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Autore: _KyRa_    27/10/2010    12 recensioni
Si sentiva ancora una bambina, piccola, immatura. Come poteva solo lontanamente pensare di compiere un salto talmente grande da gravare sulla sua intera vita?
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is it.'
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epilogue

Epilogue.
- Is this a goodbye? -



Erano ormai passati due mesi e mezzo e Monique era giunta al fatidico nono mese. In tutto quel periodo non aveva conosciuto altro che lacrime, occhiaie e tanto dolore.

Non aveva più visto Tom dall'ultimo litigio che avevano avuto sotto casa sua. Era successo ciò che lui aveva chiesto, eppure lei non riusciva a toglierselo dalla testa, come una stupida ragazzina innamorata. Aveva sempre avuto una certa attrazione per i ragazzi che la facevano irrimediabilmente soffrire; forse perchè in fondo le piaceva. Si era sempre considerata una masochista per natura e la cosa non la sorprendeva più di tanto.

La rabbia era andata a riempire anche l'animo di Jessica, la quale era venuta a sapere di tutta la vicenda ed ora viveva in simbiosi con Monique, ancor più di prima.

Aveva deciso di trasferirsi a casa sua, quell'ultimo periodo in cui il bambino sarebbe potuto nascere da un momento all'altro. In caso di emergenza, per lo meno, avrebbe potuto assisterla con immediatezza.

La rossa aveva partecipato solamente a tanti pianti, da parte della sua migliore amica e ciò l'aveva semplicemente mandata in bestia. Aveva conosciuto Tom, molto tempo prima e, sin dall'inizio, si era sempre affidata alla sua dolcezza; aveva riposto in lui tanta fiducia e non vedeva l'ora che finalmente si dichiarasse a Monique. Quell'ultimo evento però, le aveva fatto cambiare radicalmente idea. Si chiedeva come fosse possibile un comportamento simile da parte del ragazzo e non era disposta a credere che tutto ciò che aveva detto alla mora fosse pura verità. Doveva esserci decisamente altro, dietro tutta quella storia.

Monique sedeva rannicchiata sul suo divano, intenta ad osservare senza interesse un quiz televisivo.

La pancia era cresciuta ulteriormente e ormai sentiva solo un grande peso in ogni cosa che faceva. Ora desiderava solamente che il giorno del parto arrivasse il più in fretta possibile, nonostante ciò la terrorizzasse; il suo corpo non riusciva più a reggere.

Sospirò afflitta, quando la figura del chitarrista si fece nitida nella sua mente: aveva immaginato di averlo accanto a lei, il giorno in cui suo figlio sarebbe nato, pur non essendo lui il padre. Avrebbe voluto vicino a sé le due persone che adorava con tutta se stessa, tra cui Jessica. Quel giorno se l'era sempre immaginato così. Forse aveva lavorato un po' troppo con la fantasia, soprattutto sulla presenza del chitarrista, ma vi aveva affidato talmente tanto le sue speranze che niente l'aveva portata a dubitare.

Jessica, nel frattempo, si era seduta accanto a lei, sul divano, in religioso silenzio. La rossa aveva capito che durante quei suoi momenti di riflessione, di tristezza improvvisa, aveva bisogno di essere lasciata in pace, tranquilla ed in sola compagnia del suo dispiacere. Le aveva sempre detto che era del tutto sbagliato e deleterio quel suo modo di fare, ma Monique non voleva saperne di rallegrarsi in qualunque modo, perchè avrebbe sempre sentito la voce del chitarrista nelle sue orecchie, come un tormento.

Monique tuttavia non aveva tagliato i ponti con il resto della band, nonostante con Tom l'avesse fatto. Ogni tanto riceveva le solite telefonate da loro o da David, incuriositi dal suo stato e vogliosi di essere aggiornati su progressi e situazioni. Lei, nonostante tutto, parlava con loro con la giusta serenità; d'altronde non c'entravano nulla, in quella strana storia.

Le faceva male sentire la voce di Bill e nemmeno un sussurro di quella di suo fratello, ma ogni volta pregava perchè fosse affianco a lui, nel momento della telefonata, per sapere qualcosa di lei, pur non dandolo a vedere. Essere sognatrice aveva sempre fatto parte della sua natura, glielo diceva anche sua madre.

