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Autore: Geneviev    30/10/2010    2 recensioni
Forse la luna pallida e malata, è sofferente per l'inverno che regna nel cuore del lupo, forse è invidiosa di ciò che vede nascere nella foresta gelida.
Lontana, segue lo scorrere del destino aspettando che i fili si intreccino o vengano recisi.
Genere: Dark, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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...

 

L’inverno si era agiatamente accomodato sul suo trono, avendo trovato al suo arrivo il paesaggio già imbandito di neve. Le temperature erano rigide, ma il bosco non piangeva di disperazione, solo durante la notte si abitava dei più sinistri rantoli e guaiti.

Tessa aveva preso l’abitudine di dormire nel letto con Rulfeus, ma se possibile erano diventati entrambi più silenziosi di prima. Se la ragazza avesse avuto la forza di alzare lo sguardo avrebbe notato che lui passava molto tempo a fissarla. L’aria era tesa, come se qualcosa incombesse sulle loro vite, come se stessero aspettando qualcosa che mai arrivava.

Arrivò il plenilunio, e come il mese precedente il ragazzo si preparò a lasciare la sua dimora, provvisto di diversi vestiti pesanti e di due lunghi pugnali. Entrambi in quel momento avrebbero voluto esprimere in parole i loro pensieri, ma rimasero in silenzio, finché lui prese il viso della giovane fra le mani e fissò i suoi occhi color miele per un lungo momento.

"Ogni volta, da dieci anni, mi addentro nella foresta senza nulla per cui valga la pena tornare... ma mi rendo conto di aver vigliaccamente sprecato tempo, di non essermi goduto i miei giorni nemmeno quando si è presentata l’occasione" le disse. Tessa lo guardò senza dire nulla, con lo sguardo pieno di languore, prima che il ragazzo si staccasse da lei.

"Tornate" lo pregò afferrandolo per un braccio. Rulfeus annuì, poi le si avvicinò per premerle le labbra sulla fronte.

Tessa sapeva che gli ululati sarebbero stati più crudeli nelle tre notti a venire e si avvolgeva nelle coperte e nella pelliccia davanti al fuoco, pregando, ma il fatto terribile accadde la terza notte.

Qualcuno, qualcosa, continuava a girare attorno alla casa emettendo bassi e minacciosi ringhi, fino a quando non iniziò a colpire le pareti esterne, ruggendo. La ragazza si barricò dentro, sigillando le finestre e la porta con assi di legno. Tremava piangendo in silenzio, fissando l’uscio, sentendo dai suoi latrati affannosi che quella creatura bestiale aveva capito che quello era l’accesso per entrare. E voleva farlo.

Il cuore le sembrò fermarsi quando vide la superficie lignea della porta incrinarsi agli artigli del mostro. La disperazione aveva ormai preso il sopravvento e dopo altri potenti colpi la porta fu abbattuta.

La bestia entrò ruggendo, passando a stento dall’uscio, mostrando le zanne arcuate e affilate, che sembravano esser fatte d’acciaio color avorio. Il muso lungo di un canide in preda all’idrofobia, le orecchie piccole tese all’indietro sulla testa e feroci occhi gialli. Si reggeva sulle zampe posteriori, più corte e magre di quelle anteriori, ed era alta più di due metri. La sua corporatura massiccia era spaventosa. Era ricoperta da una fitta pelliccia scura, quasi nera, all’infuori dell’arto anteriore sinistro, che appariva muscoloso, la pelle ustionata e lucida piena di piaghe fra sporadici peli rovinati.

Fendette l’aria mancandola di poco, i lunghi e acuminati artigli simili a lame sulle zampe che avevano qualcosa di umano. La ragazza urlò terrorizzata cercando di fuggire da quella belva inferocita, mentre le unghie di questa impattavano rumorosamente sul pavimento della casa. La sua massa corporea, per quanto impressionante, gli permetteva comunque gesti fulminei, ma nell’impeto della furia, distrusse tutto ciò che poteva distruggere nel tentativo di sbranare la povera fanciulla, riuscendo a ferirla sulla spalla destra.

