Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: nous    23/10/2010    1 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
arancio IX

 

IX.

“Non ho voglia di aspettarti e non ho voglia di capirti.

 Perché per capire la realtà bisogna amarla e io,

 la realtà che tu vivi non la amo più.”

DAVIDE TOFFOLO, Pasolini.

 

La sera si stava infiltrando dentro di lui. Naruto, nell’incertezza del salto, avvertiva il freddo trafiggergli le ossa. L’aria era pungente. Forse solo lui la sentiva così. Non era stagione per avere brividi. Ma lui li aveva. Ed era come se il gelo nascesse da dentro e si espandesse a tutto ciò che aveva attorno.

Si domandava se fosse ancora vivo. Forse quella, che stava così meccanicamente percorrendo, non era la strada di casa, ma una via verso l’aldilà. Dritto verso un inferno in cui non credeva. Ma dal ritrovarsi a Konoha o davanti la faccia di un qualche dio, non cambiava molto. Ovunque i suoi passi lo portassero, lui non poteva cambiare ciò che era stato. La sua dannazione la stava vivendo. Vivo o morto che fosse.

Non provava dolore. La mente non era lì, solo il corpo c’era e sembrava non avere coscienza. Un automa che seguiva un percorso prestabilito. Le numerose missioni svolte glielo avevano impresso a fuoco nella parte più nascosta del cervello. Agiva senza volerlo. I piedi comandavano e il resto placidamente seguiva.

Il peso degli anni sulle spalle e la consapevolezza che nulla sarebbe mai stato lo stesso. Non per lui. Forse il mondo avrebbe continuato a girare e le persone ad amarsi ed uccidersi, ma lui non sarebbe mai stato più lo stesso. In lui la verità e la menzogna si erano unite. Da quell’immondo parto era nato quel freddo che sentiva dentro. Era colpevole. Il traditore della patria, dei compagni e degli amici. Lui aveva tradito in nome del fratello.

Erano simili ed immensamente diversi. Due corpi in collisione. Un’energia spaventosa e primordiale. Detriti del passato che si spargevano nel nulla che vi era attorno.

A volte si sentiva una marionetta nelle mani del caso. Sarebbe stato semplice non essere responsabile delle proprie azioni. Essere libero perché inconsapevole di essere schiavo.

Il cervello scollegato dal corpo, disperso nel bosco a rivedere quella successione d’immagini. Lui per cento volte era caduto a terra.

 Non si rialzava.

Di nuovo a mezz’aria, trattenendo il respiro. Saltare.

 La tensione. L’eccitazione. Pronti a lanciare il migliore colpo. Energia che defluiva dal corpo per concentrarsi in un unico punto. In un secondo la vita veniva decisa. Un lampo. Un bagliore ancestrale. Ancora una volta pronto a rimanere accecato.

La chioma biondo sporco si scuoteva per la resistenza dell’aria. Senza soffrire, procedeva verso la sua dannatamente amata patria. Gli occhi cerulei puntavano l’orizzonte, senza guardare nulla. Ceco continuava a farsi guidare dalle gambe.

Una afona deflagrazione. Spaventosa e distruttiva nella sua immensità. Non riusciva a capire se la sua mente riportasse fotogrammi senza suono, o se il certo boato gli avesse perforato i timpani, rendendolo sordo. Era stato scagliato lontano.

La terra ed il sangue raggrumato gli facevano da vestito. Il tempo gli era sfuggito dalle mani. Il sole era alto. Nella diapositiva successiva doveva essere in procinto di tramontare. Doveva riempire quel vuoto. Si era immaginato il suo corpo, come un sacco di carne, essere fatto rotolare per metri. Probabilmente era svenuto. Per questo aveva avuto quella sensazione  di ferro in bocca, quel calore tipico delle ferite profonde, quel malessere e stordimento che si prova dopo una botta in testa.