Improvvisamente udì il telefono di casa squillare e ciò la catapultò nuovamente nella realtà che per un momento si era allontanata pericolosamente da lei. Si voltò verso Jessica, la quale si alzò velocemente per rispondere, accanto a lei.

«Pronto? Oh, ciao. Sì, sì, è qui. Te la passo.» detto questo, Jessica passò la cornetta a Monique, che aggrottò le sopracciglia, chiedendole con il solo uso del labiale chi fosse.

«Pronto?» rispose, timorosa. Per un attimo sperò di sentire la voce del chitarrista – quasi stupidamente – ma così non fu.

«Hey, Monique, sono Gustav.» la voce del biondino la fece sorridere dolcemente: era sempre un piacere parlare con lui.

«Hey, ciao.» si rannicchiò nuovamente sul divano, con il telefono all'orecchio ed un sorriso spontaneo sul volto.

«Come stai?» le domandò premuroso, come sempre.

«Bene, apparte che non vedo l'ora di partorire perchè questa pancia sta diventando insopportabile. È un miracolo che io riesca ancora a dormire nel mio letto.» ridacchiò la mora, torcendosi una ciocca di capelli tra le dita. Udì la lieve risata del batterista.

«E il piccolo? Da sempre i suoi calcetti?»

«Quelli non mancano mai... Ultimamente sono anche aumentati. Diciamo che ci tiene a farsi sentire.»

«Quindi sei decisa a non sapere se è maschio o femmina, fino all'ultimo?»

«Esatto. Voglio fare tutto quanto inconsapevole di ciò che ne uscirà fuori.»

«Beh, poi ci dovrai subito chiamare per dirci se sarà un lui o una lei.»

Monique esitò per qualche attimo. Non parlò; semplicemente fissò il vuoto pensierosa. Un po' di tempo prima, non le avevano detto che per quando il piccolo ci sarebbe stato, loro l'avrebbero visto?

Aveva paura di porre quella domanda, ma doveva sapere.

«Scusami, Gustav ma... Non avevate detto che... Ci sareste stati?»

«Il progetto del tour è stato terminato prima del previsto e quindi sono state anticipate le date. Non le avevamo ancora confermate alle fans e un po' di tempo fa sono uscite quelle definitive. Non te l'ha detto Tom?»

Monique strinse il filo della cornetta con tutta la forza che possedeva.

«No... Non me l'ha detto.» rispose freddamente.

«Beh, perchè... Partiamo domani.» Quelle parole furono registrate dal suo cervello qualche secondo più tardi. Fu come se non avesse compreso appieno cosa ciò volesse dire. «Per questo ti ho chiamato... Per chiederti se domani vieni all'aeroporto, così ci salutiamo.» aggiunse il biondo.

Faceva quasi fatica a respirare. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato ma non credeva così presto e in una situazione del genere, che solo ultimamente si era venuta a creare.

Chiuse gli occhi, fino a stringere le palpebre quasi violentemente. Non sarebbe riuscita a guardare nelle pagliuzze nocciola del chitarrista... Non sarebbe riuscita a sopportare il suo silenzio, il suo allontanamento, il suo non volerne sapere di lei. Non voleva uscire da quell'aeroporto con la consapevolezza di non aver salutato solamente una persona; quella che le era stata più vicino in quel periodo, quella che amava.

«Non lo so, Gustav...» mormorò tremante.

Stupida, si disse. Gli altri non c'entrano.

«Monique... So qual'è la tua situazione con Tom, in questo momento. Però, ci teniamo che tu ci sia. Teniamo a salutarti, d'altronde ci siamo tutti affezionati a te e... Non è giusto che ci rimettiamo sia te che noi, per colpa di altri fatti.» provò nuovamente Gustav con tono speranzoso, al che Monique si rese conto che non avrebbe mai potuto dirgli di no.

«D'accordo, Gustav. Lo faccio solo per vedere voi.» si arrese con un lieve sospiro. Avrebbe potuto farcela. Doveva dimostrare che lei era più forte di un ragazzo che l'aveva presa e trattata come meglio gli era piaciuto, senza preoccuparsi dei suoi sentimenti. Sì, lei era più forte.

