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Autore: Doll_    28/10/2010    9 recensioni
Mio padre ancora non sapeva nulla della storia. Un punto a sfavore.
Non avevo ancora trovato la chiave di quella porta comunicante. Altro punto a sfavore.
Il ragazzo che si sarebbe finto il mio fidanzato era, oltre che un gigolò professionista, anche un tipo fastidioso, cinico e maledettamente sensuale, che odiavo con tutta me stessa. Quindi Tre a Zero per la sfortuna.
Il suo lavoro, poi, non consisteva solo nel fingersi innamorato di me -cosa già difficile in sé per sé- ma avrebbe dovuto anche insegnarmi le tecniche della passione e, quindi, in un modo o nell'altro riuscire a fare eccitare entrambi. Cosa impossibile. Quattro a Zero.
Qualcos'altro? Ah, sì! Dovevo sorbirmelo per oltre un mese..!
Cinque a Zero. Avevo nettamente perso..
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Zac e Vic'
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 UN GIGOLO' IN AFFITTO – IL COLLOQUIO

Erano appena arrivati i primi. Io avevo optato per dei spaghetti con le vongole, Cristina, fissata con la dieta, una semplice insalata con petto di pollo e Zac una grossa bistecca al sangue ancora fumante.
“Non ho detto che sei un poveraccio ma, ecco... Di solito ai colloqui si viene con un abito elegante.” Precisai, volendo fare la puntigliosa.
Ero infastidita e stavo scaricando il tutto su di lui e, pur sapendolo, non riuscivo a smettere di farlo.
“Ho da poco finito gli allenamenti.” Rispose con un falso sorrisino.
“Scommetto che non ti sei fatto nemmeno la doccia.” Lo schernii.
“Vuoi annusare?” Domandò poi allusivo, inarcando sensualmente il sopracciglio. Il sorriso non spariva mai.
“Ragazzi dovreste andare d'accordo! Sembrate quasi cane e gatto. Vi ricordo che usciti di qui dovreste iniziare a fingervi una coppia!” Ridacchiò Cris, divertita dai nostri battibecchi e dalle mie continue perdite a causa delle risposte maliziose di Zac e del mio imbarazzo.
Io e lui ci girammo prima a guardare lei, poi fissandoci nuovamente.
Fra i nostri occhi si stabilì un contatto strano, che non seppi descrivere ma che mi fece sentire sola ma allo stesso tempo protetta. Un contatto che da quel momento in poi avrei iniziato a bramare.
“Chiedetemi quello che volete.” Disse lui seriamente, quasi stessimo affrontando un argomento lavorativo “normale”.
La mia amica annuì e si voltò verso di me attendendo la mia prima domanda.
“Hmmm... Da quant'è che fai questo.. “lavoro”?” Chiesi titubante, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi così profondi.
“Tre anni.”
Lui invece non smetteva di guardarmi ed il suo sguardo iniziò a farsi insistente ed invadente. Uno strano calore mi percorse tutto il corpo fino all'interno coscia.
“Quante donne hai avuto?”
“Ho perso il conto.” Sorrise sicuro di sé.
Rimasi un attimo spiazzata da quella risposta ma mi rispesi subito dopo. Accidenti... Quante altre ragazze erano state così tanto disperate come me!?
“Sono rimaste tutte... Appagate?” Domandai, imbarazzata ma curiosa.
“Tutte mi chiedevano cose diverse... Ma dalle loro mance finali deduco che, sì, ne siano rimaste tutte fin troppo appagate.”
Dalla sua espressione capii che non stava mentendo per pavoneggiarsi. Lui era davvero bravo in certe cose.
Inaspettatamente ebbi voglia di provare quello stesso brivido con lui.
“Qual'è, per te, il limite di età?”
Stavo diventando troppo invadente? Al diavolo! Volevo sapere...
“Dipende. L'ultima aveva trentacinque anni ma era davvero una bella donna, fin'ora non sono andato oltre.” Sorrise sornione.
“Accetti l'incarico anche se la ragazza in questione non è carina?”
Le domande iniziavano a non c'entrare nulla con l'argomento base ma io ero determinata a non fermarmi.
“Svolgo semplicemente il mio lavoro.”
“Non mi hai risposto.”
I nostri sguardi erano incatenati, ognuno sosteneva quello dell'altro. Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene... Quel ragazzo mi dava una carica che mai prima d'ora avrei creduto di avere.
“Diciamo che fin'ora sono stato fortunato.”
Dovevo prenderlo come un complimento, o voleva dire che prima di adesso aveva avuto delle belle ragazze a cui offrirsi e ora che aveva incontrato me la sua fortuna era finita..?
“Mi dispiace.” Diedi voce ai miei pensieri..
“Non ti preoccupare, la mia fortuna va' di bene in meglio.” Rispose, facendomi l'occhiolino. Arrossii.
“Che ne pensano i tuoi di questo lavoro?” Domandai dopo un po'. Forse avevo esagerato perchè la sua espressione prima divertita ora si era tramutata in una accigliata e seriamente malinconica.
“Un'altra domanda.” Chiese, cercando di riprendersi.
“Ehi, avevi detto che potevamo chiederti tutto quello che volevamo!” Ribattei infastidita.
“Ma non ho mai detto che avrei risposto a tutto.” Mi zittì col suo sguardo di ghiaccio. I suoi occhi prima profondi e intensi ora erano diventati freddi e vuoti. La sua famiglia, capii, era un argomento tabù.

