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Autore: fri rapace    25/10/2010    12 recensioni
Andromeda alla scoperta di se stessa attraverso la sua famiglia: i Black, i Tonks. I Lupin.
Storia classificata decima al "Proud or Ashamed of Being a Black" indetto da Vogue 91
Storia classificata prima al "Flash contest - quando la giudice è in spiaggia" di Fabi_
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Ted Tonks | Coppie: Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Photobucket Photobucket Zona d'ombra, zona Black
Ted

La Sala Grande era davvero uno splendore: decine di abeti illuminati da eserciti di candeline coloravano l’aria del caldo chiarore del fuoco; le ghirlande di pungitopo e agrifoglio parevano tanti preziosi orecchini, appese alle pareti altissime che sfondavano il cielo.
Andromeda aveva undici anni e quello era il suo primo Natale ad Hogwarts.
Rapita dallo spettacolo che le si era aperto davanti nel percorso tra una lezione e l’altra, non aveva degnato di uno sguardo le sue compagne di Serpeverde che si erano staccate da lei per avviarsi verso l’aula di Trasfigurazione. L’avevano chiamata, avvertendola che rischiava di fare tardi, ma non aveva dato loro retta. Era una ragazzina disciplinata e non aveva alcun bisogno che le sue compagne le dicessero cosa fare.
Non prendeva certo ordini da delle bambine, lei!
“Mezza Foresta Proibita si è trasferita dentro al castello,” commentò una voce pastosa alle sue spalle. “Mica scema, col freddo che fa fuori… da inghiacciolarsi le radici!”
Con la coda dell’occhio Andromeda vide una mano paffuta posarsi sulla sua spalla. La fissò con malcelato disgusto: aveva un aspetto appiccicoso, sporco.
“La parola 'inghiacciolarsi' non esiste,” disse gelida. “E ora, puoi per favore levare la mano dalla mia divisa?”
Un viso tondo e allegro sorse sopra la zampaccia sporca, come un piccolo sole.
Aveva già visto quel bambino, era un Tassorosso.
Uno di quelli che sua sorella più grande le aveva indicato dalla loro tavolata durante i primi pasti passati assieme a scuola, inquadrandolo con lo sguardo e disegnando nell’aria una ics virtuale sulla sua faccia rotonda.
“Moccioso Mezzosangue,” aveva sputato Bella, facendo una smorfia. “Quello non esiste proprio! Dei Tassorosso non si salva quasi nessuno, se io fossi il preside darei fuoco a quella Casa!”
“Non basterebbe abolirla?” aveva proposto tranquillamente lei.
Sua sorella aveva sbuffato, guardandola di traverso. “Preferisco i fuochi d’artificio.”
Bella si risentiva sempre quando metteva in discussione le sue affermazioni, era fermamente convinta di avere sempre ragione.
Ma Andromeda non era meno Black di lei solo perché più giovane, e di chinare il capo senza dire la propria non se ne parlava proprio!
Il Tassorosso non se l’era presa per il suo tono altezzoso e, ubbidiente, aveva tolto subito la mano, che ora stava usando a mo’ di pettine, passandosela con le dita allargate a rastrello nella chioma bionda.
I suoi capelli non uscirono bene dalla strapazzata. Si erano divisi in spesse ciocche che sparavano da tutte le parti, confermando l’impressione di Andromeda riguardo la mancanza di pulizia delle dita di quel pasticcione.
“Io sono Ted,” si presentò, e senza lasciarle il tempo di ribattere, aggiunse: “E tu sei Andromeda Black.”
Lei finse di non sentirlo, facendo due passi verso l’abete più vicino sperando così di levarselo di dosso, quel fuoco d’artificio d’un Tassorosso!
“Ehi! Ehi!” le salterellò dietro lui. “Bello il Natale, vero? Lo sai cos’è?”
“Certo. Lo sanno tutti.”
Un po’ piccata, gonfiò le guance e soffiò su una delle candeline decorative, spegnendola.
Che razza di domanda… Credeva forse di star parlando con una stupida?
“Festa di compleanno!” esclamò Ted, allargando le braccia.
Era davvero un sempliciotto.
“Forse non l’hai notato, ma questo è un abete, non una torta”, lo istruì facendo la sostenuta.
Lui abbozzò un mezzo sorriso, non privo di ironia. “Intendevo dire che il Natale, è una festa di compleanno. Per i Cristiani. Mia mamma è cattolica e mio papà protestante, Natale è il compleanno del nostro Dio. Invece per i pagani è la festa della luce.”
Andromeda cercò di non far trasparire il proprio stupore, né il presentimento di aver mal giudicato il ragazzo. Odiava ammettere di aver sbagliato, anche se solo con se stessa.
Ted le indicò la candela spenta. “Essendo la festa della luce, quello che hai fatto non va per niente bene.”
Lei non poté fare a meno di osservare colpevole lo sbuffo di fumo che veniva sputato dallo stoppino buio tra la danza di fiammelle.
Un pensiero doloroso la colse inaspettata: quella zona d’ombra era lei. Una Black.
Per la prima volta nella sua vita, provò dispiacere nell’identificarsi in quel cognome che le era stato insegnato a sfoggiare come un prezioso gioiello, che pensava la rendesse migliore di tutti gli altri.
“Su, su,” la consolò Ted, riaccendendo la candela piegando su di essa quella accanto. “Sistemo tutto io. Adesso guarda nel fuoco.”
“Perché?”
“Puoi vederci il sorriso di un amico.”
Andromeda indagò a fondo nella fiammella, in quella luce presa in prestito da un fuoco d’artificio Tassorosso.
Ma era minuscola, e non riuscì a vedere riflesso al suo interno il sorriso simpatico di Ted.
“Riesci a vederlo, Andromeda?” le chiese lui, speranzoso.
Ci provò ancora, sforzò la vista fino a farsi lacrimare gli occhi e fu un po’ come cercare dentro di sé, ma alla fine fu costretta a scuotere il capo.
Non poteva vederlo, era nella sua zona d’ombra, la sua zona Black.

