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Autore: WYWH    20/10/2010    4 recensioni
"Il mio primo ricordo che ho è la sua figura che mi dava la schiena, i suoi occhi rivolti sulla linea dell’orizzonte di quella spiaggia, raggiungibile dal suo ryokan a piedi in tre quarti d’ora; con una corona di nuvole grigie che decoravano quel cielo di fine Giugno, la sua presenza mi è sembrata pallida come la nebbia colpita dal sole, e come tale temetti che sarebbe scomparsa proprio davanti ai miei occhi. Invece quando si voltò, e riconoscendomi mi salutò, la mia testa si addormentò per pochi secondi nel sogno del suo sorriso. E sentii, per la prima volta, che i ghiacci del mio cuore diventavano acqua fresca.
In breve, m’innamorai di lei."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark, Maki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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IV: Bento

 

-Wakabayashi, mio padre Satoru.-

Mi diede uno sguardo dallo specchietto retrovisore, e riconobbi immediatamente i segni dell’età attorno agl’occhi e lungo i lineamenti del suo viso; feci un cenno con la testa per salutarlo.

-Molto onorato.-

-L’onore è solo mio: non sono un grande fan di calcio, ma quando Maki mi fa vedere le vostre partite rimango sempre molto colpito.-

Rispetto ai soliti commenti dei fan, “Wow, siete i migliori, grandissimi!” “Seguo sempre le vostre partite, mi fate sognare!” o ai commenti dei vari allenatori ed esperti di calcio, “Quel passaggio con calciatore Tizio è stato veramente una grande prova di talento.” “Sei riuscito a parare il gol di Caio, è stato difficile frenarne la spinta aerodinamica?”, quelle parole mi fecero incredibilmente felice.

È difficile convincere un estraneo del calcio a guardare una partita e, addirittura, a fargliela piacere. Ogni volta che succede ti senti orgoglioso di te, perché ti rendi conto di aver fatto un buon lavoro, e non solo per te stesso.

-La ringrazio.-

-Allora, vi accompagno subito al mercato?-

-Si, così puoi riportare subito la spesa al ryokan mentre io faccio fare un giro della città a Wakabayashi.-

E il padre diede una leggera accelerata alla macchina, una vecchia Honda che forse aveva tanti anni quanti ne aveva lui, ma funzionava che era un piacere; oltretutto aveva sostituito il vecchio motore con uno a gas.

-L’ho dovuto fare, altrimenti la “zia calva” si sarebbe lamentata, come se quella non riuscisse a fare nient’altro in tutta la giornata.-

-Dai, è vecchia ed ha a carico parte dei compiti di gestione della locanda.-

-Si, ma non ne è la padrona, e in caso succedesse qualcosa alla nonna la locanda va a Tomoko.-

-Di cui però lei ne è garante ogni volta che viene ad aiutare al ryokan.

Non sbuffare, almeno con te si lamenta solo della macchina.-

E la conversazione terminò lì per i due. Però a me incuriosiva: non era mia abitudine impicciarmi degl’affari di famiglia degl’altri (così come assolutamente non permettevo a nessuno d’impicciarsi dei miei), però la conversazione tre le due donne di quella mattina mi aveva colpito non poco, soprattutto per l’ “affetto” che entrambe si passavano. Proprio fiumi d’amore!

-Cos’hai fatto di così grave da beccarti tutto l’amore di tua zia?-

Si girò a guardarmi mentre stava prendendo un bel sacchetto di fagioli azuki, pubblicizzandomeli come “ottimi per farcire i dorayaki”, e se fosse riuscita a convincere sua madre me li avrebbe portati quella sera stessa; se cercava di trovare un modo per farmi mangiare e, soprattutto, per farmi ingrassare ci stava riuscendo in pieno!

Comunque ringraziò l’uomo per gli azuki, spostandosi verso la soia e parlandomi cercando di sovrastare il rumore di fondo della gente nel mercato.