 Il pranzo passò apparentemente in fretta, almeno per quel momento. Il resto sembrò infinito. Le chiacchiere, le discussioni, gli sguardi... Pareva tutto a rallentatore. Quegli occhi... Mi distraevano da tutto, mi sentivo fastidiosamente studiata e quasi denudata. Una sensazione scomoda.
“Bene” Esordì Cris, dopo aver pagato il conto ed uscendo seguita da noi dal ristorante, “Visto che ormai è ovvio che nessuno dei due possiede un mezzo di trasporto” fece ironica, “vi accompagnerò io fino a casa di Vic. Venite, forza!” Esclamò, poi, salendo sulla sua Porche gialla canarino, presa con la patente dei sedici anni.
Il viaggio fu ancora più sfiancante. Cristina, alla guida, lasciò così me e Zac vicini ai posti dietro.
La mia amica non smetteva un attimo di blaterare, raccontando aneddoti divertenti o facendo domande ad uno Zac fin troppo entusiasta.
“Come si spegne?” Mi sussurrò, dopo un po' lui fra i denti con un sorriso forzato rivolto sicuramente a Cris che stava ancora chiacchierando. Ridacchiai.
“Se lo sapessi lo avrei già fatto.” Mi ripresi, poi, ritirando fuori le unghie.
“Pure sotto le lenzuola sei così combattiva?” Chiese, sempre a bassa voce avvicinandosi di più al mio orecchio, con tono soave e seducente.
Le mani ripresero a sudare e sentivo un formicolio per tutto il corpo. Se avessi potuto, lo avrei preso a schiaffi!
“Se pure fosse, tu non lo saprai mai.” Lo beffeggiai, con un sorriso vittorioso.
Lui restò per un attimo a guardarmi, poi sbuffando si rivoltò verso il suo finestrino borbottando un “Staremo a vedere...”

