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Autore: chiaki89    09/10/2010    7 recensioni
Sono passati sei anni dall’arrivo dei Volturi. Leah, unica donna fra i licantropi, è sempre più insofferente verso tutto ciò che la circonda, nonostante ci siano stati piccoli miglioramenti.
Ma l’arrivo di un vampiro mai visto nella zona sconvolgerà di nuovo tutto.
Chi è Jeremy? Perché è arrivato a Forks?
Queste domande diventano superflue quando Leah si ritrova costretta con l’inganno a sorvegliarlo quotidianamente.
Ed è l’inizio di una nuova storia, nella quale incontrerete ancora tutti i personaggi che avete amato, e anche qualcuno in più.
“Quando il vampiro platinato si voltò ebbi la soddisfazione di vederlo stupito per un secondo buono. Presi fiato per dare libero sfogo alla mia volgarità ma lui mi precedette con una risata decisamente maleducata.
“E così, quel cosino è un lupo? Avete anche donne-lupo? Ridicolo! Inaudito!” continuò a sghignazzare.
“Ehm, lei è l’unica…” rispose cautamente Jacob, guardandomi.

[…]
Raccolsi un grosso masso di granito e lo scagliai con precisione. Gli staccai di netto un braccio. Mi permisi di rivolgergli un sorriso compiaciuto, consapevole che stavo giocando col fuoco.”
Tratto dal cap.3
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harvest Moon'
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Seconda parte

 

 

Avevo davanti un’intera settimana di pace. Finalmente qualcosa andava per il verso giusto. Dovetti ricredermi quando incontrai l’imbecille ossigenato, il mattino dopo.

Esibiva una faccia da cane bastonato, corrucciata e assolutamente irritante. Cosa poteva avere lui? Non avevo certo voglia di fare da balia ad un succhiasangue depresso! Avevo già io i miei notevoli problemi.

Camminammo per un po’ avviandoci al limitare della superstrada. Lì l’odore umano era presente ma relativamente flebile, l’ideale per farlo abituare. Poi, come al solito, ci saremmo avvicinati di più al centro abitato, sempre rimanendo all’ombra della foresta. Ascoltai attentamente il suo respiro mentre arrivavamo in vista delle macchine. Era perfettamente rilassato. Molto bene, stava migliorando davvero velocemente. Forse nel giro di quattro o cinque mesi me ne sarei liberata. Che incredibile gioia.

Lo guardai un attimo, di sfuggita. E sbuffai senza riuscire a trattenermi.

Ancora quell’espressione abbattuta. Che nervoso.

Se fosse andato avanti così ancora per un po’ gli avrei staccato quella faccia funerea. Letteralmente. Un morso e la sua testa sarebbe volata via.

Lui si voltò quando mi sentì sbuffare, stupito. “Che succede?”, chiese perplesso, ma con un tono afflitto.

Io lo fissai con uno sguardo profondamente sarcastico e scocciato. L’idiota si limitò ad annuire.

“Emmett.”, brontolò. Ottimo. Adesso avevo capito tutto. Cosa credeva, che gli leggessi nel pensiero?

Ringhiai in avvertimento. La mia pazienza era poca, soprattutto con quella sanguisuga.

Sospirò sconfortato. La pietà era al momento il sentimento che fossi più lontana dal provare. Doveva muoversi a togliere quell’aria avvilita dalla sua faccia: le mie zampe cominciavano ad avere voglia di muoversi. Per un epico pestaggio, ovviamente.

“Mi ha battuto.”, gemette. Spalancai le mascelle. Cioè, quel cretino patentato mi stava facendo saltare i nervi per una sciocchezza del genere? E io che lo stavo pure ad ascoltare.

Gli mollai una zampata sulla spalla, buttandolo a terra. Lui mi guardò con la faccia di un bambino a cui venga rivolto un rimprovero ingiusto, seduto sul duro terreno. Ero immune a quelle moine. Che la smettesse di fare il depresso.

“Beh, insomma, a nessuno piace essere battuto!”, cercò di difendersi.

Ma nessuno fa le scene che fai tu!

“Va bene, va bene, ho capito!”, rispose intuendo il mio pensiero. “Ma mi ha stracciato come un principiante! Prima ancora di rendermene conto la mia sagoma era stampata su una roccia! Anche io ho un orgoglio!”.

