Ad personam:
Cara Melisanna, grazie per la recensione. Quando le nostre antieroine avevano parlato di copiatura delle memorie, all'inizio, questa tecnica sembrava promettere molto di più, ma si erano create attese troppo alte. Quanto alle Nemesis, ti direbbero che non sono loro a essere cattive, è che le hanno create così... In effetti, il loro ruolo principale nel piano di Vera è proprio che impersonino le Guardiane, facendole odiare. Cara Atlantislux, grazie per i commenti. Mi chiedi cosa se ne farà Vera di un fuoristrada a Meridian. In effetti, questa missione è una prova generale. Lei prevede che prima o poi avranno qualche disponibilità di biocombustibile, perciò si vedrà qualche occasionale veicolo anche da quelle parti. Il fuoristrada nel seguito sarà usato da Carol e Diana per spostarsi sempre a Midgale e dintorni, finchè... Qualche parola di presentazione su questo capitolo, ambientato due
mesi dopo il precedente: vediamo Galgheita e sua sorella Frordal sotto
mentite spoglie, mentre si aggirano per Meridian cercando acqua magica
al mercato nero. L'aspetto che appare nei disegni di questo capitolo non
è il loro abituale; per Galgheita, quella col vestito rosso, ho
cercato di ispirarmi un po' alla professoressa Rudolph, il suo alter ego
terrestre, ovviamente in versione meridiana; l'altra è ovviamente
Frordal.
Buona lettura
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza. Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo. Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno. Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti. Nel frattempo Carol viene a lite aperta con le Nemesis e fugge a Heatherfield, ma quando incontra Elyon, questa le consiglia di riunirsi al suo gruppo dandole spiegazioni sibilline. Al ritorno a Meridian viene severamente interrogata, finchè spiega di avere acquisito certi poteri paranormali indipendentemente da Vera e si offre per fare la spola tra la Terra e Meridian per commissioni. La prima missione a Midgale, assieme a Nemesis Dodici, si conclude con discreto successo. |
Cap.56
Gli angeli della libertà
Meridian, due mesi dopo
Le due donne si avventurano sul vicolo in salita, stretto
e tortuoso, interrotto da gradini e canali di scolo. Le case alla loro
destra si appoggiano a un’alta parete rocciosa, arrampicandosi l’una sull’altra
come funghi su un ceppo.
Un portico in discesa le conduce in un minuscolo cortile
interno, illuminato da un fazzoletto di cielo tra i tetti. Da qui, porte
e scale conducono a diverse abitazioni.
Su una delle porte al pianterreno campeggia un’insegna
dipinta su un legno, adornata da simboli misteriosi.
“Da
Oclostrik. Tutto per la magia”, legge una delle donne, esitando davanti
alla porta di legno ingrigito dal tempo. “Allora, Galgheita, dobbiamo proprio
bussare qui?”.
L'altra aggrotta gli occhi all’indirizzo della sorella,
mentre le trasmette un pensiero di rimprovero: ‘Non chiamarmi
per nome, Frordal! In che lingua te lo devo pensare?’.
L’altra si morde le labbra, ma insiste. “Allora?”.
"Ovviamente. Siamo venute per questo". Galgheita solleva
la mano verso il batacchio di bronzo con le fattezze di un qualche mostro
mitologico, ma prima che possa toccarlo la porta si apre scricchiolando
davanti a loro.
Un
anziano dalla barba grigio ferro e il viso grifagno le accoglie con un
sorriso untuoso.
“Buongiorno, gentili signore. Entrate pure!”. Con un
gesto teatrale, l’ometto si inchina indicando l’interno.
Galgheita entra per prima, guardandosi attorno. Quella
bottega scura e stretta, illuminata solo da una finestrella minuscola e
due lampade a olio, è circondata da alte scaffalature su cui fanno
mostra di sé numerose cianfrusaglie, la cui età può
essere ipotizzata osservando lo spessore dello strato di polvere che le
suggella.
Il negoziante intuisce il significato della sua occhiata.
“Io tratto anche cose molto particolari, signora. Non hanno molti estimatori,
lo ammetto, ma non si trovano in nessun altro negozio della città”.
