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Autore: DafneSky    28/10/2010    1 recensioni
Già con la sorella maggiore Yu aveva qualche problema. Ma se poi ci si mettono anche strani sogni, diaboliche sorelline pestifere, lupi norrenici e il tuo migliore amico le cose si complicano non poco...
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Shin, Yu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io per Anja farei qualsiasi cosa. Abbiamo avuto le nostre incomprensioni, ma a dirla tutta è stato amore a prima vista. Quando è volata sul cofano della nostra macchina mi è parsa un angelo, ho creduto di avere le allucinazioni. Eppure lei è forte. Si è ripresa la sera stessa e non faceva che guardarmi… E’ una di quelle situazioni in cui ti rendi conto di provare qualcosa e non puoi farci niente, non puoi scappare, e un po’ hai paura ma un po’ dici anche: beh, se le cose stanno così io non mi arrendo prima di lottare. E non ho neanche dovuto lottare parecchio. Quella notte… quella notte non prendevo sonno. Facevo i miei soliti pensieri “impuri” e subito dopo mi vergognavo anche solo di averli formulati dentro di me. Anja è pura, Anja è semplice come una bambina. Ed è per quello che la amavo. E’ per quello che la presi in braccio e la portai nel mio letto, e rimasi a carezzarle i capelli tutta la notte, accanto a lei. E non fu facile tenermi a freno, ma neanche impossibile. Volevo vederla pura per sempre, bella e sorridente. Non dormii quella notte, ma quando lei si svegliò io chiusi gli occhi. Mi vergognavo di averla portata nel mio letto e non volevo darle alcuna spiegazione. Ma non ce ne fu bisogno…
Kiro


Scesi le vecchie scale di marmo, i miei passi riecheggiavano contro le pareti bianche. C’era il silenzio devastante che solo la notte poteva dare. Rampa dopo rampa arrivai al portone principale del palazzo, una pesante soglia di doppio vetro con l’intelaiatura di acciaio.
Girai la maniglia stringendomi nel cappotto nero e uscii nell’aria gelida della notte, posando i piedi sul marciapiede innevato. Sbuffai una nuvoletta di vapore frugando nella tasca in cerca delle chiavi della macchina. La strada adesso non sembrava grande come quando la vedevo dal quinto piano. Era solo una semplice via rinchiusa in mezzo ai palazzi grigi dove le file di lampioni continuavano come lunghi serpenti estendendosi all’orizzonte fino a diventare piccole lucine. Sedetti al posto di guida, inserendo la chiave nel quadro e mettendo in moto. La macchina non aveva le catene, ma la neve era fresca e non si era ancora formato lo strato di ghiaccio sull’asfalto. Le poche tracce di pneumatici lasciate sulla carreggiata si stavano nuovamente ricoprendo. Feci manovra per uscire dal parcheggio e poi partii lentamente alla volta dell’aeroporto. Accesi la radio giusto per non addormentarmi e poi gettai uno sguardo all’orologio: le cinque e mezza. Avevo cinque ore per attraversare la città, arrivare all’aeroporto e informarmi sul luogo dell’arrivo di quella ragazzina di cui tutto sommato non sapevo nemmeno il nome. Uscii dalla strada e imboccai la via per il centro, mentre i tergicristalli tentavano di rimuovere freneticamente lo strato di neve che si formava rapidamente sul parabrezza.
«A tutti gli ascoltatori molto mattinieri auguriamo una bella giornata, anche se la neve causerà molti problemi. Greg, dacci il meteo!».
« Sono previste forti nevicate per tutta la settimana. C’è un’intensa perturbazione atlantica diretta verso il centro dell’Europa, vi consiglio vivamente di tenervi stretti alla vostra sciarpa e cappello perché l’inverno si preannuncia davvero freddo quest’anno!».