-Ho sposato Kojiro.

Sai io ero, anzi sono la persona destinata a gestire il ryokan una volta che mia nonna non ci sarà più: mia zia, infatti, non è in grado fisicamente di occuparsi della gestione, e oltretutto non è neanche figlia diretta di mia nonna, ma è la nipote, la figlia di un fratello.-

Prese in mano un pesce che muoveva ancora le branchie, l’idea che quello sarebbe potuto essere di nuovo la mia cena (magari crudo) già mi turbava non poco, non sono un animalista ma l’idea di avere qualcosa in bocca che potrebbe “risvegliarsi” e muoversi dentro il mio corpo non mi fa impazzire.

Prese non solo quel pesce, ma ne prese altri due assieme a delle bistecche di manzo, anzi di Kobe come mi aveva spiegato alla mia domanda, non sono un cuoco ma ci tengo a sapere quello che metto in bocca e nello stomaco.

-Tranquillo so le vostre “diete”, a volte riuscivo Kojiro a seguirle. Lui era un golosone.-

-Ricordo che quando mangiavamo in mensa faceva sempre doppia porzione di tutto, era incredibile quanto mangiava! Solo Jiito sembrava in grado di superarlo.-

-Non dirlo a me! Cucinare per lui era veramente un lavoro! Però…era anche una grande soddisfazione.-

La vidi rallentare, tutta la gente attorno a noi cominciò a diventare velocissima, quasi frenetica nella sua attività di scegliere la merce, comprarla e continuare a girare per il mercato; lei, invece, divenne quasi una statua mentre i ricordi la distaccavano dal tempo e dallo spazio, ed io che la osservavo ne ero coinvolto, al punto da rallentare insieme a lei.

Sorrise con aria malinconica, tenendo in mano un mazzo di negi, consegnandole lentamente al venditore mentre continuava a guardare le varie verdure, avvicinandosi ai wasabi.

-Io non sono molto brava a cucinare, ma Kojiro mangiava sempre quello che gli preparavo, anche se si rivelava essere una tremenda schifezza: quando lo scoprivo ci ridevamo su e andavamo a prendere qualcosa fuori, oppure mi dava dei consigli e io ci riprovavo.

Per lui…per noi, era importante riuscire a portare a termine quello che ci si era prefissati: in fondo, è così che ci eravamo conosciuti la prima volta.-

E stavolta il suo sorriso si aprì di più mentre ringraziava il venditore e andava avanti, lasciandomi frastornato e indietro, tra la folla che continuava a correre in preda allo stress da “oddio cosa compro cosa cucino!”

Quel sorriso un po’ più aperto, quell’aria triste ma propensa comunque ad essere positiva e i suoi modi di fare pronti alla battaglia mi confondevano completamente: insomma non era particolarmente bella ma mi affascinava, non era un pozzo d’intelligenza ma era molto sveglia, apparentemente non aveva nulla di più che un’altra non avesse eppure…eppure quando si voltò ad aspettarmi, guardandomi, io riuscii solo a seguirla, addentrandomi ulteriormente nei meandri di un mercato.

Non ero mai stato a fare spese, soprattutto spese di quel tipo, ma devo ammettere che mi stavo divertendo, nonostante la gamba che mi rallentava.

-Probabilmente, senza di me, avresti finito di fare la spesa già da un’ora.-

-Si è vero, ma mi sto divertendo più del solito.-

-Quante di queste cose mi preparerai stasera?-

-Ma credi che tutta questa spesa sia solo per te?-

-Certo, perché credi che ti avrei seguito con la gamba malata? Per assicurarmi che mi fossero preparati piatti tipici con ingredienti freschi.-

-Ma sentitelo, l’esperto! Come se riuscissi a distinguere il Maguro dal Sake…-

-Beh sono sempre e comunque pesci, quindi cose che non mangerei mai.-

-Ma così rifiuti almeno la metà della cucina tradizionale giapponese!-

-Ma io mica sono giapponese.-

-Ah no? E cosa saresti?-

-Un giapponese europeo venuto in Giappone per curare la sua gamba.-

Stava per rispondermi quando si bloccò, rendendosi conto dei mille e più controsensi che aveva la mia frase, per poi mettersi a ridere, ma ridere di gusto, tanto che non si coprì la bocca come al suo solito ma lasciò andare la voce, tanto da riuscire a stupire ed a fermare qualche persona che passava li vicino, portandola a sorridere proprio come stava facendo con me.

