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Autore: Leia345    31/10/2010    4 recensioni
E' la prima volta che scrivo nella sezione Originali.Questa storia parte come una poesia e prosegue con un'introspezione abbastanza cruda.L'ho modificata pesantemente perchè conteneva dettagli troppo personali .Parla del difficile rapporto tra una madre e una figlia.Parla della morte e di come mi ha cambiata.Parla delle mie origini.Non è per tutti.E' lunga, triste, deprimente e autoreferenziale.Ma è aperta alla speranza...e avevo bisogno di scriverla.Siete avvertiti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A mia madre A mia madre:


Diritta e netta
Una linea retta su fondo nero
Il bianco evaporabile e morbido del gesso sul tessuto vergine.
Sembri una professoressa con una lavagna orizzontale.
Tracci segni come equazioni che mi animano gli occhi di ammirazione profonda.
Senza righello ordisci geometrie composte.
Lo scampolo appena comperato profuma di Sapone di Marsiglia.
Tu lavi sempre,
(a mano)
i tessuti,
 prima di lavorarli.
Tieni gli occhiali in punta di naso,
in bilico,
sempre sul punto di cadere,
ma in equilibrio perfetto.
La bocca è severa
Le labbra due margini per niente carnosi
Lo sguardo è concentrato.
Un’altra linea bianca,
soffice.
Ecco un rombo.
Ecco un quadrato.
Ecco un semicerchio.
Fingo di fare i compiti, in realtà ti osservo:
non vedo l’ora che arrivi il momento in cui inforcherai le forbici,
perché dai ritagli,
potrò ricavare vestitini per le bambole.
Guardo le tue mani dalle unghie larghe,
 a ventaglio,
 ispessite dall’orto e dall’acqua.
Mai viste unghie così:
le mie sono ad arco rovesciato e quelle di papà sono mangiate dai calli e dal freddo
Ma le tue sono proprio a ventaglio,
 a foglia di Ginko Biloba.
Stringi gli occhi,
 guardi il modello disegnato sulla carta velina.
Alzi la mano,
 soffi sul gesso,
lo porti in un punto preciso
lo sposti di qualche millimetro.
Perché proprio quel punto e non quello di prima?
Nessun manuale, nessuna esitazione…è tutto nella tua testa.
Le tua dita incalzano il gesso
E come se avessi una spada,
Affondi!
Un movimento accurato,
quasi raffinato.
Tutto il  tuo corpo si tende
Ti pieghi in avanti
Arrivi là, dove volevi arrivare.
Ecco!
In poco tempo la giacca è disegnata.
Ti guardo.
Esito.
Forse ora posso parlare...

-Sabato ci sarebbe la festa di compleanno di Diego-
-E a cosa ti serve andarci?-
La sfinge ha parlato
Ha posto l’eterna domanda a cui non ho mai saputo dare una risposta adeguata
L’enigma irrisolto.Ma come si può rispondere a una domanda del genere a dieci anni?
O a venti?
-Ma ci saranno tutti i miei compagni…-
-No!Discorso chiuso!Lasciami lavorare!
Tre punti esclamativi.
Così parli.Per punti esclamativi.

Ricominci
Rintracci nella mente un’ immagine definita
Soppesi le altre possibili concretizzazioni
Ti arrabbi
Bisticci con il gesso
Sbuffi
Litighi con le linee
Le aggiusti, le vinci…le spezzi…
Tratteggi una manica come si semina un campo
Finalmente sospiri soddisfatta.
Ancora qualche minuto e  sarai scultrice…forbici al posto dello scalpello.
Tra tre giorni al massimo la giacca sarà pronta.
Sarà perfetta.
Chi la indosserà sarà felice di avere un capo così bello, pagato così poco.
Gli unici momenti in cui ti ho visto felice
sono stati momenti come questo:
l’inizio,
la prima linea
e poi l’ultima.
Dopo,
tutto il resto diventava per te quasi noioso,
 semplice manodopera.
Eri
    un’artista e non lo sapevi
Avevi
    studiato troppo poco
(quasi niente)
per filosofeggiare sulla differenza tra arte e lavoro.
Però sapevi di essere brava
e molto,
 molto
 intelligente.
Non sapevi perché soffrivi così tanto
Non sapevi che soffocare se stessi porta solo desolazione.
Ma non si può sapere tutto
Non si può fare tutto


