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Autore: EstrellaLunar    06/10/2010    0 recensioni
Una raccolta di one-shot in cui si intrecceranno le storie più disparate con un unico fattore comune: la fine di un amore.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Fine.

Il 53 si era fermato davanti a me. Non ero nemmeno sicuro che fosse il 53, non riuscivo ad alzare lo sguardo e leggere i led rossi che indicavano il numero sulla vettura. Perché avrei dovuto farlo? Mi diressi verso il ciglio della strada e mi unii al fiume di persone che stava attraversando. Probabilmente il semaforo era verde, ma io non avevo voglia di alzare la testa per controllarlo. Mi stupii di me stesso: mi ero soffermato su pensieri inutili, senza senso, metropolitani, quasi esistenziali non essendo in grado di pensare ad altro, a quello.
Una ragazzina mi sbatté contro, riuscì a vederla in viso solo perché era bassa e quindi non dovetti alzare lo sguardo, non riuscivo ad alzare lo sguardo. La ragazzina mi insultò, dicendomi che ero un deficiente e dovevo starmene a casa. Avrei voluto essere a casa anche io,cara e rintanarmi sotto le coperte per non uscirci mai più, per dormire e mettere a tacere la mia testa che turbinava in un insieme di pensieri stupidi e senza significato.
Tutto a un tratto sentii caldo addosso a me, mi ero dimenticato che cosa indossassi, probabilmente il mio solito giaccone verde militare e sotto avrò avuto un maglione. Chissà com'era il cielo, ma non potevo vederlo: avrei dovuto alzare la testa. I colori delle automobili però erano scintillanti, accecanti, probabilmente il sole splendeva, comunque non avevo voglia di togliermi la giacca.
Dove stavo andando? Non lo sapevo e non mi interessava. Non sapevo nemmeno se stessi camminando, il mio cervello non mi rendeva partecipe di quei movimenti. Oltre ai miei pensieri stupidi, nella mia testa non c'era niente. Mi sentivo però come se me la stessero comprimendo da fuori, come se qualcuno me la stesse stringendo dalle tempie fin sotto la nuca. Alzai le mani a toccarmi il capo per assicurarmi che non fosse davvero così. Toccai qualcosa che scivolò di lato e cadde per terra. Il mio cappello! Mi chinai per raccoglierlo e fui risvegliato da un clacson che suonò praticamente dentro le mie orecchie, accompagnato da una serie di insulti non meglio identificabili. Forse il solo istinto di sopravvivenza mi fece alzare la testa e guardare verso i fanali della macchina a pochi centimetri dal mio viso.
<> sbraitò un uomo sporgendosi fuori dal finestrino. Mi alzai e camminai svelto fino al ciglio opposto della strada, accompagnato nel mio percorso da una melodia di clacson e strombazzate.
Sì, ero un coglione o forse un deficiente, ma non mi interessava più. Niente mi interessava più di quella città, della nostra città. A un tratto ogni angolo della strada era un ricordo, una risata, una parola, un'avventura, un bacio, un sorriso. Quella città non era mia, ma era nostra. Era la testimonianza in cemento e mattoni di tutto quello che avevamo vissuto, volevo scappare. Chiusi gli occhi per non vedere più nulla e li sentii umidi dietro le mie palpebre. Mi chiesi quanto tempo e quanto coraggio ci sarebbe voluto per riaprirli.

  
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