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Autore: MaxT    31/10/2010    4 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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56-gli angeli della libertà  
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie per la recensione. Quando le nostre antieroine avevano parlato di copiatura delle memorie, all'inizio, questa tecnica sembrava promettere molto di più, ma si erano create attese troppo alte. Quanto alle Nemesis,  ti direbbero che non sono loro a essere cattive, è che le hanno create così... In effetti, il loro ruolo principale nel piano di Vera è proprio che impersonino le Guardiane, facendole odiare.
Cara Atlantislux, grazie per i commenti. Mi chiedi cosa se ne farà Vera di un fuoristrada a Meridian. In effetti, questa missione è una prova generale. Lei prevede che prima o poi avranno qualche disponibilità di biocombustibile, perciò si vedrà qualche occasionale veicolo anche da quelle parti. Il fuoristrada nel seguito sarà usato da Carol e Diana per spostarsi sempre a Midgale e dintorni, finchè... 

Qualche parola di presentazione su questo capitolo, ambientato due mesi dopo il precedente: vediamo Galgheita e sua sorella Frordal sotto mentite spoglie, mentre si aggirano per Meridian cercando acqua magica al mercato nero. L'aspetto che appare nei disegni di questo capitolo non è il loro abituale; per Galgheita, quella col vestito rosso, ho cercato di ispirarmi un po' alla professoressa Rudolph, il suo alter ego terrestre, ovviamente in versione meridiana; l'altra è ovviamente Frordal.
Di tutto il disegno, quello che mi ha dato più soddisfazione è stato come è riuscito il viscido mastro Oclostrik.
Le Nemesis tornano a essere le cattivissime Guardiane, ma chi saranno gli angeli della libertà nel teatrino di questa puntata?

Buona lettura
MaxT

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. 
A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura;  pur avendo assunto il potere, si 
rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. 
A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia,  la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza.
Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo.
Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno.
Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. 
Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti.
Nel frattempo Carol viene a lite aperta con le Nemesis e fugge a Heatherfield, ma quando incontra Elyon, questa le consiglia di riunirsi al suo gruppo dandole spiegazioni sibilline. Al ritorno a Meridian viene severamente interrogata, finchè spiega di avere acquisito certi poteri paranormali indipendentemente da Vera e si offre per fare la spola tra la Terra e Meridian per commissioni. La prima missione a Midgale, assieme a Nemesis Dodici, si conclude con discreto successo.

Cap.56

Gli angeli della libertà





Meridian, due mesi dopo

Le due donne si avventurano sul vicolo in salita, stretto e tortuoso, interrotto da gradini e canali di scolo. Le case alla loro destra si appoggiano a un’alta parete rocciosa, arrampicandosi l’una sull’altra come funghi su un ceppo.
Un portico in discesa le conduce in un minuscolo cortile interno, illuminato da un fazzoletto di cielo tra i tetti. Da qui, porte e scale conducono a diverse abitazioni.
Su una delle porte al pianterreno campeggia un’insegna dipinta su un legno, adornata da simboli misteriosi.
“Da Oclostrik. Tutto per la magia”, legge una delle donne, esitando davanti alla porta di legno ingrigito dal tempo. “Allora, Galgheita, dobbiamo proprio bussare qui?”.
L'altra aggrotta gli occhi all’indirizzo della sorella, mentre le trasmette  un pensiero di rimprovero: ‘Non chiamarmi per nome, Frordal! In che lingua te lo devo pensare?’.
L’altra si morde le labbra, ma insiste. “Allora?”.
"Ovviamente. Siamo venute per questo". Galgheita solleva la mano verso il batacchio di bronzo con le fattezze di un qualche mostro mitologico, ma prima che possa toccarlo la porta si apre scricchiolando davanti a loro.
Un anziano dalla barba grigio ferro e il viso grifagno le accoglie con un sorriso untuoso.
“Buongiorno, gentili signore. Entrate pure!”. Con un gesto teatrale, l’ometto si inchina indicando l’interno.

