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Autore: Seratul    28/10/2010    1 recensioni
Lean è un ragazzo che vive in una tranquilla e anonima città italiana, che vive la sua vita con forte introspezione. L'amore per la bella e irraggiungibile Valeria, una ragazza lesbica, metterà a dura prova il suo cuore, con risvolti bizzarri che lo porteranno a cercare il suo vero io. Cosa sei disposto a fare per amare?
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ospedale era un ricordo ormai, ma aveva avuto le sue innervosenti conseguenze.
Tornato a casa, subii le miglioni di cattiverie uscite dalla bocca dei miei genitori.
Il loro essere dannatamente bigotti non gli permetteva di capire che, quando soffri così tanto, la desideri la morte.
Comunque secondo loro avevo un qualche tipo di debolezza mentale, che andava curata con delle sedute dallo psicologo.
Benissimo. Gia me lo vedevo. Si sarebbe seduto sulla sua sedia molleggiata, con aria di "confidami ogni tuo piccolo segreto", e si permetterà di giudicarmi e pretendere di insegnarmi qualcosa.
Cos'è che non va? Che lei non mi vuole e non mi vorrà mai, non c'è possibilità.
Ad ogni modo accettai anche se a malincuore di fare queste sedute.
Il pomeriggio stesso ce ne era una. Non avevano perso tempo i mieie genitori nel considerarmi un pazzo.
Se il prezzo vdel mio gesto avrei preferito di gran lunga morire.

Quello stesso pomeriggio mi preparai.
Mi vestii nel solito modo in cui mi vestivo per uscire. Un paio di jeans, t-shirt, camicia sarebbero bastati.
Il mio giubbotto di pelle, il mio carissimo giubbotto era ancora sporco della fanghiglia del fiume, quindi non utilizzabile.
Poco male, io ed il freddo andavamo d'accordo.
Presi cellulare, sigarette il mio Ipod ed uscii di casa.
Il tempo di fare due passi e gia avevo le cuffie nelle orecchie. Non sapevo vivere senza musica.
Penso che sensa quella, ed il tempo passato con la mia band, sarei impazzito per davvero.
La musica portava sfogo, ma unicamente per quelle ore in sala prove o al concerto.
Continuai a camminare, non era poi così lontano, perché il tempo di scegliere canzone e sentirla, ed ero gia arrivato.
Un portone vecchio, come piu o meno tutta l'architettura della città, si erigeva davanti a me.
Suonai il campanello e quasi subito la porta di aprì. Mi inoltrai all'interno dell'abitazione e trovai un ambiente molto simile a quello che mi aspettavo.
Grossi quadri di pittori famosi e mobili antichi pieni di orletti ed archi.
Praticamente all'ingresso c'era una donna.
Sedeva dietro una scrivania di legno, tutta addobbata dai classici ornamenti di un tavolo da ufficio.
Il battito delle sue dita sui tasti della tastiera del computer, risuonava fino a me.
Fastidioso.
La donna era un po' traccagnotta, sulla quarantina. Portava un paio di occhiali orrendi, con una catenella che ruotava intorno al collo, collegandosi ai margini delle aste.
Mi guardai attorno e poi avanzai.
- Lei deve essere... -
- Lean.- dissi interrompendola.
Mi squadrò, sollevando dal naso gli occhiali, come a dire "non provare ad interrompermi mai piu".
- Corridoio, seconda porta a destra.-
Mi incamminai subito. Con lei non si discuteva a quanto pare.
Ne rimasi abbastanza stranito, dopotutto una segretaria dovrebbe invogliare a venire in posti come quello.
Che so, magari una bella ragazza dal seno prorompente o con un bello sguardo.
Lei non mi aveva invogliato per niente, anzi, mi stava facendo desidere ancora di piu di non essere li.

