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Autore: WYWH    14/10/2010    4 recensioni
"Il mio primo ricordo che ho è la sua figura che mi dava la schiena, i suoi occhi rivolti sulla linea dell’orizzonte di quella spiaggia, raggiungibile dal suo ryokan a piedi in tre quarti d’ora; con una corona di nuvole grigie che decoravano quel cielo di fine Giugno, la sua presenza mi è sembrata pallida come la nebbia colpita dal sole, e come tale temetti che sarebbe scomparsa proprio davanti ai miei occhi. Invece quando si voltò, e riconoscendomi mi salutò, la mia testa si addormentò per pochi secondi nel sogno del suo sorriso. E sentii, per la prima volta, che i ghiacci del mio cuore diventavano acqua fresca.
In breve, m’innamorai di lei."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark, Maki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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III: Tokonoma

 

Mi svegliai che ero coperto di sudore, e credo di aver anche gridato nel sonno, o qualcosa del genere; mi guardai intorno, e mi ritrovai nella mia stanza del ryokan. Da solo. Meno male: sarei sprofondato d’imbarazzo e di fastidio se la mia “cameriera personale” mi avesse beccato ad agitarmi nel sonno.

Mi guardai intorno, ancora sopraffatto dall’angoscia che avevo appena provato, ero ricoperto di sudore e sentivo caldo; vedere quella stanza e sentire il pavimento fatto di tatami sotto il mio fondoschiena non diminuì quella sensazione, anzi mi rese ancora più nervoso, tanto che provai a muovermi. Già, idea grandiosa con la gamba ridotta male! Una fitta mi bloccò giù e a bassa voce tirai giù al Paradiso un paio di santi.

Non che fossi cattolico, ma in Germania le prime parole che avevo imparato erano le bestemmie.

In pochi secondi mi sentii stanco, assonnato e frustrato, in una parola incazzato come una bestia: ero in un posto in un isola del Giappone dove non conoscevo assolutamente nulla e io, nato e cresciuto nella terra nipponica, non riuscivo neanche a distinguere un Onsen da un Ofuro!

Avevo voglia di andarmene, una tremenda voglia di andarmene quando le mie orecchie, che nel frattempo si erano stappate, avvertirono un suono, che riconobbi come una voce che cantava, il che mi sorprese, in un posto così silenzioso della musica faceva uno strano effetto, come se adesso non mi trovassi più veramente nella locanda, ma in un mondo di magia come “Alice nel paese delle meraviglie”.

sotto fureta     kuchibiru kanaderu

shizuka na     Harmony…

Il mio Giapponese, ancora arrugginito, non riusciva a distinguere bene le parole della canzone, ma stranamente la melodia in lontananza ebbe l’effetto di scemare la mia rabbia, sebbene al suo posto ci fosse rimasto un estraniamento da quello che avevo intorno, tanto che mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa di occidentale; l’unica cosa che c’era era la mia stampella.

L’afferrai e la guardai, alla ricerca del marchio di fabbrica: quando lo trovai, ci rimasi di merda.

Made in China

Porca Eva, ma possibile che ‘sti cinesi sono dappertutto?!

-Wakabayashi? Posso entrare?-

La voce di Maki mi riportò alla realtà, non me n’ero accorto ma la musica si era interrotta mentre le permettevo di entrare, con sé portava il vassoio della colazione; c’era pesce, ma almeno era cotto.

-Questo è Teriyaki, salmone grigliato e marinato. Spero ti piaccia.-

Annuii, ma non ne rimanevo convinto; tuttavia assaggiai e,dovevo ammetterlo, per quanto il pesce non mi facesse impazzire quel piatto era davvero buono.

-Yoi!- (buono)

-Ne sono contenta.-

Alzai lo sguardo verso di lei, sorpreso sia di quanto fosse buono il pesce sia del fatto che avevo esclamato una parola in giapponese: che razza di poteri aveva quella tipa davanti a me? Riusciva perfino a farmi ritornare giapponese.

-Hai dormito bene?-

No, ho avuto un incubo tremendo: sai, ho sognato il tuo ex marito che tentava di farmi fuori tirandomi un pallone che poi si è trasformato in una bestia che ha azzannato.

