9. New York, New York.
Mi
svegliai fra lenzuola bianche. Il malditesta mi colpì come
una
mannaia. Non ricordavo dove mi trovassi, guardai fuori dalla grande
finestra. L'Empire State Building spiccava in mezzo al cielo
azzurro. Pian piano i rumori del traffico e dell'acqua che scrosciava
nel bagno cominciarono a farsi largo nelle mie orecchie intontite.
Era in una stanza d'albergo. Per terra c'erano un mio completo nero e
un vestito rosso da sera. Cazzo, ero finito a letto con una ragazza.
Non mi ricordavo nemmeno come si chiamasse o che faccia avesse. Mi
alzai di soppiatto e mi avvicinai alla sua borsa posata sulla
poltrona all'ingresso, cercando il portafoglio. Ecco la carta
d'identità. Jade Bodwein. Bionda, carina dalla foto. Sentii
dei
rumori da dietro la porta quindi risaltai sotto le coperte, facendo
finta di dormire.
La
porta si aprii e lei sbuffò rumorosamente.
Incominciò a sbattere
contro tutte le cose che poteva e a camminare pesantemente: capii che
voleva che mi svegliassi, ma non volevo dargliela vinta. La sentii
tirare su la zip del vestito, rimettersi i tacchi e poi sentii che
prendeva qualcosa dalla borsa. Sentii il suo respiro vicino al mio
viso e un bacio premere sulle mie labbra dischiuse. A quel punto fui
costretto a svegliarmi. Aprii gli occhi sbadigliando.
-Buongiorno!-
mi sorrise lei con i suoi riccioli che cadevano sul mio cuscino.
-Ciao
Jade!- dissi. Era visibilmente sorpresa che ricordassi il suo nome.
-Devo
andare...- disse. La fermai per un braccio, così come
richiedevano
le regole. -No, davvero devo andare...- insistette lei, ma si sedette
invece sul letto lasciva. La baciai sulla guancia, mi sembrava di
recitare, probabilmente lo stavo facendo.
-Sì...
capisco! Anche io ho un impegno oggi!-
-Ci
sentiamo presto?- chiese speranzosa.
“Credici!”
pensai tra me.-Sicuro piccola...- e mi allontanai verso il bagno.
Quando
tornai in camera vidi che la cameriera stava rifacendo il letto.
-C'era
questo nel letto...- mi porse un braccialetto colorato. Martina. Il
suo viso comparve nella mia mente come un fulmine a ciel sereno. Era
passato un mese. Avevo scambiato alcune mail con Lorenzo, sul mio
arrivo, sul lavoro, su New York, poi da un paio di settimane gli
impegni non mi avevano più permesso di prendermi il tempo
per
scrivergli, ne tanto meno di chiedergli l'email di sua sorella; ma
dopotutto nemmeno lei mi aveva cercato. Probabilmente non gli
interessavo un granché. O forse aveva paura. La parte
preponderante
di me non diede peso a quella considerazione fugace, ma prese per
buona la prima.
La
cameriera era ancora lì, che mi osservava confusa,
tendendomi il
braccialetto. Lo presi e me lo legai al polso.
Poco
dopo un cameriere bussò alla porta ed entrò con
il servizio in
camera che non ricordavo di aver richiesto. C'era anche una rosa
rossa appoggiata sul vassoio.
-Questa
è da parte della signorina e mi ha pregato di darle
questo.-disse
porgendomi un biglietto scritto sulla carta stampata dell'hotel.
“Questo
è il mio numero: 555-387. Hai tempo finché la
rosa non appassisce
per chiamarmi! Jade.” portai la rosa al viso e assaporai il
suo
dolce e inconfondibile profumo, ma non ricordai quello di Jade;
così
buttai la rosa nel cestino di fianco alla porta e mi concentrai sulla
colazione.
Uscii
in strada poco dopo e mi lasciai trasportare dal fiume di persone che
costantemente affollavano quella città. Avevo un cappello da
baseball e gli occhiali da sole calati sul viso: speravo bastasse per
non farmi riconoscere da nessuno.
Central park riusciva sempre a rapirmi per qualche ora: osservare le persone camminare mano nella mano, i bambini giocare, gli anziani chiacchierare, i più temerari correre. Central Park per me è sempre stato un mondo a parte, un'altra città nella città, un quartiere a sé stante, un'altra realtà. Per fortuna ero uscito con la mia tracolla con dentro taccuino e carboncini e così seduto su una panchina un po' defilata iniziai a scarabocchiare. Mi vennero in mente i disegni di Martina, che conservavo in una cartelletta insieme ad altri documenti di lavoro e i nostri discorsi su quella passione che condividevamo, cercai di cacciare quei pensieri e mi misi a osservare le papere che sguazzavano nel laghetto di fronte a me, cercando di imprimere i loro contorni perfetti su carta.
Quando
tornai in albergo decisi di scrivere una mail a Lorenzo:
“Ciao
Bello!
Come
stai? Io mi sto dando agli stravizi ultimamente. Volevo sapere se
potevi darmi il vostro indirizzo di casa per mandarvi una cartolina.
Come state? I tuoi genitori? Il lavoro? Tua sorella?
Scrivimi
presto e saluti tutti!
Un
abbraccio, James.”
Speravo
mi avrebbe risposto in fretta e intanto mi misi a scrivere un po'.
Un
altro mese a New York passò velocemente fra feste e le Jade
di
turno: quasi sempre modelle incredibili, con una personalità
da far
invidia a quella di una tartaruga, ma che a letto si trasformavano in
pantere arrapate. Dopotutto non volevo niente di più. Non
volevo
mettere in gioco il cuore e nemmeno loro volevano da me qualcosa in
più che il mio corpo muscoloso. Spesso dopo quelle fugaci
avventure
mi ritrovavo nei balconi degli hotel a fumare una sigaretta, fissando
il cielo e mi sentivo assalire da una tristezza incredibile, un senso
di inadeguatezza, una voglia di fuggire da quella vita senza
spessore, ma c'era una forza che mi incatenava a quel suolo
americano, una forza ineluttabile.
