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Autore: Mile    07/10/2010    1 recensioni
Marco era il suo migliore amico, e anche il più sexy e donnaiolo della città. Si conoscevano l'un l'altro come due libri aperti.
Giorcelli era il suo storico fidanzato. Tre anni consecutivi di rapporto di coppia. Il più geloso in circolazione.
Rik era una parentesi che Amelia non sapeva proprio come era stata aperta.
Sono piccole one shot. Possono essere lette singolarmente ma in realtà sono un'unica storia.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La parola sbagliata, Le ragazze di Marco, Il treno per Pavia.

 

 

Si sedettero uno di fronte all’altro, sfasati, in modo da avere di fronte a sé un sedile vuoto, su cui a volte puntellavano i piedi per essere più comodi.

Erano a inizio vagone.

Di fianco a una porta difettosa. Rimaneva aperta ogni volta che passava qualcuno e non la sbatteva con abbastanza violenza.

Marco gli diede l’ennesimo colpo in modo da interrompere l’assordante rumore che proveniva al di là di essa. Sbuffò.

Tolse la sciarpa e la posò sul sedile di fronte a sé.
Amelia si perse per un attimo nelle pieghe blu di quella stoffa.

Quando rialzò gli occhi e incrociò lo sguardo profondo di Marco provò una fitta dolorosa allo stomaco.

La ragazza fece per l’ennesima volta il suo sorriso sghembo.

«Allora» domandò «Kate?»

«Kate mi piace un sacco» esclamò il ragazzo «Mi piace un sacco come mi bacia, ci mette proprio la passione» il suo entusiasmo era tale che accompagnava ogni virgola con un largo gesto delle mani. Le dita lunghe erano distese come a sorreggere una palla. «Ci ha messo più lingua lei in tre pomeriggi, che Sabrina in tre mesi che siamo stati insieme!» lasciò ricadere le braccia con rassegnazione e gettò la testa all’indietro.

«Una volta mi ha detto che bacio dolcemente»

Amelia sorrise leggermente già sapendo come sarebbe finita la storia.

«Subito dopo ho smesso di essere dolce» Dichiarò infine con un’aria estremamente soddisfatta. C.v.d.
Come volevasi dimostrare.

«è fantastica! Se le altre non fossero così carine, potrei anche decidere di lasciarle perdere per stare solo con lei.»

Amelia ridacchiò leggermente pensando alle quattro ignare ragazze. Poveracce.

«Oh ma te l’ho detto della festa della Banfi? Che le regalo?»

La battuta era pronta, già fatta, pensata, incartata e pronta all’uso «Fatti trovare nudo in camera sua in mezzo a petali di rosa»

Marco roteò gli occhi fingendosi infastidito, ma si fece tradire da un sorrisino affettuoso.

La Banfi era la figlia dell’imprenditore più ricco della città. Aveva organizzato una mega festa. Il suo compleanno rischiava di essere l’evento dell’anno. Ovviamente il nome di Amelia non figurava nell’elenco degli invitati. Quello di Marco invece sì. Tuttavia il problema più grosso era rappresentato dal regalo. Cosa regalare a una ricca viziata che usa le scarpe di Prada per fare jogging?

Amelia perse di nuovo il filo dei suoi pensieri. Questa volta si era incantata a guardare gli occhi del suo carissimo amico.
Sul volto manteneva quell’espressione ebete. Gli angoli della bocca rosa inclinati leggermente verso il cielo e gli occhi puntati fuori dal finestrino.

Scorrevano sul paesaggio al di fuori del treno. Su pali della luce, case, edifici, alberi. E mentre lui vedeva fluire quel nastro di colori, forse focalizzando alcuni dettagli, lei era ipnotizzata dal movimento velocissimo delle sue pupille che scandagliavano l’esterno. Se ne meravigliava sempre, quando notava questa peculiarità del corpo umano, quel movimento fulmineo e involontario degli occhi, che nessuno si accorgeva di compiere ma che negli altri, talvolta, si poteva osservare con evidenza.

Un po’ come quando uno si innamora” pensò “i diretti interessati non lo capiscono mai, ma da fuori è così palese”. Sorrise tra sé e sé di quella sciocca considerazione.

«Che c’è?» Si accorse solo allora di aver continuato a fissarlo per tutto il tempo ed ora anche lei aveva un sorriso idiota stampato in faccia. Avvampò senza un vero motivo e per nascondere l’imbarazzo ampliò il proprio sorriso adottando un’espressione innocente. «No niente, mi sono incantata». Si morse l’interno delle guance con decisione subito dopo aver pronunciato quelle parole. Incredibile come una leggera sfumatura potesse cambiare l’intero significato di una frase. Di solito ci stava attenta, ma questa volta non ci aveva pensato.

Cazzo, sarebbe stato di troppo peso dire “imbambolata” invece di “incantata”?

Una vocina dietro all’orecchio le suggerì che, sì, sarebbe stato di troppo peso.

In una frazione di secondo ebbe il tempo di delineare una sequenza di pensiero ben precisa. Le capitava solamente in casi di emergenza di avere una mente così lucida. Anzi, solo in pochi fortunati casi di estrema emergenza.

Così pensò che forse non avrebbe notato la differenza.

Ma se invece l’avesse notata allora doveva ricorrere alla sua naturale abitudine alla malizia e allo scherzo. In questo momento preciso il suo cervello fece un breve appunto tra parentesi sul fatto che era molto più facile per loro mascherare tutto nello scherzo, così non si illudevano e non rovinavano la loro amicizia. O almeno “lei” non si illudeva.
E se lui non avesse notato nulla?