Galgheita entra per prima, guardandosi attorno. Quella bottega scura e stretta, illuminata solo da una finestrella minuscola e due lampade a olio, è circondata da alte scaffalature su cui fanno mostra di sé numerose cianfrusaglie, la cui età può essere ipotizzata osservando lo spessore dello strato di polvere che le suggella.
Il negoziante intuisce il significato della sua occhiata. “Io tratto anche cose molto particolari, signora. Non hanno molti estimatori, lo ammetto, ma non si trovano in nessun altro negozio della città”.
Galgheita annuisce, faticando a distogliere gli occhi da un teschio di australopiteco che sembra  sorriderle e guardarla con occhi scuri e profondi da uno scaffale, tra altre ossa di animali che non riconosce. Guardandosi attorno, nota fuggevolmente  fiori di cristallo sbeccato, mascheroni di ceramica, rotoli di pergamena,  specchi deformanti dalla  cornice di ogni forma, tappeti arrotolati forse magici forse no, bambole di pezza, flaconi di essenze vegetali con etichette scritte in meridiano antico e degli occhi di vetro beneauguranti con pupille dilatate nella penombra.
Sullo scaffale sotto il banco c’è un settore libreria con diversi manoscritti o stampati, ma i titoli migliori sono solo vecchie edizioni di bestseller noti, tipo ‘La divinazione con i tarocchi’ o ‘Le pratiche di guarigione’, e gli altri sono pura superstizione. A Meridian i libri di magia sono sempre stati oggetto, giustamente, di attenzione da parte della censura. Se un libro viene autorizzato, allora o la magia trattata non è per niente nera, oppure non funziona affatto.
Non ci si può guadagnare da vivere con un negoziuccio così, conclude. Se quest’uomo riesce a mangiare tutti i giorni, può significare solo che ha qualche giro d’affari nascosto.
Purtroppo, Galgheita non vede ciò che le servirebbe. Eppure, il commercio di acqua magica è legale, purché sia documentata l’origine di ogni flacone.
Il negoziante, nel frattempo, ha richiuso la porticina, precipitando il locale in una suggestiva penombra, ed è ritornato dietro il suo bancone con passo zoppicante.
Lei chiede: “Mastro Oclostrik, avete un po’ di acqua magica da vendere?”.
L’uomo scuote il capo, muovendo l’aria col naso prominente. “Ahi ahi, signora, e chi non la vorrebbe, un po’ di energia in più? Da un po’ di tempo se ne trova poca, molto poca. Ormai le distribuzioni, lo sa anche lei, sono state diradate, una ogni quaranta giorni, e qualcuno dice che è anche un po’ annacquata”. Poi l’ometto fa un sorrisino astuto. “Voi mi chiedete molto, signora…”.
“Torleitha. Faccio la guaritrice, per questo mi serve quell’energia”, risponde Galgheita, con un’occhiataccia a sua sorella che significa: ‘Tu tieni la bocca chiusa almeno stavolta’. “E lei si chiama Tanghetha”, la previene. “Siamo arrivate in città da poco”.
“Onorato”, si inchina l’ometto con un sorriso più furbesco che mai. “Dunque, l’acqua magica è molto, molto, molto difficile da trovare, ma forse…”.
Galgheita annuisce, cercando di non far trasparire il suo nervosismo per la premessa viscida del commerciante. “Capisco. E’ un periodo magro per tutti. Glie ne saremmo così grate, se potesse combinarcela. A quanto si può sperare…”.
L’uomo sorride mellifluo. “Forse si può trovare per quaranta tallori alla fiala”.
Le due donne si guardano in faccia allibite. “Quaranta tallori!”, ripetono incredule a una sola voce.

Poco dopo, le due ritornano sui loro passi nei vicoli, verso il centro della città. Passano accanto a una fila di alette da guardiana alte dieci piedi, infisse in piedistalli di ceramica. Le loro iridescenze potrebbero sembrare bellissime, se la loro presenza non si fosse imposta in modo inquietante in tutta Meridian. Alcuni le considerano come un semplice omaggio a Kandrakar, ma le persone più sensibili, come loro, avvertono una sensazione di freddo e debolezza quando vi passano molto vicino. Da quando alcune di queste alette sono state installate in piazza Due Lune, diversi commercianti hanno deciso di spostare le loro bancarelle in altri slarghi del centro città.
“E’ il terzo che ci risponde picche”, sbotta sconsolata Frordal. “Galghi, e se riprendessimo la nostra identità? In fondo, non abbiamo fatto niente di male”.
Galgheita sibila tra i denti. “Ne parliamo dopo!”. ‘Stà zitta, in pubblico. E poi sei stata tu a dirmi che eravamo in pericolo, tre mesi fa! Perché hai cambiato idea?’.
‘Forse era solo una sensazione…’.
‘Sei un’indovina! Devi crederci, alle tue sensazioni!’.
‘Ma non ho più…’.
‘Basta. Siamo in pieno centro città, e da qualunque porta potrebbe saltar fuori…’.

