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Autore: Macchia argentata    11/10/2010    13 recensioni
L’avevo desiderata intensamente per anni, l’avevo desiderata al punto da stare male…Ma adesso non avevo nessuna intenzione di rovinare tutto con la fretta. Volevo assaporare ogni istante, ogni singolo momento di quella notte in cui, per la prima volta, avrei fatto l’amore con la donna che amavo da tutta la vita.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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2 Respirai a fondo, cercando di controllarmi. Le mie mani indugiavano ancora alla base del colletto slacciato dell’uniforme di Oscar, quasi timorose, forse conservando ancora tracce dolorose del ricordo della violenza con cui un tempo avevo provocato una frattura a lungo insanabile nel nostro rapporto. Oscar capì che esitavo, e scostò leggermente il volto dal mio, sfiorandomi il lobo dell’orecchio con le labbra: “Non fermarti, Andrè…E’ una cosa che vogliamo entrambi.” La voce le tremava leggermente, ma a conferma delle proprie parole levò a sua volta le mani verso gli alamari della mia uniforme, iniziando lentamente a scioglierli. A quel punto la paura scivolò via, e i miei gesti si fecero più sicuri, impazienti…
Sentivo il cuore martellarmi violentemente nel petto, il tocco leggero delle mani di Oscar che si spostavano sulle mie spalle, lasciandomi scivolare di dosso la casacca dell’uniforme, il calore quasi doloroso delle sue dita che, inquiete, iniziavano ad accarezzare il mio petto. Mi sporsi a baciarla, un bacio lento, mentre liberavo dall’asola anche l’ultimo bottone della sua uniforme. Le mie mani risalirono carezzandole la schiena, al di sopra dell’uniforme che ancora portava addosso, e ridiscesero lungo le sue braccia, fino a coprire le sue mani sul mio petto. Mi allontanai leggermente da lei, scrutandola in viso, per quanto la mia vista sfocata mi consentisse di fare. Aveva le gote arrossate e gli occhi lucidi, talmente bella da lasciare senza fiato. Talmente seducente da considerare quasi un crimine aver lasciato che vivesse e si comportasse come un uomo, fino a quel momento. Per me, Oscar, da sempre aveva avuto un posto accanto a quelle luminose e dorate divinità greche che spesso vedevo raffigurate nei quadri dei grandi maestri, ed era proprio la sua natura divina ad averla sempre resa ai miei occhi splendida ed irraggiungibile, non lasciandomi altra possibilità se non quella di adorarla in silenzio. Le spostai delicatamente la mano sul mio petto nudo, fino a raggiungere il punto esatto in cui batteva il mio cuore: “E’ tuo, Oscar…” le sussurrai, guardandola dolcemente “Da sempre e per sempre…” Per un breve istante i suoi occhi si sgranarono, poi, impercettibile e silenziosa, una lacrima scese indisturbata dai suoi occhi. Il suo palmo si chiuse a pugno, per poi riaprirsi sul mio cuore che batteva per lei, solo per lei.
“Avrei voluto capirlo prima…” mormorò con una nota di rimpianto nella voce incrinata “Oh, Andrè, avrei tanto voluto capirlo prima…”
Con l’altra mano le sollevai il mento, sorridendole dolcemente mentre i nostri occhi si incrociavano: “Avremo tutto il tempo, Oscar, per essere felici insieme…Questo, non è che l’inizio…” bisbigliai prima di baciarla delicatamente.
Sentii le sue dita intrecciarsi brevemente con le mie, prima che sollevasse le nostre mani unite dal mio petto, per spostarle, dopo aver scostato leggermente il lembo sinistro della propria uniforme, sul suo.
Lasciò che dischiudessi il palmo della mia mano sulla curva delicata del suo seno, sopra al suo cuore che batteva furiosamente tanto quanto il mio: “Anche il mio cuore ti appartiene adesso…” mormorò accostandosi con le labbra al mio orecchio “E’ tuo per sempre…”
E a quelle parole, il groppo che mi serrava la gola da anni, imprigionando la mia anima, si sciolse improvvisamente, lasciando che la gabbia della mia solitudine forzata si aprisse per poi richiudersi alle mie spalle, definitivamente.
‘Mio’ dicevano le labbra di Oscar che vagavano per il mio volto.
‘Mia’ diceva la mia mano sul suo seno, sopra al suo cuore.
Con delicatezza portai anche l’altra mano sotto alla sua uniforme, aprendola e lasciando che le scivolasse a sua volta giù dalle spalle, mentre i miei palmi avvolgevano i suoi seni morbidi e pieni, che, scoprii, si adattavano perfettamente alla forma delle mie mani, come due elementi a lungo separati che ritrovavano il loro giusto completamento.
Le mani di Oscar mi accarezzavano ora la schiena, e, quasi per un tacito assenso, attirandomi a sé  lentamente si lasciò scivolare supina tra l’erba fresca e profumata d’estate che ci circondava in quell’intimo scorcio di campagna. La sovrastai, carezzandole una guancia, e sforzando, per quanto potevo, l’occhio destro ormai quasi completamente cieco riuscii a scorgere i suoi capelli dorati che, sparsi nell’erba attorno al suo viso, sembravano essersi disposti come una raggiera luminosa attorno al sole. Ed era un paragone che trovavo particolarmente azzeccato, perché era quello che Oscar era sempre stata per me: un sole che illuminava tutto ciò che la circondasse, e io, l’ombra che scaturiva  da questo alone abbagliante.
E come luce e ombra, non potevamo sussistere l’uno senza l’altra.