«Grazie, Monique... Allora ci vediamo domani mattina. Alle dieci in aeroporto, d'accordo?»

«D'accordo.»

«A domani.»

Passò la cornetta a Jessica, con lo sguardo perso nel vuoto e come un'automa. La rossa la prese e la ripose al suo posto, per poi tornare a scrutarla incuriosita.

«Domani partono.» soffiò Monique, senza guardarla, proprio mentre sentiva un improvviso bruciore prendere spazio nei suoi occhi, ormai fin troppo conosciuto.


**


Guardava l'entrata di quell'aeroporto con distacco, da dietro il finestrino dell'auto di Jessica. Si stringeva spasmodicamente le mani, esitando sul da farsi. Poteva nitidamente riconoscere le figure dei ragazzi al di là del vetro. Tutti aspettavano il suo arrivo. Tutti, forse, eccetto uno.

Dannato coraggio, veniva sempre a mancare quando si trattava di dare dimostrazione a qualcuno. Maggiormente se questo qualcuno era il ragazzo per cui aveva irrimediabilmente perso la testa.

«Dai... Prima o poi lo devi affrontare.» la incoraggiò mestamente la rossa, affianco a lei e con tono lieve. Solamente lei era in grado di capire cosa provasse nel profondo. Quel senso di amore infinito, accompagnato ad odio profondo. La felicità ed il rifiuto nel doverlo rivedere dopo due mesi e mezzo di completo silenzio. Tante domande, come sempre, andavano a formularsi nella sua mente.

Come avrebbe reagito nel rivederla? Avrebbe avuto il coraggio di salutarla, dopo quello che si erano detti?

Decise che rimanere in quella macchina a pensare sulle varie possibilità era del tutto inutile; l'unico modo per scoprirlo era uscire di lì e camminare dritta in contro alla realtà.

Sospirò pesantemente e finalmente decise di scendere dall'autoveicolo. Salutò Jessica con un gesto della mano: sapeva che sarebbe rimasta lì in macchina, fino al suo ritorno, e forse era meglio così. Avrebbe dovuto affrontare tutta quella situazione da sola, con le proprie gambe.

Sentiva il cuore scoppiarle da un momento all'altro in petto, mano a mano che la distanza fra loro diminuiva. Le ante scorrevoli si aprirono davanti a lei, non appena vi fu di fronte, e l'immagine della band si fece più chiara. Il primo a vederla fu Georg, il quale si illuminò in un radioso sorriso e le fece un cenno con la mano.

Avanti, Monique, continuava a ripetersi mentalmente, mentre camminava verso di loro. Gli occhi, per un attimo si posarono sul chitarrista e rabbrividì nel constatare che quest'ultimo la guardava con espressione affranta in viso. Non sembravano pochi mesi a separarli... Sembravano infiniti anni.

«Ciao, Monique.» la salutò calorosamente David, per poi abbracciarla con affetto, facendo ben attenzione a non darle fastidio al ventre. «Ma guarda questa pancia com'è cresciuta!» esclamò entusiasta, subito dopo essersi separato da lei, la quale sorrise intimidita.

«Già.» mormorò.

«Non puoi capire quanto mi scoccia non poter essere presente al momento del parto! Avrei voluto vedere il fagottino sin dalla nascita, accidenti!» si lamentò Bill, sbattendo uno stivale per terra, com'era solito fare nei suoi momenti in cui i capricci prendevano piede.

«Si vede che doveva andare così. Se vuoi ti manderò una foto.» ridacchiò Monique, ma ancora a disagio. Il chitarrista era a qualche centimetro da lei, anche se non troppo ravvicinato, e continuava a scrutarla in silenzio.

«Sì, voglio la foto!» esclamò entusiasta il vocalist, battendo ripetutamente le mani.

Monique sorrise: quel simpatico vizio non se l'era ancora tolto.

«Sei già al nono mese, vero?» domandò Georg.

«Sì, tra non molto dovrebbe nascere.» annuì la mora, con una lieve nota di emozione nella voce.