Dovevo ricordarmi di ringraziare Emmett. E mi sarei premurata di andare in pellegrinaggio al luogo del lieto evento; magari avrei fatto anche qualche foto commemorativa.

Poi ricordai il perché mi avevano affibbiato la sorveglianza a Jeremy. E mi sentii inaspettatamente solidale nei suoi confronti. Evento più unico che raro. Che non si sarebbe mai ripetuto, ne ero certa.

Lui si alzò spolverandosi attentamente i vestiti, mugugnando qualcosa di incomprensibile, nonostante il mio udito più che sviluppato.

Gli mollai un’altra zampata, stavolta meno violenta, e corredata da un’occhiata vagamente –molto vagamente- comprensiva. L’imbecille si massaggiò la spalla, guardandomi. Poi sorrise allegramente.

Beh, almeno si era tolto dal viso quell’espressione irritante.

“Proseguiamo?”, chiese come al solito. Io gli feci cenno di proseguire, asciutta come sempre.

***

E come tutte le cose belle, la settimana di –relativa- pace se ne volò via in un lampo. Imprecai tra me e me correndo tra gli alberi della riserva, annusando il profumo unico della foresta al tramonto. Un aroma così incredibile da andare oltre ogni descrizione e che riuscivo a percepire solo grazie al mio straordinario olfatto lupesco.

Ma neanche questo riusciva a distrarmi dal pensiero di ciò che sarebbe accaduto quella sera. Imprecai di nuovo. Cominciavo a pentirmi di aver accettato la proposta di Joshua; forse avrei dovuto essere più dura e dissuaderlo fin dall’inizio. Ma ormai il danno era fatto.

Mi concentrai sul suono ritmico delle zampe sul terreno erboso della riserva per evitare di riflettere troppo sulle cose spiacevoli. Mi trasformai poi a distanza di sicurezza.

Come prevedibile il mio carissimo cugino mi attendeva sotto il porticato di casa mia con un sorriso impaziente sul volto. Io alzai gli occhi al cielo e sbuffai, continuando a camminare verso la porta d’ingresso.

“Santo cielo, Joshua! Lasciami almeno mangiare!”, esclamai già esasperata.

Il suo sorriso non si attenuò. “Certo, certo.”, rispose. Okay, il virus Jacob stava davvero dilagando. E non era una buona notizia.

Entrai, ma ancora prima di avere il tempo di andare in bagno incrociai mio fratello. Sembrava particolarmente contento; più del solito, si intende. Lui era sempre di buonumore: pareva quasi che lo facesse per compensare il mio perenne malumore.

“Come è andata la giornata, Lee?”, mi chiese allegro.

“Benissimo, fratellino. Cosa ti fa pensare il contrario?”, ribattei con voce soave. Odiavo le domande profondamente stupide.

Lui inghiottì e si guardò i piedi, ma non smetteva di sorridere. Capitolai spazientita.

“Si può sapere cos’è successo per renderti così schifosamente contento?”, dissi con una buona dose di veleno.

“Oggi, mentre ero di…”, si interruppe e guardò di sfuggita Joshua, che non si era schiodato dall’ingresso e continuava ad ascoltare. “…mentre ero al lavoro ho incontrato Edward e ci siamo fermati a parlare.”. Wow. Che gioia. Un incontro ravvicinato con il leggipensieri. Lo invidiavo davvero.

“E ha detto che forse tra qualche mese arriverà qui Maggie.”. Ecco spiegata la sua felicità. La sanguisuga dai capelli rossi era in arrivo.

Che se ne rimanesse in Irlanda a marcire insieme agli altri del suo clan!

Possibile che Seth si dovesse per forza prendere una cotta per una vampira? Con tutte le ragazze normali che esistevano al mondo! Meditai sul disconoscerlo come fratello.

“Lee, vai subito a farti la doccia, altrimenti arriverai in ritardo per la cena.”, disse mia madre dalla cucina, secca come al solito. Soppressi l’istinto di andarla ad abbracciare: mi aveva appena salvato da una crisi di nervi. O da una litigata con mio fratello, il che era pressappoco uguale.

“Okay.”, dissi asciutta, e corsi in bagno. Meravigliosa solitudine.

***

La cena passò troppo in fretta per i miei gusti. Mi offrii di aiutare mia mamma a lavare i piatti, ma per una volta lei rifiutò. Quel maledetto si era accaparrato anche il consenso di mia madre. Ero in trappola nella mia stessa famiglia.

