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Autore: dydy    12/10/2010    2 recensioni
ragazzi/e questa è una storia inventata da me...spero che mi piacera
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Special girl & Special school
 
IL TRASFERIMENTO


Era mattina. La luce filtrava attraverso le tende chiuse in modo affrettato la notte precedente. Gli occhi verdi si aprirono dopo un po’ di tempo, irritati dalla presenza del sole in quella camera che sarebbe dovuta rimanere totalmente buia per ancora alcune ore. Sollevò il corpo pigramente, strofinando una delle palpebre con la mano. Guardò il calendario appeso al muro vicino all’armadio. C’era una data cerchiata; 8 di settembre, lunedì. L’inizio della sua avventura - come diceva sua mamma -, attraverso le superiori. Mancavano ancora due giorni fino a quel giorno. E lei sperava con tutta se stessa che esso si dilungasse prima di arrivare. Ma sapeva che non sarebbe stato cosi.
 
‘Joseph! Svegliati, oggi è il grande giorno!’ sentì la voce energetica della madre provenire dal fondo delle scale. Sospirò. Come poteva avere tutta quella energia il mattino presto? Decise di andare a fare colazione. Era già sveglia, dopotutto. Si alzò dal letto, cambiò i vestiti lentamente, poi scese in cucina esattamente con lo stesso livello di eccitazione - nullo.
 
‘Joseph, figlia mia, come hai dormito?’ una donna bionda, alta e dagli occhi verdi abbaianti, abbracciò la ragazza che ancora sembrava dormiente.
 
‘Così, così’ non rispose all’abbraccio, ma sapeva che resistere sarebbe stato inutile. ‘Caroline.’ sussurrò.
 
‘Ho già detto che devi chiamarmi mamma!’ la rimproverò con un tono di voce leggermente arrabbiato.
 
‘Caroline…’ ripeté. ‘Non riesco a respirare.’
 
‘Scusami, cara!’ esclamò, lasciandola andare. Joseph controllò che stesse tutto a posto, poi si diresse verso il tavolo della cucina. Lì suo padre, un uomo di mezza età con un certo livello di calvizie, se ne stava seduto tranquillamente, con una tazza di caffè in una mano e il giornale locale nell’altra.
 
Abitare nel bel mezzo del nulla, a quasi 20 miglia di distanza dalla civiltà - che in questo caso veniva rappresentata dalla città Fort Worth, Texas -, per quella famiglia di sole tre persone sembrava essere più che sufficiente. O almeno per due dei tre componenti appena citati.
 
‘Ho fatto un sogno strano.’ commentò la ragazza, appena si sedette nella sedia di fronte a suo padre.
 
‘E cos’hai sognato, cara?’ chiese Caroline, versandole l’orzo dentro la tazza bianca a strisce verdi.
 
‘Ho sognato che oggi dovevamo cambiare casa, perché andavamo a New York.’ sorseggiò il liquido che adorava bere il mattino presto. ‘Non vi sembra buffo?’
 
‘Joseph, cara, non era un sogno.’
 
‘Cosa vorresti dire?’
 
‘Che noi ce ne andiamo sul serio via.’ la giovane riappoggiò la tazza sopra in tavolo in legno, e per un qualche motivo quelle informazioni sembrarono suscitare in lei ricordi lontani. Ricordi della sera scorsa.
 
‘Stai scherzando, vero?’
 
‘Questo posto non ti fa bene, cara. Fra poco inizierai la prima superiore e non hai neanche un amico. Come pensi di andare fino a Dallas ogni giorno e tornarci per studiare?’ le spiegò con un tono calmo e leggero, quasi stesse spiegando a un bambino a cosa serve una forchetta.
 
‘Beh, e tu davvero credi che io me ne andrò lasciando i miei animali alle spalle?’ domandò, senza aspettarsi una risposta. Si alzò da tavola, intenta a tornare in camera sua.
 
‘Abbiamo già venduto la fattoria. Ti avevo già fatto questo discorso ieri… Non credere che me ne sia dimenticata!’ afferrò il polso della figlia prima che potesse raggiungere il primo scalino. ‘Caro, diglielo che noi andremo nella grande mela con o senza la sua approvazione!’
 
‘No, non voglio altro zucchero.’ rispose l’uomo, probabilmente troppo immerso nel suo giornale per poter badare a quella discussione.
 
‘Eliot! Ma almeno mi ascolti quando parlo?’
 
‘Sì, mi piace la tua pettinatura, cara.’ proseguì, voltando pagina.
 
‘Comunque, spero che per le cinque di sera tutte le tue cose siano ben messe negli scatoloni, capito?’
 
‘Sì, Caroline.’ rispose. Sapeva benissimo che il centro di quella famiglia era sua madre, e che se lei voleva qualcosa, di sicuro l’avrebbe avuta. Provare a convincerla di cambiare idea sarebbe stato uno spreco di tempo e energie.
 
