Capitolo 10
Metà Ottobre 1268
– Napoli, sede della corte di Carlo d’Angiò
Carlo d’Angiò era seduto svogliatamente sul trono, con il
mento appoggiato sul palmo della mano, e ascoltava con finta attenzione i
pareri dell’assemblea.
Aveva dovuto convocare per formalità i rappresentanti di
ogni città del regno, e da quasi un mese ormai il tribunale giudicava i
prigionieri.
Carlo era già deciso sulla loro sorte: dovevano essere
giustiziati. Non poteva permettere al giovane re di crescere ed aumentare la
sua potenza; non doveva tornare a Landshut, dove aveva un consigliere troppo
prezioso: il duca Luigi. Per fortuna dell’Angiò, la città bavarese era troppo
lontana perché la notizia vi giungesse in tempi utili, così non doveva
preoccuparsi di Luigi.
Era stanco di quei continui tira e molla: un giorno
sembravano essere giunti ad una decisione; quello dopo qualcuno si opponeva
proponendo come condanna la reclusione per alcuni anni.
Così, Carlo si decise: quello era il giorno della
decisione definitiva, l’assemblea doveva presentare un verdetto.
Si alzò in piedi, attirando su di sé gli sguardi di
tutti. << L’assemblea si è riunita abbastanza a lungo. Ognuno di voi,
ora, riferirà la propria decisione in merito. >>
Il silenzio che seguì non durò a lungo, il primo ad
alzarsi fu Alardo di Valery, che in quanto consigliere personale del re,
presenziava all’assemblea. << Io >> Disse con voce scura, guardando
Carlo negli occhi. Con quello sguardo sancirono un patto silenzioso. <<
Li condanno a morte per essersi ribellati al sovrano legittimo ed essersi
alleati con i saraceni. >>
Carlo fece alzare qualcun altro, me capì dal suo sguardo
che non aveva intenzione di seguire l’idea di Valery. Personalmente, non si
poteva imporre su di un’assemblea formale, quindi doveva persuadere i nobili per una condanna a morte. << Fin dove si
estendono le vostre terre, Conte? >> Chiese all’uomo che si era alzato. Sapeva
benissimo chi fosse, stava solo mettendo in atto il suo piano.
<< Fino al mare, signore. >> Rispose
titubante l’altro.
Carlo sorrise soddisfatto. << Volevo giusto
costruire una dimora estiva. >> Mormorò, poggiando la mano sull’elsa
della spada.
Il conte rimase sconcertato a fissare il tiranno.
<< Io li condanno a morte. >> Disse, con gli occhi bassi.
<< Forse il prossimo anno per il castello, che ne
dite? >> Chiese l’angioino sorridendo sornione.
Si stava alzando un altro barone, deciso a non condannare
a morte i prigionieri, quando Carlo lo bloccò. << Penso che due voti per
la condanna a morte siano sufficienti. La legge vince sempre, no? >>
Domandò alla sua zittita assemblea, poi si voltò a uscì dalla stanza. La decisione
era presa.
***
28 Ottobre 1268 –
Campo Moricino, Napoli
Gli operai erano alla prese con l’estenuante lavoro di svuotare
il Campo Moricino dal mercato, e costruirci un patibolo. Nella grande piazza c’erano
numerose bancarelle, e per far smuovere i venditori ci misero tutta la loro
forza di volontà, e pazienza.
Infine, la piazza era vuota, e sullo straordinario
paesaggio del golfo, spiccava il patibolo da poco eretto. Un palco di forma
quadrata alto quasi come un uomo, al sui centro avevano sistemato un ceppo,
reso lucido dalle lunghe esecuzioni. Da lassù, il prigioniero poteva vedere
tuta la bellezza del paesaggio, sentire la delicata brezza del mare
accarezzargli il volto. La bellezza della natura, e la crudeltà dell’uomo erano
unite in un insensato ossimoro. Una sadica idea di Carlo.
***
Stesso periodo –
Nelle prigioni di Castel dell’Ovo
Il rumore di passi proveniva dal corridoio delle
prigioni. Konrad alzò subito la testa dalla scacchiera che aveva davanti. Vi
stava giocando con Federico, anche se gli scacchi non erano un gioco che gli
piaceva molto: troppo ragionamento; ma
era tutto ciò che gli avevano permesso.
La finestrella posta sulla porta della cella si aprì,
mostrando il volto ghignante di Carlo d’Angiò.
Konrad si alzò in piedi e si mise in mezzo alla stanza,
spinto ancora una volta dall’orgoglio. << Non dovevate disturbarvi a
venire quaggiù. >> Disse, beffardo.
Carlo però non scherzava. << L’assemblea ha emesso
un verdetto. >> Spiegò. << E domani verrete decapitati. Tutti quanti.
>>
Konrad cercò di rimanere impassibile, e per un attimo Carlo
credette non avesse capito. << E’ tutto? >> Chiese dopo un po’ il
ragazzo, restando immobile.
Carlo allora sferrò un’altra delle sue frecciatine.
<< Tra poco passerà un prete per la confessione, e … >> Fece una
smorfia. << Di solito passa anche un barbiere, ma non ne hai bisogno!
>> Scoppiò a ridere e lasciò le prigioni, mentre Konrad tornava mesto al
suo posto.