Konoha era sempre più vicina. Naruto era veloce. Era vento. Anche se i suoi pensieri si erano persi. Il suo corpo sapeva gestire lo sforzo. Forse non aveva più energie. Forse si sarebbe fermato pochi metri da casa. Lui non era lì e finché la sua mente non fosse rientrata in simbiosi con il corpo non ci sarebbe stata ne stanchezza ne dolore. Era una macchina. Una corpo senza anima. Un puro meccanismo che continua a funzionare senza il bisogna di qualcosa di intangibile che lo governi. I piedi dell’automa forse sarebbero affondati di meno nel fango. Se la sua anima fosse tornata, forse i rami si sarebbero rotti sotto il suo peso. Tutte quelle incofessabili colpe sicuramente erano  macigni.

Quel bastardo gli aveva affidato i suoi ricordi, i suoi errori e i suoi tormenti. Era bastato uno sguardo per ricevere in testamento quella sua maledizione che lo aveva tormentato tutta la vita. Ora il cuore condivideva un dolore mai rivelato. Ora Naruto sapeva cosa l’altro avesse patito. Ogni scelta porta a delle conseguenze, saperle accettare significa essere maturi. Poteva affermare che erano cresciuti troppo in fretta. Non avevano le spalle abbastanza forti per affrontare quella tormenta che li sconfiggeva dentro. Non avevano abbastanza forza per portare la maschera del guerriero imperturbabile. Erano fratelli. Avrebbero condiviso le loro colpe.

Sasuke era il traditore.

Naruto era il traditore.

Avevano disubbidito alla patria.

Avevano abbandonato gli amici.

Avevano combattuto il proprio fratello.

Sul cielo cominciavano a comparire le prime stelle. Quella sarebbe stata una notte senza luna. Una lunga notte rischiarata solo dalla luce fredda degli astri. Un meraviglioso tetto sotto il quale abbandonarsi al sonno. Perdersi completamente. Sognare. Vedere un altro sé ed il mondo che prende una piega diversa.

Sakura vedendolo arrivare gli sarebbe corsa incontro. Lo avrebbe abbracciato con le lacrime agli occhi. Era felice. Era stata preoccupata. Tutte le sua ansie sarebbero state sfatate presto. Alle sue spalle la ragazza avrebbe visto il suo antico amore. Sasuke era  di nuovo a Konoha. La squadra 7 era di nuovo completa. Si sarebbero fissati, tutti e tre, e avrebbero riso.

Naruto non poteva più sognare. Aveva versato il veleno della realtà sui suoi sogni. Il passato era morto da tempo. Tutte quelle promesse fatte a Sakura le aveva infrante.

Non c’era più nessuno da riportare indietro. Nemmeno lui doveva tornare. Nulla andava portato a casa.

Però la sua carcassa procedeva. Senza anima. Senza voglia. Non aveva l’esigenza di andare avanti. Lui doveva restare fermo. Lasciare che tutto il sangue rimastogli nel corpo uscisse a bagnare la terra. Il sangue andava pagato con il sangue. La vita glielo aveva insegnato. Il fatto che fosse ancora vivo, forse, era il segno che dovesse continuare a respirare. Morire ora sarebbe stato troppo facile. La sua punizione era vivere. Vivere per chi ora non c’era. Per chi non sarebbe stato più che un ricordo del passato. Un’anima destinata a vagare sulla terra senza una tomba a cui tornare.

Erano precipitati, come una violenta pioggia.

I corpi premuti a terra. La nebbia in testa.

Ogni muscolo, ogni osso dava dolore. Ma nulla sembrava rotto. Forse qualche costola. Mentre respirava aveva delle fitte. L’aria era pungente. Dolorosa. Un braccio non rispondeva. Tentò si sollevarsi con l’altro. Non aveva mia creduto che il suo corpo pesasse tanto.

Una volta sollevata la faccia dal suolo, sputò. Polvere, sangue, saliva: una poltiglia vermiglia.

Scrutò attorno. Quel paesaggio lunare, non poteva trovarsi in mezzo al bosco. Loro non erano più sulla terra. Quello era un sogno. Un incubo. Ma il sangue era reale.

