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Autore: zoisite    19/10/2010    6 recensioni
"Devo sentirmi lusingato dal tuo silenzio?" aveva mormorato Sherlock, con un lieve sorriso sulle labbra e già febbricitante, a giudicare dagli occhi lucidi.
Genere: Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.I am on fire.



"Per prima cosa", e non era John  a parlare, ma il medico in lui, "voglio sapere che cosa hai preso esattamente. E in che quantità."

Non aveva senso continuare a discutere con Sherlock per quel che aveva fatto. Piuttosto, bisognava agire, nel caso in cui quell'enorme idiozia d'iniettarsi volontariamente chissà quale virus si rivelasse, per il detective, un pericolo concreto.
Una vocina lontana, in Watson, gli diceva che si stava comportando come una madre oppressiva, che esamina il figlio diciassettenne di ritorno dalla discoteca.
Cos'hai preso? Quanta te ne sei fatta?
Eccetto l'insignificante dettaglio che Sherlock non era un adolescente, John probabilmente non somigliava nemmeno un pò alla signora Holmes e nessuno si era sballato. Almeno, non quel giorno.

Ne convenne: si trovava in una posizione paradossale. Ma ricacciò immediatamente indietro quei pensieri, sicuro di agire per il meglio e, anzi, aggiunse, prima che l'altro potesse parlare: "Se non collabori, chiamo un'ambulanza e chiedo il ricovero coatto finché non sarà accertata la tua condizione di salute. Posso farlo."
Era un medico, per la miseria. Uno che sa quello che fa, e fa quello che deve.

Sherlock non reclamò: aveva obbedito, poco prima, andandosi a stendere sul divano così come gli era stato ordinato, e rispose tranquillamente alla domanda che gli era stata posta: "Le fialette sono ancora nel cestino della mia stanza."

"Bene."

"John..."

"Vado a vedere, resta lì."



Recuperò nel cestino le fiale vuote e, controllando le indicazioni sulle etichette, John in parte si tranquillizzò. Se non altro, Sherlock non aveva mentito sulla natura della sostanza incriminata, né aveva esagerato con le dosi. Gli sarebbe venuto probabilmente lo stesso malanno che avrebbe potuto contrarre se qualcuno gli avesse starnutito in faccia in metropolitana. Non sarebbe morto per quello.  Era un grande progresso. Per evitare sorprese, John decise che l'avrebbe comunque visitato e tenuto sotto controllo, in caso di imprevisti o eventuali peggioramenti. Uscendo dalla camera da letto, fece una deviazione fino alla propria, prima di tornare in soggiorno.
Aveva preso la borsa.
Sherlock non potè, questa volta, trattenere un commento.

"Fai sul serio, dottore."



Ma Watson non aveva, al momento, davvero alcuna voglia di scherzare e, sedendosi sul basso tavolino di legno, iniziò ad esaminare il suo coinquilino con gesti precisi, fermi e poco cerimoniosi.

"Vedi, Sherlock" esordì, e si pentì subito d'aver assunto un tono pedante, ma era esasperato e quelle parole gli sgorgavano senza che potesse fare molto per smussarne gli spigoli "il tuo cervello sarà fenomenale, mentre il resto è, secondo te, pura manovalanza...", nel frattempo rilevò una temperatura corporea elevata ed il battito accelerato  "...ma è il  corpo che permette a quel cervello di vedere, di sentire, di toccare, di muoversi, d'interagire con il mondo...", e riscontrò anche una leggera alterazione della pressione arteriosa "...e senza di esso sarebbe perfettamente isolato, perfettamente inutile".

L'altro restò in ascolto e Watson si apprestò ad affrontare la parte del discorso comprensiva di minacce. Non è che non se ne rendesse conto, è che non riusciva a fermarsi. "Non mangi adeguatamente, non dormi abbastanza, ti ammali di proposito, ti esponi a inutili rischi. Il tuo corpo un giorno ti presenterà il conto, se non ti metti in testa di imparare ad assecondarlo e di cambiare le tue abitudini autolesioniste e distruttive."

Gli premette il pollice sul collo, per tastare i linfonodi, e Sherlock emise un lieve, gutturale, suono di protesta.

John considerò che era il momento di farla finita con la predica. "Fa male qui?", chiese, moderando la pressione dei polpastrelli sulla gola sensibile.

Sherlock annuì con lo sguardo, prima di aggiungere "Un pò."

"E qui?" chiese ancora Watson, spostando le dita sotto l'orecchio.

"Meno."



"C'è un'infiammazione in atto, i linfonodi si ingrossano. Non è una cosa negativa, anzi, è segno che il tuo sistema immunitario sta combattendo."
Bene. Ora stava spiegando il funzionamento del sistema linfatico al grande Sherlock Holmes, esperto di anatomia patologica e medicina legale, come se fosse un paziente di otto anni. Davvero fantastico. John si sentì un perfetto imbecille e gli venne da ridere.

Ma Sherlock non rideva. Al contrario, era insolitamente quieto e pareva incuriosito dalle parole e dai movimenti di John, che seguiva con occhi attenti, affilati.

Le dita di Watson, in contrasto con quel collo straordinariamente pallido, sembravano ancora abbronzate, come quando aveva appena fatto ritorno dall'Afghanistan. Ed erano calde, malgrado fra i due non fosse lui ad avere la febbre. Da quella posizione, facendo scivolare il palmo verso la mandibola di Sherlock, John soprappensiero si ritrovò con la mano a coppa intorno alla guancia dell'altro, il pollice quasi a sfiorargli le labbra.
Fu un attimo indefinibile.
Ed infinito.



Cosa faceva? Cosa voleva? E che cosa stava pensando quell'uomo disteso davanti a lui, che sembrava fissarlo senza sbattere le palpebre, come fanno i gatti? Domande per le quali non aveva risposte.
Lui.
Ma Sherlock, a quanto pare, sì. A Sherlock le risposte non mancano mai.



"Scopami, John."




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Grazie per i commenti al precedente capitolo e scusate la frammentazione.
Alla fine, avrei potuto condensare il tutto in una oneshot, anziché infliggervi tre (saranno tre) parti >o<
Ma ho preferito questa suddivisione, corrispondente ai tre momenti narrativi: Brain - Fire - Disease.
Tanto s'è capito dove voglio andare a parare, no? XDDD Chu.
  
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