Non ha neanche finito di pensarlo che dal locale di fronte escono tre giovani dame, eleganti e variopinte: lady Paochaion,  lady Irenior e un’altra che non riconoscono, dai sorprendenti capelli candidi e ricci.
Parlottando allegramente, le tre grazie vengono proprio verso di loro. Incrociarle è inevitabile.
Per un lungo momento i due gruppi incrociano gli sguardi, rendendosi conto del reciproco stupore. Quel che è peggio, anche i loro pensieri si incrociano.
Con il viso impietrito dalla paura, Frordal e Galgheita cercano di controllare le gambe che sembrano rammollirsi.
Dopo un eterno momento, sono passate oltre. Non tentano neppure di voltarsi: si sentono addosso tre sguardi che sembrano trapanare loro la nuca.

Appena girato l’angolo, Frordal piagnucola: “Ci hanno riconosciute! Non so come, ma ci hanno riconosciute al volo!”.
Qualche passante le sbircia con un’ombra di curiosità.
‘Zitta, zitta, zittaaaa!!!!!!!’. Poi Galgheita risponde, con una finzione di allegria: “Allora potevi salutarle! Le avevi viste a quella riunione del consiglio, no?”.
 

Meridian, casa di Galgheita e Frordal

Nella casa signorile ed estranea che le due hanno affittato, il pomeriggio passa in un silenzio teso.
Ogni voce da fuori dalla porta, ogni scricchiolio del solaio, ogni cigolio delle porte le fa irrigidire per la paura. Restano silenziose in ascolto, sedute su un divano con lo schienale addossato a un muro del soggiorno, con in mano libri su cui non riescono a concentrarsi per più di poche righe. Lampade a olio e candele illuminano tutte le stanze; non possono scacciare i loro fantasmi, ma possono almeno dare l’illusione che non siano ancora arrivati.
Questa sera decidono di coricarsi presto, ma nessuna delle due si toglie i vestiti della giornata. Non spengono le lampade, anzi, rinnovano la loro carica di olio per farle brillare più a lungo possibile.

Passa qualche ora prima che le due si addormentino in un sonno agitato e tormentato da sogni infausti. In uno di questi, le cinque guardiane irrompevano nella loro camera alla luce di torce a fluorescenza, gridando e tirando giù le coperte dai letti.

“SVEGLIA!”.
Galgheita apre gli occhi, destata di soprassalto. Questa volta non è un sogno, purtroppo. Un fascio di luce vivida la abbaglia, ma non ha dubbi su quella voce: l’ha già ascoltata, in versione più incerta e giovanile, in diverse interrogazioni di matematica, ma il tono non era certo lo stesso.
Sente una ventata di freddo mentre qualcuno le strappa l’illusoria protezione delle coperte.
“Galgheita, Frordal, siete in arresto per cospirazione contro la Luce di Meridian”.
Galgheita si alza, spostando gli occhi da quel fascio di luce arrogante. “Ma che cospirazione! Perché non lasciate in pace due povere donne?”.
Le guardiane si stringono minacciose attorno a loro.
“Fate le innocenti, eh?” le provoca Hay Lin, con lo stesso sguardo di Will.
“Allora, perché siete sotto falsa identità?” completa Taranee, con lo stesso tono.
Inutile insistere, capisce Galgheita. Hay Lin, Taranee… non sembrano davvero loro.
Le due guardiane sembrano aver intuito il suo pensiero e si zittiscono, cupe.
L’unica a parlare resta quella Will. “Siete in arresto!”. Poi, seriosa, recita: “Tutto quello che penserete potrà essere usato contro di voi. Avete il diritto di piangere e supplicare. Avete il diritto di invocare una divinità di vostra fiducia. Se non l’avete, ve ne sarà assegnata una d’ufficio”.
Frordal piagnucola: “Lo sapevo! Lo sapevo che dovevamo lasciare la città, finché potevamo!”.
Galgheita, più coraggiosa, chiede: “Siete tutte qui, ragazze? Nessuna è rimasta a fare compagnia alla regina? Si diceva che foste a Meridian per proteggere lei”.
Le guardiane restano un attimo interdette: nessuna di loro si aspettava questa domanda.
“E’ questione di un solo attimo”, risponde infine Will sfoggiando un globo dalla luminosità cremisi.
In un tremolio, la stanza da letto svanisce.
 