Era contagiosa, come una malattia!

Però, quando rideva, era piacevole, non come quelle tipe tedesche: era spontanea e veramente divertita, e non rideva perché ero Genzo Wakabayashi, il portiere più forte del mondo detto anche SGGK (presunzione), figlio di uno dei più forti industriali del Mondo (super presunzione), pieno di soldi (dato di fatto) e savoir fare (iper presunzione)…non c’era nulla da fare, ero proprio uno scapolo appetibile (e un tremendo arrogante. Ma è parte del mio fascino).

Lei rideva semplicemente…perché si stava divertendo, e io la facevo divertire. Ed entrambe le cose mi facevano incredibilmente piacere.

-Sei davvero bravo Wakabayshi.-

-Grazie, faccio del mio meglio.-

E riprendemmo a fare la spesa, e passammo così tutto il resto della mattinata. Non ho visto alcun monumento importante, e non conosco la storia dell’importante Naha e probabilmente se tentassi di girare per la città mi perderei sicuramente; ma le ore passarono così velocemente che, quando uscimmo dal mercato e ci rendemmo conto che era passata l’una, la stessa Maki era sorpresa.

-Hm, la zia calva si arrabbierà non poco.-

-Ma ha un nome?-

-Certo, ma se la chiami per nome la demoralizzi non poco.-

-Perché scusa? Come si chiama?-

-Moe.-

-…che c’è di strano in questo nome? Non significa germoglio?-

-Certo, però significa anche “cavoletto di Bruxelles”.-

-…stai scherzando, vero?-

-Significa anche “mostrare sintomi”.-

-Ma che razza di nome è?!-

-Forse il padre era un tipo spiritoso.-

-O forse fin da neonata ha mostrato il suo lato peggiore, e il padre voleva dire con il suo nome “Attenti! Mostra i sintomi della stronzataggine!”-

-Ma che dici!-

-L’hai pensato anche tu, ammettilo!-

-…ok ok, l’ho pensato fin dalla prima volta che l’ho vista.-

-Visto? E quando è stato?-

-Beh…credo fosse quando avevo circa…otto-nove anni.-

EEEH??

Credo che la mia faccia descrivesse pienamente il commento perché suo padre mi si avvicinò divertito, prendendo la seconda borsa della spesa per sistemarla nella macchina.

-Sai, Maki è piuttosto…colorita nel suo linguaggio. E nei suoi modi di fare.-

-Non è vero! Sono solo più forte fisicamente delle altre ragazze!-

-Lo sai che una volta ha tirato un pugno in faccia ad un suo compagno di classe? Per una rivista!-

-Non me la voleva dare! Diceva che gliel’avrei stropicciata e altre scemenze simili.-

-Quando era all’elementari le diedero la parte del Principe alla recita scolastica.-

-Nessuno di quei maschi sarebbe stato in grado di farlo bene come me! Ed ero bellissima!-

E più raccontava più rimanevo sorpreso, voltandomi verso quella donna in quel kimono (orribile, proprio le stava male quel colore!) che cercava di giustificare i suoi modi assolutamente…naturali: vi dirò la verità non mi stupivo per il fatto che fosse mascolina, mi stupivo più che altro che fosse così brava a camuffare quella sua forte indole con dei modi di fare gentili ed eleganti.