***
Ninfadora

Il Marchio Nero era apparso sopra un’altra casa. Incollato sulle nuvole scure che rotolavano su se stesse promettendo cascate d’acqua, sigillava il coperchio dell’ennesima bara. Questa volta era toccato ai Campbell: una famiglia tranquilla, lui impiegato al Ministero, lei lavorava in un negozio a Diagon Alley. Il figlio qualche volta aveva giocato con Ninfadora, avevano la stessa età e il giardinetto pubblico londinese dove Andromeda l’accompagnava spesso si vedeva dalla finestra delle camere di entrambi i bambini.
Ora era il Marchio Nero a poter essere scorto dalle loro stanze.
Vivevano nello stesso quartiere, scelto come per un tacito accordo da un buon numero di quelle famiglie di maghi che per qualche ragione erano state costrette a nascondersi in una zona Babbana.
C’erano i Jackson, entrambi Nati Babbani. I Lupin, Mezzosangue, con quel figlio così strano. I Bell, con la figlia Maganò. I Green, il cui capofamiglia, giornalista, aveva osato scrivere in un articolo, pubblicato su una rivista indipendente, tutto quello che la Gazzetta del Profeta censurava.
I Campell, ora non c’erano più.
Andromeda si agitò sul divanetto del suo salotto, tormentandosi le mani in grembo.
Chi era stato ad ucciderli?
Sua sorella Bellatrix, che assieme al marito cacciava i Sangue Sporco come fossero lepri, uccidendo per divertimento? O il lupo mannaro che quel vigliacco di suo cognato, Lucius Malfoy, usava come arma, sguinzagliandolo contro i figli piccoli di chi non si piegava al volere suo e del suo Signore?
Ninfadora stava giocando sul tappeto davanti a lei, e Andromeda l’abbracciò con lo sguardo, promettendole mentalmente che l’avrebbe protetta da tutto quell’orrore, dalla mostruosità di quella famiglia il cui sangue scorreva anche nelle loro vene.
Lei e Ted ormai giravano sempre armati, anche per casa.
La scorsa mattina, provato dall’ennesima notte in bianco, Ted aveva spremuto il dentifricio sulla sua bacchetta, spazzolino alla mano puntato verso l’ingresso che controllava dalla porta aperta del bagno, pronto a scagliare incantesimi contro chi avesse osato attaccare la sua famiglia.
Ninfadora l’aveva colto in posizione d’attacco con la fantasiosa bacchetta che, estasiata, gli aveva subito sottratto, eleggendola a propria arma personale.
Ora era lì, accanto all’albero di Natale, in sella all’unicorno a dondolo che aveva ricevuto in dono quell’anno, lo spazzolino da denti stretto nel piccolo pugno.
Il giocattolo era, in realtà, la riproduzione in miniatura di un cavallino.
Il padre di Ted aveva segato l’estremità del manico di una Babbanissima scopa, incollando poi lo spuntone di legno che ne aveva ricavato sulla fronte del cavallo.
Per renderlo più magico, le aveva spiegato.
Per imitare i regali che Ninfadora mai aveva ricevuto da quei nonni materni che la volevano morta.
Andromeda osservò la figlia piegarsi con il busto sulla criniera di lana del suo destriero, sventolando lo spazzolino da denti del papà tra le sue orecchie di peluche.
“Mamma, mamma!” strillò eccitata, i capelli blu dritti ai lati della testa a simulare le raffiche di vento da velocità sostenuta. “Guarda come volo!”
I suoi piedini, chiusi nelle calze rosa, spingevano con foga contro il tappeto senza sentirlo.
“Mamma, ci riesci a vedermi volare?”
Andromeda ripensò alla scopa giocattolo che i suoi genitori le avevano regalato quando aveva l’età di Ninfadora. Le era bastato sfiorare una sola volta il pavimento dell’immenso salone dove aveva scartato il suo pacco, per poterlo osservare dall’alto sfrecciando sopra di esso.
Quello, era volare, non il faticoso dondolio di quell’animale pasticciato e senza più identità, la mancanza di magia una zavorra che gli impediva di staccarsi dal suolo.
“Ma mi stai guardando volare, mamma?” insisté ancora Ninfadora, tutta rossa per l’incessante moto delle sue gambette.
Andromeda non voleva deluderla e spremette la propria immaginazione, cercando in sé quella magia che permetteva anche ai piccoli Babbani di volare e fare incantesimi, in lunghi sogni ad occhi aperti.
Ma non riuscì a vedere null’altro che la realtà.
La sua zona d’ombra, la zona Black, le impediva di seguire la figlia nei suoi sogni.