Non credeva fosse possibile che un domani sarebbe stata entusiasta della nascita del suo bambino o della sua bambina. Dal primo giorno aveva odiato quell'esserino che lentamente si formava dentro di lei ma, con il passare del tempo, non aveva potuto fare a meno di accettarlo e soprattutto di amarlo. Aveva ancora seri dubbi su come sarebbe stata in grado di crescerlo ma ultimamente aveva cercato di essere più positiva a riguardo, anche con l'aiuto di Jessica che, sapeva, le sarebbe sempre stata accanto, ad ogni difficoltà.

«Non farcelo qui in aeroporto, mi raccomando.» scherzò Gustav. Monique scoppiò a ridere.

«Penso sia questione di giorni, non di minuti!» esclamò divertita. «Comunque... Quando vi rivedrò?» domandò successivamente, con timidezza, decisa a non degnare di un solo sguardo Tom.

«Non ne abbiamo la più pallida idea, anche perchè dopo il tour dovranno tenere tantissime interviste, saremo sempre in viaggio, tra Asia, America o altro. Non te lo so dire.» rispose David, in tutta sincerità. «Sappi solo che ti vorrò di nuovo al lavoro, eh.» le sorrise successivamente.

Monique si sentì attraversata da una scossa elettrica.

Tornare a lavorare per loro, non appena avrebbe potuto? Ciò significava tornare a stare in contatto con il chitarrista per molte ore della giornata? Non era convinta che per quel momento lo avrebbe rimosso dalla testa e soprattutto dal cuore ma, d'altro canto, era l'unico lavoro sicuro che possedeva.

«D'accordo.» sorrise appena, abbassando lo sguardo sui suoi piedi, con fare impacciato.

«E ogni tanto porta il piccolo o la piccola allo studio, così ci gioco un po' e svolgo i miei doveri di zio!» esclamò Bill. «E ricordati che se sarà maschio, avrà come secondo nome il mio!» aggiunse con sguardo altezzoso.

«Sì, Bill, io mantengo le promesse.» rise Monique.

«Ragazzi, forse è arrivato il momento dei saluti. Tra non molto avverrà il check in.» annunciò David, con un gran dispiacere negli occhi. «Ciao, piccolina. Ci vediamo, spero, presto. E auguri per il piccolo o la piccola.» disse poi, abbracciando affettuosamente la mora, la quale ricambiò la stretta. Non seppe dire come mai le si formò un gran magone in gola, d'altronde li avrebbe rivisti prima o dopo. Si premurò di dare la colpa alla sua gravidanza, la quale la rendeva più suscettibile e più facile alle lacrime, da qualche tempo.

Abbracciò, uno ad uno, ogni componente della band, escluso Tom. A dire il vero, era talmente frastornata che non capì nemmeno dove fosse. Aveva paura di ricevere un'ennesima delusione, la mazzata finale; quella che l'avrebbe fatta tornare a casa a pezzi.

Dopo aver ricevuto l'ultimo bacio sulla guancia da parte di Bill, li vide allontanarsi appena. Delusa, si voltò per uscire da quell'aeroporto ma una voce ormai fin troppo conosciuta, la fece inchiodare e sobbalzare.