Miracolosamente Tessa riuscì a fuggire dalla finestra della camera, mettendosi a correre a perdifiato nella foresta nera come pece, le chiazze argentate della luna piena che a fatica filtravano attraverso i rami. La bestia troppo grossa rimase ostacolata da quello che restava della finestra dopo i suoi colpi, così da permettere un minimo di vantaggio alla sventurata.

La ragazza inciampò e cadde poco distante dalla riva sassosa del fiumiciattolo, le ginocchia ferite piansero sangue sul terriccio bagnato e gelido. Sentiva l’aria buia del bosco densa di rumori inquietanti, e non sapeva se sarebbe stata mangiata da qualcosa che proveniva dietro o davanti a lei, ma aveva gli occhi pieni di lacrime. In quell’istante, oltre la sponda del fiume, vide distintamente alla luce della luna dei volti deformati, la pelle marcia attorno a occhi bianchi, pronti ad avventarsi su di lei.

La bestia che la stava rincorrendo la superò con un balzo, prendendo fra le mascelle la testa di uno di quei demoni e la divelse dal corpo, che cadde inanimato, e gli altri si scagliarono sul suo corpo enorme, prima di essere sbranati.

Tessa si alzò a fatica e ricominciò a correre, risalendo lo scorrere del fiume, per allontanarsi il più possibile. Inciampò ancora nell’acqua ghiacciata e si abbandonò a un pianto di sconforto, tastandosi la spalla ferita, arrendendosi al fatto che sarebbe morta senza rivedere la luce del sole.

"Povera piccola". Una voce profonda e pacata giunse da un punto molto vicino a dove si trovava. Aprì gli occhi e vide un uomo di fronte a lei, piegato sulle ginocchia. Aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri, tanto chiari da sembrar bianchi, e pelle candida come latte. Aveva un’aria così tranquilla, un atteggiamento sicuro in quell’inferno notturno di belve spietate, e l’aspetto nobile forse conferito dalla giacca rosso scuro.

La aiutò ad alzarsi, e lei non fece in tempo a chiedergli chi fosse, troppo terrorizzata. La bestia che la inseguiva li raggiunse e si fermò a ringhiare ferocemente a poca distanza da loro, con il muso imbrattato di sangue scuro. L’uomo che aveva incontrato si abbandonò a una sommessa risata, gustandosela.

"Che piacere rivederti". La sua voce era diventata così malvagia, che Tessa rabbrividì e fece per allontanarsi da lui, ma la delicata presa che l’uomo esercitava sul suo braccio si fece crudele. La ragazza fissò la belva che sembrava fissare lei, mentre l’uomo scuoteva debolmente la testa.

"Lei è la mia vittima" sussurrò con un che di divertito nel tono, come se la bestia avesse detto qualcosa di comprensibile con il suo ruggito. La ragazza si dimenò nel tentativo di liberarsi, e l’uomo la lasciò solo per stringerle la mano attorno al collo con un gesto fulmineo. In quell’istante la belva si gettò su di lui con le fauci spalancate, ma l’uomo colpì il suo fianco con scioccante potenza da far sbattere la sua carcassa gigantesca contro l’enorme tronco di un albero e farle perdere i sensi con un guaito.

La ragazza si coprì la bocca con le mani, trattenendo un grido fra le labbra fissando la scena esterrefatta, poi fu presa in braccio dall’uomo, avvolta in una morsa ferrea, e fu portata lontano da quel luogo.

L’alba giunse lentamente, gelida come lo stesso inverno che regnava, scoprendo il corpo nudo e bagnato del ragazzo, che era quasi un uomo, steso sulle radici di un abete inzaccherate di neve. Si alzò stordito e dolorante, guardandosi attorno, tenendosi le braccia rabbrividendo.

Conoscendo la foresta come il palmo della sua mano, si accorse di essere più vicino a casa di quanto pensasse. Corse fra i mucchietti bianchi di neve ammassata e i rovi taglienti di ciò che restava dei cespugli. Arrivato alla casa, infreddolito, vide la porta abbattuta, le pareti esterne segnate da profondi tagli paralleli. Si precipitò dentro per vedere cosa fosse successo.