<< Cosa ne pensi, Federico? >> Chiese, con
voce atona.
Federico non era triste, o spaventato dalla condanna, era
semplicemente infuriato. << Penso che è sbagliato, perché siamo
prigionieri di guerra … >> Intanto che parlava, Konrad tornò a guardare
la scacchiera. Prese in mano un alfiere di legno scuro, e lo soppesò
leggermente.
<< E non possiamo essere uccisi. L’intera assemblea
non può aver votato per la nostra condanna … Carlo li ha corrotti ancora una
volta … >> Guardò l’amico, cercando di capire cosa pensasse, ma non ci
riuscì. << E tu cosa pensi? >>
Konrad strinse l’alfiere nel pugno, e serrò gli occhi,
per non piangere. Lentamente riappoggiò il nero alfiere sulla scacchiera, ma Federico
non ci badava.
<< Credo che Carlo abbia appena fatto scacco matto.
>>
Il ragazzo lo osservò alzarsi e mettersi a scrivere
qualcosa su uno dei pochi fogli che gli avevano concesso. Il suo sguardo allora
cadde sulla scacchiera. L’alfiere era in centro, e svettava sulla pedina del re
bianco, buttato di lato.
***
29 Ottobre 1268 –
Campo Moricino, Napoli
La piazza era gremita da un’enorme folla, giunta anche da
fuori città per vedere l’esecuzione.
Carlo d’Angiò era seduto in alto su una torre che dava
sulla piazza, con tutta la corte al seguito, pronto a godersi lo spettacolo. Coma
aveva previsto, il paesaggio era bello da mozzare il fiato: a sinistra la nera
montagna del Vesuvio, e a destra lo spettacolo degli scogli dell’isola di
Capri, dove il mare si scontrava violentemente, come se fosse contrario al’esecuzione
di innocenti.
Quando giunsero i condannati, la folla si zittì all’istante.
Sembrava che anche il fragore delle onde si fosse fatto silenzioso. Konrad precedeva
i compagni, con passo fermo e sicuro. Il suo orgoglio lo spingeva ad andare
avanti, fin sotto la torre dove lo guardava beffardo l’Angioino.
Lo guardava come mai aveva guardato nessuno, provando
emozioni che mai aveva provato. Nemmeno quando combatteva a Landshut, e nemmeno
durante la battaglia. Lo voleva uccidere. Voleva vedere la sua testa rotolare
insanguinata sul patibolo, la testa di un colpevole.
Carlo sicuramente capì da quello sguardo le emozioni del
ragazzo, ma fece solo un cenno con la mano, e i soldati lo portarono sul
patibolo.
Adesso erano solo lui e il boia, a guardare quella folla
silenziosa ai loro piedi. Konrad sentì una ferita aprirsi nel suo cuore, una
ferita terribilmente dolorosa, che per un attimo incrinò la sua espressione
impassibile. Quelli erano i suoi sudditi, e ora assistevano alla sua
esecuzione.
Forse se non fosse partito da Landshut, tutto sarebbe
andato in modo diverso; e il suo pensiero volò subito alla madre, che
probabilmente non poteva sapere cosa stava succedendo al figlio, e continuava
ignara la sue giornate.
Proprio in quel momento, il boia spinse Konrad in
ginocchio, e lui poggiò il capo sul ceppo, costretto a guardare a terra. Il ragazzo
sentì allora crescere dentro la disperazione, e il suo sguardo cercò quello di Federico,
incatenato con gli altri in attesa della propria ora. Lo guardava con sguardo
implorante, come se potesse ancora fare qualcosa. Konrad scosse
impercettibilmente il capo.
La voce del banditore giunse acuta e dolorosa alla sue
orecchie. << Le ultime parole? >>
Konrad guardava ancora Federico, che si muoveva
irrequieto, dall’altra parte della piazza. << Il mio ultimo pensiero è
per mia madre. >> Mormorò con un filo di voce. << Quale dolore le
provocherà la mia morte. >>
Il banditore si fece da parte, e il carnefice alzò fin
sopra la testa la lama lucente dalla scure.
<< Aufidersen, Bruder. >> Sillabarono le sue labbra per l’ultima volta, guardando Federico dritto negli occhi. Il ragazzo si dimenava e scalciava, per riuscire a liberarsi, ma ormai era inutile. La scure era già calata.
Fine
...Siamo ai titoli di coda... che tristezza...
Non so bene come fare a scrivere i "saluti finali", perchè è la prima volta che mi capita. però è strano mettere la parola "fine"... suona così tragico. bhè, in un certo senso è così, la storia è finita. a qualcuno di voi sarà piaciuto il finale (Hivy, sicuramente), e ad altre no, ma è così che è successo, e non me la sentivo di stravolgere completamente un evento.
sono curiosissima di sapere cosa ne pensate, e in generale, spero che la storia vi abbia (anche se per poco) fatto passare dei bei minuti attaccati allo schermo.
come al solito grazie mille alle mie assidue recensitrici: Hivy, Shenim e Tracywelsh. grazie, grazie grazie, anche a quelli che hanno seguito e preferito (si dice? ;) questa storia....
quindi, per l'ultima volta in questa storia...
Ciaoo
La vostra,
Archer