Meridian, carcere sotterraneo segreto

Quello che ne prende il posto è un corridoio scuro, illuminato da una fosforescenza verdastra e dai fasci di due torce a fluorescenza.
Questo è un luogo di angoscia: Galgheita può sentire le tracce dei prigionieri che, ne è certa, l’hanno preceduta di recente.
“Dove siamo?”. Si guarda attorno. Ora con lei ci sono solo due guardiane, Will e Irma. O quelle che assomigliano a loro. Alla luce verdina le loro pelli sembrano scure, e il bianco degli occhi risalta sinistro.
“Dov’è Frordal?”, chiede ansiosa.
“Non ti è dato saperlo”.  “Preoccupati per te, ne hai buone ragioni”.
Will la spinge avanti. Diverse cellette, scavate nella roccia viva, si aprono sui lati di un corridoio contorto.
Nessuno parla. Nessun soldato presidia i passaggi. Onde di angoscia investono chiunque possa percepirle.
Passando davanti a una delle tante porte lungo il corridoio, la guardiana dai capelli rossi sbircia in uno spioncino.
Si tira indietro, quasi spaventata, mentre un urlo inumano la investe dall’interno della cella, e il robusto battente di legno risuona per un impatto disperato.
“Cosa…”, borbotta Galgheita, impressionatissima, ma la guardiana si limita a scrollare le spalle. “Questa non era libera”. Poi Will sbircia nello spioncino della successiva. “Questa sì”, constata soddisfatta, “Hanno già portato via il cadavere”.
“Meno male”, commenta Irma con la stessa voce, “Aveva già iniziato a puzzare”.
Ad un suo tocco, la serratura scatta.
Galgheita guarda dentro, mentre la guardiana le tiene aperta la porta.
Il loculo è quasi buio; la luminosità di una piastrella, al centro del pavimento, crea uno spettrale effetto di luci e ombre invertite.
“Questo sarà il tuo albergo, finché non confesserai”.
“Ma… confessare cosa?” chiede confusa Galgheita.
“Ecco”, fa eco l’altra guardiana, “Lo sapevo che non voleva collaborare!”.
“Ma certo che lo voglio!” grida Galgheita aggrappandosi alle ampie maniche di quella dai capelli rossi. “Voglio essere interrogata subito! Capisci? Non voglio essere chiusa in questa tomba!”.
L’altra stacca con disprezzo le mani aggrappate al suo costume. “Sarai interrogata quando sarà il momento”. Perentoria, le indica di entrare nella cella. Non è possibile disobbedire al suo sguardo.
“E non pensare neppure di ucciderti senza il nostro permesso!”.

Poco dopo, seduta sulla ruvida branda di legno, Galgheita guarda quell’unica, fioca luce sul pavimento, che pare fatta per trasformare tutte le cose nelle loro sagome d’ombra.
Una fontanella, una latrina scavata in un angolo…
Questo posto sembra un incubo. Chiude gli occhi: forse si sveglierà di nuovo nella sua camera, alla luce calda di una candela, maledicendo i suoi sogni, o anche benedicendoli.
Improvvisamente, una voce nella mente le parla: ‘Galgheita, anche tu con noi?’.
‘Chi siete?’ , tenta di rispondere con il pensiero.
‘Sono il consigliere Thetras. Tra i primi a essere stato imprigionato’.
‘Consigliere Thetras? Il capo del governo! Perché siete qui?’.
‘Forse per la stessa ragione per cui lo sei tu, Galgheita’.
‘Cosa vi hanno fatto?’.
‘All’inizio mi hanno interrogato, umiliato, drogato. Poi, la cosa peggiore di tutte.’
‘Cosa?’.
‘Il niente. Mesi e mesi di niente’.
Galgheita rabbrividisce a quella soffocante prospettiva.
La voce silenziosa riprende: ‘Il destino è crudele. Proprio ora che potremmo scambiare qualche pensiero, è deciso che io lasci questa cella’.
‘Dove vi porteranno?’.
‘Nel giardino di Phobos. Diventerò un bellissimo fiore nero. Addio, Galgheita. Le sento arrivare. Almeno così potrò sentire il vento e il sole sulla mia corolla’.
 