Galgheita annuisce, faticando a distogliere gli occhi
da un teschio di australopiteco che sembra sorriderle e guardarla
con occhi scuri e profondi da uno scaffale, tra altre ossa di animali che
non riconosce. Guardandosi attorno, nota fuggevolmente fiori di cristallo
sbeccato, mascheroni di ceramica, rotoli di pergamena, specchi deformanti
dalla cornice di ogni forma, tappeti arrotolati forse magici forse
no, bambole di pezza, flaconi di essenze vegetali con etichette scritte
in meridiano antico e degli occhi di vetro beneauguranti con pupille dilatate
nella penombra.
Sullo scaffale sotto il banco c’è un settore libreria
con diversi manoscritti o stampati, ma i titoli migliori sono solo vecchie
edizioni di bestseller noti, tipo ‘La divinazione con i tarocchi’ o ‘Le
pratiche di guarigione’, e gli altri sono pura superstizione. A Meridian
i libri di magia sono sempre stati oggetto, giustamente, di attenzione
da parte della censura. Se un libro viene autorizzato, allora o la magia
trattata non è per niente nera, oppure non funziona affatto.
Non
ci si può guadagnare da vivere con un negoziuccio così, conclude.
Se quest’uomo riesce a mangiare tutti i giorni, può significare
solo che ha qualche giro d’affari nascosto.
Purtroppo, Galgheita non vede ciò che le servirebbe.
Eppure, il commercio di acqua magica è legale, purché sia
documentata l’origine di ogni flacone.
Il negoziante, nel frattempo, ha richiuso la porticina,
precipitando il locale in una suggestiva penombra, ed è ritornato
dietro il suo bancone con passo zoppicante.
Lei chiede: “Mastro Oclostrik, avete un po’ di acqua
magica da vendere?”.
L’uomo scuote il capo, muovendo l’aria col naso prominente.
“Ahi ahi, signora, e chi non la vorrebbe, un po’ di energia in più?
Da un po’ di tempo se ne trova poca, molto poca. Ormai le distribuzioni,
lo sa anche lei, sono state diradate, una ogni quaranta giorni, e qualcuno
dice che è anche un po’ annacquata”. Poi l’ometto fa un sorrisino
astuto. “Voi mi chiedete molto, signora…”.
“Torleitha. Faccio la guaritrice, per questo mi serve
quell’energia”, risponde Galgheita, con un’occhiataccia a sua sorella che
significa: ‘Tu tieni la bocca chiusa almeno stavolta’. “E lei si chiama
Tanghetha”, la previene. “Siamo arrivate in città da poco”.
“Onorato”, si inchina l’ometto con un sorriso più
furbesco che mai. “Dunque, l’acqua magica è molto, molto, molto
difficile da trovare, ma forse…”.
Galgheita annuisce, cercando di non far trasparire il
suo nervosismo per la premessa viscida del commerciante. “Capisco. E’ un
periodo magro per tutti. Glie ne saremmo così grate, se potesse
combinarcela. A quanto si può sperare…”.
L’uomo sorride mellifluo. “Forse si può trovare
per quaranta tallori alla fiala”.
Le due donne si guardano in faccia allibite. “Quaranta
tallori!”, ripetono incredule a una sola voce.
Poco dopo, le due ritornano sui loro passi nei vicoli,
verso il centro della città. Passano accanto a una fila di alette
da guardiana alte dieci piedi, infisse in piedistalli di ceramica. Le loro
iridescenze potrebbero sembrare bellissime, se la loro presenza non si
fosse imposta in modo inquietante in tutta Meridian. Alcuni le considerano
come un semplice omaggio a Kandrakar, ma le persone più sensibili,
come loro, avvertono una sensazione di freddo e debolezza quando vi passano
molto vicino. Da quando alcune di queste alette sono state installate in
piazza Due Lune, diversi commercianti hanno deciso di spostare le loro
bancarelle in altri slarghi del centro città.
“E’ il terzo che ci risponde picche”, sbotta sconsolata
Frordal. “Galghi, e se riprendessimo la nostra identità? In fondo,
non abbiamo fatto niente di male”.
Galgheita sibila tra i denti. “Ne parliamo dopo!”.
‘Stà
zitta, in pubblico. E poi sei stata tu a dirmi che eravamo in pericolo,
tre mesi fa! Perché hai cambiato idea?’.
