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Autore: Unsub    09/10/2010    2 recensioni
Un inaspettato ritorno nella squadra. Qualcuno il cui passato riguarda ognuno di loro. A volte la memoria gioca brutti scherzi...
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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Capitolo XIV. Can I hold you? Capitolo XIV:  Can I Hold you?

Tutti i membri dell’unità erano intorno a lei. Sua zia le teneva la mano e piangeva. Lei aveva gli occhi asciutti e sembrava solo triste. Aveva pianto tanto in quei due giorni. L’unico testimone di quel pianto era stato Spencer, che ora la stringeva a se senza dire niente. Si voltò per incontrare il suo sguardo. Lui c’era sempre per lei, sapeva che non l’avrebbe mai lasciata. Era il suo punto di riferimento ora che non aveva più nessuno. Era sola. Tornò a guardare la bara. Sua madre alla fine se ne era andata, forse era meglio cosi. Negli ultimi nove anni era stata attaccata ad un respiratore, quella non era vita. Era stato un lungo addio e quello era l’atto finale.
Una persona dall’altra parte della bara attrasse la sua attenzione. Era un uomo brizzolato. Le era stranamente familiare, ma non sapeva dire dove l’aveva incontrato. I loro occhi si incrociarono e lei vi lesse tenerezza e preoccupazione. Chi era quell’uomo?

La veglia funebre fu allestita nella casa dei suoi genitori. Spencer, Derek, Emily, JJ e Garcia si guardavano ricordando l’ultima volta che erano stati tutti insieme in quella grande casa. Spencer seguiva continuamente Sarah con lo sguardo timoroso che lei potesse avere un crollo emotivo.
Poi fu distratto dall’arrivo inaspettato di un vecchio amico.
-    Gideon.
-    Reid… come sta?
-    Sembra che regga, ma…
-    Già. Come va la sua memoria?
Spencer lo guardò a lungo.
-    Non ricorda e forse adesso è meglio cosi.
Jason annuì stanco e si stropicciò gli occhi.

Sarah osservava Spencer parlare con quell’uomo. Allora lui lo conosceva. Più tardi gli avrebbe chiesto chi era. La sua attenzione fu attratta dalle scale. Ricordava di essere tornata a casa dopo il funerale di suo padre, ma i suoi ricordi si fermavano ai piedi delle scale della soffitta.
Si guardò intorno. Ora nessuno badava a lei e decise di salire al piano superiore. Abbassò le scale e rimase lì a guardare quel buco nero in un misto di impazienza e paura. Il trauma che l’aveva privata della memoria risiedeva lì, in quella soffitta. Ora ne era più sicura che mai. Aveva ricordato quasi tutto della sua vecchia vita tranne cosa fosse successo lassù e… Spencer. Tutti i ricordi connessi a Spencer erano stati spazzati via. Perché? Cosa era successo in quella soffitta nove anni prima?
Prese un respiro e si arrampicò con piglio deciso verso la soluzione alla sua amnesia.
Riscese piuttosto scossa circa mezz’ora dopo. Si sentiva insicura sulla gambe e si poggiò alla ringhiera. L’emicrania stavolta era fortissima. Aveva avuto ragione. Era lì che risiedeva il motivo della sua amnesia. Faticava ad accettare quella verità cosi scomoda e scioccante. Si decise a ritirare su le scale e si voltò per scendere, in quel momento Spencer saliva le scale.
Si fronteggiarono. Lui le si avvicinò incerto.
-    Tesoro, sei pallida. Non ti senti bene?
-    Tu sapevi? – chiese lei visibilmente arrabbiata.
-    Di cosa stai parlando?
-    Tu sapevi?
-    Si – si arrese lui – si.
-    Perché non me lo hai detto?
-    Perché… lo sai perché – la prese fra le braccia e la strinse a se – Non volevo che tu soffrissi di nuovo.
-    E allora meglio tenermelo nascosto, vero? – lei tremava – Lui dov’è?
-    Di sotto nella camera da musica – la lasciò andare, sapeva che non poteva fermarla.
-    Devo… devo parlare con lui.
-    Si, capisco. Noi stiamo andando via. C’è…
-    Un’emergenza – lei sospirò e sembrò che tutta la rabbia fosse scomparsa – Mi chiami?
-    Certo. Cerca di riguardarti. Per qualsiasi cosa chiamami immediatamente.
Lei gli carezzò il viso e poi si strinse a lui.
-    Stai attento – gli bisbigliò nell’orecchio – Torna da me.
-    Sempre – le rispose lui prima di baciarla – Ti amo Sarah.

Salutò il resto della squadra sulla porta di casa. Poi si incamminò lungo il corridoio. Doveva affrontarlo subito, prima di perdere il coraggio. Ora l’adrenalina causata dalla rabbia l’aiutava a non avere paura di quello che si sarebbero detti.
Chiuse la porta scorrevole alle sue spalle e chiuse a chiave. Lui si girò e la osservò. Finalmente si sarebbero parlati e chiariti. Non era sicuro che lei lo avrebbe mai perdonato, ma doveva fare quel tentativo. Doveva rimediare in qualche modo.
I ricordi di Sarah erano ormai come un fiume in piena.