-Non molto: non sono abituato a dormire a terra.-

-Lo immagino, gli stranieri che vengono qui i primi giorni fanno fatica a riposare bene.-

-Invece sono rimasto sorpreso dalla musica.-

-Musica?-

-Si: quando mi sono svegliato ho sentito chiaramente una musica.-

Oddio, ecco magari me la sono immaginata e lei mi guarderà in maniera strana come se fossi impazzito!

-Ah, colpa mia: sai avevo acceso lo stereo a volume alto. Spero di non averti disturbato.-

No, mi hai solo fatto credere di essere fuori di testa per un nanosecondo!

Ero proprio di pessimo umore, era già il terzo commento che trattenevo disperatamente mangiando il salmone grigliato. Eppure, quando alzavo lo sguardo verso di lei, c’era sempre qualcosa che mi frenava dal parlare, non saprei dire se fosse il rispetto per una vedova (cosa che non ho mai avuto in tutta la mia vita) o qualcos’altro.

Notai allora che aveva cambiato colore del kimono: sinceramente quel colore mi faceva venire in mente uno yogurt ai frutti di bosco, e secondo me le stava decisamente male; il fermaglio, invece, era molto grazioso, era a forma di fiore di colore bianco e spiccava sulla sua capigliatura scura, ancora adesso non comprendevo se i suoi capelli fossero neri o castano scuri.

-Si?-

Ah, mi ero messo a fissarla, non me n’ero accorto. Che figura.

-Ah…che fiore hai tra i capelli?-

-Questo? È un fiore di Ume.- (Susino)

-Ah…-

Silenzio.

Beh io non so un cavolo di fiori! Per lo meno mi sono tolto dall’imbarazzo di essermi messo a fissarla così apertamente; però proprio non riusciva a non guardarla, anche in quella situazione avevo l’impressione che quella donna, all’improvviso, sarebbe scomparsa.

Era soprattutto il suo modo di fare che mi colpiva: anche in quel momento aveva il volto rilassato e gli occhi tranquilli, privi di una tristezza o di un dolore percepibile, e le labbra erano distese in modo tale che fossero sempre pronte a sorridere per il cliente. Anche in quel momento, quando terminai la colazione e poggiai i piatti sul vassoio, lei mantenne quell’espressione amichevole, rivelando da dietro la schiena (ancora oggi mi chiedo come abbia fatto) due bustine di carta, simile alle bustine da the.

Quando le aprì sentii chiaramente un campanello d’allarme dentro la testa: in ognuna c’era della polvere bianca, simile a zucchero a velo. Pensai per un istante che fosse droga, e immediatamente guardai la donna davanti a me con assoluto stupore.

-Prego, le tue medicine.-

Ah, meno male, erano le pillole.

…oh, le pillole.

-Cosa?-

-Ieri hai cercato d’imbrogliare, ma qui l’unico che ci rimette non sei solo tu: se non rispetti le indicazioni del dottore vengo sgridata in quanto tua cameriera personale. Perciò adesso prenderai le tue medicine in questo modo.-

-E come mai credi davvero che le prenderò? Sono ospite della locanda, ho diritto di scegliere quello che voglio fare.-

-Forse, ma io non ho intenzione di farmi sgridare per i tuoi capricci.-

Cosa?! Ma come si permetteva?! Il mio umore era già abbastanza nero, non c’era bisogno che arrivasse anche questo scricciolo di donna a rompermi ulteriormente le scatole.

-Come ti permetti?-

-Mi permetto eccome. Senti bene: se un medico prescrive delle medicine vuol dire che servono, quindi bisogna prenderle.-

-Non riuscirai a farmi ingoiare quella roba.-

-Ah, davvero?-

Lo sapevo che lo diceva per sfidarmi, lo sapevo perfettamente eppure ci cascai come un pollo perché pensavo: è fisicamente più piccola e magra del sottoscritto, ogni giorno faccio allenamenti massacranti e ora sono qui in VACANZA. Non può ASSOLUTAMENTE farmi nulla.