«Grazie mille Greg. Brrr… in studio c’è il riscaldamento al massimo e sto morendo ugualmente di freddo!», esclamò la conduttrice radiofonica. Io sbuffai una nuvoletta di vapore stringendo convulsamente il volante. In quella vecchia automobile il riscaldamento si era rotto da un pezzo, l’anno prima Shin si era pure preso la febbre mentre andava a Neumünster da un amico. Andammo là in treno, lo imballammo come un soprammobile in sei piumini imbottiti e lo caricammo di peso in macchina per riportarlo a casa.
Dopo circa due ore arrivai nell’enorme parcheggio dell’aeroporto, poco fuori città. Non era ancora smesso di nevicare, e mi chiesi se gli aerei avessero avuto dei ritardi a causa del maltempo. Aprii lo sportello con le mani congelate e poi lo richiusi violentemente. Mettendomi la mani a coppa davanti alla faccia tentai di alitarci sopra per riscaldarle, ma ormai le muovevo a stento, perciò le infilai nelle tasche della giacca e mi avviai verso l’entrata dell’enorme edificio, arrancando nella neve alta fino ai polpacci. Sentivo i pantaloni bagnarsi. Quando finalmente entrai nell’enorme ambiente dell’aeroporto e fui investito dai potenti getti del riscaldamento mi guardai intorno in cerca di un banco delle informazioni.
«Ehm, mi scusi signorina, vorrei sapere dove atterra il prossimo volo da Los Angeles, e magari anche dove posso trovare un bar», dissi appoggiandomi stancamente al banco informazioni. La ragazza (carina) sorseggiava una tazza di caffè fumante, e premette qualche tasto sul computer.
«Gate 10. Devi prendere quella scalinata a destra e poi trovi le indicazioni. Il bar si trova anche nella sala d’attesa del gate, tranquillo», mi disse sorridendomi, nonostante fosse visibilmente stanca. Feci per girarmi ma lei mi fermò:«Sei Yu dei Cinema Bizarre?», mi chiese. Io annuii, e lei mi sorrise.
«La vostra musica mi piace», si limitò ad ammettere con un sorriso rassicurante. Fantastico, la prima cosa buona della giornata a quanto pareva.
Mi avviai sbadigliando nella direzione indicata dalla ragazza del banco informazioni, senza fretta. Avevo circa due ore e mezzo di tempo prima che la sorella di Anja arrivasse.
Pensai ad Anja, a quant’era bella, e che forse adesso stava dormendo un po’… Abbracciata a quel nano. Mi infastidiva così tanto l’idea, eppure mi ero rassegnato.
Salii le scale e poi svoltai a destra seguendo le indicazioni per il gate 10. La fila che solitamente si faceva all’imbarco a quell’ora era ridotta a pochi uomini e donne d’ufficio in giacca e cravatta con in mano un barattolo di caffè e una ventiquattrore di pelle. Mi misi ad aspettare nella sala d’attesa, pressoché deserta. Il barista non era al banco. Dietro di me, la grande vetrata che dava sulle piste di decollo e d’atterraggio piena di spazzaneve intenti a sgomberarla dal ghiaccio, nonostante il tempo non desse segno di miglioramento. Una settimana intera di neve… che strazio. Mi appoggiai allo schienale della sedia e chiusi gli occhi.
«Il volo 1028 proveniente da Los Angeles sta per atterrare al gate 10. The flight 1028 from Los Angeles is going to arrive at the gate 10»
Mi risvegliai di soprassalto guardandomi attorno allarmato. Il numero delle persone in attesa non era salito di molto. Mi distesi il ciuffo arruffato e poi mi alzai sbirciando fuori dalla vetrata. In lontananza nel cielo innevato, si distingueva appena la sagoma di un aereo. Mi diressi al banco bar:«Scusi, vorrei… mhm… Di che sono ripieni quei cornetti?», domandai indicando dei croissant nella bacheca. L’uomo me li indicò uno a uno indicando i gusti:«Marmellata di fragole, d’albicocca e cioccolata».
«Due all’albicocca per favore», dissi tirando fuori il portafoglio e posando cinque € sul banco. Lui mi imbustò i cornetti e nel frattempo gli altoparlanti avevano annunciato di nuovo lo stesso messaggio. L’aereo ormai vicino planò e atterrò dolcemente sulla pista. Chissà com’era fatta, se contrariamente ai suoi modi odiosi era carina come la sorella… Chissà quanti anni aveva.
