Never coming home
La nebbia era onnipresente e i rumori degli zoccoli del cavallo venivano amplificati. Rabbrividì per il freddo. Per nostra fortuna la nebbia era densa solo per settanta centimetri da terra,per il resto si diradava lasciando comunque una patina grigia al paesaggio. Ogni nervo del mio corpo era teso come una corda di violino, pronto a scattare per ogni evenienza. Gli alberi che costeggiavano il sentiero erano tetri e spogli; l’alone di morte era asfissiante e ti opprimeva come un macigno sul petto.
D’un tratto,mi parve di vedere un ombra. Bloccai il cavallo e controllai con minuzia ogni centimetro presente tra gli alberi. Alla fine conclusi che fosse solo la mia fervida immaginazione che aveva deciso di tirarmi brutti scherzi. Chiusi gli occhi e feci cenno a Sin di continuare.
Camminammo per alcuni chilometri finchè gl’alberi iniziarono a diradarsi per formare una pianura.
Là, proprio nel mezzo,si trovava un uomo. Intorno ad esso si propagava una scia di sangue cremisi; il suo corpo era bruciacchiato e tumefatto e un occhio penzolava fuori sinistramente dall’orbita.
Il mio stomaco sobbalzò quando l’uomo ci venne incontro. Aveva il volto sciolto dall’acido che scopriva,in certi punti le ossa della faccia. Cercai di mantenere un contegno anche quando sentii Sin vomitare dietro un cespuglio.
-Come ti chiami?- chiesi con sicurezza
-Kyle. Tu chi sei? Dove sono?- mi chiese piangendo
-Sei morto Kyle- gli risposi
-Non mi prendere in girò-
-Non ti sto prendendo in giro.- gli risposi dolcemente- Ma devi seguirmi…-
-Mi hanno detto che non devo seguire coloro che non mi mostrano il volto- disse risoluto- Chi sei?-
-Hollow- sospirai- Una traghettatrice. Come Caronte -
Kyle squittì spaventato scappando dall’altra parte della radura
-KYA!- urlò
Kya?KYA! In un millesimo di secondo realizzai tutto.
-SIN SCAPPA!- urlai tirando un calcio alla pancia del mio cavallo e lanciandomi al galoppo
-Scappa!Ti do dieci secondi di vantaggio- la voce agghiacciante dell’essere mi fece congelare il sangue. La nebbia si faceva sempre più fitta e l’adrenalina viaggiava in corpo come veleno. La mia lucidità era andata a puttane. La priorità era salvarlo e poi salvarsi. La mia vita e la mia dannazione eterna passavano in secondo piano.
-Ci sta raggiungendo!- mi stillò il mio subordinato.
-Scappa più velocemente che puoi mentre io creo un diversivo-dissi fermandomi in mezzo alla strada
-Ma…-
-SCAPPA!- gli urlai con ferocia. Scappa. Salvati. Non avevo mai seriamente pensato a come sarebbe stata la dannazione eterna,non almeno,fino a quando mi comparve quella creatura davanti. Se volevo un pass esclusivo dovevo prendermelo con onore,non come un uomo che stava per essere decapitato e quindi con la testa bassa,ma come qualcuno che avrebbe lottato per la propria sopravvivenza,a testa alta. Nessun errore, nessun rimpianto. Me lo avevano sempre ripetuto, all’inizio, quindi perché non ripetermelo anche alla fine?
I suoi occhi bianchi mi fissarono stupiti in un primo momento,ma cambiarono espressione quando si leccò le labbra fameliche.
-Che gesto di nobiltà. La tua vita per la sua. Che gentile!- pronunciò queste parole con abbondate sarcasmo. Incassa a testa alta. Mi ripeteva la mia mente. Non rispondere.
-Che cara ragazza. Fino alla fine- mi disse avvicinandosi. Io, dal canto mio, scesi dal cavallo con una lentezza innaturale, come d’altronde era quella situazione, sistemai con cura le briglie e fissai gli occhi neri del mio cavallo.
-Da questo momento non mi appartieni. Non devi morire né per me,né con me. Vai!-dissi mentre gli accarezzavo la criniera- A Sin servirà un cavallo- sorrisi,quasi sull’orlo delle lacrime. Quella era la fine. Lo sapevo. Ogni parte del mio corpo mi diceva che non ci sarebbe stato un domani –VAI!- urlai tirandogli uno schiaffo sulla coscia e facendolo fuggire a gambe levate.