-Scommetto quello che vuoi.-

-Va bene: se vinco la scommessa ti prenderai le tue pillole per tutta la durata del tuo soggiorno qui al ryokan.-

Io dovevo saperlo che lei aveva qualche asso nella manica, era troppo sicura di sé; ma anch’io lo ero, e oltretutto la sua caparbietà m’innervosiva, c’era qualcosa che riusciva ad essere più testardo anche del sottoscritto.

-D’accordo, ma se vinco io non dovrai più darmele.-

-Ci sto.-

A quel punto agì, e come un ninja si alzò in piedi e con uno scatto agguantò la mia stampella, mettendola dietro la schiena mentre io restava fermo a guardarla, stranito e piuttosto scettico. Poi sorrise con aria furba, porgendomi la bustina con la prima polvere.

-Bene, adesso scegli: o prendi la medicina o rimani qui a vita, perché la tua stampella me la porto via.-

…maledetta strega! Ora ho capito! Stava giocando con il mio onore! Sapeva perfettamente che avevo problemi ad alzarmi e a mettermi a terra, e soprattutto che non riusciva a muovermi senza la mia stampella, e lei come la più infame delle donne me l’aveva sottratta senza che me ne rendessi conto! In un nanosecondo mi resi conto della situazione, e m’innervosii. Parecchio.

-Tu come…-

-Come ho osato? Te l’ho detto: non voglio essere sgridata solo perché un uomo grande e grosso sbatte i piedi a terra e fa i capricci come un moccioso perché non vuole prendere delle semplici pillole.-

Vi dirò: la situazione sarebbe stata anche divertente se non fosse stato che ero io quello in svantaggio e lei la dominatrice assoluta della partita.

Rimanemmo a lungo in silenzio, e in quell’aria di sfida che c’era tra di noi mi resi conto del perché una donna così era riuscita a sposare un uomo come Kojiro Hyuga: per domare una Tigre ci voleva un felino di altrettanta aggressività ma anche con la giusta dose di astuzia. E lei lo era.

Sapevo che ero in svantaggio, ma l’idea di essere stato battuto così velocemente da lei mi diede il nervoso così, mentre prendevo quella bustina di carta e mi prendevo la mia pillola (senza possibilità di imbrogliare, stavolta), non potei evitare di commentare.

-Di un po’, anche con Hyuga usavi questi miseri trucchetti quando volevi aver ragione in casa?-

-No, perché mio marito era una persona certamente molto più matura e responsabile di un figlio di papà viziato quale sei.-

Le lanciai un’occhiata di puro odio, non sapeva un cazzo della mia vita privata e non si doveva permettere di dire una cosa del genere!

Tuttavia anche lei mi guardò, seppur per un breve istante, con occhi ricolmi di odio. E rimasi scioccato.

Fino a quel momento i suoi occhi avevano mostrato sempre tranquillità, rispetto, divertimento e anche tristezza; ma la rabbia, l’odio che emanarono in quel breve istante fu in grado di colpirmi come un pugno in faccia, le sue iridi erano diventate nero carbone e si confondevano con la pupilla.

Poi, così come mi aveva guardato, allo stesso modo distolse lo sguardo, porgendomi invece l’altra bustina di carta e parlandomi, seppure con tono freddo.

-Ho vinto la scommessa, d’ora in poi perciò dovrai prendere le medicine.-

Non ce la feci a dire qualcosa, mi sentii terribilmente a disagio e presi anche quella bustina senza fare storie, come al solito avevo fatto danno, e stavolta lo avevo fatto bello grosso: lei era l’unica conoscente e ora me l’ero giocata.

Quando posai anche la seconda bustina sul vassoio lei si alzò, e velocemente mi ridiede la stampella e si riprese i piatti della colazione. Se ne stava andando con l’idea che io fossi uno stronzo, ed era esattamente vero. Tuttavia non volevo che avesse quest’idea di me, maledizione era l’unica persona che conoscevo!

-Akamine!-

Si bloccò, ed io mi sentii in tremendo impaccio: non ci ero abituato, non ci ero proprio abituato e non lo facevo quasi mai, come quando dovevo dire “grazie”; però sapevo che glielo dovevo, era colpa mia e dovevo risolvere la faccenda, le cose sospese non erano mai buone.