Però, non era per niente contenta di tutto questo.
 
° ° °
 
Guardò la casa al centro della fattoria per un’ultima volta. Era in legno ricoperta da un tetto rosso. Il pavimento frignava e in bagno ogni tanto pioveva dentro. Un cartello davanti alla proprietà diceva SOLD OUT. Venduto. Come un pezzo di carne, insomma. Non importava se lì dentro aveva camminato per la prima volta o se tutta la sua vita era rimasta socchiusa tra quelle mura. Adesso dovevano partire per un’altra vita, nella città che tutti amano, New York.
 
° ° ° °
 
Le vacanze estive erano finite. Adesso che si ritrovava davanti al cancello della scuola, finalmente fu in grado di capirlo. Con sé portava soltanto una piccola borsetta nera con dentro penna e matita. Per fare il test di ammissione non c’era altro di cui avesse bisogno. Quello era più che sufficiente.
 
Alcuni alunni erano già diretti all’entrata, dunque all’inizio delle lezioni. Ma lei avrebbe iniziato soltanto una settimana dopo, appena il risultato fosse stato dichiarato e dunque aggiunto alla lista con la classificazione degli alunni d’accordo con la loro punteggiatura nel test.
 
Le prime tre ore andarono bene. Era tutto estremamente facile, ciò nonostante non avesse studiato. Uscì dall’aula riservata soltanto per lei, per sfruttare la propria pausa.
 
Camminò per il corridoio vuoto. Non le sarebbe dispiaciuto rimanere lì, se il caos di quella mattina non si ripetesse. La calma era una delle cose che più apprezzava. Incontrò una macchinetta per le bevande davanti alla biblioteca. Un’aranciata costava ottanta centesimi. Cercò tra le sue innumerevoli tasche dei pantaloni larghi, ma riuscì a trovarne solo cinquanta in totale.
 
‘Dannazione.’ commentò tra se e sé. ‘Mi mancano trenta centesimi.’ Si voltò nella direzione dalla quale era appena arrivata, rimettendosi a camminare. Sentì il tintinnio di monete che venivano depositate dentro la piccola serratura del distributore automatico. Fermò i propri passi, girandosi per vedere chi l’aveva provocato. Allora incontrò un ragazzo al di sopra dei padroni di bellezza ai quali era stata abituata. Aveva gli occhi di un azzurro anormale, adornati benissimo al fisico atletico e ai capelli neri arruffati. Usava una semplice tuta, ma stava meravigliosamente bene lo stesso, quasi fosse un dio in terra. Anche la pelle era bella; abbronzantissima, senza neanche un segno dell’acne normale per gli adolescenti.
 
‘Ti presto trenta centesimi.’ mormorò.
 
‘Grazie.’ non le venne nient’altro da dire.
 
‘Non c’è di che.’ sorrise, e che sorriso. Possedeva 32 denti bianchissimi e perfettamente collocati al loro posto. La sorpassò e scomparse appena voltò l’angolo del corridoio.
 
‘Che ragazzo strano.’ sussurrò, ritornando alla macchinetta e depositando il resto delle monete per poter prendersi l’aranciata.
 
Quando tornò a casa quel pomeriggio, trovò un casino bestiale. In tutti i sensi. Gli Seymour avevano deciso di risiedere in un appartamento in un condominio nella media, un po’ al di fuori di Brooklyn, a cinque chilometri di distanza dalla scuola che aveva scelto. Le persone che li abitavano erano nella gran maggioranza di etnia asiatica oppure scuri di pelle, ma comunque tutti simpaticissimi e molto ospitali. Li avevano già invitati ad assistere ad un concerto gospel e alcune torte da parte dei vicini giacevano sopra in tavolo rotondo che stava in un angolo in cucina, sperando pazientemente il momento in cui qualcuno si sarebbe deciso a spostarlo. Il che non accadde per circa due settimane.
 
‘Com’è andato il primo giorno?’ domandò Caroline, portando uno scatolone in braccio. Sembrava pesante, ma Joseph decise di non chiederle se voleva aiuto. Non faceva parte della sua indole recitare la brava figlia.
 
‘Bene.’ rispose semplicemente. Neanche una frase insomma, prima di scomparire dietro alla porta di camera sua. Essa era l’unica stanza, tra l’altro, già perfettamente sistemata.
 
Si sedette sopra il letto, dunque girò la testa verso il comodino, e il suo sguardo ricadde subito sul suo quaderno di disegni. La sera precedente l’aveva aperto, ma non le venne niente di interessante da disegnare. Si raggirò, finendo per appoggiare i gomiti sul materasso per sostenere il peso della parte superiore del corpo che si manteneva sollevata. Allungò la mano e afferrò il quaderno. Lo aprì in una pagina qualsiasi. Aveva già il disegno di una rosa, ma lo spazio era ancora sufficiente per quello che voleva ritrattare. Sfilò la matita che sempre manteneva in mezzo alla spirale del quaderno, e iniziò a scarabocchiare.
 
