Il
53 si era fermato davanti a me. Non ero nemmeno sicuro che fosse il
53, non riuscivo ad alzare lo sguardo e leggere i led rossi che
indicavano il numero sulla vettura. Perché avrei dovuto
farlo? Mi
diressi verso il ciglio della strada e mi unii al fiume di persone
che stava attraversando. Probabilmente il semaforo era verde, ma io
non avevo voglia di alzare la testa per controllarlo. Mi stupii di me
stesso: mi ero soffermato su pensieri inutili, senza senso,
metropolitani, quasi esistenziali non essendo in grado di pensare ad
altro, a quello.
Una
ragazzina mi sbatté contro, riuscì a vederla in
viso solo perché
era bassa e quindi non dovetti alzare lo sguardo, non riuscivo ad
alzare lo sguardo. La ragazzina mi insultò, dicendomi che
ero un
deficiente e dovevo starmene a casa. Avrei voluto essere a casa anche
io,cara e rintanarmi sotto le coperte per non uscirci mai
più, per
dormire e mettere a tacere la mia testa che turbinava in un insieme
di pensieri stupidi e senza significato.
Tutto
a un tratto sentii caldo addosso a me, mi ero dimenticato che cosa
indossassi, probabilmente il mio solito giaccone verde militare e
sotto avrò avuto un maglione. Chissà com'era il
cielo, ma non
potevo vederlo: avrei dovuto alzare la testa. I colori delle
automobili però erano scintillanti, accecanti, probabilmente
il sole
splendeva, comunque non avevo voglia di togliermi la giacca.
Dove
stavo andando? Non lo sapevo e non mi interessava. Non sapevo nemmeno
se stessi camminando, il mio cervello non mi rendeva partecipe di
quei movimenti. Oltre ai miei pensieri stupidi, nella mia testa non
c'era niente. Mi sentivo però come se me la stessero
comprimendo da
fuori, come se qualcuno me la stesse stringendo dalle tempie fin
sotto la nuca. Alzai le mani a toccarmi il capo per assicurarmi che
non fosse davvero così. Toccai qualcosa che
scivolò di lato e cadde
per terra. Il mio cappello! Mi chinai per raccoglierlo e fui
risvegliato da un clacson che suonò praticamente dentro le
mie
orecchie, accompagnato da una serie di insulti non meglio
identificabili. Forse il solo istinto di sopravvivenza mi fece alzare
la testa e guardare verso i fanali della macchina a pochi centimetri
dal mio viso.
<
Sì,
ero un coglione o forse un deficiente, ma non mi interessava
più.
Niente mi interessava più di quella città, della
nostra città. A
un tratto ogni angolo della strada era un ricordo, una risata, una
parola, un'avventura, un bacio, un sorriso. Quella città non
era mia, ma era nostra. Era
la testimonianza in cemento e mattoni di tutto quello che avevamo
vissuto, volevo scappare. Chiusi gli occhi per non vedere
più nulla
e li sentii umidi dietro le mie palpebre. Mi chiesi quanto tempo e
quanto coraggio ci sarebbe voluto per riaprirli.