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Autore: zombiekiller    15/10/2010    3 recensioni
“Io la odio, Tomi. La odio così tanto che non riesco a smettere di amarla.”
Tom lo abbracciò. A quel Mark non sarebbe rimasto nemmeno un osso sano, quando avrebbe finito con lui. --- Era stupido presumere che a Bill, ogni tanto, capitasse di pensasse ancora a quella spiacevole vicenda? Eppure non era riuscito a non provare un pizzico di inquietudine quando, tra gli invitati alla loro diciottesima festa di compleanno, sua madre aveva fatto il nome di Maigo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faceva terribilmente freddo. Il piccoletto avvolto nel cappotto pesante tremava senza sosta mentre delicati fiocchi di neve gli cadevano sulle guance, sui capelli neri, sulle spalle, ovunque. Gli piaceva la neve ma doveva ammettere che portava con se un freddo micidiale.

Tirò su col naso, stancamente. Odiava aspettare l’autobus, la mattina, talmente rincoglionito da non riuscire nemmeno a leggere l’ora sul cellulare.

Suo fratello gli diede una botta sulla spalla.

“Che hai da essere così abbattuto? Oggi è la tua grande giornata!”

Bill storse le labbra.

“Vorrei ricordarti che sono le cinque del mattino, Tom.”

In realtà la voce stranita era tutta una finta. Nascose il volto nella sciarpa enorme che lo avvolgeva per non mostrare a suo fratello il sorrisino compiaciuto che gli disegnava le labbra rese pallide dal gelo. Le morse, con i denti, mentre una terribile agitazione prendeva il pieno possesso della sua pancia.

Odiava quei crampi eppure al tempo stesso li adorava. Lo facevano sentire vivo come non mai. E sperava che dopo quella giornata avrebbe potuto sentirsi ancora meglio.

A dire il vero, non riusciva ad immaginare di poter essere più felice di quanto già non fosse. Era riuscito a passare il provino per la trasmissione “Star Search”, le cose in famiglia andavano bene, lui Tomi Georg e Gus non facevano altro che provare e, in più, c’era lei.

Avevano passato quasi ogni pomeriggio libero insieme nell’ultimo mese, grazie al fatto che lei frequentava un corso di canto alla scuola di Gordon. Un giorno lei l’aveva sorpreso ad ascoltare rapito la sua splendida voce e da li avevano cominciato a parlare, e poi lui si era innamorato come una pera cotta. Non le aveva ancora confessato i propri sentimenti, ma… c’era una buona possibilità che lei ricambiasse, ecco.

Il suo stomaco fece un salto mortale a quel pensiero e lui sprofondo ancora di più nella sciarpa.

L’autobus arrivò puntuale come al solito e lui e Tom salirono in fretta, sbrigandosi per accaparrarsi i posti migliori.

Bill si guardò intorno e trattenne un sussulto. C’era Mark Biar sull’autobus, quella mattina. Strano, di solito c’era solo il venerdì, visto che era il giorno in cui andava a stare dal padre e gli toccava prendere “quel fottuto autobus”, così come diceva lui.

Lui e Mark non erano mai stati in buoni rapporti, sia perché Bill si distingueva palesemente dalla massa, sia perché era considerato uno sfigato totale e in più una checca, sia perché, un giorno, per sbaglio, aveva assistito allo schiaffone che il padre aveva mollato a Mark.

Il biondino non glielo aveva mai perdonato, ma lui non c’entrava nulla. E poi non sarebbe sicuramente andato a fare la spia, fatto che sospettava fosse fonte di puro terrore per quell’odioso ragazzino viziato. Probabilmente temeva che Bill rivelasse la condizione di estrema povertà in cui si trovava il padre del ragazzo e che inevitabilmente si scoprisse che la vita di Mark non era tutta rose e fiori e venisse fuori la verità, ossia che l’altra metà della sua famiglia non indossava vestiti firmati e non provava un piacere ossessivo a spettegolare su tutto e tutti e ad andare ai party più esclusivi che la loro stupida città ogni tanto organizzava.

“Guardate chi c’è… il frocetto!” squittì Mark con quella sua odiosissima voce nasale.

Tom gli mostrò il dito medio. “Sono le cinque di mattina, Mark, hai già intenzione di cominciare a scassare le palle a quest’ora del mattino? Se non ti dispiace sono troppo rincoglionito per ascoltare la tua vocetta da verginello.”