***
Remus

“Che stai facendo?”
Andromeda aveva seguito il lupo mannaro fuori dalla cucina di casa Tonks, controllando passo passo ogni suo movimento. Non si fidava di lui.
Lo vide togliersi dalla tasca una piccola sfera di plastica un po’ spellata. Era quella che Ninfadora aveva pescato dallo scatolone delle decorazioni natalizie accanto all’ingresso, per appendersela all’orecchio.
“La rimetto a posto. Dora non si è accorta che le è scivolata via, quindi non credo le mancherà, anche se le donava molto.”
Aprì la scatola, posando con cura la sfera in cima alla montagnola di palline e festoni cangianti.
Andromeda pensò che era la prima volta che una di quelle decorazioni passava tra le mani di sua figlia per poi tornare intatta al suo posto.
Remus aggrottò la fronte. “Questi addobbi non assomigliano a quelli di Hogwarts, sono di plastica”, osservò quieto.
Andromeda sentì subito la rabbia prenderla alla gola. “Sono un regalo dei miei suoceri”, tagliò corto.
Che si era aspettato di trovare? Se voleva ammirare le preziose decorazioni che venivano tramandate di generazione in generazione nella famiglia Black, avrebbe dovuto fare un salto a Villa Malfoy, dove le sue sorelle stavano sicuramente trascorrendo assieme il Natale, pianificando l’uccisione di Ted e Ninfadora.
“Che persone gentili, i nonni di Dora,” sorrise Remus a capo chino. “Ti devono essere molto affezionati.”
La sua non era una domanda, ma Andromeda non poté fare a meno di annuire.
I genitori di Ted non si erano limitati ad amarla, l’avevano adottata.
Era stato assieme a Julie che aveva scelto il suo vestito da sposa, le loro lacrime di gioia avevano accolto l’arrivo di Ninfadora.
Aveva vent’anni, quando era nata, e sua figlia era stata la prima neonata con cui avesse mai avuto direttamente a che fare. Se lei e Ted erano sopravvissuti ai primi mesi di poppate, strilli e coliche, era stato solo grazie a quelle due splendide persone.
“Ai miei suoceri, invece, non piaccio,” continuò Remus, mostrando una buona dose di quella faccia tosta che era così bravo a nascondere dietro al sorriso mite. “Hai qualche consiglio da darmi, in merito?”
Lei gli indicò Ted, che stava impastando in cucina un dolce natalizio non ben identificabile assieme a Ninfadora. Avevano entrambi la farina fin nei capelli.
“Chiedi a lui”, sviò. Non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere con il lupo mannaro, perché lo sapeva bene dove voleva andare a parare.
“A Ted? Ha avuto forse più successo di me, con i suoi suoceri?” colpì basso lui, senza abbandonare l’aria da santarellino.
Andromeda ripensò al giorno in cui si era azzardata a portare il fidanzato a casa dei suoi genitori.
Era stata un’idea di Ted, era sicuro che gli sarebbe stata concessa una possibilità con indosso il suo mantello migliore e i capelli biondi pettinati con cura. Una possibilità per il suo viso tondo e simpatico.
La porta era stata aperta da un avvocato che aveva consegnato loro un pergamena.
Diseredata.
“Chiedi ai tuoi genitori”, disse, senza rispondergli e senza notare i suoi capelli che, al contrario del solito, erano pettinati con cura, i vestiti malconci stirati alla perfezione. Remus stava giocando con lei, giri di parole per mostrarle come lui e Ted fossero simili, per suggerirle che forse avrebbe potuto comportarsi in maniera differente dai suoi genitori, essere una persona migliore.
Non gli aveva forse già detto chiaramente quanto trovasse disgustosa l’idea che avesse sposato la sua unica figlia? Perché insisteva nel chiederle consiglio, quando era palese che riteneva sbagliato il trattamento subito da Ted, solo perché era stata una persona che amava a doverne soffrire? Andromeda non era in grado di vedere lo stesso male se compiuto da lei nei riguardi di una persona che riteneva solo un pericolo per i suoi cari.
Due pesi e due misure, era così che ragionavano i Black.
“Non ci sono più,” sentì risponderle Remus. “Se ne sono andati portandosi via la parte migliore di me. Quella umana.”
“Ti hanno lasciato molto di più di quello che immagini”, affermò con amarezza, avvertendo il peso della sua famiglia gravarle sullo stomaco.
Era stato così per lei, la stessa cosa doveva valere per lui.
Remus le sorrise. “Guardami bene, riesci a vedere in me qualcosa di umano? Sii sincera”,  la esortò.
Indagò a fondo, studiò il suo viso sciupato, i vestiti vecchi, i capelli del colore della pelliccia dei lupi.
No, non riusciva.
“Anche i miei sono morti,” espirò. “Lasciandomi la parte peggiore di me.”
Quella Black.
Remus aveva fatto in modo di sbatterle in faccia quanto fosse ancora simile a chi tanto aveva imparato a odiare.
La sua zona d’ombra, la zona Black, non era stata seppellita con loro.

