La parola sbagliata, Le ragazze di Marco, Il treno per
Pavia.
Si sedettero uno di fronte all’altro,
sfasati, in modo da avere di fronte a sé un sedile vuoto, su cui a volte
puntellavano i piedi per essere più comodi.
Erano a inizio vagone.
Di fianco a una porta difettosa. Rimaneva
aperta ogni volta che passava qualcuno e non la sbatteva con abbastanza
violenza.
Marco gli diede l’ennesimo colpo in
modo da interrompere l’assordante rumore che proveniva al di là di essa.
Sbuffò.
Tolse la sciarpa e la posò sul sedile
di fronte a sé.
Amelia si perse per un attimo nelle pieghe blu di quella stoffa.
Quando rialzò gli occhi e incrociò lo
sguardo profondo di Marco provò una fitta dolorosa allo stomaco.
La ragazza fece per l’ennesima volta
il suo sorriso sghembo.
«Allora» domandò «Kate?»
«Kate mi piace un sacco» esclamò il
ragazzo «Mi piace un sacco come mi bacia, ci mette proprio la passione» il suo
entusiasmo era tale che accompagnava ogni virgola con un largo gesto delle
mani. Le dita lunghe erano distese come a sorreggere una palla. «Ci ha messo
più lingua lei in tre pomeriggi, che Sabrina in tre mesi che siamo stati
insieme!» lasciò ricadere le braccia con rassegnazione e gettò la testa
all’indietro.
«Una volta mi ha detto che bacio
dolcemente»
Amelia sorrise leggermente già
sapendo come sarebbe finita la storia.
«Subito dopo ho smesso di essere
dolce» Dichiarò infine con un’aria estremamente soddisfatta. C.v.d.
Come volevasi dimostrare.
«è fantastica! Se le altre non
fossero così carine, potrei anche decidere di lasciarle perdere per stare solo
con lei.»
Amelia ridacchiò leggermente pensando
alle quattro ignare ragazze. Poveracce.
«Oh ma te l’ho detto della festa
della Banfi? Che le regalo?»
La battuta era pronta, già fatta,
pensata, incartata e pronta all’uso «Fatti trovare nudo in camera sua in mezzo
a petali di rosa»
Marco roteò gli occhi fingendosi
infastidito, ma si fece tradire da un sorrisino affettuoso.
La Banfi era la figlia
dell’imprenditore più ricco della città. Aveva organizzato una mega festa. Il
suo compleanno rischiava di essere l’evento dell’anno. Ovviamente il nome di
Amelia non figurava nell’elenco degli invitati. Quello di Marco invece sì. Tuttavia
il problema più grosso era rappresentato dal regalo. Cosa regalare a una ricca
viziata che usa le scarpe di Prada per fare jogging?
Amelia perse di nuovo il filo dei
suoi pensieri. Questa volta si era incantata a guardare gli occhi del suo
carissimo amico.
Sul volto manteneva quell’espressione ebete. Gli angoli della bocca rosa
inclinati leggermente verso il cielo e gli occhi puntati fuori dal finestrino.
Scorrevano sul paesaggio al di fuori
del treno. Su pali della luce, case, edifici, alberi. E mentre lui vedeva
fluire quel nastro di colori, forse focalizzando alcuni dettagli, lei era
ipnotizzata dal movimento velocissimo delle sue pupille che scandagliavano
l’esterno. Se ne meravigliava sempre, quando notava questa peculiarità del
corpo umano, quel movimento fulmineo e involontario degli occhi, che nessuno si
accorgeva di compiere ma che negli altri, talvolta, si poteva osservare con
evidenza.
“Un
po’ come quando uno si innamora” pensò “i diretti interessati non lo capiscono
mai, ma da fuori è così palese”. Sorrise tra sé e sé di quella sciocca considerazione.
«Che c’è?» Si accorse solo allora di
aver continuato a fissarlo per tutto il tempo ed ora anche lei aveva un sorriso
idiota stampato in faccia. Avvampò senza un vero motivo e per nascondere
l’imbarazzo ampliò il proprio sorriso adottando un’espressione innocente. «No
niente, mi sono incantata». Si morse l’interno delle guance con decisione
subito dopo aver pronunciato quelle parole. Incredibile come una leggera
sfumatura potesse cambiare l’intero significato di una frase. Di solito ci
stava attenta, ma questa volta non ci aveva pensato.
Cazzo, sarebbe stato di troppo peso
dire “imbambolata” invece di “incantata”?
Una vocina dietro all’orecchio le
suggerì che, sì, sarebbe stato di troppo peso.
In una frazione di secondo ebbe il
tempo di delineare una sequenza di pensiero ben precisa. Le capitava solamente
in casi di emergenza di avere una mente così lucida. Anzi, solo in pochi
fortunati casi di estrema emergenza.
Così pensò che forse non avrebbe
notato la differenza.
Ma se invece l’avesse notata allora
doveva ricorrere alla sua naturale abitudine alla malizia e allo scherzo. In
questo momento preciso il suo cervello fece un breve appunto tra parentesi sul
fatto che era molto più facile per loro mascherare tutto nello scherzo, così non
si illudevano e non rovinavano la loro amicizia. O almeno “lei” non si illudeva.
E se lui non avesse notato nulla?
Meglio sembrare ridicoli che farsi
umiliare.