Mi chinai su di lei, baciandole le labbra, seguendo la curva della mandibola fino al collo, per poi scendere ancora verso le clavicole, e infine, sui seni. Sentii il suo corpo irrigidirsi per un breve attimo e trattenere il respiro quando le mie labbra si strinsero intorno ad un capezzolo, per poi rilasciarlo in un suono soffocato. Le sue mani si spostarono verso la mia nuca, accarezzandomi i capelli che, essendo sciolti e leggermente più lunghi di come li portavo di solito, le sfioravano i fianchi e il ventre. Senza fretta le baciai entrambi i seni, assaporando quel contatto a lungo bramato e costantemente negato con la sua femminilità. La mia mano destra cominciò a vagare inquieta sul suo ventre, sulla curva del suo fianco, sul tessuto morbido dei suoi pantaloni. A quel punto la mano di Oscar mi bloccò. Per un istante pensai che avesse intenzione di fermarsi, che tutta quell’intimità la stesse mettendo a disagio, spaventandola. Ma quando le sue mani si posarono nuovamente sul mio torace, per poi scendere verso la cintura dei pantaloni, capii che voleva semplicemente riprendere il controllo di se stessa e della situazione, un comportamento che mi fece sorridere, perché era tipico di Oscar. Mi adagiai al suo fianco, e le sfiorai la fronte con un bacio, mentre lei mi accarezzava il petto con le labbra, ed entrambi finivamo di spogliare l’altro. Quando, infine, non rimase nessuna difesa esterna a separare i nostri corpi, mi concessi un lungo istante per guardarla, per quanto l’occhio ormai quasi cieco me lo consentisse: era bellissima, il meraviglioso, esile corpo completamente abbandonato tra l’erba fresca, la curva piena dei seni delicati, i fianchi dolci, la dimostrazione, finalmente sotto ai miei occhi, della sua assoluta femminilità.
Mi chinai su di lei, le scostai i capelli dal volto, portandomi una ciocca dorata alle labbra. Oscar allungò una mano verso la mia guancia, e a sua volta scostò dalla mia fronte i capelli che mi ero abituato a portare davanti alla metà sinistra del viso per coprire l’occhio sfregiato e la sua brutale cicatrice. Per un attimo mi irrigidii: immaginavo non dovesse essere un bello spettacolo, e per di più associavo a quella ferita una serie di spiacevoli ricordi…Ricordi dolorosi, che si ricollegavano, in parte, al periodo in cui io e Oscar ci eravamo allontanati maggiormente, qualche anno prima.
Le esili dita di Oscar seguirono delicatamente la spessa cicatrice che mi attraversava l’occhio, mentre il suo sguardo si faceva grave, addolorato.
“Perdonami, Andrè…” mormorò.
“Oscar, tu non…” replicai, sorpreso.
Oscar mi trasse a sé, senza darmi il tempo di finire, e appoggiò la fronte alla mia.
“Invece si, Andrè…Tu mi sei sempre stato accanto, per sostenermi, e proteggermi…Anche quando ho cercato in tutti i modi di allontanarti, perché non comprendevo i tuoi sentimenti per me. Ti ho fatto soffrire, e ne porti ancora le cicatrici addosso…”  la sua bocca scese sulla palpebra ferita, posandovisi delicatamente, mentre un sospiro a lungo trattenuto fuoriusciva dalle mie labbra. Le parole di Oscar, insieme alle sue morbide labbra, si adagiavano come un balsamo sulle ferite aperte che mi portavo dietro da molto, troppo tempo, lenendole dolcemente. “Non voglio più farti soffrire Andrè, voglio essere la tua compagna, il tuo sostegno…Voglio combattere le tue battaglie, gioire delle tue vittorie e appoggiarti nelle avversità. Voglio essere la tua donna, tua e solo tua…Mi permetterai di esserlo?”
La strinsi forte a me, mentre una prepotente gioia, a lungo desiderata, si diffondeva in ogni particella del mio essere.
Sei mia. Sono tuo. Un solo corpo. Una sola persona. Per sempre.
Con la totale e assoluta fiducia che entrambi potevamo leggere nello sguardo dell’altro scivolai dentro di lei, tra le sue gambe pronte ad accogliermi in un caldo abbraccio, completamento a lungo cercato del mio essere uomo, del suo essere donna, la mia donna.
Gridai il suo nome, e lei mi strinse a sé, i nostri respiri violenti fusi l’uno nell’altro, mentre il profumo dell’erba si mescolava al cicalio dei grilli in sottofondo, e al lieve pulsare ritmico delle lucciole che ci circondavano, eteree e luminose.

Solo dopo un tempo che mi parve breve e infinito contemporaneamente, adagiato sul suo corpo appagato, il volto sprofondato tra i suoi riccioli dorati, mentre le sue mani immerse nei miei capelli avevano ormai ceduto all’abbandono, ebbi la netta sensazione che quella fosse la mia rinascita, l’immensità dell’infinito a portata di mano, e niente che più contasse, se non la perfezione di quel momento.
Dimenticai la rivoluzione imminente, le differenze sociali e i nostri ruoli reciprochi.
Per quel breve istante, poco prima che l’alba del tredici luglio illuminasse i nostri corpi abbracciati, potevamo essere solo Oscar e Andrè.
Voltai lievemente il viso, immerso nell’oro dei suoi capelli, e proprio mentre il primo raggio di sole faceva capolino all’orizzonte, le sussurrai all’orecchio: “Sei mia. Sono tuo. Questo, Oscar, non è che l’inizio…”
  
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