Alla fine si riuscì a caricare la spesa in macchina e ad interrompere il padre di Akamine dall’elencare tutti gli avvenimenti della vita della donna in cui aveva mostrato il suo “temperamento”, e il padre ci assicurò che sarebbe venuto a riprenderci prima di cena, lasciandoci soli con il bento…e un’incredibile fame.

La scatola del bento era laccata ed elegante, e con un’aria invecchiata che era proprio nello stile del Ryokan; trovammo un posto dove mangiare in un parco, la giornata era calda e intorno a noi c’era parecchia gente che aveva avuto la stessa idea di mangiare in quel posto, ma mentre noi aprimmo le nostre scatole con calma e, io personalmente, ammiravo il mio pranzo, gli altri mangiavano in fretta e furia e si allontanavano con la stessa fretta con cui erano arrivati.

Li guardai e pensai a me: pensai che anch’io ero come loro, in Germania, e se non fosse stato per questa gamba e questa stampella (fatta in Cina) non mi sarei goduto una calda giornata con il mio pranzo giapponese e la compagnia di quella donna in kimono.

…Dio, mi sembrava davvero di essere finito in qualche serie televisiva, ma che pensavo?!

Fame, devo mangiare!

-Allora, perché la vecchia…dai sintomi  di cavoletti odiava Kojiro?-

Maki scoppiò a ridere mentre io addentavo l’onigiri e guardavo il pesce con fare poco amichevole, aveva l’aria cruda ma anche cotta ed ero indeciso se assaggiarlo o meno, preferendo una ritirata strategica verso le polpette di riso. La risata della donna davanti a me si smorzò mentre mi parlava, fissando il cibo della sua scatola.

-Te l’ho detto: me lo sono sposato.-

-Non mi sembra un motivo valido.-

-Beh, devi pensare che io sono l’unica nipote di mia nonna e mia zia, a parte Tomoko, che può prendere la gestione del ryokan: sai nella famiglia Akamine si è sempre passato da nonna a nipote, ma i maschi sono sempre stati tanti in famiglia, al punto che tutti erano preoccupati. Poi sono nata io. L’ultima di nove nipoti.-

Pensare a tutta quella gente mi fece spalancare gli occhi: nove nipoti?! Ma erano dei conigli?!

-E quindi ero la loro speranza, mi educarono fin da subito, ma mi rivelai molto più…maschio dei miei cugini: cominciai a giocare a softball, picchiavo gli altri ragazzi e portavo i capelli corti. Insomma non ero proprio l’esempio di gestore di una locanda.

E poi, quando sembrava che stessero per cominciare ad accettare l’idea…arrivò Kojiro.-

Lì mi fermai dall’addentare quel pezzo di pesce, avevo trovato il coraggio di farlo ma quell’ultima informazione aveva stimolato la mia curiosità e mi ero fermato, abbassando la mano mentre Maki addentava qualcosa e bevendo dal thermos, offrendomi una tazza di the amaro.

-Per quanto tradizionale fosse, le sue intenzioni erano chiare a tutti in famiglia quando lo presentai; e se mia nonna lo accettò tranquillamente, mia zia ne era disgustata: quando ci fu l’incontro da entrambe le nostre famiglie si rese odiosa, cercando di far sentire la famiglia Hyuga povera e incapace di poter reggere il confronto.

Mi vergognai talmente tanto di lei da reagire e farla stare zitta, chiedendo scusa alla madre di Kojiro e andandomene. Andandomene proprio dal ryokan e da casa.-

Si, lei era il tipo che poteva fare una cosa del genere, e la guardai ammirato. Lei invece sembrava leggermente imbarazzata a dire una cosa del genere, e mangiò qualcosa prima di parlare; forse, a questo punto, potevo interromperla, in fondo quello che m’interessava sapere lo avevo ottenuto, ma la sua storia mi affascinava, ed era un modo anche per conoscere meglio Kojiro.

