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Autore: harinezumi    26/10/2010    5 recensioni
Arthur Kirkland è un impegnato banchiere a Londra, che sembra impiegare il proprio tempo solo ad accumulare denaro. ma un giorno eredita la villa dello zio in Francia, dove riscopre emozioni che aveva da tempo soppresso.. {una rivisitazione in chiave "hetaliana" del film omonimo del 2006; probabilmente lo ammazzerò a colpi d'ascia, siete avvertiti *-*}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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capitolo sei – in cui piove a dirotto

 

«Ehm… c’è nessuno?» mormorò Matthew, timidamente, fermo da mezz’ora davanti alla porta socchiusa.

«Sì?» chiese una voce dalla stanza. Un attimo dopo, Alfred aveva spalancato la porta, posando gli occhi sul ragazzo, perplesso.

«Sono Arthur, un amico di Matthew» balbettò quello, senza quasi un filo di voce. «Cioè… volevo dire, sono Matthew, un amico di Arthur. S-sono il suo assistente».

«Oh, piacere di conoscerti» rispose Alfred, anche se dal suo tono non lo intendeva affatto. Non pareva aver considerato che in quel momento si trovata a torso completamente nudo, intento ad esaminarsi le scottature sulla schiena. Era rimasto un po’ troppo al sole accanto alla piscina, quel pomeriggio. Ma odiava molto di più il fatto di aver litigato con quella testa vuota di Arthur, che continuava a trattarlo come uno scemo. In quel momento, i suoi amici non erano i benvenuti, e nemmeno gli assistenti di nessun genere.

Però quel Matthew gli fece un’isolita pena, sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro, quindi forse avrebbe dovuto invitarlo a sedersi. Evidentemente doveva sentirsi schiacciato dalla sua presenza così imponente, e questo pensiero glielo fece stare subito un po’ più simpatico.

«Vieni» lo invitò, lasciando la porta aperta e andandosi a sedere sul letto. «Dovresti darmi una mano. Puoi controllare la mia schiena?» domandò poi, una volta che quel ragazzo così impacciato fu entrato nella stanza. Si guardava intorno con occhi agitati, come se Alfred avesse potuto ucciderlo da un momento all’altro.

«S-sì» mormorò però Matthew, confusamente.

Al che, Alfred sorrise e si stese a pancia in giù sul letto, lasciando che Matthew si avvicinasse ed esaminasse per qualche istante le sue spalle. «Qui in Francia hanno una strana tipologia di sole. In California non mi scottavo mai, assolutamente. Dev’essere un altro inconfondibile segno di quanto gli europei siano poco accoglienti!»

«Ehm, io dovrei…» cominciò Matthew, ma ovviamente Alfred non lo lasciò finire, anzi, continuò a parlare come se lui non esistesse.

«Non so chi si credono di essere, con le loro ricche ville e i loro ricchi zii, non prendono nemmeno in considerazione i legami d’affetto che ci possono essere tra le persone! Sono completamente privi della capacità d’amare, oh si!» sbottò l’americano, anche se probabilmente il suo discorso verteva su una persona in particolare.

«C’è una cosa che Arthur…» cercò di articolare Matthew, visto che l’altro si era fermato a riprendere fiato, ma venne presto interrotto di nuovo.

«Mi ha lasciato qui come se nulla fosse, l’ho sentita la sua moto andarsene via! Che grande idiota! E pensare che fin dal principio non ho mai avuto bisogno della sua presenza, mi deve solo ringraziare». Alfred sbuffò, fissando la testiera del letto, la testa appoggiata alle braccia incrociate sul cuscino. «Se non l’ho buttato fuori dalla villa che mi spetta di diritto è solo perché mi faceva pena. Completamente senza sentimenti».

A quel punto, Matthew sembrava non aver più il coraggio di parlare, perché aveva intuito che probabilmente Alfred era molto sensibile, e doveva soffrire per il litigio che probabilmente aveva avuto con Arthur, forse avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui parlarne ancora per un po’…

«Ah, sei ancora qui? Mi porti un hamburger? Muoio di fame…».

… o forse era così affamato che stava solo parlando a vanvera.

