiglio, ex vigilante di Omega e membro dell’equipaggio del comandante Shepard, sorrise:
“Ok, direi che hai ragione.”
Il Generale non aveva mai sorriso durante i tre mesi passati all’accademia, ma Garrus Vakarian poteva eccome, specie davanti al suo Comandante: il Turian scese rapidamente le gradinate fino a trovarsi di fronte a Shepard.
“Presumo che questo sia quello nuovo.”
“Ti presento Armata, nuova aggiunta al nostro equipaggio.”
Garrus strinse la mano di Armata, senza fare commenti.
“Come ti è venuto in mente di combattere con un simile gigante?”
“Non avevo un Turian a portata di mano con cui sfogare lo stress.” Rispose Shepard.
Fu una fortuna che i Turian non potessero arrossire, altrimenti l’allusione di Shepard sarebbe stata evidente a tutti.
“Mhhh, capisco. Posso sapere cosa ci fai qui?” chiese Garrus sogghignando.
“Ci stavi mettendo troppo a tornare, e le armi della Normandy hanno bisogno di qualcuno di esperto che le regoli: ho bisogno del mio capo Artigliere.”

Il resto di quello che avrebbero voluto dirsi, andò perduto negli applausi del pubblico.
  
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