“Leah, scendi?”, gridò Joshua dall’ingresso. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Poi riportai lo sguardo di fronte a me: lo specchio della mia camera restituì l’immagine di una giovane donna tremendamente seccata e irritata. Urlai un “sì” e mi avviai pigramente giù per le scale.

La disgrazia numero due della mia vita attendeva con un sorriso soddisfatto che io lo raggiungessi.

Mi offrì il braccio come un gentiluomo d’altri tempi. “Prego, signorina.”, gongolò prendendomi un po’ in giro.

Lo ignorai totalmente ed uscii dalla porta. Lui mi seguì quasi trotterellando, chiaramente abbattuto per il mio scarsissimo senso dell’umorismo. Arrivata alla macchina mi sedetti al posto del passeggero, sistemandomi rigidamente contro lo schienale. Era l’unica cortesia che avevo intenzione di fargli: sapevo che anche lui, in quanto uomo, sentiva l’orgoglio andare a pezzi quando faceva guidare una donna. Maschi.

Il tragitto fino alla spiaggia sembrò innaturalmente lungo, sottolineato dal silenzio imbarazzato tipico tra due persone un tempo amiche e che ora non lo erano più.

Anche se lui credeva il contrario; era piuttosto un’amicizia unilaterale.

Arrivati a destinazione lasciai che i piedi mi guidassero verso l’oceano, in un gesto quasi automatico. L’odore di salsedine mi era sempre piaciuto, anche se non l’avevo mai detto a nessuno. Era lo stesso che aveva mio padre quando tornava da una battuta di pesca al largo.

La brezza che soffiava verso l’immensa distesa d’acqua mi scompigliò i capelli in modo quasi giocoso. Sorrisi, tenendo gli occhi chiusi ed inspirando a fondo.

“Adesso assomigli molto di più alla Leah di un tempo.”. La voce di mio cugino ruppe l’incanto. Spalancai gli occhi e lo guardai, furibonda. Quel ragazzo doveva imparare il significato della parola silenzio. Che usata con me era particolarmente opportuna.

“Piantala con questa storia. Io sono così, punto e fine!”, sibilai velenosa. Mi voltai e cominciai a camminare.

“Dai, Leah, non fare così!”, protestò rincorrendomi.

Mi fermai di botto e lo fissai. “Allora tu smettila di dire cose che hanno l’incredibile potere di farmi saltare i nervi!”, gli gridai in faccia.

Un sorriso sconsolato si delineò sul suo viso. Mi guardò con tenerezza, come un genitore con un figlio che non capisce di sbagliare. Detestavo quell’espressione con tutta me stessa.

Il suono della risacca sottolineò il silenzio tra noi due. Sentivo i nostri cuori battere, lo stormire del vento nella foresta, lo stridio dei pipistrelli che volavano intorno. Ma mi rifiutavo di ascoltare i miei pensieri.

“Perché non ci sediamo?”, propose Joshua all’improvviso. Annuii, temendo le cavolate che mio cugino avrebbe tirato fuori dal cappello.

“Ascoltami, Leah. Ma non arrabbiarti, per favore. Lasciami solo parlare.”. Il suo tono era cauto e quasi spaventato. Eppure tutto questo mi rimbalzò addosso.

“Dipende.”, risposi seccamente. Lui sospirò e si guardò le mani incrociate, come a cercarvi la forza per andare avanti.

“Io vorrei che tu mi raccontassi come è andata con Sam.”.

Mi alzai di scatto, fuori di me dalla rabbia. “Buonanotte, Joshua.”, dissi glaciale, e feci per andarmene.

“Ti prego, aspetta!”, urlò concitatamente. “Non mi piacciono i pettegolezzi! Le cose preferisco saperle dai diretti interessati! Voglio capire cosa è successo!”. Mi raggiunse e mi afferrò per un polso. Rabbiosa scossi il braccio per liberarmi dalla sua presa. Ma per evitare spiacevoli sospetti avevo usato la forza tipica di una donna umana: il risultato fu che la sua morsa si serrò ulteriormente e mi ritrovai a girare su me stessa fino a trovarmi faccia a faccia con lui.

E per una volta rimasi davvero basita.

Gli occhi di mio cugino erano lucidi, come se fosse sull’orlo delle lacrime. Tutto in lui esprimeva un dolore profondo e troppo a lungo trattenuto.