 

***

Francis si era preparato con una certa cura per l’appuntamento con Arthur, ma aveva fatto di tutto per mancare in dei piccoli dettagli e far sembrare che non gli importasse troppo. Però ben presto non aveva dovuto fingere di dimenticarsi di ravviarsi per un momento i capelli o cambiarsi la camicia per l’ennesima volta; anche se aveva lasciato in mano a cinque camerieri il ristorante, aspettare le otto senza far nulla gli metteva addosso un’inquietudine che non poté ignorare.

Quando vide Arthur, appoggiato sulla sua moto parcheggiata accanto alla fontana davanti al ristorante, gli venne un tuffo al cuore, e per poco non lasciò cadere a terra il vassoio che stava portando. Sforzandosi di non guardare il sorrisino che era comparso sulle labbra dell’inglese, concluse l’ordinazione e si levò il grembiule.

Solo allora tornò con gli occhi ad Arthur, che non si era mosso di un millimetro.

Si avvicinò alla fontana, sforzandosi di esibire un’aria arrogante; dopotutto, lui era ancora arrabbiato per l’incidente con il fagiolo verde a quattro ruote, giusto? Giusto. Gli occhi verdi di Arthur non lo attraevano terribilmente, nemmeno un po’.

«Non ricordo se ti ho mai detto che sei carino, per essere un vinofilo francese» gli disse Arthur, cercando persino di mutare la sua espressione in una sorridente. Si sentiva ancora in colpa quando guardava Francis, in fondo lo aveva investito. Anche se lui aveva ampiamente già preso la sua rivincita.

«Credo che tu l’abbia pensato» rispose Francis, con un sorrisetto. «Quando mi hai visto, dalla piscina» aggiunse, all’occhiata perplessa di Arthur.

«Non è per niente vero» borbottò in fretta quello, cercando di non arrossire troppo.

«Sei molto elegante» mormorò Francis, appoggiandosi alla moto accanto a lui.

«Sono tutti i vestiti di Henry. Sai, mio zio». Arthur fece una pausa, incerto. «Ma tu saprai sicuramente chi era, Antonio te lo avrà detto. Amava l’alta sartoria. Ah, ho un regalo per te!» si ricordò all’improvviso, voltandosi verso la moto ed estraendo da una tasca una bottiglia di Coin Perdu, il vino misterioso che aveva trovato in cantina.

«Wow» sussurrò Francis, quando gli venne passata la bottiglia. La tenne in mano, osservando l’etichetta come se si dovesse per forza trattare di un falso. Poi, si voltò verso Arthur, guardandolo sorpreso in volto. «È molto costoso».

«Che t’importa? È un regalo» rispose Arthur, distogliendo in fretta lo sguardo e puntandolo sulla terrazza all’aperto del ristorante, illuminata ancora dal sole che ormai stava tramontando.

«Stai cercando di sedurmi, per caso?» chiese però Francis, con una risatina, senza smettere di fissarlo; la sola sensazione dei suoi occhi sulla pelle stava facendo arrossire di nuovo Arthur, ma lui sembrava esserne solamente divertito e deliziato.

«Per niente! Non farti venire strane idee!» esclamò l’altro, voltandosi all’improvviso verso di lui con aria rabbiosa, ma rimanendo immobile al gesto che Francis fece un attimo dopo.

Con delicatezza, gli aveva portato senza che se ne accorgesse una mano dietro la nuca e, se finora gliel’aveva appena sfiorata, adesso vi posò dolcemente le dita e tutto il palmo, per portare il suo viso più vicino al proprio. Aveva chiuso gli occhi, ed inclinato leggermente a destra il capo; Arthur poteva vedere benissimo il suo volto, illuminato dalla luce arancione del sole che lentamente se ne andava alle loro spalle, perché invece aveva tenuto gli occhi aperti, leggermente sgranati.

Quando le labbra di Francis si posarono sulle sue, però, socchiuse a sua volta le palpebre, ricambiando quel bacio così tenero, che aveva poco a che vedere con i commenti pungenti del francese e il suo astio nei suoi confronti.

Da parte sua, Arthur non avrebbe mai pensato di riuscire a staccarsi da quelle labbra anche dopo un contatto così semplice e dolce, ma quando lo fece e tornò a guardare Francis negli occhi, si stupì a pensare che avrebbe potuto anche viverci, di quei baci.

«Ti va di andare?» gli chiese quello, con un sorriso che su quel bel volto incorniciato dai capelli biondi era semplicemente perfetto.