Da me hai sempre preteso il massimo
e io non ho mai dato il massimo.
Mai!
Nemmeno una volta.
Forse perché vedevo nel tuo sguardo affannato che la perfezione è solitudine e fatica e sofferenza.
Non sono mai stata la figlia che avresti voluto
Non ho mai saputo abbinare i colori
Quasi subito ho smesso di  credere nel tuo Dio.
“A cosa ti serve il cinema?”
“A cosa ti serve scrivere?”
“A cosa ti serve studiare se non sei un genio?”
Ho sempre dovuto spiegarti tutto e non sono mai riuscita a spiegarti niente
Non sono mai riuscita a spiegarti perché mi piacesse tanto andare per tratturi all’alba…
ma come potevo dirti
 che andavo a cercare
folletti
 e ispirazione?
Come potevo dirti che si può fare una vita normale
anche coltivando sogni eccezionali?

Adesso io avrei le parole per spiegarti tutto

Ci siamo odiate tanto
Non si dicono frasi del genere ad un figlio se non lo si odia
Non si urlano offese di quel tipo ad un genitore se non lo si odia

“A cosa ti serve iscriverti a Lettere?”
L’Università sbagliata, il lavoro sbagliato per pagarmi l’Università sbagliata.
“Non ce la farai mai”
Già,  
non ce l’ho fatta…ho mollato a cinque esami dalla fine
Ho preferito lavorare,
scappare,
essere indipendente.
Allontanarmi da te e da mio padre e da tutto quel verde,
che mi immalinconiva l’anima.

Ora non c’è più odio.
Ora ho capito.
Ora so prendere le distanze.
Ora di te ricordo soprattutto le tue unghie speciali.


Avremmo potuto recuperare? Sarebbe cambiato tutto?
Dovevo chiederti tante di quelle cose
Chi eri, quali erano stati i tuoi sogni, chi avevi amato
Non avevo mai saputo niente di te ,
prima.
Non avevi mai risposto alle mie domande.
O io,
non avevo mai saputo ascoltare chi sembrava non ascoltare me.
E’ tanto difficile amare ?

Siamo state madre e figlia solo negli ultimi tuoi giorni.
E sono bastati!
Hai cercato le mie mani più che in tutti gli anni passati
Ho scoperto che si può pregare in tanti modi...anche solo sperando di credere...

Hai legittimato la mia esistenza
 come nei film,
con poche parole banali, 
straordinarie,
pronunciate raccogliendo le tue ultime forze.
Le uniche parole che avevo smesso di aspettare.
A volte succede davvero.
Non lo avrei mai creduto possibile.
“Ti ho voluto sempre…tanto bene…sempre”.

Quanto ti sono grata per quelle parole.
Quanto ti sono grata!
Quanto ti è costato dirle?
Allora non mi hai odiata mai?
IO , a volte , ti ho odiata davvero
Ho avuto pensieri terribili
A quattordici anni odiavo la tua intransigenza monacale,
A venti la tua mancanza di fiducia  e le tue censure...e il potere che ancora avevi su di me.
A venticinque il tuo disprezzo per ogni mio ragazzo,
la tua invidia per la mia indipendenza.
Sono andata all'estero per non sentire tutto quell'odio
che provavo io sola...e quando sono tornata eri già malata.
Che triste...
Ti ho incolpata di tutte le mie pene
Pensando a te, davanti a te, parlando con te, ho provato spesso una rabbia sorda e calda,
e in alcuni momenti, ho pensato che sarei stata bene anche senza una madre.
E’ questa,
la differenza tra una  madre e una figlia?


Ti ho tenuto la mano fino alla fine.
Mi sono chiesta anche in quel momento che cosa ci facessi tu lì,
lì in mezzo a noi,
gente di campagna,
con il tuo viso da modella,
la tua pelle troppo delicata,
le tue unghie a ventaglio,
la tua abilità da atelier.
Sposata ad un contadino.
Con una figlia ribelle.
A vivere una vita che non era la tua.
Sola…
sempre.
Anche allora, con la stanza piena di gente.