Mark si azzittì, fulminando Tom con lo sguardo.
Era noto a tutta la scuola che il rasta aveva perso la verginità da quasi un anno e cambiava ragazza ogni settimana. Beh, a dire il vero, non ce n’era una che non cadesse ai suoi piedi.

Tomi aveva una reputazione da duro dal cuore di pietra e si dicesse che potesse pestarti di pugni fino a farti svenire se solo ti azzardavi ad offendere quella checca di suo fratello davanti ai suoi occhi. Questo aiutava Bill, ma solo quando erano insieme. Il resto del tempo era un inferno.

Conosceva il fondo del cesso come le sue tasche, ormai. Aveva perso il conto di tutte le volte che gli avevano ficcato la testa dentro. Ma Tom c’era sempre stato. Era sempre stato al suo fianco, consolandolo, asciugando le sue lacrime e pestando di pugni tutti quanti.

Bill si accaparrò il posto vicino alla finestra ed osservò suo fratello sedersi vicino a lui, dopodiché gli diede un bacio sulla guancia. “Grazie.” Gli disse in un sussurro.

Tom si ritrasse e gli diede una spinta. “Grazie lo dico io. Non farlo mai più, grazie.”

Bill ridacchio, perché sapeva che davanti agli altri Tom metteva su una maschera. Suo fratello amava le coccole molto più di chiunque potesse anche minimamente sospettare.

Il moretto si adagiò contro lo schienale, chiudendo gli occhi. Magari sarebbe riuscito a dormire un po’, prima di arrivare a scuola. Sarebbe sicuramente servito a renderlo un pochino più presentabile.

Certo, come no, come se con quei maledetti crampi d’emozione fosse riuscito a prendere sonno.

L’autobus partì e, dopo circa tre quarti d’ora di viaggio, finalmente si fermò. Tom e Bill aspettarono che il grosso dei ragazzi scendesse e poi li seguirono, scendendo nella piazzetta.

Passarono a prendere la colazione come tutte le mattine e, poi, si avviarono a scuola.

Il cuore di Bill non smetteva di battere all’impazzata. Non sapeva se volesse rendere il tempo più veloce oppure rallentarlo. L’unica cosa che sapeva era che voleva fermare il suo stupidissimo cuore.

Tom lo occhieggiava da circa dieci minuti e la cosa buffa era che suo fratello non se ne era minimamente accorto. Ok che era il “glorioso giorno della sua dichiarazione d’amore finale”, come aveva detto lui, ma non andava bene che fosse così agitato. Avrebbe fatto qualche figura del cavolo e sarebbe andato nel panico.

Lo afferrò per una manica e lo fece voltare.

“Oh, e datti una calmata, mi fai agitare anche a me.”

Bill sgranò gli occhi. “Cosa?”

“Sei assurdo, se fossi un dottore e ti ascoltassi il cuore con quell’aggeggio che non mi ricordo come diavolo si chiama sono sicuro che diventerei sordo. Devi darti una calmata!”

Bill chiuse finalmente la bocca e poi sorrise, emettendo un gridolino eccitato terribilmente imbarazzante.

“Ok, non farlo mai più.”

Il moro batté le mani freneticamente e poi le riunì tra di loro, avvicinandole alle labbra ed abbassando il capo.

“Aiuto! Hai ragione, sono troppo agitato.”

“Ecco.” Sbuffò Tom, distogliendo lo sguardo.

Bill increspò le sopracciglia. Il suo cuore non ne voleva sapere di rallentare e lui non aveva la minima idea di come fare per acquietarlo. Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? Qual’era il suo nome? Stava letteralmente entrando nel panico.

“Tomi… mi viene da vomitare…”

Il rasta portò gli occhi al cielo e, dopo aver afferrato saldamente il braccio di suo fratello, lo trascinò via dalla strada principale, imboccando una via un poco più discreta e, soprattutto, deserta.

“Senti, è una femmina. Non devi agitarti così per le femmine. Sono solo… femmine.”

Bill lo guardò confuso, non capiva. Cosa diavolo voleva dire che erano solo femmine? Lui era agitato proprio perché si trattava di una femmina! Di lei, più precisamente.

Tom increspò le labbra e assunse un’aria pensierosa.

“Insomma” cominciò, prendendo il mento tra l’indice e il pollice. “Non va bene se sei così agitato. Altrimenti poi vai nel panico e fai figure di merda. E poi vai ancora più nel panico. E poi è una femmina, Bibi, sveglia. Non si deve far capire alle femmine che si da loro tanta importanza, altrimenti siamo fottuti.”