Intanto
avevo ricominciato a lavorare con Jordan, che con il suo enorme
entusiasmo (nuovo di zecca), mi aveva fatto firmare contratti
pubblicitari e aveva messo in cantiere un nuovo film: Saremmo partiti
di lì a un mese per la Francia. Non vedevo l'ora. A Parigi
c'ero
stato una volta sola e per troppo poco tempo, invece adesso sembrava
dovessimo stare almeno 6 mesi.
Mentre
stavo piegando le camicie appena ritirate dalla tintoria sentii
bussare alla porta. Eppure avevo messo “Non
disturbare” sulla
porta. Andai ad aprire scocciato pronto per insultare la cameriera di
turno. Aprendo la porta invece ebbi una sorpresa inaspettata.
-Ciao..-
si scostò il ciuffo di capelli castano chiaro e mi
fissò con i suoi
occhioni azzurri.
-Marla?-
ero interdetto.
-Mi
fai entrare?-
Avrei
voluto davvero dire di no e invece mi uscì:-Ok..- e mi
scostai per
farla entrare. Chiusi la porta e rimasi girato compiendo un respiro
profondo.
-Mi
guardi?- subito richiamò la mia attenzione.
Mi
voltai controvoglia e la vidi già seduta sul letto, vicino
alle
camicie. Aveva una camicetta viola e un paio di jeans. Lei,
inguaribile sportiva.
-Allora?-
chiesi scocciato e mi avvicinai al mini bar: -Vuoi qualcosa?-
-Un'acqua
tonica va bene...-
-Bene!-
la stappai e la misi dentro un bicchiere, tagliando anche una fetta
di lime e mettendoci il ghiaccio. Io mi stappai una birra gelata.
Lei
non aveva ancora parlato e prima di farlo diede un lungo sorso dal
bicchiere.
-James...
Avevo bisogno di vederti e tu non hai mai risposto alle mie mail o
chiamate!-
-Marla...
è finita!-
-Che
cazzo centra questo? L'educazione è finita? Il rapporto di
conoscenza fra noi è finito?-
-Non
ho detto questo, ma non ha senso che tu voglia controllare la mia
vita!.-
-Ah...-eccolo
il suo tipico verso seccato, con la bocca aperta e il sospiro
bloccato a metà. Quanto lo odiavo.
-Cosa
c'è quindi di così importante?- mi stavo
spazientendo.
Lei
abbassò gli occhi sul bicchiere. Quando li rialzò
aveva un altro
sguardo, quasi malizioso. Si alzò e mi venne vicino. Io
stavo ancora
in piedi. Prese la mia birra e la posò sul tavolo vicino al
suo
bicchiere e poi passò con le sue dita sulle mie braccia,
dalle mani
fin quasi alle spalle.
-Mi
manchi James...- la sua voce era un sussurro. Si appoggiò al
mio
petto. Alzai gli occhi al cielo. Non doveva fare così. Lo
sapeva che
io non resistevo, non resistevo mai!
Mi
guardò di nuovo e mi spinse verso la poltrona.
No.
No. No. Non dovevo lasciarmi trascinare. Invece lei era forte
così
mi trovai a indietreggiare finché dovetti piegare le gambe e
sentii
la stoffa morbida della poltrona sotto di me. Lei mi venne sopra, a
cavalcioni. E subito puntò lì dove sapeva, dove
doveva puntare per
farmi perdere il controllo della situazione. Si avvicinò al
mio lobo
sinistro e cominciò a leccarlo e mordicchiarlo. Cazzo. Ero
fottuto.
Se fossi rimasti un minuto in più in quella posizione sapevo
che
avrei oltrepassato il punto di non ritorno. Le mie mani erano ancora
avvinghiate ai braccioli e non volevo muoverle, ma lei le prese e le
posizionò sui suoi fianchi che la camicetta aveva scoperto.
Ok perfetto,
avevo passato il punto di non ritorno. Eccomi lì a baciarla
senza
sapere come smettere. Senza avere la forza di smettere. E prima di
perdere ogni controllo con la mia parte razionale mi ritrovai a
pensare “Ma non avevo detto basta donne?"
Fede'corner:
AVVISO
IMPORTANTE PER LE AMANTI DI JAMES: comprate Glamour di
Novembre.. c'è una sua intervistdi e un paio di
foto carinissime con la camicia da boscaiolo... dalla
copertina non era segnalato, quindi potrete immaginare il mio urletto
quando sfogliandolo sovrappensiero ho visto il suo faccione!!!
*_*
Tra l'altro nell'intervista descive la sua donna ideale proprio come
è Martina(nel senso di intelligente, che sappia capire le
continue provocazioni e che abbia le sue stesse passioni)... quindi
sono molto soddisfatta! =P
N.B. alcune cose che ho scritto, esempio film in Francia, ritorno da Marla, ecc... sono naturalmente frutto della mia imagination e non hanno fondamento reale... è solo per ricordarlo! =)
GRAZIE
come sempre alle mie commentatrici di fiducia Pepesale e barbydowney.... che
mi fanno sempre sorridere e non vedo mai l'ora di leggere le loro
recensioni! =)
un GRAZIE
speciale anche a
VasiSchwartz, _Bonnie_
e gy_93...
e un GRAZIE
ancora più affettuoso alle lettrici in incognito! =)
A prestissimo, spero
Fede