Ho guardato il tuo viso disteso,
e tutte quelle lentiggini sbiadite.
Ti ho parlato
in dialetto
 di cosa avrei fatto negli anni a venire.
Ma tu
chissà se mi hai sentita.
Addormentata,
(addormentata?),
tra i  fumi della morfina,
sei scivolata via ...così silenziosa…così elegante e bella.

Ricordo l'abbraccio di mio padre…l’unico della nostra vita.
Ricordo il violento desiderio di offendere 
questo uomo gigantesco,
 che in autunno si apposta nei campi
per vedere la partenza delle ultime rondini,
 perché,
 dice,
 quello è l’unico tipo di malinconia che gli piace.
 Quest’uomo che è un poeta ignorante,
 di una bontà infinita,
retto,
capace,
  che però non ha saputo mettere sopra ogni cosa
 la felicità della donna che amava.


Perché si affannano così tanto?
Anche se cadi , non ti puoi più far male.
Perché ora sei dappertutto,
e lo sarai per molti mesi a venire.
Sei e sarai nell’aria,
sei e sarai in ogni stanza,
ovunque.
Riempirai ogni conversazione,
ogni pensiero,
ogni sogno,
finché arriverà il momento di lasciarti andare.

...

Ieri ho cercato in soffitta i vestitini che mi confezionavi quando ero piccola. Li ho cercati, ma non ho ancora trovato nulla. Li vorrei mettere a Clara…
Cresce a vista d’occhio.
 E’ aggraziata,
pur essendo un maschiaccio.
Ha le tue stesse sopracciglia,
 rossicce e orizzontali.
Ti sarebbe piaciuta.
A me piace tanto.
Dice “no” con  forza .
E’ cocciuta.
Mi fa tirare fuori le palle.


Io continuo a cercare.
La soffitta è un vasto vecchio granaio…
massiccio e polveroso.
Io la chiamo soffitta perché gli altri non capiscano le mie origini
Ma è proprio un granaio.
Un tempo ci mettevano le sementi
e i bachi da seta
a mangiar gelso.
Ora ci sono armadi,
 zucche
 e casse di legno scuro.
Ho un po’ paura dei topi,
 ma molto meno di un tempo.
Ho meno paura adesso.
Grazie a te e soprattutto a me stessa.

Ci sarà pure qualche traccia di te da qualche parte…

Mi manchi?
Non lo so…
Gesù …non lo so…
Forse mi manca solo quel tuo modo stonato di terminare qualsiasi tipo di canzone come se fosse una mazurka.
Forse mi mancano le rare occasioni in cui ci scambiavamo uno sguardo d’intesa.Uno su tutti: quando mostravano Tom Cruise in televisione.
Non ne ricordo altri,
ma forse mi mancano.
Forse.
Può darsi che mi manchi la tua integrità,
il tuo odio verso qualsiasi forma di pettegolezzo, di menzogna,di meschinità,
odio che ti ha allontanata da un paese bigotto come il nostro,
a causa del quale hai sbattuto il telefono in faccia ad un sacco di persone.
Che carattere cazzo!
Che carattere!
Forse mi manca sorprenderti nella mia vecchia camera, che frughi tra i miei libri,
che furtiva leggi i miei Pavese e i miei Meneghello
 dopo che te ne ho parlato con passione
e dopo che tu hai mostrato indifferenza verso le mie parole.
 Ti vedo ancora,
in piedi ,
con il piumino in mano,
che fingi di essere lì per pulire,
che dici che io non avevo “nettato” abbastanza bene.

Forse mi manca la possibilità di dirti che capisco ora,
 la verità di molte delle cose che mi dicevi,
anche se le dicevi in modo sbagliato...

Forse mi manca questo…
Quello che non avevo capito.
Che tu volevi
 a volte,
a differenza di tante maschere,
 farti conoscere ...
farti amare per quella che eri...
Forse…




Questa è la parte più nascosta della mia anima…accetto qualsiasi critica sulla forma,sull’organicità del tutto, sulle metafore, sulle parole ecc, ma non siate crudeli con il contenuto.
Dopo cinque anni,avevo bisogno di togliere dal cassetto questo dolore, di liberarmi di alcuni pensieri ricorrenti. Sarà narcisismo, sarà catarsi, chiamatela come volete, ma per me è stato un atto di coraggio.Grazie.














  
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