La creatura mi fissava come si fissa il tuo pasticcino preferito dopo un settimana senza mangiare.
-Solo io e te- sussurrai sicura che mi avrebbe sentito
-Addio, piccola principessa dai sogni infranti-
Tutto durò una frazione di secondo. La mia spada sguainata. Lui che si avvicinava. Contatto. Sangue. Poi un volo di una decina di metri e il mio corpo e le mie ossa che si opponevano al tronco dell’albero. Buio.
Trasferirsi a New York non era nei miei programmi. Non dopo quello che era successo con Lyn, ma, mi ero ripetuto più volte che dovevo voltare pagina, e qual era il modo migliore se non trasferirsi?
Ma chi volevo prendere in giro, non avevo deciso io. Se fosse stato per me, sarei rimasto per sempre rinchiuso nel mio appartamento, al buio, con una vecchia foto. Una vecchia foto di quand’ero felice insieme a lei. Quando credevo che la piccola anima che avrebbe rallegrato le mie giornate fosse frutto del mio seme, di me. Mio. Ma così non era stato. In quel momento, in quel attimo in cui la porta si era chiusa sbattendo. In quel battito di ciglia, di ali di farfalla, la mia felicità si era frantumata come il cristallo del bicchiere pieno d’acqua che tenevo in mano; in quel momento; e il sangue si era sparso per terra. E li era rimasto per giorni, come tutte le cose in quella casa. Il mio letto, la cucina, il bagno. Tutto si trovava nella perfetta posizione in cui l’aveva lasciata lei, nella posizione in cui si trovava quando la mia vita si era sgretolata davanti ai miei occhi. Ed ero diventato morboso perché nessuno doveva toccare quella parvenza di perfezione. Mai!
Ed erano stati i miei amici, l’unica nostra ragione di vita, fan. Loro che ci avevano salvato. Loro che ci avevano fatto capire quanto fosse importante la nostra insignificante vita agl’occhi del creatore. Ad urlare per farci notare. A gridare al mondo chi eravamo e che non eravamo inutili.
Non io. Io ero solo quello che scriveva sbiaditi ricordi di ciò che aveva provato,come un pittore ormai cieco che ricorda a mala pena cosa significhi vedere e sa di essere finito, perché quella era l’unica cosa che lo distingueva dagl’altri, dalla massa. Non avevo pianto, non perché lo ritenevo da persone deboli, ma perché, nella mia vita, avevo finito le lacrime a causa dei troppi sogni che si erano infranti ai miei occhi.
Ero rimasto solo. Con quella sensazione costante di nulla nello stomaco che mi avrebbe accompagnato per tutta la mia vita.
Ma loro,loro mi avevano preso in braccio,mi avevano schiaffeggiato e mi avevano buttato dentro una vasca d’acqua gelida. Mi avevano donato una brace per ravvivare il mio fuoco ineriore,ormai spento. Avevano acesso la luce di quella stanza e avevano buttato via ogni mio ricordo di quella vita. Con un diario in mano con su scritto “Voltare pagina. Ieri è finito. Ieri era giorno differente.”
Così mi ritrovai su un auto,con il diario tra le mani, a scrivere pezzi di canzoni per voi,perché sapevo che le aspettavatate. E ci ero riuscito. Dopo quattro anni ci ero riuscito ed avevo deciso di cambiare. A partire dai capelli. Rossi.
Il giorno che ero arrivato a casa di Frank con quei capelli, Mikey aveva rischiato di strozzarsi con il suo caffè delle 19.10, Ray aveva fatto morire il suo alter-ego del suo nuovo gioco splatter della playstation e a Jamia era caduto il vassoio con i bicchieri di coca cola. Frank era stato l’unico a sorridere con gli occhi a cuore.
-Sono bellissimi!- mi aveva detto mentre ci affondava dentro le mani.
Poi aveva fissato Jamia con fare sognate –Me li posso fare anch’io?-
Per tutta risposta l’amabile mogliettina gli aveva tirato un sonoro scappellotto sulla nuca e lo aveva dolcemente appellato “Cretino rincoglionito”. Mai esistita definizione più giusta per Frankie.
Ci si vede al prossimo capitolo . Cià