Non sapevo molto di lui, mai saputo: eravamo avversari sempre, anche nella stessa squadra, ed eravamo compagni, anche quando i chilometri di separava. Ma della sua vita privata non ne sapevo assolutamente nulla, e quel racconto mi sembrava un modo come un altro per conoscerlo, anche se forse era tardi.

-Mia nonna quasi ne morì e mi supplicò di tornare, mia zia invece appena seppe dell’arrivo di Tomoko non esitò a dire che si erano liberati di un peso! Figurati!

Ecco…forse quella fu l’unica volta in cui mia nonna minacciò e sgridò mia zia, chiedendomi ancora di tornare sulla mia decisione, incontrando per la seconda volta la madre di Kojiro e porgendo le sue scuse, auspicando invece una vita matrimoniale felice per me e Ko.-

-Tua nonna ti vuole davvero bene.-

-Io non sono più la sua unica nipote femmina, ma per me prova un amore smisurato: quando Kojiro morì mi disse subito che potevo tornare al ryokan quando volevo. Mia zia, invece, era sul punto di fare una scenata quando mi vide, ma si limitò a ricordarmi che ora non ero più l’erede del ryokan per via della mia “bravata”, come chiamava lei il mio matrimonio, e che ero solo una cameriera.-

-Insomma, è proprio un pozzo di affetto.-

-Già.-

-Lasciala perdere, è invidiosa per via dei tuoi capelli.-

La feci sorridere ancora, e mi sentii più sollevato, l’aria cupa che cominciava a formarsi sopra di noi non mi piaceva per niente e quella giornata era troppo bella per rovinarla in quel modo.

-E tu invece? Come va con la tua famiglia?-

…si, ERA proprio una bella giornata.

-Bah, madre, padre e me. Niente di più.-

-Non hai altri parenti?-

-No, e se li ho non li conosco.-

Mi guardò con aria stupita, forse ero stato un po’ troppo freddo e sillabico, ma non mi fa impazzire parlare di persone a me estranee come loro.

-I miei hanno sempre vissuto all’estero mentre io ero a Nankatsu, e non ho mai avuto “avventure” del genere come te. Tutto qua.-

-Quindi sei sempre stato solo?-

Si. Sono sempre stato solo.

-Certo che no, avevo la New Team. Tsubasa, Misaki, gli altri insomma.-

Lei però mi guardò dritto negl’occhi e sembrò, con quello sguardo, tentare di vedere dentro la mia corazza; non glielo potevo permettere, rimaneva sempre e comunque un’estranea e non avrebbe compreso. Abbassai lo sguardo e mi misi in bocca quel pezzo di pesce, sentendo per mio sollievo che era cotto, ed era anche buono.

Lei, davanti a me, dopo un primo momento riprese a mangiare, e il suo sguardo lasciò la presa, facendomi sentire nuovamente libero e sollevato, quegl’occhi erano tremendi. Però non restammo tanto in silenzio.

-Contento del pesce cotto?-

-Altroché!-

-Non capisco come non ti possa piacere il pesce crudo.-

-Non mi piace e basta.-

-Senti, ci sono mille modi per mangiarlo e fare in modo che risulti buono.-

-Ma io non voglio che mi risulti buono, non lo voglio e basta.-

-Eddai non fare il bambino!-

-Sono un tuo cliente, lo posso fare quanto mi pare e piace.-

-Già, peccato che hai trent’anni ed io non sono come Tomoko, che ti basta farle un’occhiataccia per spaventarla.-

Non farmi la maestrina, so bene che non mi sono comportato troppo bene con quella tipa, ma mi stava facendo innervosire il suo modo di fare stralunato, insomma sono il cliente ma mi è sembrato essere un alieno atterrato su questo pianeta! E le avevo chiesto solo di spostarmi una borsa! Tuttavia questi miei pensieri non avrebbero fatto altri che confermare che ero tendenzialmente dispotico e poco propenso alla pazienza, in una parola capriccioso.