«Monique.» Tremante ed incontrollata, si voltò lentamente nella direzione da cui proveniva quel piacevole e caldo richiamo. Di fronte a lei, Tom la osservava timido e triste. Sentir pronunciare il proprio nome per la seconda volta dal chitarrista era un qualcosa di indescrivibile. Milioni di brividi si protrassero lungo tutto il suo corpo. Non disse nulla semplicemente perchè nessuna parola intelligente o adatta alla situazione le veniva in mente. Se l'aveva fermata un motivo vi era e lui sapeva cosa dirle, perciò decise di attendere una sua qualunque frase. «Volevo... Dirti una cosa.» mormorò il chitarrista, stringendosi le mani. Quell'azione nervosa non passò inosservata a Monique, la quale non si sentiva da meno. Una grande ansia, accompagnata a voglia di stringere forte a sé il ragazzo, si liberò in lei. «Ti ricordi quando ti ho detto che non volevo illuderti con false speranze?» le domandò cautamente. La mora si limitò ad annuire appena, perchè altro non riusciva a fare. «Vedi... La mia vita è fatta di questo: viaggi, concerti, groupies, alcol. Io, non sono in grado di prendermi cura di te e non sono soprattutto in grado di prendermi cura di un bambino. Sapevo che sarebbe arrivato presto il momento in cui io sarei dovuto andare via e per questo mi sono sempre spaccato la testa in quattro per non farmi prendere da te e per far sì che tu non facessi lo stesso con me. In macchina mi hai chiesto una spiegazione e io te la sto dando: in tutto questo tempo, dal primo giorno in cui tu hai messo piede nel nostro studio, io ho avuto paura di te. Sapevo che eri una minaccia per me e che saresti stata una ragazza in grado di mandarmi fuori di testa. Perchè eri dannatamente bella, perchè eri dolce ed altruista, perchè eri così indifesa che avevo voglia di proteggerti da tutto e da tutti. Ma al tempo stesso sapevo che non avrei potuto e forse non avrei neanche saputo farlo, in vista di questi avvenimenti. Non potremmo stare insieme, capisci, Monique? Semplicemente perchè non riuscirei a sopportare la troppa lontananza e, conoscendomi, non riuscirei neanche ad esserti fedele. Stiamo parlando di tanti mesi di distacco, non di qualche giorno ed io sono pur sempre un ragazzo con i propri bisogni. Per di più un ragazzo che mai ha provato l'amore, quello vero. E io non vorrei vederti stare male per me... Non di nuovo. È per questo che ho sempre cercato di tenerti lontana, inizialmente, trattandoti perfino male. Non volevo che tu ti affezionassi a me, perchè poi io avrei fatto lo stesso con te e sarebbe stato più difficile porre un muro fra noi due. Ma poi non sono riuscito a negare l'evidenza e cioè che io sono sempre stato preso da te e più continuavo a convincermi del contrario, più i dubbi aumentavano, rendendomi nervoso. Questo spiega tutti gli errori che ho fatto, avvicinandomi ulteriormente a te, con baci, tenerezze e... L'ultima cosa che ho fatto. Perchè ho cercato di usare sempre razionalità ma il mio istinto non ha potuto fare a meno di agire quando più ne sentiva il bisogno. Averti vicino è sempre stata una tortura, dico sul serio, eppure mi ero talmente tanto preso a cuore la tua gravidanza che non avrei potuto ignorarti. Mi dispiace se alla fine non sono riuscito a tenerti lontana da me e che in tutto questo tempo ti ho solamente confuso le idee e fatto del male; non era assolutamente mia intenzione. Spero solo tu abbia capito il mio punto di vista e mi possa perdonare.»

Sapeva che non sarebbe riuscita a reggere quello sguardo penetrante un secondo di più.

Era semplicemente incredula; in pochi secondi aveva risposto ad ogni singola domanda che si era posta in tanti mesi, diventando pazza. Tutto quel tempo a chiedersi cosa mai passasse per la testa del chitarrista ed alla fine la risposta era semplice. Aveva sempre escluso la possibilità che potesse essere attratto da lei, a priori. Non perchè non l'avesse presa in considerazione, ma perchè le pareva semplicemente assurdo e troppo bello e semplice per essere vero. Non poteva negare di aver dubitato a riguardo, in certi momenti, ma poi la sua mente era sempre tornata a formulare ipotesi decisamente più pessimistiche e finalizzate a provocarle ulteriore dolore.

Ora si sentiva combattuta: da una parte, quella istintiva, si sentiva felice di tale ammissione perchè ciò voleva dire che non si era solamente fatta tanti film su loro due ma che ciò era passato anche per il cervello del chitarrista; dall'altra, quella dannatamente razionale, si sentiva furiosa. Si sentiva furiosa perchè avrebbe potuto risparmiare tanti mesi di agonia, tanti mesi di interrogativi e speranze sui sentimenti del ragazzo, quando in realtà era tutto molto più semplice. Era stato solamente esasperato e complicato dal moro, pur non avendolo fatto intenzionalmente, come le aveva detto.