Seconda porta a destra. Eccola li davanti a me. Un profondo respiro e fui pronto ad entrare.
Il pomello ruotò tranquillamente.
Appena aprii appena la porta, un odore intenso di thè penetros violentemente nelle mie narici.
Adoravo il thè.
Spalancai la porta e vidi che lo studio dello psicologo era enorme.
Sembrava un piccolo appartamento piu che uno studio.
Sgranai gli occhi e mi guardai attonoo, inoltrandomi nella stanza.
Quello aveva tutta l'aria di essere una spece di salotto.
Un'arredamento così bizzarro, così arioso, luminoso, metallico. Sembrava una di quelle cucine che si vedono nelle pubblicità.
Divani, sedie, mobili, librerie, tavoli, quadri, soprammobili, tutto era perfettamente in stile moderno.
Il muro si interrompeva in un grosso arco, da cui proveniva l'odore di thè.
- Arrivo subito!- irruppè una voce di donna.
Al sentirla mi avvicinai all'arco per vedere se avevo sentito bene.
Li la vidi.
Una ragazza, sulla trentina stava accanto ai fornelli, versando dentro due tazze il liquido da un pentolino.
Jeans attillati, maglia grigia e un gilet nero. Capelli raccolti dietro la testa da un bastoncio intagliato.
Non proprio quello che mi ero immaginato.
Ne rimasi piacevolmente sorpreso, almeno non dovevo litigare con un vecchio, barboso dallo sguardo accusatore.
Poggiò il pentolino dentro il lavello, prese le due tazze multicolore e venne verso di me.
Un bel viso. Un bel paio di occhi verde prato, coperti da degli occhiali squadrati, neri.
- Ciao - disse porgendomi una tazza. - Io mi chiamo Sibilla. -
- Piacere, io Lean. -
Mi fece cenno di dirigermi verso il salotto, così ci andai.
Sembrava cordiale. Mi ero completamente sbagliato.
Mi avvicinai al divano e mi sedetti.
Lei fece il giro del tavolino da caffè, che divideva i due divani e la poltrona, e si sdette su quest'ultima.
Presi un sorso del thè ancora bollente. Percepii il suo piacevole tepore, in un esplosione di fragranze.
Non sapevo a quale gusto fosse quel thè, ma era poesia liquida.
Un sorriso si disegnò sul volto di lei, vedendo la mia espressione di beatitudine nellassaporare la bevanda.
- Allora.. Lean. E' un nome d'arte vero? -
- Si. Me lo sono messo così. Il mio nome non mi piaceva e nemmeno il mio soprannome. - dissi, prendendo un altro sorso.
Dalla bocca mi usci una vampata di respiro caldo, unit ad un gemito di soddisfazione.
- Va bene, allora ti chiamerò così. Lean. - restitui lo stesso gesto, prendendo un sorso anche lei. - scommetto che ti starai chidendo, "Ma che ci faccio qui? -
- In effetti si. Non lo so... non sono pazzo. -
- Nessuno ha detto che sei pazzo. - poggiò la tazza sul tavolino - Perché credi questo di te stesso? -
- Perché sarei qui altrimenti? -
Lei scoppiò in una sonora risata. Fu tanto contagiosa che spuntò un sorriso divertito anche sul mio volto.
Era così strana. Non aveva per niente l'aria di una psicologa.
Quando si calmò, mi guardò negli occhi, quasi a voler scavare dentro di me.
- Un suicidio non è così rilevante, ma il motivo che ti ha spinto a farlo si. Perché non me lo racconti? -
- E' stupido.. - dissi, abbassando lo sguardo.
- Sta tranquillo. Non sono qui per giudicarti, ma solo per aiutarti. -
A quelle parole alzai lo sguardo. Volevo scorgere il suo viso per vedere se stava dicendo sul serio. Nel suo sguardo non mi pareva ci fossero ne falsità, ne ipocrisia, così decidi di fidarmi.
- Si tratta di una ragazza. -
- Oh ho! Adoro le storie d'amore. -
Poggiò il mento sul palmo della mano, sorretto dal braccio sul ginocchio accavallato all'altra gamba, e mi guardo negli occhi.
- ..la conosco da un po' ormai. Saranno tre anni ormai. Non so come funzioni l'amore, ma sono sempre stato innamorato di lei. Volevo dirglielo, ma un mio amico - dissi facendo le virgolette - rovinò tutto dicendoglielo. -
- E lei che ti rispose? -
- venni a sapere cos'era successo da lei, che mi disse un no. Ma non era un no così.. deciso ecco.-
- Cosa intendi? -
- Che non poteva stare con me, che non ci sarebbe stato niente perché...-
Mi scrutò con fare curioso. Le sorpacciglia inarcate dicevano che aveva capito, ma voleva sentirmelo dire.
- ...non le piacevano i maschi. Capito? -
Si sciolse dalla posizione d'attenzione, ed afferrò la tazza nuovamente. Io feci la stessa cosa e ne bevvì un bel sorso, quasi ustionandomi la gola.
- E' un bel problema - disse bevendo anche lei. - ma non insormontabile. -
- E come faccio? -
- Posso intuire che questo successe dopo poco che vi conoscevate. Adesso ti conosce di piu e forse ne aveva proprio bisogno. -
- Ma.. non le piacciono gli uomini. Cioè non mi ero fatto capire? -
Pogiò la tazza sul tavolo rapidamente, con un espressione del tipo "si che l'avevo capito".
- Si si.. l'avevo capito. Ma non significa niente. Nessuno si ottimizza davvero alle etichette. E' tutta una questione di sentimenti. -
Lei alzò una questione che mi fece pensare.
Che quelle fossero solo etichette, e il cuore comandi incontrastato su ogni tipo di azione legato a questa sfera?
- Il cuore dona le istruzione per usarlo, ma poi verso chi si direziona l'amore non importa, non ci sono regole. -
Quelle parole mi colpirono come una fredda giornata d'inverno. Che sia vero? Che sia tutto dettato dal cuore?
Allora la situazione era peggiore. Non era perchè ero un uomo, ma perché sono io a non piacerle.
Presi la tazza e la tenni vicina alla faccia.
Forse il dolce tepore del vapore, avrebbe imprigionato quel pensiero e non mi avrebbe portato a buttarmi di nuovo.
   
 
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