‘Forse era solo una sensazione…’.
‘Sei un’indovina! Devi crederci, alle tue sensazioni!’.
‘Ma non ho più…’.
‘Basta. Siamo in pieno centro città, e da qualunque
porta potrebbe saltar fuori…’.
Non ha neanche finito di pensarlo che dal locale di fronte
escono tre giovani dame, eleganti e variopinte: lady Paochaion, lady
Irenior e un’altra che non riconoscono, dai sorprendenti capelli candidi
e ricci.
Parlottando allegramente, le tre grazie vengono proprio
verso di loro. Incrociarle è inevitabile.
Per un lungo momento i due gruppi incrociano gli sguardi,
rendendosi conto del reciproco stupore. Quel che è peggio, anche
i loro pensieri si incrociano.
Con il viso impietrito dalla paura, Frordal e Galgheita
cercano di controllare le gambe che sembrano rammollirsi.
Dopo un eterno momento, sono passate oltre. Non tentano
neppure di voltarsi: si sentono addosso tre sguardi che sembrano trapanare
loro la nuca.
Appena girato l’angolo, Frordal piagnucola: “Ci hanno
riconosciute! Non so come, ma ci hanno riconosciute al volo!”.
Qualche passante le sbircia con un’ombra di curiosità.
‘Zitta, zitta, zittaaaa!!!!!!!’. Poi Galgheita
risponde, con una finzione di allegria: “Allora potevi salutarle! Le avevi
viste a quella riunione del consiglio, no?”.
Meridian, casa di Galgheita e Frordal
Nella casa signorile ed estranea che le due hanno affittato,
il pomeriggio passa in un silenzio teso.
Ogni voce da fuori dalla porta, ogni scricchiolio del
solaio, ogni cigolio delle porte le fa irrigidire per la paura. Restano
silenziose in ascolto, sedute su un divano con lo schienale addossato a
un muro del soggiorno, con in mano libri su cui non riescono a concentrarsi
per più di poche righe. Lampade a olio e candele illuminano tutte
le stanze; non possono scacciare i loro fantasmi, ma possono almeno dare
l’illusione che non siano ancora arrivati.
Questa sera decidono di coricarsi presto, ma nessuna
delle due si toglie i vestiti della giornata. Non spengono le lampade,
anzi, rinnovano la loro carica di olio per farle brillare più a
lungo possibile.
Passa qualche ora prima che le due si addormentino in un sonno agitato e tormentato da sogni infausti. In uno di questi, le cinque guardiane irrompevano nella loro camera alla luce di torce a fluorescenza, gridando e tirando giù le coperte dai letti.
“SVEGLIA!”.
Galgheita apre gli occhi, destata di soprassalto. Questa
volta non è un sogno, purtroppo. Un fascio di luce vivida la abbaglia,
ma non ha dubbi su quella voce: l’ha già ascoltata, in versione
più incerta e giovanile, in diverse interrogazioni di matematica,
ma il tono non era certo lo stesso.
Sente una ventata di freddo mentre qualcuno le strappa
l’illusoria protezione delle coperte.
“Galgheita, Frordal, siete in arresto per cospirazione
contro la Luce di Meridian”.
Galgheita si alza, spostando gli occhi da quel fascio
di luce arrogante. “Ma che cospirazione! Perché non lasciate in
pace due povere donne?”.
Le guardiane si stringono minacciose attorno a
loro.
“Fate le innocenti, eh?” le provoca Hay Lin, con
lo stesso sguardo di Will.
“Allora, perché siete sotto falsa identità?”
completa Taranee, con lo stesso tono.
Inutile insistere, capisce Galgheita. Hay Lin, Taranee…
non sembrano davvero loro.
Le due guardiane sembrano aver intuito il suo pensiero
e si zittiscono, cupe.
L’unica a parlare resta quella Will. “Siete in
arresto!”. Poi, seriosa, recita: “Tutto quello che penserete potrà
essere usato contro di voi. Avete il diritto di piangere e supplicare.
Avete il diritto di invocare una divinità di vostra fiducia. Se
non l’avete, ve ne sarà assegnata una d’ufficio”.
Frordal piagnucola: “Lo sapevo! Lo sapevo che dovevamo
lasciare la città, finché potevamo!”.