Una volta arrivati, ci feci lasciare davanti al portone della casa dei miei nonni, di pochi passi distante dalla mia, con una stanza comunicante. Appena entrati, però, mi resi conto che le stanze delle due case divise solo da una porta, erano rispettivamente la mia e quella di Zac. Inizialmente cercai di persuaderlo a scegliersi un'altra camera ma lui insistette per quella più grande. Perfetto, avrei dovuto ritrovare la chiave della mia stanza per poterla chiudere a dovere!
“Qualcosa non va? Ti vedo turbata.” Disse lui, poggiando la sua valigia sul letto, dopo un'accurata visita di tutta la casa.
Pochi giorni prima, io e Cristina ci eravamo messe a risistemare tutta la casetta -che era più simile ad un appartamento bifamiliare-, per l'imminente ospite.
“Ti piace la casa?” Domandai, quindi, cambiando argomento. Non mi andava di informarlo ogni qual volta il mio umore cambiava, anche perchè stava diventando una cosa fin troppo frequente ultimamente.
“E' molto carina.” Fece sorridendomi amichevolmente. Cercava di essere premuroso e gentile, lo capivo, ma il mio odio verso di lui non rinunciava alla lotta, quindi i suoi tentativi erano vani.
“Lascia che ti aiuti...” Mi avvicinai a lui, iniziando a tirar fuori i suoi indumenti dalla valigia e sistemandoli nell'armadio.
Aveva sicuramente buon gusto in fatto di vestiario, ma allora perchè venire in tuta ad un pranzo “importante”?
C'erano molte camice, tutte di colori differenti ma mai a tinta unica. Solo una, bianca. Il resto erano a quadri, a righe, con motivi diversi... Sembravano tutte molto allegre. Questo mi fece sorridere.
Poi c'erano delle T-shirt sempre bizzarre o sportive. Qualche maglietta elegante e sobria, pantaloni neri, bianchi, jeans scuri, jeans strappati, cinte di tutti i tipi, qualche pantaloncino sportivo, costumi e scarpe prevalentemente converse o vans, oltre che a quelle da ginnastica. Sistemammo tutto in un silenzio religioso ma non opprimente e appena finito ci sedemmo esausti sul letto. La biancheria intima, evidentemente, l'aveva sistemata solo lui. Gliene fui grata.
“Con tutti quei vestiti, suppongo che tu vada ogni giorno a fare shopping!” Ansimai, portandomi una mano alla fronte. Era stata un'attività stancante.
“Più o meno. Alcuni sono regali.” Spiegò, vago.
“Ammiratrici?”
“Più o meno.” Ripeté, infastidendomi.
Mi alzai di scatto, dirigendomi verso la porta comunicante anche se non avrei voluto svelargli l'imbarazzante coincidenza -non avevo voglia di camminare troppo- congedandomi con un “Domani dobbiamo parlare.”
Stavo per aprire la porta quando la sua voce mi bloccò:
“Aveva quarantatré anni e viveva in una grossa villa con un gatto. I soldi non le mancavano e si poteva dire che mi manteneva lei.
Ogni giorno c'era un nuovo regalo sul mio letto. Mi pagò il doppio di quanto avessi meritato e dopo due mesi morì. Mi lasciò scritta una lettera sulla quale, dopo varie cose, mi ringraziava per essere stato l'unico, in tutta la sua vita, a farle conoscere la passione, l'amore e la maternità... Con ciò capii molte cose. Mi aveva sempre trattato come un figlio, tranne che a letto, e mi aveva amato. Lei sapeva che le erano rimasti pochi mesi di vita e aveva scelto di viverli con me. Oh, dovevi vederla, era una donna bellissima, piena di vita.. Una rosa in fiore.” Disse sorridendo debolmente, con gli occhi luminosi. Quando parlava di questa donna, c'era una scintilla che si presentava in lui. Questo scaturì in me una strana sensazione che mi mosse fino ad andargli vicino e ad abbracciarlo, venendo ricambiata con enfasi, subito dopo da lui.
Incredibile come in così poche ore io e lui eravamo entrati così tanto in confidenza. Non avrei mai creduto che fosse un ragazzo sensibile.
“Non so perchè l'ho detto.” Ammise lui, con la voce attutita dalla mia spalla, dove teneva il suo viso, fra essa e il collo. Non piangeva affatto, il suo tono, al contrario, era impassibile e freddo.
“Mi ha fatto piacere sentirlo, comunque.” Mi staccai delicatamente, guardandolo negli occhi e sorridendogli. I nostri nasi potevano sfiorarsi ma nessuno dei due sentiva la necessità di un bacio, quindi gli chiesi:
“Come si chiamava?”
L'atmosfera era calma, parlavamo in sussurri per non sciuparla.
“Rosanna.”
“Avevi detto che non eri andato oltre i trentacinque...”
“Perchè io non la ricordo come una delle tante clienti. Lei era stata l'eccezione... Avevo provato anche io veri sentimenti per lei.”
“Si vede da come ne parli.”
Rimanemmo in silenzio per un altro po' di tempo, quando poi un suo sorriso sghembo, mi avvisò che era tornato come prima.
“Quindi sai essere anche apprensiva e non acida come credevo, quando vuoi...” Mi schernì.
“Ma... La storia era vera, giusto?” Chiesi speranzosa.
“Mmm.. Più o meno. Diciamo, più sì che no.” Sorrise.
Mi aveva presa in giro. Aveva giocato con i miei sentimenti...
Quell'esclamazione mi mandò in bestia e mi scostai velocemente da lui, andandomene finalmente da quella stanza, sbattendo la porta con forza, non prima di aver sentito il suo risolino.

   
 
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