“Hai… ragione! E’ una femmina! Che mi frega!” esordì Bill ad alta voce, alzando entrambe le braccia.

“Ecco! Bravo, cominci a ragion- oh, no, oh, ma che schifo! Bill!”

 

Fortunatamente c’era un bar li vicino, ed era riuscito a ripulirsi dal vomito e a non far tardi alle lezioni. Ma tutta la mattinata era stata un inferno.

Primo, gli sembrava ancora di avere addosso l’odore nauseante del vomito e probabilmente era semplicemente una sua fantasia, visto che nessuno aveva fatto commenti. Perlomeno riguardo alla puzza.

Secondo, non era riuscito nemmeno a salutarla. A scuola non parlavano mai tanto, ma di certo non la biasimava. Lui era considerato un po’ come… il pazzo del paese? Ecco, il pazzo del paese. E lei invece era… stupenda, la più stupenda di tutte, ai suoi occhi.

Non la biasimava di certo. Però ci era rimasto ugualmente malissimo. In fin dei conti che cosa le costava rivolgergli un semplice saluto? O magari uno di quei bellissimi sorrisi dei quali nell’ultimo mese aveva fatto il pieno.

Bah. Appoggiò pesantemente la testa al banco e si disse che non importava. Quella sera ci sarebbe stato il ballo scolastico e lui ci sarebbe andato, anche se era una cosa che odiava terribilmente. L’avrebbe fatto per lei, per vederla e per metterla a suo agio. Li avrebbero sicuramente trovato un posticino tutto loro in cui parlare e avrebbe potuto portare a compimento il glorioso giorno della dichiarazione finale. Dopo tutti i pensieri che ci aveva fatto gettare la spugna era proprio da scartare, come ipotesi.

E poi, era il ballo… andiamo, moriva dalla voglia di vederla avvolta da uno splendido vestito. Temeva che il suo cuore non avrebbe retto.

Aspettò pazientemente che la campanella suonasse e poi corse via, veloce, evitando i commenti di cattivo gusto dei vari bulli in circolazione.

 

“Allora, come sto?”

Bill continuava ad agitarsi dentro a quel completo bianco panna, con una rosa rossa appesa sul taschino. Gli stava un po’ grande, evidentemente la mamma non aveva preso bene le misure e a dirla tutta, suo fratello sembrava una specie di alieno.

Ma lui sembrava piacersi e quindi Tom fece spallucce, annuendo semplicemente. A volte gli sembrava di avere a che fare con una ragazzina, quando parlava con Bill. Certe volte si comportava proprio come una di loro. Gli scappò una risatina al pensiero.

“Che hai da ridere?!” lo aggredì Bill, con un tono di voce estremamente acuto “lo sapevo, faccio schifo!” e poi affondò il capo tra le mani.

Tom reagì prontamente e gli si avvicinò, alzandogli delicatamente il viso. Suo fratello si era truccato davvero bene, sembrava un po’ la mamma.

“Sei bello come una ragazza, quindi piantala di lamentarti. Andrà tutto bene, vedrai.”

Bill inaspettatamente sorrise e poi i due gemelli si strinsero in un dolce abbraccio. Erano l’uno parte dell’altro. Avevano bisogno l’uno dell’altro e, forse, Bill questa sera un pochino di più di quanto ne avesse normalmente.

 

Bill si lasciò sfuggire un sospiro scoraggiato. Aveva cercato di parlare con lei tutta la sera, ma non era mai riuscito a beccarla da sola.

Era comunque una bella festa, pensò. Erano tutti vestiti eleganti a parte suo fratello che, come unico cambiamento al suo normale abbigliamento aveva semplicemente raccolto i rasta biondi in un piccolo codino.

Già, che bello. La verità era che non era per niente una bella festa, se non poteva stare con lei. Voleva colorare di nuovo le proprie giornate con i suoi sorrisi ma era andato tutto a monte. Perché doveva essere sempre così sfigato?

Con il capo basso si diresse verso il giardino della scuola, illuminato da un lampione leggermente difettoso. Uscì dalla palestra e, quando alzò lo sguardo, il cuore gli rimbalzò in gola.