Galgheita, più coraggiosa, chiede: “Siete tutte
qui, ragazze? Nessuna è rimasta a fare compagnia alla regina? Si
diceva che foste a Meridian per proteggere lei”.
Le guardiane restano un attimo interdette: nessuna
di loro si aspettava questa domanda.
“E’ questione di un solo attimo”, risponde infine Will
sfoggiando un globo dalla luminosità cremisi.
In un tremolio, la stanza da letto svanisce.
Meridian, carcere sotterraneo segreto
Quello che ne prende il posto è un corridoio scuro,
illuminato da una fosforescenza verdastra e dai fasci di due torce a fluorescenza.
Questo è un luogo di angoscia: Galgheita può
sentire le tracce dei prigionieri che, ne è certa, l’hanno preceduta
di recente.
“Dove siamo?”. Si guarda attorno. Ora con lei ci sono
solo due guardiane, Will e Irma. O quelle che assomigliano
a loro. Alla luce verdina le loro pelli sembrano scure, e il bianco degli
occhi risalta sinistro.
“Dov’è Frordal?”, chiede ansiosa.
“Non ti è dato saperlo”. “Preoccupati per
te, ne hai buone ragioni”.
Will la spinge avanti. Diverse cellette, scavate
nella roccia viva, si aprono sui lati di un corridoio contorto.
Nessuno parla. Nessun soldato presidia i passaggi. Onde
di angoscia investono chiunque possa percepirle.
Passando davanti a una delle tante porte lungo il corridoio,
la guardiana dai capelli rossi sbircia in uno spioncino.
Si tira indietro, quasi spaventata, mentre un urlo inumano
la investe dall’interno della cella, e il robusto battente di legno risuona
per un impatto disperato.
“Cosa…”, borbotta Galgheita, impressionatissima, ma la
guardiana
si limita a scrollare le spalle. “Questa non era libera”. Poi Will
sbircia nello spioncino della successiva. “Questa sì”, constata
soddisfatta, “Hanno già portato via il cadavere”.
“Meno male”, commenta Irma con la stessa voce,
“Aveva già iniziato a puzzare”.
Ad un suo tocco, la serratura scatta.
Galgheita guarda dentro, mentre la guardiana le tiene
aperta la porta.
Il loculo è quasi buio; la luminosità di
una piastrella, al centro del pavimento, crea uno spettrale effetto di
luci e ombre invertite.
“Questo sarà il tuo albergo, finché non
confesserai”.
“Ma… confessare cosa?” chiede confusa Galgheita.
“Ecco”, fa eco l’altra guardiana, “Lo sapevo che
non voleva collaborare!”.
“Ma certo che lo voglio!” grida Galgheita aggrappandosi
alle ampie maniche di quella dai capelli rossi. “Voglio essere interrogata
subito! Capisci? Non voglio essere chiusa in questa tomba!”.
L’altra stacca con disprezzo le mani aggrappate al suo
costume. “Sarai interrogata quando sarà il momento”. Perentoria,
le indica di entrare nella cella. Non è possibile disobbedire al
suo sguardo.
“E non pensare neppure di ucciderti senza il nostro permesso!”.
Poco dopo, seduta sulla ruvida branda di legno, Galgheita
guarda quell’unica, fioca luce sul pavimento, che pare fatta per trasformare
tutte le cose nelle loro sagome d’ombra.
Una fontanella, una latrina scavata in un angolo…
Questo posto sembra un incubo. Chiude gli occhi: forse
si sveglierà di nuovo nella sua camera, alla luce calda di una candela,
maledicendo i suoi sogni, o anche benedicendoli.
Improvvisamente, una voce nella mente le parla: ‘Galgheita,
anche tu con noi?’.
‘Chi siete?’ , tenta di rispondere con il pensiero.
‘Sono il consigliere Thetras. Tra i primi a essere
stato imprigionato’.
‘Consigliere Thetras? Il capo del governo! Perché
siete qui?’.
‘Forse per la stessa ragione per cui lo sei tu, Galgheita’.
‘Cosa vi hanno fatto?’.
‘All’inizio mi hanno interrogato, umiliato, drogato.
Poi, la cosa peggiore di tutte.’
‘Cosa?’.
‘Il niente. Mesi e mesi di niente’.