Il tempo passa lentissimo e, poco a poco, lei si sente annebbiata. Forse è l’effetto di queste ore tutte uguali, o forse hanno inserito un sedativo nel cibo. Da quando è entrata, le hanno servito tre pasti, magri e non certo appetitosi, attraverso una fessura sotto lo spioncino. Se dovesse usare questo come orologio, potrebbero essere passate ventiquattro ore dal suo arresto, ma non può esserne certa.

Qualche rumore bisbigliato arriva dal corridoio. Due voci maschili parlano in meridiano con una donna con un forte accento… sì, non può sbagliare, è un accento come quello di Elyon: terrestre.
La porta della cella si apre. Tra due soldati con una lanterna, c’è una figura femminile avvolta in un mantello che, alla luce delle fiammelle, rimanda riflessi rosso scuro. Il cappuccio calato sul viso le proietta un’ombra che ne nasconde le fattezze, a parte l’estremità del mento, rosata come quella dei terrestri. Ma, in quelle circostanze, l’aspetto fisico può significare molto poco.
“Galgheita” sussurra la donna, “Vieni con noi”.
Alzandosi speranzosa sulle gambe malferme, l'anziana chiede: “Chi sei?”.
“Non ha importanza”, risponde la donna misteriosa. Una ciocca di capelli biondi sfugge dal cappuccio, e lei la risospinge indietro. “Non è il momento delle domande. Seguimi, per il tuo bene”.