Si sentì decisamente un idiota quando, al posto di rispondergli, rimase così, ad un palmo dal suo viso, le labbra leggermente dischiuse e incapace di spiccicare una parola.

***

Francis aveva trascinato Arthur, in sua completa balia, fino alla festicciola del paese, che comprendeva un palco all’aperto su un prato e un’orchestra che suonava dal vivo. In qualche modo aveva ottenuto il tavolino del migliore del servizio di ristorante che aveva organizzato una ditta di catering, e vi stava seduto assieme a Arthur, ascoltando la musica.

Ma aveva notato che da un po’ l’inglese aveva occhi più che altro per lui, piuttosto che per il palco poco distante, al di là della lunga fontana del parco. Anche se Arthur era bravissimo a mascherare la sua attrazione: non una sola volta Francis era riuscito a sorprenderlo con lo sguardo su di sé, nonostante sentisse benissimo i suoi occhi puntati costantemente addosso.

«C’è qualcosa di me che dovresti sapere» disse ad un certo punto Francis, sorprendendolo. Si voltò di nuovo verso di lui, stavolta incontrando i suoi occhi verdi. «Se trovo qualcuno che davvero mi piace, divento molto molto esigente» continuò allora.

«Sono onorato» rispose Arthur, beccandosi all’istante un’occhiataccia poco gentile. Evidentemente non aveva finito.

«Sono anche una persona molto molto sospettosa… e davvero irrazionale» proseguì infatti l’altro. «Mi arrabbio facilmente, sono geloso… e lento a perdonare. Tanto perché tu lo sappia».

«Mh» rispose Arthur, prendendo il proprio bicchiere di vino dal tavolo e accostandoselo alle labbra. «Senza offesa, ma prometti di essere una buona serata».

***

«Cavolo, ha cominciato a piovere a dirotto!» sbottò Lovino, mentre correva verso la porta di servizio della cucina. Quando riuscì a rifugiarvisi, scrollò la testa, completamente bagnato da capo a piedi.

Non fece in tempo a cominciare a lamentarsi che Antonio, che l’aveva visto benissimo entrare, lo abbracciò da dietro, stringendoselo contro e suscitando all’istante i suoi strilli. «Oh, Lovi! Sei venuto a trovarmi!»

«Ma che scemenze, stupido bastardo!» ringhiò Lovino, cercando di divincolarsi senza nessun successo. «Non vedi che diluvia?»

«Oh» mormorò Antonio, che apparentemente se n’era accorto solo in quel momento, guardando fuori dalla porta ancora aperta. «È vero! Dovremmo fermarci qui a cenare… che peccato, spero tanto che l’appuntamento di Arthur stia andando bene lo stesso…».

Lovino arrossì di rabbia, riuscendo a liberarsi con uno strattone e cercando nuovamente di uscire nel viale, nonostante questo volesse dire bagnarsi di più. Antonio, però, lo afferrò in tempo per un polso. «Ehi, Lovi! Ma dove vai!» esclamò, sorpreso, cercando di tirarlo verso di sé, ma trovando fiera resistenza nel ragazzino, che pur di non guardarlo strizzava le palpebre, furente.

«Lasciami subito!» gridò, afferrandogli il polso.

«Dimmi che ti prende! Cos’ho fatto?»

«Lo sai benissimo, imbecille!» rispose Lovino, puntandogli addosso due occhi di fuoco. «Parli dello stupido inglese anche quando siamo insieme! Forse ci dovevi uscire tu, con lui!»

Antonio rise, provocando ulteriormente Lovino, che fremeva e aveva tutta l’aria di volergli saltare al collo per strozzarlo da un momento all’altro. «Che cavolo hai da ridere, bastardo! Mollami subito!»

Ma quello sembrò non averlo nemmeno sentito, perché se lo tirò nuovamente contro il petto, abbracciandolo con dolcezza e affondando il volto tra i suoi capelli bagnati e spettinati. «Oh, Lovino, non essere geloso… per me esisti soltanto tu».

«E chi…» balbettò Lovino, completamente immobile e color peperoncino, paralizzato dall’imbarazzo. «Chi… diamine ti vuole! Lasciami, se non vuoi morire! Sul serio, Antonio, vedi di piantala…»

A quel punto, venne zittito dalle labbra dello spagnolo sulle sue; e non l’avrebbe  mai confessato neanche morto, ma era proprio quello che tacitamente gli chiedeva di fare ogni volta che lo faceva arrabbiare così.