Era lei. Ne era certo. Sarebbe riuscito a riconoscerla ovunque, era quasi la sua specialità. Persino quando era di schiena ed era… oddio, era così bella. Indossava un vestito bianco - anche lei! - con un’ampia scollatura sulla schiena pallida e i capelli nerissimi erano stati legati in una sofisticata acconciatura.

“Maigo?” la chiamò Bill, con la voce che gli tremava.

Lei si girò e, come predetto, il suo cuore non resse. Era davvero troppo bella. Truccata un pochino più di lui, gli occhi grigio chiaro dalla forma affusolata, il nasino delicato, le labbra appena carnose.

Era bella da morire.

“Bill!”

Maigo gli sorrise e lui come ogni dannata volta che succedeva, si sciolse. Dimenticò il fatto che non l’aveva nemmeno salutato, a scuola, e le si avvicinò in fretta, trattenendo il respiro mentre le baciava una guancia.

“Stai benissimo” disse, cercando di imitare il tono di quei galantuomini che si vedono di solito nei film classici americani.

“Anche tu.” Replicò lei, sorridendo ancora ed inclinando il volto verso destra.

“Tu di più.”

Bill abbassò il capo, imbarazzato e sorridente. Era la verità, era davvero uno spettacolo. Troppo, per un tipo come lui. Eppure… erano li, insieme.

“Scemo!”

Maigo gli diede una spinta sulla spalla e lui si imbambolò a fissarla, contento come non mai.

“Eddai, non fissarmi così! Mi imbarazzi!”

“Hai ragione, hai ragione” gracchiò Bill “ehm, che ne dici di fare due passi?”

Maigo annuì e così si avviarono lungo il vialetto della scuola.

Camminavano vicini, il volto di lei illuminato dalla luce chiara della luna, il cuore di Bill che stava per scoppiare. Passarono dei minuti, forse ore, Bill aveva perso la cognizione del tempo. Ma una cosa era certa: non poteva più rimandare.

“Maigo, io… devo… insomma…”

Lei si fermò a fissarlo. Era seria. Bill deglutì. Ecco, come non detto, stava entrando nel panico.

“Sì?” chiese lei, abbozzando un sorriso dolcissimo che riuscì a metterlo un pochino più a suo agio. Forse Tomi intendeva che non bisognava agitarsi tanto. Insomma, se si sta bene con una persona non c’è il bisogno di entrare nel panico.

“Tu… ecco, tu…” si schiarì la voce, col panico alle calcagna. “Tu mi piaci da morire!” disse infine, terribilmente veloce e con una voce parecchio strana.

La ragazzina sorrise. Il moretto aveva il volto abbassato e lei glielo alzò delicatamente, portandolo all’altezza del proprio sguardo.

Restarono a fissarsi per qualche secondo, gli occhi di Bill erano lucidi, emozionati. Non riusciva a credere nemmeno lui a quello che stava succedendo.

“Beh, io sto aspettando il mio bacio.”

Dio, se vuoi farmi morire, ti prego, aspetta almeno che la baci.

E poi accadde. Le loro labbra soffici si sfiorarono e, lentamente, Bill fece sfiorare la propria lingua contro la sua. Il tempo parve fermarsi, le mani si mossero da sole e si ritrovarono abbracciati l’uno all’altra.

“Ma guarda un po’ qui chi c’è…! Maigo, Maigo, da te proprio non me lo aspettavo, non credevo che alla fine l’avresti fatto…”

Si staccarono subito. Bill si guardò intorno e finalmente individuò Mark Biar. Alle sue spalle il solito gruppetto di ragazzacci. Ridevano tutti e Maigo era diventata tutta rossa.

Bill cercò la sua mano ma la ragazza si ritrasse.

Mark si avvicinò a Maigo e le appoggiò un braccio sulle spalle.

“Lasciala stare, Mark.” Ringhiò Bill, aggrottando le sopracciglia.

Perché doveva rovinare tutto? Non era giusto, dannazione.

“Sei tu che devi lasciarla stare, Maigo è la mia ragazza.”

A Bill si fermò il cuore. “Cosa?”

“Già, le ho chiesto io di farti credere di piacerle. Beh, che vuoi, pensavo fossi gay. Non credevo che ci saresti cascato!” il ragazzo biondo scoppiò in una risata fragorosa e, nel frattempo, Maigo abbassò lo sguardo.

“Maigo… non capisco…”

La ragazza rimase a fissarsi i piedi. “Io… non è andata proprio così, insomma, non l’ho fatto perché me lo aveva chiesto lui.”