Camminando lungo le gallerie, la donna fa aprire, con un tocco, pesanti portoni che conducono a interminabili scalinate in discesa e a sempre nuovi sbarramenti.
Arrivano a una guardiola scavata nella roccia, nella quale si aprono feritoie chiuse da vetri specchianti e da robuste sbarre.
L’ultimo portone è doppio: mentre il primo si apre, lascia intravedere una passerella che viene sollevata dal basso a chiudere una fossa lunga un paio di metri che lo separa da quello consecutivo.
“Non guardare i sistemi di sicurezza!”, ordina la donna.
Galgheita chiude gli occhi, facendosi guidare per mano come una cieca. Nell’ultimo tratto di corridoio ha visto specchi sfaccettati e bassorilievi di fiori e di visi, che certo non servono per allietare i passanti.
La mano della donna che la guida è morbida e liscia al tatto. E’ una persona giovane e autorevole. Se non fosse piuttosto intontita, la prigioniera avrebbe già capito chi è.
“Voi restate qui”, ordina il personaggio misterioso ai due soldati.
Poi la guida per mano per qualche centinaio di passi, infine concede: “Ora puoi aprire gli occhi”.
Galgheita si guarda attorno. Sempre illuminato dalla opprimente fosforescenza verde, il corridoio  sta continuando in discesa. Sulla destra si diparte un ulteriore passaggio simile a un androne, da cui si aprono, sui lati, porte come di case e altri corridoi più piccoli, segnati da targhe di pietra dai caratteri scolpiti.
La donna misteriosa anticipa le domande: “Abbiamo appena lasciato i sotterranei del palazzo, e ci stiamo addentrando nella Città Infinita. Forse tu la conosci meglio di me”.
Si accosta a una delle porte laterali e bussa. E’ del tutto simile all’ingresso di un’abitazione di superficie.
Quando si apre, questa mostra un interno finalmente illuminato da una vera luce, una luce di fiamma, calda come quella di una qualunque casa.
Nel riquadro appare una ragazza, illuminata di spalle. “Vera, sei tu?” chiede questa.
“Niente nomi!”, la zittisce l’altra, entrando nel locale. “E non dovevi mascherarti anche tu?”.
Galgheita resta a bocca aperta, riconoscendola. Lady Irenior! E l’altra… non può essere che la principessa Vera Escanor! Cosa vuol dire? L’hanno forse portata lì per interrogarla con magie che non avrebbero osato ammettere neanche davanti ai loro stessi soldati?
Irenior mette avanti le mani. “Signora Galgheita, lei è tra amici, ora”.
“E’ così”, conferma Vera.
“Ci tenevo a dirglielo: non siamo state noi a denunciarvi, l’altro giorno. Vi hanno individuate perché siete andate nella bottega di un commerciante sorvegliato dai servizi segreti”.
Galgheita la guarda, incredula e annebbiata. “E voi come…”.
“Non posso spiegarlo” risponde Irenior, facendo il gesto di chiudersi la bocca con una lampo.
Che gaffe terrificante, pensa Vera: a Meridian non esistono le lampo. “Dovevi cucirtela prima”, sbotta abbassandosi il cappuccio del mantello, rivelando il viso rosato e i capelli biondi. “Ormai…”.
Galgheita sgrana gli occhi. “Ma cosa significa tutto questo?”.
Lei fa un cenno di invito verso un tavolo su cui è appoggiata una lanterna accesa. La stanza sembra simile al soggiorno di una casa di superficie, se non fosse per la mancanza di finestre.
Una volta sedute, la principessa inizia: “Signora Galgheita, in primo luogo voglio dirle che mi dispiace moltissimo che lei, e altre persone, siate state arrestate e trattate in questo modo. Purtroppo, dopo un tentativo di uccidere la Luce di Meridian, a palazzo si è creata una situazione spiacevolissima. Io ho esaminato senza pregiudizi la vostra situazione. Avete fatto una grossa sciocchezza a nascondere la vostra identità, ma, a parte questo, non vedo nulla che giustifichi una detenzione”. Le porge un vassoio di dolcetti. “Vuole servirsi?” Al rifiuto cortese di Galgheita, riprende: “Purtroppo, chi comanda ha dato ordini pesantissimi. Io sto cercando di limitare i danni agli innocenti”.
“Corriamo dei grossi rischi a fare questo”, aggiunge Irenior con una teatrale aria da cospiratrice, poi allunga la mano verso i dolcetti.
“E’ così”, conferma Vera annuendo. “Stiamo cercando di liberare alcuni dei prigionieri rinchiusi ingiustamente”.
“Allora io sono libera?” chiede speranzosa Galgheita.
“Ufficialmente no. Tutti crederanno che stia marcendo in quella cella, e forse si dimenticheranno di lei. Se qualcuno del palazzo la cercherà, cercheremo di dar a intendere che è morta e sepolta. Di fatto, lei cambierà ancora aspetto e nome, e sarà teletrasportata in un paesino lontano da Meridian”.
Irenior, a bocca piena, aggiunge: “Glì dovrà manscenere igl più asscioluto scegreto sciulla sciua identità orijinale”.