Galgheita rabbrividisce a quella soffocante prospettiva.
La voce silenziosa riprende: ‘Il destino è
crudele. Proprio ora che potremmo scambiare qualche pensiero, è
deciso che io lasci questa cella’.
‘Dove vi porteranno?’.
‘Nel giardino di Phobos. Diventerò un bellissimo
fiore nero. Addio, Galgheita. Le sento arrivare. Almeno così potrò
sentire il vento e il sole sulla mia corolla’.
Il tempo passa lentissimo e, poco a poco, lei si sente annebbiata. Forse è l’effetto di queste ore tutte uguali, o forse hanno inserito un sedativo nel cibo. Da quando è entrata, le hanno servito tre pasti, magri e non certo appetitosi, attraverso una fessura sotto lo spioncino. Se dovesse usare questo come orologio, potrebbero essere passate ventiquattro ore dal suo arresto, ma non può esserne certa.
Qualche rumore bisbigliato arriva dal corridoio. Due voci
maschili parlano in meridiano con una donna con un forte accento… sì,
non può sbagliare, è un accento come quello di Elyon: terrestre.
La porta della cella si apre. Tra due soldati con una
lanterna, c’è una figura femminile avvolta in un mantello che, alla
luce delle fiammelle, rimanda riflessi rosso scuro. Il cappuccio calato
sul viso le proietta un’ombra che ne nasconde le fattezze, a parte l’estremità
del mento, rosata come quella dei terrestri. Ma, in quelle circostanze,
l’aspetto fisico può significare molto poco.
“Galgheita” sussurra la donna, “Vieni con noi”.
Alzandosi speranzosa sulle gambe malferme, l'anziana
chiede: “Chi sei?”.
“Non ha importanza”, risponde la donna misteriosa. Una
ciocca di capelli biondi sfugge dal cappuccio, e lei la risospinge indietro.
“Non è il momento delle domande. Seguimi, per il tuo bene”.
Camminando lungo le gallerie, la donna fa aprire, con
un tocco, pesanti portoni che conducono a interminabili scalinate in discesa
e a sempre nuovi sbarramenti.
Arrivano a una guardiola scavata nella roccia, nella
quale si aprono feritoie chiuse da vetri specchianti e da robuste sbarre.
L’ultimo portone è doppio: mentre il primo si
apre, lascia intravedere una passerella che viene sollevata dal basso a
chiudere una fossa lunga un paio di metri che lo separa da quello consecutivo.
“Non guardare i sistemi di sicurezza!”, ordina la donna.
Galgheita chiude gli occhi, facendosi guidare per mano
come una cieca. Nell’ultimo tratto di corridoio ha visto specchi sfaccettati
e bassorilievi di fiori e di visi, che certo non servono per allietare
i passanti.
La mano della donna che la guida è morbida e liscia
al tatto. E’ una persona giovane e autorevole. Se non fosse piuttosto intontita,
la prigioniera avrebbe già capito chi è.
“Voi restate qui”, ordina il personaggio misterioso ai
due soldati.
Poi la guida per mano per qualche centinaio di passi,
infine concede: “Ora puoi aprire gli occhi”.
Galgheita si guarda attorno. Sempre illuminato dalla
opprimente fosforescenza verde, il corridoio sta continuando in discesa.
Sulla destra si diparte un ulteriore passaggio simile a un androne, da
cui si aprono, sui lati, porte come di case e altri corridoi più
piccoli, segnati da targhe di pietra dai caratteri scolpiti.
La donna misteriosa anticipa le domande: “Abbiamo appena
lasciato i sotterranei del palazzo, e ci stiamo addentrando nella Città
Infinita. Forse tu la conosci meglio di me”.
Si accosta a una delle porte laterali e bussa. E’ del
tutto simile all’ingresso di un’abitazione di superficie.
Quando si apre, questa mostra un interno finalmente illuminato
da una vera luce, una luce di fiamma, calda come quella di una qualunque
casa.
Nel riquadro appare una ragazza, illuminata di spalle.
“Vera, sei tu?” chiede questa.
“Niente nomi!”, la zittisce l’altra, entrando nel locale.
“E non dovevi mascherarti anche tu?”.