-Mi…mi dispiace, davvero sono mortificato.-

Avevo detto una cosa terribile nei suoi confronti, ma soprattutto avevo ritratto un aspetto della sua vita con Hyuga che non era assolutamente vera, solo perché aveva vinto una scommessa e perché aveva detto una cosa assolutamente vera della mia persona. Genzo Wakabayashi, sei veramente uno stronzo.

Lei si voltò verso di me, e la rabbia stavolta cambiò e vidi chiaramente la tristezza nei suoi occhi, e mi sentii ancora più di merda, credevo di sentire anche l’odore della merda di cui ero fatto.

-Ti chiedo di non parlare più di mio marito in questi termini, per favore.-

Stava per dire qualcosa, ma si trattenne e tolse il suo sguardo da me mentre io mi sentivo sprofondare nel letame della mia persona. Si allontanò silenziosamente, chiudendo dietro di sé la porta, e il mio primo istinto fu quello d’inseguirla e chiederle ancora una volta scusa. Ma il mio muscolo lesionato mi relegò nel futon.

E incredibilmente, come rare volte è successo nella mia vita, ho pensato all’altra persona che era stata con me fino a qualche secondo prima: al suo aspetto e al suo carattere, alla sua forza e a come mi aveva tenuto testa. E poi a come aveva reagito al mio modo di fare.

A quel punto avevo voglia di guardare il paesaggio fuori di camera, e afferrando la stampella decisi di provare ad alzarmi, constatando che lo Yukata era un asciugamano comodo…ma che se non stavi attento ti faceva mettere in mostra le gambe visto che la cintura era leggermente sciolta e mente mi alzavo lo Yukata si aprì, scoprendo non solo tutta la mia gamba sana ma anche parte del mio…insomma l’avete capito! Meno male che ero da solo.

Già, ero solo. Come al solito.

Mi portai lentamente verso la porta-finestra e l’aprii, sentendo immediatamente l’aria salmastra del mare e guardando gli alberi marittimi davanti a me; mentre quel verde mi assaliva, dandomi un leggero senso di pace, capii che Maki Akamine meritava rispetto più di qualsiasi altra persona che conoscevo.

Ecco, l’avevo ammesso. No, non era per il fatto che era una donna, figuriamoci: per me Sanae era una vera donna, invidiavo leggermente Tsubasa per essersi sposato una persona così forte e sicura, ero certo che avrebbero sfornato un esercito di giocatori che ci avrebbero fatto sicuramente il culo.

Neanche perché era una persona che non conoscevo che mi sentivo sollevato e, al tempo stesso, preoccupato della mia scelta: era perché sapeva nascondere perfettamente tutto quello che le era successo un anno prima. Cose orribili, che di sicuro l’avevano distrutta, ma che non venivano mai a galla quando si trattava della locanda. Tanto da farmi dubitare persino della sincerità dei suoi sentimenti nei confronti di Hyuga.

Continuai a guardare fuori il paesaggio, sentivo il verde degl’alberi e di quella parte di giardino che mi sommergeva nella sua quiete e provai una sensazione di benessere simile a quella che avevo avvertito dentro la vasca da bagno la sera prima: il mio nervosismo e il mio fastidio sparivano dalla mia testa e dal mio corpo, lasciandomi calma…e una grande tristezza.

Non capivo perché ero triste, avvertivo un magone all’altezza del petto e io stesso ne ero sorpreso: l’unica cosa che mi venivano in mente erano il mio incubo e le parole di Maki prima di uscire dalla mia stanza, ma mi sembrava assurdo essere triste perché mi aveva detto quelle cose, le avevo chiesto scusa e la situazione si era risolta così. Era tutto a posto, ma nonostante il ragionamento filasse non mi sentivo né sollevato né soddisfatto.

Però continuai a guardare il paesaggio, mi comportavo come un masochista, sapevo che quel verde mi dava quelle sensazioni ma non riuscivo proprio a farne a meno. Anche perché dovevo ammetterlo, era la prima volta che mi sentivo veramente umano: io sono sempre stato considerato l’SGGK, sia dalla stampa che dai miei compagni di squadra. Quando qualcuno mi chiama per nome in queste situazioni sento che la corazza del mio soprannome viene superata e qualcuno ha osato sfiorare la mia persona. E non mi piace.