***

«Sei stato onesto con me, quindi forse io dovrei esserlo con te» mormorò infine Arthur, con un sorriso, piuttosto fiacco, cosa che a Francis non sfuggì affatto.

La musica dal palco continuava a suonare, e loro non si erano rivolti che poche parole da quel discorso abbastanza strano ed improvvisato che aveva fatto Francis. Arthur non aveva trovato fino a quel momento le parole per rispondergli, perché non era molto bravo in quel genere di discorsi né trovava i momenti adatti per esprimerli.

«Sono cinico. E, mi dicono, anche molto insensibile» sbuffò infatti senza nessuna grazia. I suoi occhi erano risoluti, ma l’inglese aveva un’espressione alquanto divertente, perché risultava molto imbarazzata. Probabilmente, stava per dire una di quelle assurde e melodrammatiche frasi ad effetto che tanto piacevano a Francis, così lui rizzò subito le orecchie, guardandolo con un sorrisetto. «Non sono capace di fidarmi di nessuno» continuò, ignorando il calore che gli si propagava dalle orecchie e andava ad infiammargli il viso.

Ma era tutta colpa di Francis, che era così carino anche mentre lo osservava ascoltando con attenzione.

«L’unica persona che abbia mai amato era mio zio Henry, e negli ultimi dieci anni non gli ho mai rivolto la parola» concluse Arthur, con un’alzata di spalle.

«Parlava spesso di te» fece Francis, continuando a sorridere. «Con un po’ di tristezza. Non era molto felice di averti perso così».

«Lo conoscevi?» domandò Arthur, sorprendendosi.

Francis lo guardò negli occhi con un’aria strana, a metà tra il divertito e il mesto, prima di mettersi a giocare con una rosa infilata nel loro centro tavola. «Era impossibile che non lo conoscessi, vivevo qui».

«Mi chiedo davvero se non ci siamo mai incontrati…» mormorò allora Arthur, più a sé stesso che all’altro, come se stesse cercando di riflettere e ricordare. Ma Francis non gli fornì una risposa, anzi si limitò a sorridere in maniera piuttosto enigmatica.

E in quel momento prese a piovere a dirotto. Francis scoppiò a ridere, mentre Arthur imprecò a voce talmente alta che un cameriere, intento a mettere in salvo dalla pioggia alcune tovaglie, lo guardò scandalizzato. Velocemente, Francis si era alzato ed aveva preso uno degli ombrelloni che fungevano da piccoli gazebo in alcuni tavoli, portandolo sopra a sé ed ad Arthur, ormai in piedi e bagnato come un pulcino.

Ma continuava a ridere, osservando l’inglese che cercava di strizzarsi la giacca e malediva la Francia e i suoi temporali improvvisi (lui, che non avrebbe neanche dovuto aprire bocca sull’argomento), trovandosi sorprendentemente vicino ad Arthur in quel momento, senza averlo premeditato.

Quando anche l’altro si rese conto della loro vicinanza, in piedi, ormai soli, tra i tavoli in cui scrosciava la pioggia, alzò lo sguardo sul suo. Un attimo dopo, Francis lo stava di nuovo baciando.

«Questo posto…» mormorò Arthur, mentre le loro labbra ancora si sfioravano dopo essersi separate. «Lo amo davvero. È intossicante… per nulla al mondo in un qualsiasi altro luogo avrei baciato uno stupido francese come te».

***

Il corpo di Francis era letteralmente appiccicato al suo, una gamba in mezzo a quelle di Arthur e entrambe le mani che andavano a stringere i polsi dell’inglese, spinto contro la parete della stanza. Il francese era molto occupato a mangiargli le labbra, assaporandole a tratti e smettendo di aggredirle con foga, per fermarsi a leccarle piano.

Arthur si sentiva alla stregua di una ragazzina: Francis era in grado di bloccare ogni suo pensiero razionale con quell’atteggiamento a dir poco aggressivo, tanto che gli aveva strappato ben più di un gemito limitandosi a sfiorargli il basso ventre con il proprio. Se c’era una cosa che Arthur odiava, era il dimostrarsi tanto impressionabile davanti ad un francese, ma sembrava che a Francis non potesse importare di meno.