Seguii le altre persone che andavano nella sala adiacente. Non era illuminata come l’altra, era chiusa e senza finestre, l’unica fonte di luce erano delle lampade alle pareti. Su un nastro trasportatore iniziarono a scorrere lentamente i bagagli dei passeggeri, solo sei valige in tutto. Iniziai a leggere i cognomi dei proprietari, cercando Lieber.
«Lieber, Lieber, Lieber… », arrivai all’ultimo bagaglio. Un borsone nero dalla forma strana, come se dentro ci fosse stato infilato qualcosa di quadrato. Lessi il nome: Lieber.
«Eccoti qua!», esclamai tirandolo giù dal nastro trasportatore.
«Tu hai l’aria da scemo, e i tuoi capelli sono a strisce rosse». Quella voce alle mie spalle mi fece gelare il sangue nelle vene. Mi girai lentamente, deglutii.
«Che hai da fissare? Dammi il borsone, ci sono cose delicate dentro!», sbottò la ragazzina tirandomi via il bagaglio di mano.
Avvolta in un lungo cappotto di pelle nera da cui spuntavano dei pantaloni a sigaretta, enormi stivali borchiati, entrambi dello stesso colore. Alle dita portava innumerevoli anelli argentati dagli strani simboli e i capelli, nerissimi e lisci erano raccolti in una lunga coda sulla nuca. La lunga frangia nascondeva buona parte degli occhi, di un azzurro glaciale, cerchiati di colori scuri e la bocca distorta in una smorfia antipatica era tinta di un viola tendente al nero. Bassa, una ragazzina minuta dall’aspetto inquietante. Non smettevo più di fissarla aprendo la bocca come per dire qualcosa, e poi richiudendola, come uno stupido.
«Dov’è Anja?», sbuffò lei iniziando a camminare svelta verso l’uscita con il pesante bagaglio in mano, e io tentai di raggiungerla dopo un primo attimo di confusione. Sicuramente mi ero sbagliato, non era lei. Non era la ragazza che avevo sognato quella notte, era impossibile, era…
«Allora, ti decidi a rispondere?», sbottò lei senza neanche voltarsi verso di me.
«Anja dorme», dissi infine trovando il coraggio di risponderle.
«Che carina. Sua sorella arriva dopo un viaggio di quasi nove ore e lei dorme beata», sbuffò.
Non riuscii a comprendere appieno il vero senso di quell’affermazione. Per quanto la sua voce fosse ironica e tagliente ci avevo letto anche un velo di malinconia.
«Sono Yu», mi presentai. Lei mi ignorò, apparentemente.
Uscimmo dall’aeroporto e il vento gelido ci frustò la faccia, ma lei rimaneva impassibile. Stavolta fui io a guidarla attraverso il parcheggio, mentre lei mi seguiva in silenzio camminando in mezzo alla strada ben spalata dalla neve. Dovevano averla ripulita mentre io attendevo che quella strana ragazzina arrivasse. Le aprii lo sportello dei sedili posteriori e lei ci scaraventò il suo bagaglio “delicato”, poi girò intorno alla macchina e si mise a sedere scompostamente sul sedile del passeggero, sbuffando nuvolette di vapore.
«Io comunque sono Ama», aggiunse con voce incolore mentre lasciavamo il parcheggio e tornavamo a Berlino.

«Fermati!»
Inchiodai con la macchina con il rischio di andare fuori strada e colpire i passanti sul marciapiede.
«Ma sei scema??», gridai mentre accostavo. Ama si scaraventò fuori dalla vettura e iniziò a correre per il marciapiede. Eravamo in centro ormai, per circa un’ora non avevamo proferito parola, i nostri occhi erano rimasti incollati ala strada, fino a quell’esclamazione repentina della ragazza. Mi aveva colto talmente di sorpresa che avevo rischiato un incidente, e quella senza dir niente si era fiondata fuori dall’auto.