Ma in quell’occasione, all’interno di quella locanda, dove avevo la sensazione che il tempo e lo spazio fossero distorti, io non ero l’SGGK; e non mi sentivo nemmeno Genzo Wakabayashi.

Ah, mi sto facendo troppe seghe mentali!

Basta, adesso mi sarei vestito e, con la stampella, sarei uscito da quel posto.

Avrei fatto un giro della zona e mi sarei schiarito le idee, e basta con questi monologhi interiori del cazzo!

Mi avvicinai alla valigia, notando che l’avevano sistemata in un angolo della stanza mentre invece c’era una nicchia dove sistemarla; d’accordo non era grande, e dentro c’era solo un vaso con dei fiori, ma a questo punto era meglio mettere il vaso in bella mostra e la valigia lì dove doveva stare.

Qui devo proprio fare tutto io!

Cominciai a spostare il vaso, notandone la composizione elegante e tipicamente orientale, se non mi sbaglio era un tipo di arte quella, ma io non sono mai stato un grande esperto di giardinaggio; il problema ora era spostare la valigia, anche se piccolo rimaneva un trolley e se il vaso ero riuscito a sollevarlo senza sforzare la gamba con il bagaglio sarebbe stato diverso.

Avevo solo due modi per spostarla: o in piedi o seduta a terra. In piedi avrei probabilmente perso l’equilibrio dato che mi reggevo su una gamba e una stampella, e da seduto mi sarei trovato nettamente scomodo, e di sicuro avrei fatto qualche movimento inconsulto.

Forse…forse era il caso di chiamare Akamine, però l’idea mi metteva a disagio, facendomi perdere la calma che ero riuscito ad acquisire, che cavolo non potevo aver paura di chiamarla, era ridicolo!

Aprii la porta della mia stanza, e davanti a me apparve una giovane cameriera che alzò lo sguardo verso di me e mi guardò sbalordita, con la bocca quasi aperta dallo stupore; solitamente un comportamento del genere, soprattutto da parte dei fan, mi faceva divertire, ma in quell’occasione mi sentii a disagio, e quasi non la guardai in faccia. Anche perché avevo ancora lo Yukata addosso, ed era tendenzialmente aperto!

-Buongiorno. Senti…potresti aiutarmi per favore?-

Lei per un momento non sembrò aver capito, ma poi si risvegliò ed entrò in camera, bloccandosi immediatamente davanti al vaso, come se ci fosse qualcosa di sbagliato nell’averlo messo fuori da quella nicchia; si voltò verso di me, e stavolta oltre alla sorpresa era stranita. Parecchio.

Dio ma che situazione! Dov’era Akamine quando c’era bisogno di lei?

-Ecco…volevo spostare la valigia qui dentro, ma temo di sforzare la gamba. Potresti farlo tu?-

-…volete mettere la valigia dentro il tokonoma?-

-Si, perché?-

Mi guardava come un alieno, era imbarazzante e snervante! Era solo uno spazio non utilizzato, che cosa c’era di male nel mettere una valigia in un posto adatto?! La guardai spazientito, e lei restava ferma a guardarmi, ancora intontita dalla mia richiesta.

-Ma…ma non si può.-

-Perché? In fondo non credo possa avere altro utilizzo.-

Dopo questa mia frase credo che gli occhi, se fosse stato possibile, le sarebbero usciti dalle orbite mentre la mia pazienza era oramai andata, cominciai a stringere con maggiore forza la stampella e la guardai incattivito, intimorendola a giudicare la sua reazione. Va tutto male, tutto male!

-Tomoko? Sei qui?-

La voce di Maki credo che fu, per me e per la cameriera, come un faro della nebbia, e immediatamente la ragazza si sporse, richiamando Akamine la quale si affacciò nella stanza, incuriosita di vedermi in compagnia di un’altra cameriera che non fosse lei.