La porta era divelta e ormai solo un insieme di assi fibrose, sugli stipiti erano presenti gli stessi segni inquietanti. All’interno non vi era altro che confusione, il tavolo fracassato a metà, le sedie rotte e rovesciate, le tende strappate, tappeti lacerati. I barattoli che stavano sulla credenza erano a terra, e sul pavimento, insieme ai segni lucidi delle unghiate e alle noci nei cocci del vaso in terracotta, c’erano polveri e spezie, candele spaccate a metà e gocce di sangue.

Gli occhi verdi del ragazzo si allargarono per lo stupore, il terrore. Corse nella camera ma lo spettacolo non cambiava. Quello che rimaneva del letto era un lenzuolo squarciato in diversi punti da cui uscivano paglia e piume, con la spalliera graffiata. C’erano pagine sparse di libri a brandelli, le ante dell’armadio erano sfondate, e la finestra distrutta.

"Tessa!" chiamò, andando a recuperare dei vestiti con cui coprirsi. La cercò con apprensività, chiamandola e frugando in ogni dove. Poi uscì per cercarla nel bosco, invocando il suo nome, ma senza alcun successo.

Quando fece nuovamente buio, tornò verso casa, mesto e sconfitto, senza più voce né speranza, anche se della casa non rimaneva molto di integro, e lui non si era preoccupato minimamente di rassettare. Rimase per un lungo momento a fissare la credenza, la sua immagine riflessa nel vetro spaccato, dietro cui s’intravedevano i pochi barattoli sopravvissuti. Si chiedeva che cosa fosse successo, ed era tormentato. Poi in quel riflesso, dietro le sue spalle, vide l’esile figura di Tessa vestita di bianco, il bel viso carico di angoscia.

Si voltò di scatto, ma non c’era che desolante umidità in quella stanza caotica, illuminata dalla luce lunare che entrava dalle finestre e dalla porta abbattuta. Si passò una mano sul viso spossato, poi si adoperò per sistemare almeno la soglia, rimettendola in verticale. Si avvicinò al camino per accendere il fuoco e si sdraiò in posizione fetale sulle pelli e le coperte ammonticchiate sul pavimento impolverato, poggiando la testa all’unico cuscino della panca che non era stato smembrato, e si addormentò.

"Avevi un’unica occasione di riscattare te stesso e te la sei lasciata sfuggire" gli disse un uomo dal nobile portamento e dall’aspetto barbaro, il viso tondo ornato da una fitta barba color acciaio, come i capelli corti. "Avresti potuto essere felice per una volta, e ti sei limitato a fissarla in silenzio. Non le hai mai detto la verità, ma forse è perché hai sempre cercato di negarla anche a te stesso. Eppure eccoti qui a torturarti l’animo, chiedendoti che fine abbia fatto l’unica persona che abbia mai avuto importanza nella tua vita".

"Che cosa vuoi, padre?" chiese lui con voce carica di strazio.

"Io sono la tua coscienza". Si dissolse come una nuvola di fumo, lasciando dietro di sé solo tenebre e disperazione.

"Siete stato voi!" lo accusò la voce di Tessa, che lo fissava con gli occhi color miele arrossati e pieni di lacrime, mentre si teneva la spalla destra. Non sembrava arrabbiata, quanto più delusa, ma non fece in tempo a replicare in alcun modo.

Diverse paia di mani nere lo afferrarono e lo obbligarono a sdraiarsi su un tavolo, e nulla poteva contro quegli artigli partoriti dal buio, per quanto cercasse di divincolarsi gridando il nome della ragazza che veniva inghiottita dall’ombra. Olio bollente fu riversato sul suo polso sinistro in uno schizzo di gocce ustionanti e un urlo agghiacciante eruppe dalla sua gola, tanto insopportabile era il dolore che saliva dal suo braccio fino alla spalla. Pensava che sarebbe morto, ma in quel momento una risata divertita lo fece tornare al suo stato cosciente. L’uomo dalla giacca rosso scuro, e dai capelli e dagli occhi tanto chiari da sembrar bianchi, lo teneva per la mascella, premendo le fredde dita sulle sue guance.