Quando finì, sorrise intimamente. Quella era una bottiglia di aranciata.
 
° ° ° °
 
Finché non fosse stato dichiarato il risultato del suo test, Joseph frequentò la scuola soltanto come udente. Il che per lei era quasi come stare in mezzo alle nuvole. Si sedeva all’ultimo posto a destra dell’aula, proprio accanto ad una gigantesca finestra che si affacciava alla parete. Durante le ore disegnava, pensava oppure si ricordava dei piccoli che aveva lasciato alla fattoria. Ah, quanto le mancavano. Disegnò uno dei suoi conigli preferiti durante la terza ora del giovedì. Era totalmente bianco, non fosse per gli occhi rossi e un orecchio grigio, il quale non stava mai dritto, a differenza dell’altro.
 
Se i giorni passavano in fretta? Direi proprio di no. Non sopportava quel mare di gente che si spostava da una parte all’altra nei corridoi appena suonava la campanella. Non aveva fatto nessun amico, e dubitava che qualcuno in classe sapesse il suo nome, o addirittura se esisteva. Ma, questa era la parte bella. Cosi non avrebbero sentito la sua mancanza.
 
Non voleva fare il rientro, quel giovedì. Odiava l’educazione fisica più della scuola stessa, e non voleva far brutte figure davanti alle compagne belle e brave a fare tutto. Certo, era lontana dall’essere grassa, però con l’apparenza che aveva di solito - felpa, pantaloni larghi e capelli legati in una coda scompigliata -, non poteva certo definirsi attraente.
 
Dunque, camminò con il quaderno di disegno in mano, fino a trovare il paesaggio perfetto; il campo sportivo. Nonostante la giornata abbastanza mite e senza alcuna nuvola, esso non era proprio bello, e il panorama grigiastro della città tutto intorno toglieva parte del suo fascino, ma le piaceva l’idea di sedersi sull’erba. Così avrebbe potuto rivivere, almeno un po’, la campagna che tanto amava.  E così fece. Si accovaccio, trovò un posto adeguato, poi si mise a sedere tranquillamente.
 
Aprì il quaderno sulle ultime pagine, ritrovandosi davanti un foglio completamente bianco. Prese la sua infallibile matita, e sospirò. Guardò il campo ancora una volta, prima di immergersi nella sua immaginazione e trovare il disegno adatto. All’inizio era solo uno schizzo, ma pian piano cominciò a prendere forma.
 
Sentì il rumore di passi, ma le sembrarono talmente lontani che non rivolse alcuna attenzione a loro. I passi cessarono, e lei ringraziò in pensiero, ma non per molto. ‘Ciao.’ qualcuno disse, spezzando il suo filo di pensiero. Lei quella voce la conosceva, dunque decise di alzare lo sguardo fino al suo proprietario. Quello era il ragazzo dell’aranciata, si ricordò in silenzio. Però, subito i suoi occhi ricaddero sul foglio. Non le cambiava assolutamente niente parlargli o no.
 
‘Ma tu sei trenta centesimi!’ esclamò lui, apparentemente entusiasta. Lei semplicemente decise di ignorarlo. Prima o poi sarebbe andato via.
 
‘Io mi chiamo Josh Carter, piacere.’ si presentò, mettendosi accanto a lei e porgendogli la mano. Lei neanche si mosse. ‘Tu, invece?’ insistette. Sembrava intento a strapparle un po’ di parole, anche obbligandola.
 
‘Joy.’ si mantenne monosillabica.
 
‘Bel nome, per caso hai anche qualcosa dopo? Che ne so, un cognome andrebbe bene.’
 
‘Hmm.’ sogghignò.
 
‘Interessante. Joy Hmm.’ rise della propria battuta. Si sentì un po’ in imbarazzo, ma la prossima meta sarebbe stata farle fare un sorriso. Anche piccolo sarebbe bastato. ‘Comunque, io preferisco signorina trenta centesimi.’
 
‘Hmm.’ stavolta proveniva dal fondo della gola.
 
Ebbe l’impressione che non so stesse ascoltando, e decise di verificarlo. ‘Ma a casa tua ci sono le mucche? Sembreresti proprio una di loro con ‘sti versi che continui a fare.’
 
‘Hmm.’ ne ebbe la conferma. Lo ignorava completamente e senza esitazioni.
 
Josh non mollo. Testardo come era continuo a correre intorno. Joy fini il suo disegno, si alzo e camino in direzione dell’uscita dal parco non degnadolo neanche di uno sguardo. Josh vedendola andare via la saluto ‘ A domani signorina trenta centesimi’. Joy non ci bado neanche.
Appena a casa rivede i disegni e con sua sorpresa vide che disegno anche il ragazzo. Penso che sia molto assorta e non se ne era accorta visto che continuava a girarli intorno. Joy penso che quel ragazzo fosse molto strano e con quel pensiero si addormento.
  
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