Perciò sbuffai e guardai da un’altra parte, facendola sorridere divertita.

E non sorridere così! non hai vinto tu!

-Senti, lascia che ti faccia assaggiare qualche piatto di pesce crudo e poi decidi dopo se non vuoi continuare ad assaggiare, ma almeno fammi provare! Sono la tua cameriera e voglio che ti goda tutto del soggiorno alla locanda.-

O meglio, voglio che tu ammetta che io abbia ragione.

Però il suo modo di fare era veramente…veramente gradevole maledizione.

-Va bene, ci provo, ma non ti assicuro niente!-

-Va bene così.-

E sorrise, il suo solito e piacevole sorriso che, in due giorni, oramai era diventato parte integrante delle cose buone di quella vacanza forzata.

-Comunque, e adesso? Dove mi vuoi portare?-

-Beh, abbiamo ancora tre ore di tempo credo. Possiamo andare a vedere il castello di Shuri.-

-Va bene, ti sto dietro. Sempre che riesca a tenere il tuo passo.-

Ecco, la feci ridere un’altra volta, oramai stavo diventando bravo, ma troppo buono, dovevo tornare al più presto alla mia modalità burbera e stronza.

Il tempo non mi diede una mano, in questo caso: la stagione calda in Giappone, spesso, porta con sé temporali improvvisi ed antipatici, che da un secondo all’altro ti bagnano dalla testa ai piedi se non hai con te l’ombrello.

Ci stavamo muovendo per prendere l’autobus, e nessuno dei due si era reso conto delle nuvole sopra la nostra testa, troppo presi invece a discutere di cucina.

-Perché tu cucini tutti i giorni a casa tua, vero?-

-No, ammetto che non ho mai cucinato.-

-Allora come fai a dare suggerimenti culinari?-

-Anch’io ho una lingua e un palato, saprò bene quello che metto in bocca.-

-Salsicce e crauti?-

-Questa è discriminazione, in Germania non si mangia solo quello.-

-Però non mi dai l’idea di uno che abbia mangiato altro, se rifiuti il pesce in questo modo.-

-Anche tu avrai qualche cibo che ti disgusta.-

-Ti assicuro invece che sono una buona forchetta. Ma che…-

-No cazzo…-

Si mise a piovere, e credo che il mio commento ebbe ‘effetto di una formula magica perché la pioggia divenne di colpo forte, al punto d investire me e Maki con un’ondata d’acqua mentre la ragazza lanciava un verso sorpreso, indicandomi poi il primo posto dove ripararsi, un terrazzo abbastanza largo di un edificio; non potei correre ma feci di tutto per raggiungerlo il più in fretta possibile, aiutato anche dalla giovane donna.

Ma quando arrivammo al riparo oramai eravamo zuppi, e l’obi che legava il kimono di Maki si era leggermente allentato, il che è strano dato che danno sempre l’idea di essere strettissimi quei cosi.

-Ma non dovrebbe sciogliersi mai?-

-Me l’ha fatto Tomoko, e lei a volte non lo stringe bene. Ma non è grave, reggerà.

Sono i capelli invece che non reggono…-

E così facendo cominciò a togliersi tutte le forcine che tenevano le extension salde alla nuca. Ed erano almeno una ventina, pazzesco!

I capelli finti scivolarono velocemente dalla sua testa, e lei scosse il capo mostrandomi i suoi corti capelli scuri.

Oddio, ma chi era quella davanti a me? Non sembrava affatto la Maki che avevo conosciuto fino a quel momento: questa aveva corti capelli che a fatica arrivavano a superare le sue orecchie e una frangetta che le sfiorava la fronte.

Dovevo essere abbastanza stralunato, quando si voltò a guardarmi rimase sorpresa, prima di mettersi a ridere.