Meglio sembrare ridicoli che farsi umiliare.

“Perché è sempre così umiliante per te parlare di sentimenti?”
Lasciò cadere la domanda nel fondo della sua scatola cranica.

Osservò con attenzione i lineamenti di Marco tingersi di un lieve imbarazzo unito alla lusinga. Se ne era accorto. Anche lui pesava le parole con cura. Specie quelle degli altri.

La squadrò con una tale intensità che un brivido le corse lungo la schiena. Erano quelle sensazioni strane che a loro tempo le avevano comunicato che per una possibile storia con lui non c’era posto. Sarebbe sempre stata in un certo qual modo a disagio se lui mai le avesse riservato certe attenzioni. Tipo quello sguardo.

Si dipinse un’espressone maliziosa sul volto. Sbatté inconsapevolmente le palpebre una paio di volte caricando lo sguardo di molti sottointesi e altrettante battutine.

Piegò l’angolo sinistro della bocca dando l’impressione che stesse per dire qualcosa. E con una bravura, affinata dall’esperienza, fece l’Espressione. Quella che Marco capiva e non capiva. Quella in cui sembrava incerta tra il parlare e il sorridere.

Diede un impercettibile scatto alle sopracciglia sottili. Era stato lui a battezzarla “L’Espressione”.

L’Espressione, aveva ripetuto dubbiosa Amelia.

Sì. L’Espressione che gli diceva che aveva tante prese per il culo che le rimbalzavano tra la bocca e gli occhi e che lei non vedeva l’ora di dirgli.

Il colpo delle sopracciglia, come previsto, fece rilassare l’amico che strinse leggermente le labbra in una smorfia rassegnata. «Che c’è?» Domandò esasperato, fingendo che il commento che Amelia si sarebbe apprestata a fare sarebbe stato un fastidio.

Amelia ridacchiò tra sé pensando a quanto fossero strane le loro discussioni.

«No no niente…» finse di voler deviare il discorso.

«Dimmelo subito» ordinò rizzando la schiena.

«Mio dio che gnocca quella!» Esclamò lei «Quella ha due tette che me la farei perfino io!»

Marco non riuscì a fare a meno di girarsi e scoprì che Amelia aveva ragione. Una ragazza bionda con tratti chiaramente nordici stava per salire sul treno. Aveva un fisico da fotomodella e dalla scollatura della camicetta esibiva un decolté meraviglioso.

Rimasero a osservarla per tutto il tempo che rimase lì ad aspettare.

Amelia pensò che era davvero stupenda. Troppo perfino per Marco.

Arrivò ad associarla ad un angelo, per via degli occhi azzurri e il nasino all’insù. E poi per qualche strano motivo le venne in mente un compito di italiano di anni prima, sulla donna-angelo di Petrarca. Di certo era così la donna a cui lui pensava.

Bella, angelica e contemporaneamente sensuale fino all’osceno.

Un piccolo desiderio si fece spazio in lei. Un sogno nel cassetto che si esprimeva tutto nell’invidia che provava verso quella sconosciuta. Avrebbe dato oro per far voltare sguardi ammirati e donne invidiose. Ma Amelia non era certo il tipo che faceva perdere la testa.

Quando sparì dalla loro visuale Amelia trattenne un sospiro sconsolato ed esclamò: «A proposito di tette» Marco parve risvegliarsi da un torpore, e Amelia per la prima volta avrebbe voluto non leggere così chiaramente i pensieri del ragazzo «Che fine ha fatto Sonia? Dopo martedì intendo»

Sonia era l’unica delle ragazze di Marco che Amelia conoscesse.

Si erano presentate in corridoio a scuola. Non aveva la più pallida idea di che faccia avesse. Ma le sue tette le avrebbe riconosciute ovunque. Due satelliti.

«Mi ha un po’ deluso» rispose lui «mi ha fatto venire il torcicollo».

Un sopracciglio della ragazza schizzò automaticamente verso l’alto mentre un lampo le balenò negli occhi. E bastò quello a far intuire il suo primo pensiero a Marco che si lasciò andare in una fragorosa risata.

«Sei una ninfomane! Possibile che pensi solo a quello?»

Questa volta fu lei a fingersi infastidita. In realtà sapeva benissimo che lui non voleva offenderla «Tesoro, guarda che io non ho detto niente! Hai fatto tutto da solo» .

Dopo un breve silenzio la mente di Amelia fu attraversata da un pensiero.

Scoppiò a ridere da sola nello sconcerto di Marco.

«Che c’è?» Domandò allarmato «Che hai? Dimmi che c’è!» Esclamò allarmato.

Amelia cercò di riprendere fiato.

«Alla festa della Banfi» Disse tra una risata e l’altra «Potrai portare solo una ragazza!»

E Marco capì che questo era un problema.

 

 

*

 

 

Note di Mile:

 

Innanzitutto chiedo scusa se non aggiorno con regolarità, e se non rispondo alle vostre recensioni.

Purtroppo sto per trasferirmi e quindi il tempo disponibile è un po’ poco.


In ogni caso vi ringrazio di cuore.

Spero che anche questo capitolo vi piaccia anche se è meno brillante dei precedenti.

 

Prometto che il prossimo sarà più emozionante J

 

Un commento è sempre gradito, anche se negativo.

Grazie di cuore

 

Mile

  
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