Smisi di divincolarmi. Perché stava quasi piangendo quello stupido?

“Per favore, Leah, raccontami, spiegami, aprimi gli occhi su quanto sono stato un amico deludente ed inetto.”, pregò.

Non potevo crederci. Lui si stava ancora biasimando per qualcosa accaduto più di sei anni fa. Era scemo fino a questo punto.

Joshua non mi era stato accanto, questo era vero. Non si era fatto sentire, non aveva telefonato o mandato lettere, nulla di tutto ciò. Aveva tentato di farlo poco tempo dopo la mia trasformazione, ma io avevo lasciato cadere tutto nel nulla. Non potevo raccontargli niente, in ogni caso.

Infine aveva smesso di spedire missive che rimanevano senza risposta, di fare telefonate che si concludevano sempre con “Leah non è in casa”, anche se in realtà ero lì accanto. Non avevo potuto fare diversamente: o raccontare mezze verità e inquinare irreversibilmente il nostro rapporto, oppure lasciare il ricordo di una bellissima amicizia che si è esaurita con la distanza. Avevo preferito la seconda opzione.

Dopo tutti questi anni mi aspettavo che non gli importasse più nulla di me: mi sbagliavo. Si sentiva ancora in colpa per non avermi sostenuto quando ne avrei avuto più bisogno.

“Mi dispiace di non esserci stato, Leah. Davvero tanto.”, sussurrò. Scossi la testa. Non potevo lasciare che lui si prendesse la responsabilità per tutto.

“Non è stata colpa tua. So perché non hai potuto.”, risposi asciutta.

Era vero. I suoi genitori, entrambi medici, si erano trasferiti in Africa per alcuni mesi in missione umanitaria e lo avevano portato con loro. Per cinque mesi erano rimasti lì, tagliati fuori dal mondo, per aiutare i bisognosi. Era così tipico di loro. Ed infine si erano trasferiti dall’altra parte dell’America.

“Allora raccontami, Leah! Voglio sapere cosa è successo in questi anni per farti cambiare così tanto. E so che il primo passo è sapere quello che è successo con Sam.”, disse amareggiato.

“No, Joshua.”, ribattei stancamente.

“Finché non saprò tutto continuerò a sentirmi in colpa! Ti prego.”.

Sbuffai pesantemente. Possibile che non si sapesse arrendere? Mi sedetti sulla sabbia, sospirando.

“Non aspettarti un romanzetto strappalacrime. Sarò concisa e lapidaria, sappilo.”.

Lui sorrise affettuosamente, facendomi dubitare della mia decisione fin troppo magnanima. E pure un pochino suicida, per me.

“Raccontami tutto, Leah Clearwater.”.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: perdonate il ritardo, ma ho davvero passato una settimana pesantissima e ieri sono collassata sul letto! Il raffreddore invece di migliorare è peggiorato quindi è stato anche peggio!

Spero che la seconda parte del capitolo vi piaccia, noterete che qualcosa comincia a muoversi e che Leah si sta mettendo pian piano in discussione. Ma ovviamente non sarà tutto rose e fiori, Leah è tosta e non è disposta a cambiare facilmente.

Il prossimo capitolo verrà pubblicato settimana prossima, al sabato, ormai mi sono arresa al fatto che venerdì tendo ad essere abbastanza esausta!

Ringrazio tutti coloro che mi seguono, mettendo la storia tra le preferite, tra le seguite e tra quelle da ricordare! E un enorme grazie anche a chi legge silenziosamente questa fanfiction. Ricordate: le recensioni sono più che gradite! ^_^

 

vannagio: carissima! Grazie, grazie e ancora grazie! Certo che ti voglio dedicare un capitolo, mi sembra più che giusto! Mi stai seguendo con una costanza davvero invidiabile!

Adesso vedi quali erano le intenzioni di Joshua, effettivamente si è giocato bene le sue carte, e nel prossimo capitolo si vedranno le reazioni di Leah e la mia interpretazione di ciò che è avvenuto con Sam.

Jeremy è una persona socievole, ovviamente non avrebbe problemi a fare quattro chiacchiere con Leah ma lei…in effetti per ora preferirebbe farsi tagliare la coda!

Grazie per la recensione e anche per la fiducia, spero di non deluderti strada facendo!

Baci, chiaki

   
 
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