Galgheita resta a bocca aperta, riconoscendola. Lady
Irenior! E l’altra… non può essere che la principessa Vera Escanor!
Cosa vuol dire? L’hanno forse portata lì per interrogarla con magie
che non avrebbero osato ammettere neanche davanti ai loro stessi soldati?
Irenior mette avanti le mani. “Signora Galgheita, lei
è tra amici, ora”.
“E’ così”, conferma Vera.
“Ci tenevo a dirglielo: non siamo state noi a denunciarvi,
l’altro giorno. Vi hanno individuate perché siete andate nella bottega
di un commerciante sorvegliato dai servizi segreti”.
Galgheita la guarda, incredula e annebbiata. “E voi come…”.
“Non posso spiegarlo” risponde Irenior, facendo il gesto
di chiudersi la bocca con una lampo.
Che gaffe terrificante, pensa Vera: a Meridian non esistono
le lampo. “Dovevi cucirtela prima”, sbotta abbassandosi il cappuccio del
mantello, rivelando il viso rosato e i capelli biondi. “Ormai…”.
Galgheita sgrana gli occhi. “Ma cosa significa tutto
questo?”.
Lei fa un cenno di invito verso un tavolo su cui è
appoggiata una lanterna accesa. La stanza sembra simile al soggiorno di
una casa di superficie, se non fosse per la mancanza di finestre.
Una volta sedute, la principessa inizia: “Signora Galgheita,
in primo luogo voglio dirle che mi dispiace moltissimo che lei, e altre
persone, siate state arrestate e trattate in questo modo. Purtroppo, dopo
un tentativo di uccidere la Luce di Meridian, a palazzo si è creata
una situazione spiacevolissima. Io ho esaminato senza pregiudizi la vostra
situazione. Avete fatto una grossa sciocchezza a nascondere la vostra identità,
ma, a parte questo, non vedo nulla che giustifichi una detenzione”. Le
porge un vassoio di dolcetti. “Vuole servirsi?” Al rifiuto cortese di Galgheita,
riprende: “Purtroppo, chi comanda ha dato ordini pesantissimi. Io sto cercando
di limitare i danni agli innocenti”.
“Corriamo dei grossi rischi a fare questo”, aggiunge
Irenior con una teatrale aria da cospiratrice, poi allunga la mano verso
i dolcetti.
“E’ così”, conferma Vera annuendo. “Stiamo cercando
di liberare alcuni dei prigionieri rinchiusi ingiustamente”.
“Allora io sono libera?” chiede speranzosa Galgheita.
“Ufficialmente no. Tutti crederanno che stia marcendo
in quella cella, e forse si dimenticheranno di lei. Se qualcuno del palazzo
la cercherà, cercheremo di dar a intendere che è morta e
sepolta. Di fatto, lei cambierà ancora aspetto e nome, e sarà
teletrasportata in un paesino lontano da Meridian”.
Irenior, a bocca piena, aggiunge: “Glì dovrà
manscenere igl più asscioluto scegreto sciulla sciua identità
orijinale”.
Vera incalza: “Per il suo bene, non dovrà tentare
in nessun modo di contattare gente di Meridian, neanche altri nella sua
stessa condizione. Neppure con il pensiero, o rispondendo a loro tentativi
di contatto. Insomma, non dovrà farsi riconoscere da chicchessia”.
“Né da lui, né da altri” sottolinea con
enfasi Irenior, che ha finalmente deglutito il boccone.
Dopo un’occhiata di disappunto alla compagna, Vera continua:
“Questo perché lei potrebbe tradirsi. Non solo, potrebbe tradire,
senza volerlo, anche la persona che ha contattato. Infine, potrebbe rovinare
anche noi. Non so cosa ci succederebbe se scoprissero che abbiamo liberato
dei prigionieri, ma una cosa è certa: non potremmo continuare a
farlo”.
Galgheita chiede: “E …Frordal? Mia sorella?”.
Vera risponde: “E’ già stata liberata un’ora fa,
alle stesse condizioni. Però, non tenti di rintracciare neppure
lei”.
La donna annuisce amaramente. “Sarà per sempre
così?”.
Vera si stringe nelle spalle. “Forse no. Forse in futuro
riusciremo a far ragionare Elyon e le guardiane”.
“Ma… sono le guardiane vere? Non sono mistificatrici?”.