“Pensavi che fossi gay? Eri… Eravate… tutti d’accordo?! Mi hai preso in giro per tutto il tempo?!” cominciò ad urlare Bill, le lacrime gli cadevano a fiotti sulle guance.

“No, Bill, non è andata così! Lascia che ti spieghi, per favore!” lo implorò lei, con gli occhi lucidi.

Bill si voltò. Non riusciva a smettere di piangere.

Perché? Perché Maigo?!

“Ma che fai, piangi? Ma non mi dire che… sei una ragazza! Ma si, magari sei una lesbica di merda! Mi dispiace sfigatella, hai fatto cilecca! Maigo è tutta mia!”

Bill corse via. Corse, corse, corse, fino a quando non gli fece male la milza e cadde per terra, nel fango.

 

Tom non riusciva più a trovare Bill. Se ne erano andati quasi tutti e di lui nemmeno l’ombra.

Sorrise tra se e se al pensiero di quello che magari stava facendo. Finalmente anche suo fratello avrebbe scoperto i piaceri del pomiciamento sfrenato al chiaro di luna. Si sentiva quasi orgoglioso.

Sensazione che durò nemmeno due minuti visto che lo sguardo gli cadde su Maigo, mano nella mano con quel coglione di Mark.

Tom si avvicinò ai due a grandi passi e si piazzò davanti a Maigo. Mark indietreggiò, spaventato.

“Che diavolo hai fatto?!” le sbraitò il rasta, a pochi centimetri dal suo volto.

La ragazza scosse il capo.

“Mi dispiace.” Aveva la voce rotta, sembrava avesse pianto, o che stesse per farlo. Beh, in ogni caso, non erano affari suoi.

“Dov’è lui?”

“E’ corso via. Penso sia ancora nel giardino, non l’ho visto rientrare.”

Tom fece per andarsene ma la ragazza lo bloccò, afferrandogli la manica.

“Per favore, digli che non è come pensa. Digli che ho bisogno di parlargli e che ha capito male. Per favore…”

“Scordatelo, puttana.” Troncò Tom con tono freddo, allontanandosi dai due e cominciando a correre verso il giardino. Forse, se tutto gli andava bene, non ci avrebbe messo tutta la notte a ritrovare Bill.

Gli aveva detto spesso quanto amava quell’albero, era il più bello della scuola, concordava anche lui. Era diverso da tutti, però era tanto bello.

E infatti eccolo li. Bill se ne stava tutto rannicchiato ai piedi dell’albero. Tom provò una fitta al cuore. Che cosa aveva fatto? Non era riuscito a proteggerlo… eppure avrebbe dovuto immaginare che quel cretino di Mark gliene avrebbe tirata una delle sue. Maledizione.

Si avvicinò a suo fratello con cautela e gli si accucciò davanti.

“Bill… Ehy, Bill…”

Nessuna risposta. Suo fratello continuava a piangere, incessantemente.

“Bill…”

“Tomi…” fu un sussurro, ma bastò per prenderlo tra le braccia e stringerlo fortissimo.

“Maigo…”

“Shh, lo so, non c’è bisogno che ne parli adesso…”

Come risposta Bill singhiozzò più forte e, poi, si allontanò dal fratello.

“Io la odio, Tomi. La odio così tanto che non riesco a smettere di amarla.”

Tom lo abbracciò. A quel Mark non sarebbe rimasto nemmeno un osso sano, quando avrebbe finito con lui.

 

***

Erano passati anni da quei terribili momenti. Bill non ne aveva più fatto parola e lo stesso aveva fatto lui. Si erano inventati quella stupida storia dell’aver baciato la stessa ragazza e chissà che diavolo aveva pensato il primo bacio di Tom.

Magari aveva confermato la loro versione, insomma, baciare sia il chitarrista che il cantante dei Tokio Hotel non gli sembrava poi così malaccio.

Oppure aveva negato, ma tanto, chi le avrebbe dato ascolto?

A Tom non importava. Fece spallucce e lanciò un’occhiata a suo fratello.

Era stupido presumere che a Bill, ogni tanto, capitasse di pensasse ancora a quella spiacevole vicenda? Eppure non era riuscito a non provare un pizzico di inquietudine quando, tra gli invitati alla loro diciottesima festa di compleanno, sua madre aveva fatto il nome di Maigo.

 

 

  
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