***
Teddy

Teddy Lupin rappresentava tutto quello che un Black non poteva vedere:
Mezzosangue, per metà lupo mannaro, la peggiore zona d’ombra mai scesa sull’Antica Casata di Purosangue.
Teddy, con i suoi sorrisi riflessi nelle fiammelle delle candeline sulle torte di compleanno, che volava a cavalcioni dell’unicorno di Ninfadora, che era quel pezzo di umanità che Remus non si era portato via con sé.
Teddy, il piccolo fuoco d’artificio della sua nonna, che era stato in grado di illuminare quelle zone d’ombra che Andromeda ancora covava dentro di sé.
In esse aveva trovato malattia e cura: il dolore di scoprirsi ancora una Black, e nel suo sangue cattivo il coraggio di andare avanti malgrado tutto. Di continuare ad amare quello che le rimaneva nel solo modo che i Black conoscevano: in maniera assoluta.




Una ff scritta tempo fa e tenuta ferma per il contest




copio il giudizio di Vogue:

-Grammatica: 10/10
-Stile e Lessico: 10/10
-Originalità: 15/15
-IC: 13/15
-Attinenza alla citazione: 9.5/10
-Giudizio personale: 9.5/10

Totale: 67/70

Nulla da dire sulla grammatica, in quanto nella tua storia non è presente nemmeno il minimo errore. Davvero buono il lessico, in quanto sei riuscita a modularlo nelle quattro parti della storia, rendendolo sempre adatto al tipo di situazione narrata. Scorrevole lo stile, aiutato da un ottimo utilizzo della punteggiatura, che fa sì che la storia si legga tutta d’un fiato.
Sicuramente originale l’approccio di Andromeda con quelle persone che sono state la sua vera famiglia, coloro che l’hanno portata via da un cognome troppo pesante per essere sopportato a lungo. Sei riuscita ad esporre sostanzialmente lo stesso concetto in quattro modi differenti, in momenti del tutto differenti ottenendo sempre dei buoni risultati.
Particolarmente innovativa rispetto alle altre è la parte dedicata a Ninfadora, in quanto è una situazione del tutto dissimile da quanto io abbia letto fin’ora.
Ti ho penalizzata nell’IC per determinati aspetti del carattere di Andromeda che non mi hanno convinta del tutto. Parto comunque dal presupposto che la caratterizzazione è ottima, in quanto sei riuscita a darle davvero spessore, tuttavia nella seconda e terza parte (ossia quando si ‘confronta’ con Ninfadora e con Remus) il suo carattere mi è parso decisamente troppo spigoloso, troppo duro rispetto a come viene delineato normalmente.
È più giustificata nel momento in cui si è in mezzo ad una guerra, meno nella parte con Remus. Perfetta invece nel suo dialogo con Ted e nel suo guardare in modo ‘dolceamaro’ il nipote.
La citazione non è inserita integralmente nel suo significato, tuttavia ne hai dato un’ottima interpretazione, facendo sì che quelle ‘zone d’ombra’ si protraessero lungo tutto il percorso della vita di Andromeda, che le causassero sempre una sorta di disagio con se stesse, creando anche delle immagini particolarmente malinconiche nel momento in cui si rende conto che non le sarà mai possibile farvi del tutto luce.