Agli sguardi interrogativi, Galgheita spiega: “Quando le ho conosciute,
non erano così!”.
“La gente può cambiare” risponde Irenior, riuscendo
a sembrare disinvolta.
“Voglio dire: l’altra notte, quando ci hanno arrestate,
sembravano tutte uguali. Stessi sguardi, stesse parole, stesse inflessioni.
Io una volta le conoscevo bene, e non erano affatto così”.
Vera annuisce, grave. “Grazie per avercelo detto. Dovrò
rifletterci”.
“E poi” insiste Galgheita, “Caleb mi aveva detto che
la regina era stata sostituita da una controfigura”.
“Ma noooo!” fa Irenior, portandosi le mani alla bocca
per il gran stupore.
Eppure, riflette faticosamente Galgheita, questa
Irenior mi ricorda tanto qualcuno che ho conosciuto.
“E con ciò?”, scandisce Vera, che ha intuito i
sospetti dell’altra. Questa semplice formuletta magica le ha già
tolte d’imbarazzo più volte, ma deve ammettere che l’idea di coinvolgere
Irenior è stata decisamente infelice.
“Con ciò…” ripete incerta Galgheita, perdendo
il filo del suo pensiero.
Vera riprende il discorso precedente: “Io sono stata
creata da Elyon. Nessuna controfigura può avere il potere di fare
ciò”. Si protende in avanti. “E poi, da cosa deriva la sua fiducia
in Caleb? Non sa che è stato visto parlare con il vicecomandante
della Guardia di Palazzo un quarto d’ora prima che questo tentasse di assassinarla?”.
“Ci rifletta sopra”, prosegue Irenior, “Lui non ha potuto
sposare la regina perché è stato creato come un mormorante.
Non può essere che voglia vendicarsi del rifiuto? Non può
essere che, durante i suoi viaggi presso le corti dei vari conti, lui abbia
preso accordi sleali con qualcuno di loro?”.
Vera insiste: “Ci rifletta: come cambia il potere di
un qualsiasi conte, se la sua regina muore senza neppure lasciare eredi?
Diminuisce o aumenta?”.
Galgheita scuote piano il capo, sopraffatta da quell’incalzare
di ipotesi conturbanti.
“Mi creda, Galgheita” riprende Vera, “Non ci si può
fidare di nessuno. Lei sparisca, se vuole salvarsi dal carcere. Non avrà
un’altra occasione”. Poi, con un tentativo di sorriso incoraggiante: “Se
la situazione lo permetterà, sarò io stessa a richiamarla
a Meridian”.
Galgheita annuisce con rimpianto. “Non ho scelta” conviene.
“Qui ci sono le valigie”. Irenior indica due grosse borse
sul pavimento, che Galgheita riconosce come sue. “Sono passata a casa vostra
di nascosto per prendere un po’ di roba”.
Vera sventola in mano una grossa busta sigillata. “Qui
dentro c’è una mappa del paese dove la manderemo. Sul retro, in
caratteri visibili solo a lei, c’è scritta la sua nuova copertura
e altre istruzioni, e del denaro. Inoltre, c’è la lettera di presentazione
a una persona che le darà lavoro e alloggio”. Passa l’indice sul
sigillo di ceralacca rossa. “Ricordi, neanche lui è al corrente
della sua vera identità. Perciò non si tradisca, e non tradisca
noi”.
Per un attimo, solo il ticchettio di un orologio meccanico
rompe il silenzio. Galgheita prende la busta. Un luccichio le brilla sotto
le iridi.
Si alza in piedi. “Sono pronta”, mente. Non è
la prima volta che va in esilio, ma per questo non si è mai pronti.
Un altro luogo, poco dopo
Alle prime luci dell’alba, il villaggio appare ancora
addormentato. Una ventina di case con stalle, una locanda, un tempietto…
Le morbide colline circostanti sono avvolte in una foschia che diffonde
i rosa e i violetti che colorano il cielo a levante. Sembra quasi uscito
da una cartolina artistica.
Che strano inizio per un esilio, riflette Galgheita,
tenendo in mano la busta dalla quale dipende il suo futuro.
Guarda il sigillo rosso: sembra quasi un fiore sulla
bara della sua vera identità.