Separò le loro labbra, chinando la testa e andando a mordicchiargli dolcemente il collo, succhiando la pelle ancora bagnata di pioggia; si erano rifugiati dopo pochi minuti dall’inizio dell’acquazzone nell’auto di Arthur, per poi dirigersi alla Siroque. La villa era stata silenziosa, prima del loro arrivo, perché Francis non aveva perso tempo e aveva amabilmente chiesto all’altro dove fosse la sua stanza. Grazie agli efficaci metodi di persuasione del francese, non ci era voluto molto per trovarsi in quella situazione.

Le mani di Francis sciolsero i polsi di Arthur, andando a posarsi prima sulla sua vita e poi, lentamente, sollevarono la camicia dietro la schiena, accarezzando la pelle, che rabbrividì a quel contatto. Arthur lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, completamente ancora inebriato dalla sensazione delle labbra di Francis sul suo collo, le palpebre che fissavano il vuoto socchiuse.

A quel punto si rese conto, con un certo imbarazzo (come se fino a quel momento non ne avesse provato già abbastanza), di essere in balia di Francis dal primo istante in cui avevano chiuso la porta della camera dietro di loro. Non avere il controllo di una situazione del genere feriva profondamente il suo orgoglio, per quanto i suoi ormoni non ne fossero per nulla dispiaciuti.

Così, afferrò letteralmente il volto di Francis tra le mani per sollevarlo, suscitando in lui una vaga sorpresa, e andò ad imprimere con forza le proprie labbra sulle sue. Infilò la propria lingua tra i suoi denti con prepotenza, finché non lo sentì realizzare la situazione e ricambiare, rilassandosi; allora, staccò la schiena dalla parete e lo spinse più vicino al letto, spostando un braccio a cingergli la vita, per far sì che lo stretto contatto tra i loro corpi non si esaurisse.

Ma doveva aver calcolato male le distanze, perché improvvisamente era andato ad inciampare picchiando sul materasso con la gamba che aveva messo avanti; perse l’equilibrio, dato che era già scalzo, finendo letteralmente addosso a Francis, che ricadde sotto di lui sulle coperte. Il loro bacio finì lì, con Arthur che imprecava, cercando di raddrizzarsi sopra al petto dell’altro.

«Come sei divertente, Angleterre» rise Francis di cuore, più divertito che altro dall’espressione furiosa che Arthur gli lanciò subito dopo.

«Come sarebbe a dire, stupido idiota?» cercò di protestare quello infatti, finendo subito per essere zittito da un nuovo bacio.

Francis se lo tolse gentilmente di dosso, andando a farlo scivolare prima su un fianco e fermandosi quando fu sopra di lui a cavalcioni, e interruppe quel bacio soltanto per sfilargli via la camicia, nella quale ovviamente Arthur rimase incastrato, nonostante tutte le sue attenzioni.

«Adorabile, Arthùr» lo prese in giro, una volta che l’inglese fu riuscito a liberarsi dell’indumento tra una bestemmia e l’altra.

Quello lo guardò, rosso in viso per la rabbia e soprattutto l’imbarazzo. Non c’era davvero una visione più bella di quel corpo e quell’atteggiamento così inconsapevolmente sensuale. Francis si chinò sul suo petto, cercando di riprendere da dove aveva interrotto, dato che una mano di Arthur si era stretta tra i suoi capelli e li tirava un po’ troppo, segno inequivocabile di nervosismo.

Lasciò dei piccoli baci lungo la sua pelle, fermandosi soltanto poco sopra alla linea del pantaloni, che presentavano già un notevole rigonfiamento sul cavallo. Francis stavolta ignorò il fatto che la presa sui suoi capelli fosse aumentata, e afferrò con i denti la cerniera dei pantaloni, facendo immediatamente sussultare Arthur quando sentì che la abbassava.

Francis si sollevò nuovamente per andare a sorridergli, approfittando del momento in cui Arthur si distrasse ad osservare i suoi occhi azzurri per slacciare anche il bottone dei pantaloni. Glieli sfilò via senza che l’altro praticamente se ne accorgesse e senza interrompere il contatto visivo, prima di andare a posare le labbra sulle sue, avvicinando di nuovo i loro volti.