Una storia sicuramente intensa, che consente l’immedesimazione del lettore nella psiche di Andromeda, nel dolore di una donna che ha lottato per ottenere una felicità che non sarà mai completa, che avrà sempre quelle ombre del passato su di sé. Davvero brava.


e il giudizio di Fabi_


Prima classificata:

Fri - Zona d'ombra, zona Black –

“Ai miei suoceri, invece, non piaccio,” continuò Remus, mostrando una buona dose di quella faccia tosta che era così bravo a nascondere dietro al sorriso mite. “Hai qualche consiglio da darmi, in merito?”


Grammatica e sintassi 10/10
Stile e lessico 10/10
Originalità 4.8/5
Caratterizzazione 15/15
Sviluppo della trama 7/7
Gradimento personale 3/3
totale: 49.8/50

Questa storia presenta un’Andromeda analizzata in molte parti della sua vita; i momenti che hai scelto di raccontare sono tutti molto personali, utili a comprendere quanto le sia sempre pesata quella zona d’ombra del suo carattere della quale non è mai riuscita a liberarsi.

Devo dire che mi è piaciuta nella sua interezza: le parti si amalgamano tra loro alla perfezione, formando nell'insieme un quadro abbastanza completo della famiglia che tu intendi rappresentare.
Sinceramente è la seconda volta che scrivo questo giudizio, perché è uno di quelli che sono andati persi nell'ammutinamento del mio pc, per questo ho un po' paura di dimenticare qualcosa, perché la tua storia, la prima volta che l'ho letta, mi ha davvero fatto effetto.
La prima parte è dolce, c’è questo Ted che non si lascia intimidire da un’Andromeda superba e altezzosa, ma che le mostra un altro modo di vivere i rapporti con i compagni di scuola; la seconda parte è tenera perché mostra la famiglia e l’amore della donna per Ninfadora e per Ted, la scena del cavallo è perfetta per spiegare cosa si intende per ‘zona d’ombra.

Tutte le scene che hai presentato mostrano un aspetto del carattere di Andromeda che lei ritiene sbagliato, come ho già detto, ma del quale non riesce a liberarsi.

La conclusione è degna del resto della storia: il nipote la costringe a liberarsi di molti pregiudizi. Non ho parole per descrivere bene la storia, muove molte sensazioni e mostra un’Andromeda forte e più complessa di quella ‘sorella buona’ che spesso si legge nelle fanfiction. L’ho apprezzata davvero. Hai approfondito il suo carattere in modo quasi perfetto, mostrando non solo lei ma anche i personaggi di contorno con attenzione, senza sfruttare banalmente i cliché o servendoti di stereotipi.

Lo stile è praticamente perfetto: non c'è una virgola fuori posto, non ho davvero niente da dire: chiaro, puntuale, sufficientemente elaborato e comunque mai pesante. Il lessico è preciso e adatto ai personaggi. La grammatica non presenta errori, non ho trovato niente su cui appendermi per correggerti.

La storia è originale proprio per questo insieme di motivi; la parte nella quale Andromeda parla con Remus è toccante, è la mia preferita. I miei complimenti quindi.
   
 
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