Suo padre era appena morto e sua madre era in coma. Dopo i funerali era tornata in quella grande casa vuota. Doveva riordinare tutti i documenti dei suoi. Doveva fare ordine. Dare via delle cose. Impacchettare il resto. Forse avrebbe fatto bene a vendere quella casa, la casa che racchiudeva i ricordi felici della sua infanzia.
Mentre era in soffitta aveva trovato un baule che era appartenuto a sua madre. C’erano foto di lei da ragazza, il suo vestito da sposa, pacchi di lettere e dei diari. Cominciò a leggere i diari per rievocare il ricordo di lei, della sua adorata mamma. Quello che vi lesse distrusse le ultime vestigia della sua innocenza.
Suo padre, Richard Edward Collins, era sterile e non poteva dare a sua moglie quel bambino che lei tanto desiderava. Erano cominciati i litigi per le cose più stupide e alla fine Elizabeth aveva preso armi e bagagli e si era trasferita da sua sorella Erin. Sua sorella all’epoca lavorava con un gruppo di profiler dell’F.B.I., anche se voleva far carriera e abbandonare il lavoro sul campo. Uscivano spesso tutti insieme e dopo la separazione Elizabeth si era unita alla brigata.
Aveva conosciuto uno dei colleghi della sorella. Un uomo pacato e gentile che le aveva fatto battere il cuore. Prima di rendersene conto si era innamorata di quest’uomo che sembrava ricambiare i suoi sentimenti. Nonostante Elizabeth desiderasse più di qualunque altra cosa dividere la sua vita con lui, sapeva che il lavoro lo avrebbe sempre tenuto lontano. Poi si era resa conto di essere incinta. Erano cominciati i ripensamenti. Lui aveva già un matrimonio fallito alle spalle, non sarebbe mai stato un buon padre per quel bambino,non avrebbe mai lasciato il lavoro che tanto amava.  Cosi lei si era riavvicinata a Richard che aveva accettato di crescere quel bambino a condizione che quell’uomo sparisse dalla vita di sua moglie e non facesse mai parte della vita di quel figlio che avrebbe cresciuto come suo.
Cosi era stato. Richard era stato un padre fantastico e aveva voluto bene a quella bambina come se fosse veramente figlia sua. All’interno del diario trovò una vecchia foto di sua madre e quell’uomo. Quello, quello era il volto del suo padre biologico. Non riusciva a crederci! Sua madre aveva rispettato la promessa fatta a Richard. Non aveva mai detto a sua figlia la verità sulla sua nascita. Per quella bambina Richard era a tutti gli effetti suo padre.
Rimise a posto i diari e le lettere che l’altro le aveva mandato. Chiuse la porta di casa e se ne andò per non tornarci più. Per lei quella non era più la casa felice della sua infanzia. In quella casa lei era vissuta nella menzogna per diciassette lunghi anni.
Aveva preso il suo secondo dottorato. Continuava a chiedersi che tipo di persona fosse suo padre. Perché aveva scelto il lavoro invece di sua figlia e della donna che amava? Cosa c’era nel profiling di cosi importante?
Cominciò a studiare psicologia e  decise di andarlo a cercare appena conseguito il terzo dottorato. Ricordava ancora il loro incontro. Lui era nervoso, sembrava vergognarsi di doverla affrontare.
-    Io… non sono un tipo molto paterno.
-    Lo so, ho letto le lettere… perché non hai scelto noi?
Lui sorrise in modo strano.
-    Non puoi capire. Quando sei un profiler c’è troppo da proteggere, troppe persone da difendere, troppi cattivi da fermare…
-    Io… voglio entrare nell’F.B.I.
-    Vuoi seguire le miei orme?
-    Voglio capire. Credo di averne il diritto.
-    Farò in modo che tu venga ammessa all’accademia. Naturalmente nessuno dovrà mai sapere che…
-    Che io sono tua figlia e non una matricola come tante… capisco.
Sei mesi dopo era pronta. Era la prima del suo corso, era superiore a tutti gli altri. Aveva anche seguito il corso speciale di comunicazione non verbale. Aveva tutte le carte in regola per entrare nella B.A.U.
Di nuovo ebbero un incontro privato.
-    Sarah, tu non puoi entrare nell’unità.
-    Perché? Sono preparata! Sono la migliore del mio corso!
Lui sospirò.
-    Non c’è posto per te nella squadra, sarebbe… sarebbe inappropriato. Farò in modo che tu venga presa nell’Interpool, mi sembra la soluzione migliore per tutti e due.
-    Dove?
-    In Francia, a Lione.
-    Mi stai mandando in esilio?
-    Ti sto tenendo al sicuro. Quando sarai pronta farò in modo che tu torni qui. Preferisco cosi. E’ meglio per tutti.
-    Ti vergogni di me?
Lui alzò lo sguardo e per la prima volta da che si conoscevano lei vi lesse dolcezza. Quella dolcezza di cui sua madre si era innamorata.
-    No.

Ora si fronteggiavano in silenzio. Lui l’aveva ferita con il suo rifiuto di ammettere che era sua figlia. Lei l’aveva estromesso dalla sua vita.
-    Sarah…
-    Non hai mai risposto in modo esauriente alla mai domanda.
-    Quale?
-    Jason, ti vergogni di me?
-    No! Se mai mi vergogno di me stesso. Sarah, chiunque sarebbe orgoglioso di averti come figlia! Io almeno lo sono!
Lei gli gettò le braccia al collo e pianse. Lui la teneva stretta a se.
-    Ti ho mandato in Francia convinto di proteggerti, di tenerti al sicuro.
-    Lo so. Ho capito perché hai preso quella decisione.
-    Potrai mai perdonarmi?
-    Papà…
Non c’era altro da dire.

Continua…
   
 
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