-Ehi, guarda che sono sempre io.-

-Lo so ma cavolo! Così corti proprio non me lo immaginavo.-

-Ma non ti ricordo al funerale? Erano proprio così.-

-Sarà passato anche un anno, e non ho un ricordo molto preciso di quel momento.-

-Non dirlo a me.-

Ecco, se l’era cantata e se l’era suonata. Che brava! Forza Genzo, falla ridere in qualche modo.

Ma che sono, un pagliaccio?!

-Comunque hai mai pensato di tenerli lunghi?-

-Certo, ti ricordo che sarei dovuta diventare la padrona del ryokan. Ma più guardavo le altre ragazze più sentivo che io preferivo i capelli corti: tutte quelle forcine, quegl’elastici, quei fermagli sulla testa…ho sempre pensato che se fosse passata una calamita sopra di loro se le sarebbe prese tutte in un colpo solo.-

Bella battuta, mi era piaciuta! Ci risi sopra, e sebbene io non avessi la risata contagiosa riuscii a risollevarle l’umore.

-E Kojiro? Lui ti preferiva con i capelli lunghi?-

-Scherzi? Mi aveva sempre minacciato che se me li facevo crescere me li avrebbe tagliati, e una volta lo ha pure fatto.-

CHE?!

-Giuro! Sono andata a trovarlo in Italia, e allora i miei capelli erano arrivati qui, all’altezza delle spalle: quando mi vide mi lanciò un’occhiata torva, ma non ci feci molto caso. Poi, quando mi sono svegliata il giorno dopo, sono andata in bagno e i miei capelli erano tornati magicamente all’altezza normale, con un taglio decisamente storto e bislacco.-

Non ci potevo credere, non ci potevo DAVVERO credere!

-E indovina? Ho ritrovato il resto dei miei capelli dentro il cestino della spazzatura.-

-Tu che hai fatto?-

-Sono dovuta andare dal parrucchiere per sistemarli, dato che Kojiro non è di sicuro il miglior hair-stylist del mondo.-

E risi, risi davvero di gusto a quel racconto, non ci potevo credere a quello che avevo sentito: si, ho sempre saputo che Hyuga era uno che, quando diceva una cosa, la faceva senza troppi problemi, ma addirittura questo! Pazzesco, veramente pazzesco!

E accanto a me Maki rideva più forte, attirando su di me il mio sguardo.

I capelli corti le si erano appiccicati sui bordi delle guance, tirate dalla risata, e il suo sguardo non aveva ancora l’accenno triste che aveva solitamente quando parlava di Kojiro, ma ancora aveva la risata che le saliva dalla gola.

E pensai…che era bella.

Si, era bella Akamine.

Oddio, ma che vado a pensare? Ma sono rincretinito?!

Via, via!

Il mio umore cambiò bruscamente, la mia risata morì, anzi la seppellii senza neanche farla morire veramente.

-Beh, credo che tu non abbia più avuto l’idea di farli crescere.-

Anche la sua risata si smorzò, e io feci di tutto per tenere il capo girato da un’altra parte, non volevo che notasse il mio cambio di umore, non so perché ma preferivo non mostrarlo così apertamente.

-Infatti, anche per questo la zia calva si arrabbia.-

-Quella si arrabbia per tutto, scommetto che si è arrabbiata anche perché si è messo a piovere.-

Non potemmo andare al castello di Shuri, il tempo ci fermò e fummo costretti ad aspettare il ritorno del signor Akamine sotto quel riparo, chiacchierando ma senza l’atmosfera allegra e leggera di prima.

Tutto per colpa di quello stupido pensiero.

Stupido pensiero che mi turbò per il resto del pomeriggio e della sera, per non dire la notte.

 

Tornò di nuovo, e stavolta era ancora più incazzato.

Lo vedevo da come mi guardava prima di tirare in porta: sembrava intenzionato ad uccidermi con quel pallone da calcio.

Ma se ce l’aveva fatta il giorno prima stavolta non ci sarebbe riuscito!

L’avrei parata, ad ogni costo!

 

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