Se fosse stato tutto un’illusione, la sua mente non starebbe passando in rassegna ad uno ad uno i frammenti di quell’improbabile film.

Konoha era talmente vicina da poter riconoscere i profili delle mura. Casa c’era ancora. Lui stava tornando fedelmente all’alveare. Lui non aveva volontà. Lui era un’ape. Era destinato a tornare. Ad ubbidire.

Per una vita aveva disubbidito, pensando che la sua morale fosse superiore ad impersonali regole. Era affogato in un mare di guai, ma ne era riemerso eroe. Per la prima volta eroe. Quando si diventa importanti per qualcuno le responsabilità aumentano. Presto qualcuno lo avrebbe visto come un esempio da imitare. Un’icona. Non poteva stare più rimanere attaccato al suo mondo di ideali. Era tempo di crescere ed essere un ninja rispettoso delle leggi per quanto giuste, sbagliate, irrazionali che fossero.

Quanto tempo era passato da quando voleva fare ancora l’Hokage?

In quei due anni avrebbe voluto scavare una fossa e sprofondarci dentro. Sparire. Non voleva sentirsi chiamare eroe. Non voleva vedere quei sorrisi luminosi di chi lo incontrava. Konoha era un vestito stretto, pesante, che non lo faceva respirare più.

Le porte, alte e fredde, incombevano su di lui, pronte per crollargli addosso. Forse era ancora in tempo per voltarsi e lasciarsi il suo mondo alle spalle. Scappare, tornando a morire nel bosco. Una scossa lo attraversò. Ora era integro. Mente e corpo. Si rese conto di essere troppo debole per ritornare sui suoi passi. Ormai era tardi. Sentiva le gambe deboli, instabili, incapaci di sorreggerlo ancora. Sorrise al pensiero che forse non sarebbe nemmeno riuscito a ritornare.

Anche il fiato era corto. Per quanto tempo aveva corso? Quando si era allontanato dal bosco?

Davanti a sè vedeva solo l’ingresso di quella prigione chiamata casa.  Salì con lo sguardo lungo la porta lignea. Due metri. Tre metri. Cinque metri. Forse sei. Probabilmente di più. Proseguì. In alto si distingueva il punto dove il muro vecchio si innestava sul nuovo. Nonostante fossero passati due anni da quando era stato ricostruito, quella cicatrice era ancora visibile. Non aveva mai osato voltarsi per scrutare il limite tra la vecchia struttura ed il cielo. Là lo attendevano i fantasmi. Ora, però, era curioso di vedere se quegli occhi persi che vagano nella sua memoria c'erano ancora. Per Naruto, quel ricordo viveva nei mattoni e nel legno rimasto in piedi alla furia del loro ultimo incontro. Lui stava lì. Era sempre stato lì, pronto a farlo sentire inadeguato. Lui doveva rimanere lassù, irraggiungibile.

Lo sfondo della notte non permetteva di vedere nulla. Appollaiato sul quel muro non vi era nessuno. L’aria di quella sera era tutta sua.

Sasuke non poteva essere lì. Non si era più rialzato.

Quel fantasma era stato raggiunto e superato.

Sasuke era nel bosco. Non aveva più bisogno di tornare a Konoha. Naruto non aveva più motivi per vederselo sulla porta del villaggio.

L’aria di quella sera era tutta sua, Sasuke non ne aveva più bisogno.

 

«Mi è stato riferito che Naruto è stato ferito gravemente nell’ultima missione.» pronunciò l’Hokage, non distogliendo lo guardo dai fogli sparsi sul tavolo.«Non è da lui…».

La ragazza scrutava il vecchio sensei. La voce dell’uomo era atona, sembrava più interessato alle sue scartoffie che alla salute di uno dei suoi migliori ninja.  Credeva che in tutto il villaggio solo lei fosse davvero preoccupata per Naruto.

«Sakura…ti ha detto qualcosa?»