"Rulfeus, sei solo una pedina nelle mani del destino beffardo" gli disse con tono sommesso e arrogante. Lo lasciò e lui non era più legato a un tavolo, ma era inginocchiato a terra con le catene ai polsi e al collo.

"Che tu sia maledetto, Mael" gli sputò in faccia con sdegno.

"Esattamente come te". L’uomo sorrise con malignità, poi si scostò facendo un gesto plateale, tenendo un braccio teso. Dalle ombre avanzò Tessa, abbellita dall’abito bianco, ed era come se le ombre non volessero lasciarla andare, aggrappandosi a lei come perfidi tentacoli. Mael le circondò le spalle con un braccio e le baciò i capelli biondi, senza staccare gli occhi di ghiaccio dal ragazzo. Tessa si portò le mani al ventre e un fiotto abbondante di sangue le macchiò il vestito colando verso il basso, mentre una linea rossa si disegnava sulla sua spalla destra e dal suo collo iniziava a sgorgare copiosa linfa vitale imbrattandole completamente il petto di lucente liquido rubino.

"Aiutatemi" lo implorò piangendo.

"Tessa!" gridò lui, il corpo teso scattò verso di lei nel desiderio di salvarla, e le catene si spezzarono. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di... ma lei stava morendo dissanguata davanti a lui, troppo velocemente, troppo dolorosamente da poterlo sopportare, da poterlo permettere.

Si svegliò di soprassalto, con il fiato corto e un peso sul petto, la mente ottenebrata da nefandi pensieri, brandelli marcescenti del sogno ancora oltremodo vicino, così orribilmente vivido. Piantò gli occhi verdi sul mucchio di braci incandescenti che indugiavano nel camino, come se fosse paralizzato, poi s’issò, afferrò la pelliccia nera e si precipitò fuori.

Aveva ricominciato a nevicare. Perfette e minuscole strutture candide vorticavano nell’aria gelida, precipitando con lentezza straziante su un terreno sconsolato. La foresta nera era rischiarata dalla luce argentata della luna che la notte precedete era stata piena. A grandi passi Rulfeus si dirigeva verso il centro dell’enorme macchia boscosa, che si faceva sempre più fitta e culla di sempre più temibili creature. Là dove era stato rinchiuso e torturato.

Non fece in tempo a elaborare un piano razionale, nemmeno a ragionare sui fatti con mente lucida, non sapeva cosa stava facendo. Non ebbe nemmeno bisogno di raggiungerla quella lugubre fortezza abbarbicata sui picchi rocciosi in mezzo al burrone che si apriva fra gli alberi.

Tessa era lì, sdraiata nella neve, con la gola squarciata.

Una scia rosso cupo le sporcava la veste bianca e le braccia, scendendo dal collo fino alle cosce, formando una piccola pozza scarlatta sul palmo della mano abbandonata. La sua pelle era tanto cerea da confondersi con la neve, i piedi nudi adagiati su essa. Il viso era candido di morte, coperto da alcune ciocche di capelli inspessiti e scuriti dall’umidità. Le labbra, che erano sempre state rosee, ora erano scomparse, e gli occhi erano chiusi in un perenne sonno.

Il ragazzo si avvicinò a quella macabra visione come se stesse camminando in un incubo, con il respiro pietrificato. S’inginocchiò accanto a quell’angelico pallore imbrattato di troppo sangue, poi allungò una mano per scostarle i capelli dal volto, per accarezzarle con i polpastrelli le guance fredde. Le mise una mano dietro la nuca mentre con l’altra le alzava le spalle per avvicinarla a sé e cingerla in un abbraccio, tenendo il suo corpo morto sulle ginocchia.

Alzò gli occhi verde chiaro verso la luna quasi tonda, che osservava da dietro i rami nudi e neri degli alberi. Sentiva l’ululato del vento dentro di sé, l’eco terrificante del nulla. E rimase immobile, mentre i lupi si avvicinavano cauti, consci e rispettosi di quel dolore muto.

 

 

 

Fine.

Recensite, palese!
   
 
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