Vera incalza: “Per il suo bene, non dovrà tentare in nessun modo di contattare gente di Meridian, neanche altri nella sua stessa condizione. Neppure con il pensiero, o rispondendo a loro tentativi di contatto. Insomma, non dovrà farsi riconoscere da chicchessia”.
“Né da lui, né da altri” sottolinea con enfasi Irenior, che ha finalmente deglutito il boccone.
Dopo un’occhiata di disappunto alla compagna, Vera continua: “Questo perché lei potrebbe tradirsi. Non solo, potrebbe tradire, senza volerlo, anche la persona che ha contattato. Infine, potrebbe rovinare anche noi. Non so cosa ci succederebbe se scoprissero che abbiamo liberato dei prigionieri, ma una cosa è certa: non potremmo continuare a farlo”.
Galgheita chiede: “E …Frordal? Mia sorella?”.
Vera risponde: “E’ già stata liberata un’ora fa, alle stesse condizioni. Però, non tenti di rintracciare neppure lei”.
La donna annuisce amaramente. “Sarà per sempre così?”.
Vera si stringe nelle spalle. “Forse no. Forse in futuro riusciremo a far ragionare Elyon e le guardiane”.
“Ma… sono le guardiane vere? Non sono mistificatrici?”. Agli sguardi interrogativi, Galgheita spiega: “Quando le ho conosciute, non erano così!”.
“La gente può cambiare” risponde Irenior, riuscendo a sembrare disinvolta.
“Voglio dire: l’altra notte, quando ci hanno arrestate, sembravano tutte uguali. Stessi sguardi, stesse parole, stesse inflessioni. Io una volta le conoscevo bene, e non erano affatto così”.
Vera annuisce, grave. “Grazie per avercelo detto. Dovrò rifletterci”.
“E poi” insiste Galgheita, “Caleb mi aveva detto che la regina era stata sostituita da una controfigura”.
“Ma noooo!” fa Irenior, portandosi le mani alla bocca per il gran stupore.
Eppure, riflette faticosamente Galgheita, questa Irenior mi ricorda tanto qualcuno che ho conosciuto.
“E con ciò?”, scandisce Vera, che ha intuito i sospetti dell’altra. Questa semplice formuletta magica le ha già tolte d’imbarazzo più volte, ma deve ammettere che l’idea di coinvolgere Irenior è stata decisamente infelice.
“Con ciò…” ripete incerta Galgheita, perdendo il filo del suo pensiero.
Vera riprende il discorso precedente: “Io sono stata creata da Elyon. Nessuna controfigura può avere il potere di fare ciò”. Si protende in avanti. “E poi, da cosa deriva la sua fiducia in Caleb? Non sa che è stato visto parlare con il vicecomandante della Guardia di Palazzo un quarto d’ora prima che questo tentasse di assassinarla?”.
“Ci rifletta sopra”, prosegue Irenior, “Lui non ha potuto sposare la regina perché è stato creato come un mormorante. Non può essere che voglia vendicarsi del rifiuto? Non può essere che, durante i suoi viaggi presso le corti dei vari conti, lui abbia preso accordi sleali con qualcuno di loro?”.
Vera insiste: “Ci rifletta: come cambia il potere di un qualsiasi conte, se la sua regina muore senza neppure lasciare eredi? Diminuisce o aumenta?”.
Galgheita scuote piano il capo, sopraffatta da quell’incalzare di ipotesi conturbanti.
“Mi creda, Galgheita” riprende Vera, “Non ci si può fidare di nessuno. Lei sparisca, se vuole salvarsi dal carcere. Non avrà un’altra occasione”. Poi, con un tentativo di sorriso incoraggiante: “Se la situazione lo permetterà, sarò io stessa a richiamarla a Meridian”.
Galgheita annuisce con rimpianto. “Non ho scelta” conviene.
“Qui ci sono le valigie”. Irenior indica due grosse borse sul pavimento, che Galgheita riconosce come sue. “Sono passata a casa vostra di nascosto per prendere un po’ di roba”.
Vera sventola in mano una grossa busta sigillata. “Qui dentro c’è una mappa del paese dove la manderemo. Sul retro, in caratteri visibili solo a lei, c’è scritta la sua nuova copertura e altre istruzioni, e del denaro. Inoltre, c’è la lettera di presentazione a una persona che le darà lavoro e alloggio”. Passa l’indice sul sigillo di ceralacca rossa. “Ricordi, neanche lui è al corrente della sua vera identità. Perciò non si tradisca, e non tradisca noi”.
Per un attimo, solo il ticchettio di un orologio meccanico rompe il silenzio. Galgheita prende la busta. Un luccichio le brilla sotto le iridi.
Si alza in piedi. “Sono pronta”, mente. Non è la prima volta che va in esilio, ma per questo non si è mai pronti.
 

Un altro luogo, poco dopo

Alle prime luci dell’alba, il villaggio appare ancora addormentato. Una ventina di case con stalle, una locanda, un tempietto… Le morbide colline circostanti sono avvolte in una foschia che diffonde i rosa e i violetti che colorano il cielo a levante. Sembra quasi uscito da una cartolina artistica.
Che strano inizio per un esilio, riflette Galgheita, tenendo in mano la busta dalla quale dipende il suo futuro.
Guarda il sigillo rosso: sembra quasi un fiore sulla bara della sua vera identità.
 
 

  
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