Abbassò lo sguardo, stringendo le mani a pugno, nelle tasche del cappotto. Si sentiva quasi presa in giro.

«So che ti sentirai furiosa con me e non ti biasimo. Avrei potuto risparmiarti tanti nervosismi, soprattutto perchè sei incinta. Ma d'altro canto sono un ragazzo giovane e di errori e casini, a quest'età, se ne commettono spesso. Non voglio assolutamente giustificarmi ma... E' la verità.» disse mortificato.

«Tom, muoviti, dobbiamo fare il check in!» gridò a qualche metro di distanza il vocalist, non consapevole di ciò che nel frattempo fra Tom e Monique stava accadendo.

«Bill, un secondo, arrivo, cazzo!» esclamò nervosamente, tornando poi ad osservare la mora in viso. «Ti prego, dimmi per lo meno qualcosa. Non farmi partire in questo modo, senza avermi assicurato che non mi odi.» la implorò con sguardo timoroso.

Monique non sapeva nemmeno che dire. Si sentiva strana, come non si trovasse realmente in quell'aeroporto. Voleva allontanarlo da sé ma allo stesso tempo non voleva separarsi da lui. Ed il tempo stava scorrendo decisamente troppo in fretta per permetterle di ragionare con la giusta calma.

«Non so cosa vorresti che ti dicessi... I fatti sono questi e... Sinceramente non saprei che dire. Qualunque cosa sarebbe inutile; d'altronde, sei stato chiaro: fra noi non può esserci nulla. Quindi, più che dirti “Ciao, Tom, fai buon viaggio”, non saprei che fare.» mormorò apatica. Una frase priva di enfasi, priva di rabbia... Solamente colma di tanta rassegnazione ed impotenza.

«No, Monique, per favore, non...»

«Tom! Cosa vuoi che ti dica?! Mi hai appena chiuso una porta in faccia! Pretendi che io ti salti addosso e ti abbracci con tutte le mie forze, ripetendoti quanto io tenga a te e quanto mi mancherai?! Sono una persona e ho dei sentimenti anche io! Mi sento ferita, mi pare normale!»

«Io non pretendo che tu faccia questo, ti chiedo solo di non guardarmi con quegli occhi delusi. Fa male.»

«Anche a me fa male tutto questo, Tom.»

«Lo so e mi sento una merda, in questo momento, lo giuro!»

«E quindi? Non riesco a capire cosa vuoi da me!»

«Vorrei poter partire senza alcun rancore da parte tua. Vorrei poter tornare a Berlino e sapere che posso salutarti con il sorriso in faccia.»

Monique restò qualche attimo in silenzio, meditabonda su quelle parole. Non poteva affrontare tutto ciò con quella superficialità. Le cose non potevano tornare a posto da un secondo all'altro. Non era un corpo esanime pronto a subire qualsiasi pugnalata, senza percepire dolore.

Lo scrutò attentamente, come rapita, fino a che non sollevò con lentezza la mano per posarla sul suo braccio.

«Sono contenta che tu riesca ad affrontare tutto quanto in modo così semplice, Tom... Sono davvero contenta per te. Fai buon viaggio.» disse affranta, facendo per voltarsi verso l'uscita, quando il ragazzo la afferrò delicatamente per la mano.

«Monique, per favore...» provò nuovamente, fino a che David, da lontano, non richiamò la sua attenzione con maggiore enfasi. Tom strinse gli occhi combattuto e pressato. «Per favore...» ripetè in un soffio, dopo averli riaperti lentamente. Monique si sentì come trafitta da una lamina tagliente, in quello stesso istante. Sentiva che stava per scoppiare irrimediabilmente in lacrime, ma non l'avrebbe fatto davanti a lui.

«Mi mancherai.» sorrise appena, con gli occhi lucidi ed uno sguardo triste in viso.

I secondi in cui percepì le loro mani calde e lisce scivolare fra loro, allontanandosi millimetro dopo millimetro sempre di più, furono l'ultimo brivido che il suo cuore ebbe il piacere di provare con lui, prima di osservare quell'aereo bianco sfrecciare veloce nel cielo limpido ed infinito di Berlino.

  
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