«Ha parlato di un’ imprevisto.»

Il suo compagno non le aveva raccontato nulla. Da tempo non l’aggiornava più riguardo le missioni. In quella stanza d’ospedale era stato freddo ed evasivo. Sakura avrebbe dovuto rispondere a Kakashi che imprevisto fu l’unica parola che uscì dalla sua bocca come risposta alle molte domande che gli fece.

Fissava il parquet dell’ufficio dell’hokage, così lontano dall’ ospedale, così diverso.

Il Naruto con cui era cresciuta non c’era più. Ogni volta che tentava di incontrare lo sguardo del ragazzo ne aveva la certezza. Il suo Naruto non c’era più. Ciò che rimaneva di lui stava guardando il soffitto della triste stanza. Ebbe l’impressione che stesse facendo di tutto per evitare i suoi occhi verdi. Tutte le risposte dovevano risiedere in quell’asettico intonaco bianco.

Sakura non poteva capire.

«Sakura?»

La voce del Rokudaime la destò. Doveva essersi eclissata nei propri pensieri, Kakashi la stava fissando interrogativo.

«S-si?»

«Quando torni da Naruto, digli che, appena si rimette, voglio il rapporto della missione. D’accordo?». La ragazza ebbe l’impressione che sotto la maschera l’uomo le stessa sorridendo. Rassicurante. La ragazza doveva sembrare al maestro una bambina smarrita.

Annuì.

«Ora vai.»

Sakura fece un piccolo inchino in direzione dell’autorità per congedarsi. Si voltò, dirigendosi verso la porta. L’aprì e l’accompagno dolcemente nel suo chiudersi.

 

Delle bandierine arancioni sventolavano dimenticate  su qualche balcone. Non era più un giorno di festa. Le persone affollavano le strade distratte e perse nei loro affari. I bambini giocavano a rincorrersi lungo la strada. Alcune donne stavano comprando delle verdure che avrebbero cucinato per cena in un chiosco lungo la strada. Dei ninja in libera uscita stavano bevendo assieme, discutendo animatamente. Armi, combattimento, donne. Konoha era serena. Protetta dai suoi guerrieri. L’eroe della città era stato ferito, ma nessuno lo sapeva. Il villaggio continuava ad essere sicuro nella sua ignoranza. Bastava avere la certezza che qualcuno avrebbe protetto il suo popolo e la sua patria: la vita procedeva.

Nonostante tutto, il villaggio nascosto della foglia era rinato, più fiorente di prima. Del passato non si faceva memoria. Non vi era interesse nel raccontare i tempi bui. Non c’era nessun pericolo, non c’era bisogno di allarmarsi. I nemici erano caduti. Gli eroi erano caduti. Gli uomini continuavano a vivere. Mantenere il silenzio diventava una garanzia per continuare ad esistere.

Nessuno avrebbe saputo dell’ultimo grande guerriero Uchiha che, nel fitto del bosco, stava guardando il cielo, senza vederlo.

Nessuno sarebbe venuto a conoscenza di quel ninja che, alle porte del suo villaggio, aveva pregato perché  tutto quello che aveva vissuto si mischiasse al suo sangue per non dimenticare.

Naruto portava in sé il vecchio compagno di viaggio. In quella notte erano morti entrambi. Ma questo era un loro segreto, un patto tra fratelli.

Nessuno doveva sapere.

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

I personaggi apparsi in questa storia appartengono a Masashi Kishimoto.

 

 

 

Mi scuso per l’enorme ritardo nell’aggiornamento. Nel frattempo mi sono successe parecchie cose e complice la mancanza di internet e di tempo sono stata un po’ assente.

Questo, cari miei, era l’ultimo capitolo. Ogni storia deve finire. E questo è il momento dei saluti e dei ringraziamenti a coloro che hanno letto e apprezzato e a quelli a cui ciò che ho raccontato non è piaciuto.

 Grazie a tutti.

 

nous

 

 

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: nous