Dato che Francis non era più occupato a torturare le sue parti basse anche solo tenendosi nei paraggi, Arthur poté finalmente prendersi una piccola rivincita, approfittandone di quella vicinanza per afferrargli il colletto della camicia e tirarlo ancor più contro di sé, gli occhi serrati e le guance in fiamme. Stava appena cominciando a slacciare i bottoni, che sentì il ginocchio di Francis scivolare sulle coperte ed entrargli in mezzo alle gambe, andando a toccare il suo inguine pulsante, e non poté fare a meno di mugolare nuovamente.

Udì perfettamente la risatina di Francis, nonostante le loro bocche fossero un tutt’uno, il che lo fece irritare non poco, e strappò letteralmente i bottoni rimasti della camicia del francese, sfilandogliela con strattoni poco gentili. Non appena le loro labbra si staccarono, chinò la testa e raggiunse il collo di Francis, mordendolo decisamente troppo forte.

«Ehi, ehi, Arthur! Stiamo lottando o facendo l’amore?» gli domandò il francese, rabbrividendo quando sentì la lingua di Arthur leccargli la pelle.

L’inglese non rispose, ma abbandonò lentamente la presa dei denti, facendo scivolare le proprie mani sui fianchi di Francis e accarezzandoli con più dolcezza, prima di arrivare, mordicchiando e succhiando la pelle, ad uno dei suoi capezzoli, che prese tra i denti e tirò piano.

Finalmente, sentì anche Francis abbandonarsi ad un leggero gemito, ma non sembrava  ancora troppo soddisfatto; le sue mani entrarono con urgenza nei pantaloni e nei boxer dell’altro, trovando prima i suoi fianchi e poi andando a spostarsi senza riserve sulle sue natiche. Fu Francis, inaspettatamente, a separarsi in fretta, inginocchiato a cavalcioni sopra di lui –Arthur ebbe un brivido-, tenendo esattamente i loro inguini a contatto, ma almeno adesso erano percettibilmente in due a trovare quella vicinanza insopportabile.

Francis si slacciò in fretta in pantaloni, sotto lo sguardo perplesso di Arthur, andando a levarli con estrema velocità e lanciandoli dall’altra parte della stanza. Ebbe qualche istante allora, in quel momento, per guardarlo negli occhi e riflettere ancora su ciò che era successo quella sera.

Pensò al sorriso di Francis, agli occhi di Francis, alle sue guance –sì, era riuscito a farlo arrossire!- imporporate, al suo corpo perfetto e candido, che lo desiderava così tanto, al suo profumo così piacevole di fiori.

Arthur non avrebbe trovato parole per descrivere la felicità che stava provando, tanto che, mentre lo sentiva venire dentro di sé, non riuscì a trattenere, tra le palpebre serrate e premute, una lieve lacrima.

 


 

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dev’essere faticoso abbassare una cerniera con i denti °-° è un’idea assolutamente ebete che mi è venuta, tanto tutta la scena è una colossale schifezza xD quindi schifezza più schifezza meno.. u.u’

la mia crisi con questa storia non è finita xD tirerò un sospiro di sollievo quando finirà!! eppure amo l’idea di scriverla.. (mah, stì scrittori hanno sempre idee balzane xD) prometto che aggiornerò più presto che posso, anche perché mancano solo tre capitoli alla fine. mi scuso se il capitolo sembra un po’ OOC.. io ci provo!
 

to Aerith1992: penso che tutti e tre abbiano un talento innato nel litigare in tutti i modi xD sono fatti così! ti ringrazio tantissimo per i complimenti ^^ anche se la FrUk è il mio pairing preferito faccio ancora fatica a scrivere su Hetalia! diciamo che è mooolto confusionario xD grazie davvero, alla prossima spero!

to Julia_Urahara: oh cara, se la mia felicità per aver trovato una tua recensione dovesse esprimersi in espressioni figurative alla Alfred, direi che è grande come l’America ç-ç non sei affatto scema e tutte le tue recensioni mi riempiono di gioia assoluta!! eppure dovrei essere io la tua accolita xD graaazie!

to Arisu Kon: beh, devo dire che la tua recensione è stata il definitivo campanello: finisci questa storiaaa xD e così ho aggiornato! amo la FrUk, però quando ho cominciato a scrivere ammetto che non avevo le idee ben chiare su Hetalia (chi le ha? <-<) ora so che amo Francis e Arthur xD alla fine non cambierò il finale, ma se non hai visto il film per fortuna non sai che significa!! ti ringrazio tanto ^^ ciaooo!

harinezumi

  
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