«Cazzo…», imprecai spazientito e smontai chiudendomi lo sportello dietro con stizza.
«Sta ferma!!!», la rincorsi sul marciapiede innevato, mentre tutti si giravano a guardarci. Quando la raggiunsi lei non si fermò, ma continuò a correre e svoltò in una strada secondaria.
«E’ un vicolo cieco, da quella parte non troverai altro che un pezzo del vecchio muro!», esclamai tentando di fermarla. Lei si bloccò non appena arrivò nel vicolo senza sbocco. Guardò il muro riempito di graffiti davanti a sé con il fiatone, guardandosi attorno spaesata.
«Visto, te l’avevo detto», ansimai.
« E’ stato qui…», sussurrò scuotendo la testa. Io la fissai confuso:«Chi?»
«Fatti gli affari tuoi!», esclamò, girò i tacchi e se ne andò impettita.
«Non ti sopporto!», sbraitai raggiungendola. Non ammettevo che una stupida ragazzina mi trattasse così.
«La cosa è reciproca», replicò lei impassibile. Montammo di nuovo in macchina.
«Si può sapere che ti è preso?», le domandai dopo che mi fui calmato. Lei mi guardò per la prima volta a disagio:«Avevo visto un… mio amico», mentì.
«Non ci credo», replicai.
«Non ha importanza. Tu sei come gli altri, probabilmente non ti accorgerai di niente e la tua vita continuerà in tutta normalità», sospirò. Ero sempre più confuso.
«Non capisco…», ammisi. Lei scosse la testa come se stesse parlando con un totale imbecille e si chiuse nuovamente nel suo silenzio.
«Vuoi andare subito a casa o visitiamo un po’ la città? E’ quasi l’ora di pranzo… a proposito, se hai fame ti avevo preso delle brioches», tentai di smuoverla un po’. Quella ragazzine mi metteva tristezza. Non tanto per il modo di vestire che in sé aveva un certo fascino gotico. Più che altro era il suo sguardo spento, il modo in cui si rannicchiava sul sedile quasi a volersi nascondere, e i momenti in cui la sua maschera di indifferenza cedeva sembrava una bambina indifesa. Continuavo a lanciarle occhiate fugaci, ma lei, immobile, continuava a fissare la strada, mentre scivolavamo silenziosamente attraverso il traffico dell’ora di punta.
«Andiamo a casa», disse alla fine mogia guardandosi intorno in cerca dei croissant. Afferrò il sacchetto e ne tirò fuori un cornetto addentandolo famelica.
«Ne vuoi uno?», mi domandò titubante. Io scossi la testa, lei allora finì il primo con un morso e estrasse anche il secondo dal pacchetto di carta.
«Anja… dì, la verità, non voleva vedermi e adesso sta escogitando un modo per trasferirmi in un albergo il prima possibile», la sua voce per l’ennesima volta ruppe il silenzio.
«Non sa neanche che stai arrivando». Cadde un silenzio imbarazzato.
«Perché non l’hai avvertita?», mi chiese lei perplessa. «Era con il suo ragazzo».
«Ah». Sembrava… quasi sorpresa.
Parcheggiammo sotto il nostro palazzo e lei insistette per portarsi da sola la borsa. Adesso che Berlino si era svegliata neanche la neve che continuava imperterrita a cadere riusciva a smorzare i suoni del traffico.
Aprii il portone e iniziammo a salire le scale immersi nel nostro abituale silenzio. Ama, via via che salivamo si guardava attorno sospettosa, come se stesse cercando qualcosa.
Giunti davanti al portone dell’appartamento parve farsi sempre più confusa. La guardai interrogativo, ma lei si limitò a girare la testa di scatto e a serrare le labbra.
«Eccomi», annunciai sfilando le chiavi dalla toppa e entrando nell’appartamento.
Anja e Strify stavano giocando alla playstation, Romeo sfogliava una rivista e Shin era ai fornelli. Sentivo profumo di torte.



A/U:
Grazie ancora per il commento... spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^ Bye
  
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