“Perché è sempre così umiliante per te parlare di
sentimenti?”
Lasciò cadere la domanda nel fondo
della sua scatola cranica.
Osservò con attenzione i lineamenti
di Marco tingersi di un lieve imbarazzo unito alla lusinga. Se ne era accorto.
Anche lui pesava le parole con cura. Specie quelle degli altri.
La squadrò con una tale intensità che
un brivido le corse lungo la schiena. Erano quelle sensazioni strane che a loro
tempo le avevano comunicato che per una possibile storia con lui non c’era
posto. Sarebbe sempre stata in un certo qual modo a disagio se lui mai le
avesse riservato certe attenzioni. Tipo quello sguardo.
Si dipinse un’espressone maliziosa
sul volto. Sbatté inconsapevolmente le palpebre una paio di volte caricando lo
sguardo di molti sottointesi e altrettante battutine.
Piegò l’angolo sinistro della bocca
dando l’impressione che stesse per dire qualcosa. E con una bravura, affinata
dall’esperienza, fece l’Espressione. Quella che Marco capiva e non capiva.
Quella in cui sembrava incerta tra il parlare e il sorridere.
Diede un impercettibile scatto alle
sopracciglia sottili. Era stato lui a battezzarla “L’Espressione”.
L’Espressione, aveva ripetuto
dubbiosa Amelia.
Sì. L’Espressione che gli diceva che aveva
tante prese per il culo che le rimbalzavano tra la bocca e gli occhi e che lei
non vedeva l’ora di dirgli.
Il colpo delle sopracciglia, come
previsto, fece rilassare l’amico che strinse leggermente le labbra in una
smorfia rassegnata. «Che c’è?» Domandò esasperato, fingendo che il commento che
Amelia si sarebbe apprestata a fare sarebbe stato un fastidio.
Amelia ridacchiò tra sé pensando a
quanto fossero strane le loro discussioni.
«No no niente…»
finse di voler deviare il discorso.
«Dimmelo subito» ordinò rizzando la
schiena.
«Mio dio che gnocca
quella!» Esclamò lei «Quella ha due tette che me la farei perfino io!»
Marco non riuscì a fare a meno di
girarsi e scoprì che Amelia aveva ragione. Una ragazza bionda con tratti
chiaramente nordici stava per salire sul treno. Aveva un fisico da fotomodella
e dalla scollatura della camicetta esibiva un decolté meraviglioso.
Rimasero a osservarla per tutto il tempo
che rimase lì ad aspettare.
Amelia pensò che era davvero
stupenda. Troppo perfino per Marco.
Arrivò ad associarla ad un angelo,
per via degli occhi azzurri e il nasino all’insù. E poi per qualche strano
motivo le venne in mente un compito di italiano di anni prima, sulla
donna-angelo di Petrarca. Di certo era così la donna a cui lui pensava.
Bella, angelica e contemporaneamente
sensuale fino all’osceno.
Un piccolo desiderio si fece spazio
in lei. Un sogno nel cassetto che si esprimeva tutto nell’invidia che provava
verso quella sconosciuta. Avrebbe dato oro per far voltare sguardi ammirati e
donne invidiose. Ma Amelia non era certo il tipo che faceva perdere la testa.
Quando sparì dalla loro visuale
Amelia trattenne un sospiro sconsolato ed esclamò: «A proposito di tette» Marco
parve risvegliarsi da un torpore, e Amelia per la prima volta avrebbe voluto non
leggere così chiaramente i pensieri del ragazzo «Che fine ha fatto Sonia? Dopo
martedì intendo»
Sonia era l’unica delle ragazze di
Marco che Amelia conoscesse.
Si erano presentate in corridoio a
scuola. Non aveva la più pallida idea di che faccia avesse. Ma le sue tette le
avrebbe riconosciute ovunque. Due satelliti.
«Mi ha un po’ deluso» rispose lui «mi
ha fatto venire il torcicollo».
Un sopracciglio della ragazza schizzò
automaticamente verso l’alto mentre un lampo le balenò negli occhi. E bastò
quello a far intuire il suo primo pensiero a Marco che si lasciò andare in una
fragorosa risata.
«Sei una ninfomane! Possibile che
pensi solo a quello?»
Questa volta fu lei a fingersi
infastidita. In realtà sapeva benissimo che lui non voleva offenderla «Tesoro,
guarda che io non ho detto niente! Hai fatto tutto da solo» .
Dopo un breve silenzio la mente di
Amelia fu attraversata da un pensiero.
Scoppiò a ridere da sola nello
sconcerto di Marco.
«Che c’è?» Domandò allarmato «Che hai?
Dimmi che c’è!» Esclamò allarmato.
Amelia cercò di riprendere fiato.
«Alla festa della Banfi» Disse tra
una risata e l’altra «Potrai portare solo una ragazza!»
E Marco capì che questo era un
problema.
*
Note di Mile:
Innanzitutto chiedo scusa se non aggiorno con regolarità,
e se non rispondo alle vostre recensioni.
Purtroppo sto per trasferirmi e quindi il tempo
disponibile è un po’ poco.
In ogni caso vi ringrazio di cuore.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia anche se è meno
brillante dei precedenti.
Prometto che il prossimo sarà più emozionante J
Un commento è sempre gradito, anche se negativo.
Grazie di cuore
Mile