-Che succede?-

Le parlo a bassa voce, guardandomi di sottecchi, e se c’è una cosa che mi manda in bestia e vedere qualcuno parlare di me sussurrando, sembra quasi che voglia dire una cosa cattiva sul tuo conto, è terribile!

-Il signor Wakabayashi ha fatto una richiesta strana…-

-Guardi che comprendo perfettamente il giapponese, anche se parla a bassa voce la sento benissimo!-

Ero stato rude, e l’ho anche spaventata quella poverina, ma il suo atteggiamento mi aveva innervosito fin oltre il mio livello di sopportazione (che è basso, molto basso) ed ero sbottato, tanto da turbarla notevolmente mentre Maki mi rivolgeva lo sguardo; ecco, adesso ci mancava solo lei che mi sgridasse con lo sguardo, complimenti Genzo, complimenti davvero!

Si rivolse alla cameriera con tono gentile.

-Tomoko, la nonna ha chiesto di te. Qui ci penso io.-

-Grazie sorellona.-

E la giovane letteralmente fuggì, facendomi sentire l’orco cattivo. Merda! Mi passai una mano sulla faccia, sbuffando mentre Maki scuoteva il capo con aria paziente, e no non farmi la saccente!

-Se continui a comportarti come un oni non troverai mai una che ti sopporta.-

-Sono fatto così, va bene? Se non va bene fatti suoi!-

-Fatti suoi un cavolo, sei nostro ospite ma la cortesia è sempre ben accetta.-

Sentila, sentila come mi bacchettava! Stavo per dirgliene quattro quando m’interruppe, guardandosi intorno.

-Allora, qual è il problema?-

-…ho semplicemente chiesto alla ragazza di mettermi la valigia dentro la nicchia, Tokotoma o come la chiamate voi.-

-Tokonoma.-

-Ecco, infatti.-

-Non si può.-

-Cosa? E perché?-

-Perché sarebbe come mettere la tua valigia all’interno di un camino acceso: il tokonoma è quello che voi occidentale considerato “caminetto”, fa parte dell’architettura della stanza come angolo di abbellimento; anche perché, come vedi, qui non si usano mobili.-

Devo ammettere che il paragone con il camino acceso non mi era parso tanto ovvio, ma mentre lei risistemava la composizione al suo posto mi resi conto che, effettivamente, senza quell’angolo decorato la mia stanza sarebbe stata spoglia a livelli spartani.

Dopo aver messo a posto i fiori Maki si apprestò anche a togliere il futon e a metterlo in un angolo assieme alla valigia mentre io restavo a guardare, mi sentivo al livello del vaso di fiori, assolutamente inutile e puramente decorativo in quel frangente. Uffa!

La guardai stancamente, per poi dirigermi verso la porta-finestra, lasciandomi di nuovo avvolgere dal verde del paesaggio.

-Ti annoi?-

Mi voltai a guardarla, era seduta nuovamente sui talloni e sembrava aspettare qualcosa, come il mio ordine di poterla lasciare andare come una cameriera occidentale; tuttavia la sua domanda confidenziale mi dava un po’ più di tranquillità, non sembrava più essere arrabbiata con me, o almeno non lo dava a vedere.

-…da morire.-

-Allora accompagnami a fare la spesa, così ti faccio fare un giro turistico della città.-

La guardai stranito, sorrideva con aria tranquilla e stavolta ero deciso a capire com’era fatta: cavolo un’ora prima mi odiava a morte e un’ora dopo eccola di nuovo sorridente come se niente fosse successo, mi mandava completamente in confusione!

-Ma tu non mi odi?-

-Odiarti? Dovrei?-

-Beh dopo…dopo le cose poco carine che ti ho detto.-

Rimase sorpresa dal perché gli avevo fatto quella domanda, e sebbene il suo sguardo rivelasse nuovamente il senso di sofferenza che aveva dentro il suo sorriso non si spense, ma semplicemente si smorzò e divenne più fragile.

-Tu assomigli molto a Kojiro, in termini di orgoglio, e come lui quando sai di aver sbagliato riesci a scusarti veramente; perciò no, non ti odio Wakabayashi, ma ti prego di non offendere più la memoria di mio marito.

Non solo per me, ma anche per te.-

Si, Maki Akamine meritava assolutamente stima e rispetto: perché era una donna incredibilmente salda, sia sui suoi principi che sul suo modo di fare, come Sanae. E anche lei aveva amato profondamente suo marito, e di sicuro lo amava ancora.

-Allora, vieni?-

-…va bene.-

-Ti aspetto all’ingresso, vado a chiamare mio padre per chiedergli di accompagnarci.-

E si alzò in piedi, lasciandomi nuovamente solo e con il problema, adesso, di vestirmi.

 

Eh si, perché non è mica facile vestirsi con un muscolo della coscia lesionato: certo, la parte sopra è facile e veloce, ma come la mettiamo con la biancheria intima, calzini compresi? e difatti il problema principale fu mettersi i calzini (operazione in cui la mia gamba mi mandò una serie di fitte come dire “così non puoi, neanche in questa posizione, ritenta sarai più fortunato!) e, subito dopo, allacciarsi le scarpe.

Alla fine ero vestito, ma ero molto dolorante; afferrai il mio berretto rosso e mi avviai verso l’ingresso, dove ad attendermi c’era la mia cameriera personale con una grande borsa sul braccio, ancora vestita con quel tremendo kimono color yogurt ai frutti di bosco. Le stava davvero male.

-Pronto?-

-Si, mio Cicerone.-

Lei sorrise divertita, le promesse di una buona giornata c’erano.

-Maki, dove vai con l’ospite?-

Avete presente quando una porta, quando la si chiude lentamente, produce quel suono tremendamente fastidioso, soprattutto in una giornata di vento quando la porta non è chiusa bene? Ecco, quella voce aveva proprio lo stesso tono e lo stesso senso di fastidio; mi voltai e riconobbi la donna come una delle tre che mi aveva accolto al ryokan, indossava un kimono blu scuro con un decoro giallo e arancio molto semplice, e i suoi occhi sembravano voler lanciare tutta la spazzatura presente in tutta la locanda addosso a Maki.

Questa manteneva uno sguardo sicuro, parlando a voce composta.

-Accompagno Wakabayashi-sama ha fare un giro della città mentre faccio la spesa.-

-Non credo sia il caso che tu lo disturbi in questo modo, e la spesa deve farla Tomoko.-

-La nonna ha chiesto a Tomoko di tenerla compagnia, non si è sentita bene…-

-Maleducata, come puoi usare questo tono informale con un ospite?-

Quale tono informale? A me sembrava che accanto a me ci fosse l’educazione fatta a persona.

-Chiedo scusa, Oba-sama.-

-Comunque non c’è bisogno che l’ospite ti accompagni, o non c’è la fai a fare la spesa da sola?-

Questo era troppo, e se Maki non aveva perso la pazienza la mia si era esaurita fin da quando avevo sentito quella voce la prima volta.

-Se Akamine avrà bisogno l’aiuterò, ma le ho chiesto io di farmi fare un giro della città. E ora se vogliate scusarci siamo piuttosto di fretta.-

E velocemente trascinai con me Maki, lasciando l’altra donna alle nostre spalle senza curarmi troppo di guardare la sua reazione, tanto lo sapevo che era contrariata, i presuntuosi sono sempre contrariati quando non si fa quello che dicono. Guardate me per esempio!

La nostra auto ci aspettava davanti alla locanda, e cavallerescamente feci entrare per prima Maki, la quale solo in quel momento riuscì a guardarmi in faccia e a sorridermi con gratitudine.

-Ti ringrazio, Wakabayashi.-

Vi dirò, quando sorrideva quella donna era davvero graziosa, e poi era contagiosa.

-Figurati, piuttosto chi era la Signora Simpatia?-

-Ah niente, solo la maggiore delle figlie di mia nonna, la zia calva di cui ti ho parlato.-

-Così è lei la zia calva?-

E l’assurdità del nostro commento, assieme alla serietà con cui parlavamo, provocò ad entrambi uno scoppio di risa mentre la macchina ci portava lontano dalla locanda e io, per la prima volta, facevo la conoscenza del Signor Akamine.

 

 

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