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Autore: Il_Coso    02/11/2010    3 recensioni
Non molte persone credono più alle fate, oggigiorno. Ma, e questo può sembrare strano, nemmeno le fate credono all'esistenza di molte persone; fanno eccezione solo i bambini.
Però a volte credere gli uni negli altri può essere di grande aiuto. Per tutti.
"La fata disse: E pensare che non ci ho mai creduto, agli adulti."
Genere: Commedia, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CREDI ALLE FATE

Credi alle fate

 

Quando nasce un bambino, la sua prima risata diventa una fata.

[]

Ogni volta che un bambino dice:” Non credo alle fate”, da qualche parte una fata muore.”

(James Matthew Barrie, Peter e Wendy)

 

La fata tremava, aveva fame, era stanca e aveva appena piovuto, perciò aveva pure freddo. Era in una specie di posto pieno di fiori, anche se a pochi passi da lei il terreno si interrompeva e cominciava un’infinita lastra di cemento.

Era sicura che “giardino” non fosse la parola giusta, ma era la prima che le veniva in mente.

Ora al senso di spossatezza si stava aggiungendo un sordo fischio alle orecchie, e si accorse che oramai la sua luce non arrivava più in là di un centimetro, forse uno e mezzo.

Era destinata a morire.

E quando il Destino parla, le fate devono ascoltare. Non è mica uno scemo qualunque.

Quel che era peggio, si disse la fata tenendo a stento aperti gli occhi, era che non vedeva bambini in giro. Senza bambini, non poteva sperare di salvarsi; e senza la speranza, era condannata alla disperazione della morte. Le fate sono troppo piccole per provare due emozioni insieme, e perciò non poteva fare altro che abbandonarsi alla tristezza.

All’improvviso sentì, più che vedere (ormai gli occhi avevano ceduto ed erano chiusi), qualcuno che torreggiava sopra di sè. Fece uno sforzo.

La bambina più grande che avesse mai visto la fissava da più di un metro e mezzo di altezza… era davvero troppo alta, nessun bambino raggiungeva altezze così elevate senza salire su una scala, un ascensore o un aereo; semplicemente, dopo dodici o tredici anni, i bambini sfumavano, sparivano, e al loro posto apparivano quelle terribili ombre  trasparenti che col tempo imparavano a distruggere il mondo. E in tredici anni non erano molti i centimetri che si potevano accumulare.

La gigantesca bambina si chinò e la fissò da vicino.

-Tutto bene?- disse. La fata tremò, e tremolò.

Disse: Si.

-Non ci credo.- ribatté l’umana alla fata.

Lei disse: …

Disse: Non dirlo più. Sono queste parole che mi stanno uccidendo.

La bambina non rispose. Prese in mano la fata (com’era soffice!) e la portò in casa.

Da parte sua, la fata era troppo spossata per protestare; quella piccola conversazione l’aveva prosciugata. E non voleva certo perdere la testa per qualcosa che tra cinque minuti non avrebbe più avuto alcun senso. Non per lei, almeno.

 

La bambina la posò su un tavolo, dove almeno faceva un po’ più caldo, e tornò a chiederle se andava tutto bene. E la fata continuò a non rispondere.

La creatura (ora la fata ne era certa: non poteva essere una bambina!) aveva portato sul tavolo dei libri e delle penne; e, per il piccolo essere, una ciotolina d’acqua.

-Nel caso tu abbia sete- le spiegò. La fata la ignorò.

E così cominciò a scrivere. Sfogliava i libri, leggeva, pensava e poi appuntava qualcosa; aggiungeva numeri su numeri e lettere su lettere; in altre parole, faceva ciò che di solito chiamava compiti di algebra.

La fata la osservava. Non sapeva come o perché, ma era ancora viva, e tutto questo scrivere senza motivo apparente la incuriosiva: sapeva calcolare la profondità del cielo e contare ogni fiore della terra, ma quelle semplici equazioni proprio non sapeva per che verso prenderle. Bevve un po’ e si accostò a guardare.

L’altra se ne accorse e sorrise, perché era riuscita ad avvicinarla, e moriva dalla voglia di rivolgerle qualche domanda; ma capiva bene com’era fatta, la fatina, e quindi la lasciò lì, luccicante di delicata curiosità, e se ne restò a fare i compiti ancora un po’.

 

Se questo era morire, beh, non era così male. Era dolce, quasi, come se la ferita stesse guarendo; era incredibile, e se in lei ci fosse stato posto per qualcosa oltre alla curiosità, di sicuro la fata avrebbe pensato a uno scherzo di cattivo gusto.

Comunque, continuava ad osservare, e ad avvicinarsi al libro sul quale la ragazza scriveva; finché lei non la fece sobbalzare dicendo:

-Sei una fata, vero?- La stava guardando.

L’esserino rimuginò un po’ sulla risposta; ma poiché alla fin fine era una buona fata che non diceva le bugie, annuì.

L’altra spalancò gli occhi, ma sorrise.

-Wow, e pensare che non ci ho mai creduto, alle fate…-

La fata non replicò; si sentiva quasi bene. Chiese:

Ma tu cosa sei? Sei una bambina?

-No, certo. Sono più grande, sono una ragazza.-

E che roba è?, chiese la fata. Non aveva mai sentito quella parola.

- È come dire… come… insomma una ragazza è una ragazza! Quando i bambini crescono, diventano ragazzi e ragazze. E poi diventano adulti, e invecchiano, e poi..- ma la fata non la seguiva più, si era fermata appena a qualche parola prima.

Adulti?, ripeté. Ne aveva già sentito parlare in qualche racconto: erano quelle creature giganti e intelligentissime che, secondo le leggende, in epoche remote avevano piegato il corso dei fiumi e potevano modellare la pietra nelle forme che volevano.

Ma, ed era questo il fatto!, non erano altro che storielle per folletti ancora in fasce.

 

A meno che…

 

La fata disse: E pensare che non ci ho mai creduto, agli adulti.

E aggiunse: Ho sempre pensato fossero solo mostri leggendari.

 

La ragazza si stupì. Ma le fece un proposta:

-Ora che ci siamo viste, facciamo così: se io crederò a te, tu crederai a me. D’accordo?-

La fata era piccola, e un pensiero faceva fatica a entrarle in testa; ma una volta che ci riusciva, non ci voleva molto perché la invadesse completamente.

Annuì.

E allora balzò in piedi, vorticando di magia e di vita; finalmente era di nuovo se stessa, perché qualcuno credeva in lei. Assicurò alla ragazza: Grazie! Ti farò un regalo, un giorno!

E la sua lucina splendente che spariva oltre la finestra fu l’ultimo ricordo che la ragazza ebbe di lei.

 

Passò una settimana.

In una mattina come tutte le altre di quel periodo, l’aria era fredda, il cielo bianco e la luce chiara, limpida, reale. Tutto faceva pensare che si stava avvicinando l’inverno.

La ragazza uscì di casa avvolgendosi la sciarpa attorno al collo, diretta a scuola, e, poiché non abitava distante, preferiva fare una passeggiata e andarci a piedi; così attraversò in fretta la stradina poco trafficata su cui si affacciava il suo condominio, e prese la via traversa che l’avrebbe portata in centro.

In realtà, c’era un altro motivo per cui preferiva andare a piedi piuttosto che farsi accompagnare. Motivo che comparve quasi di corsa svoltando l’angolo.

Il motivo, ovviamente, era un ragazzo.

Si conoscevano, ma solo per via dei frequenti corsi di recupero di disegno che organizzavano gli insegnanti; però ogni volta che lo vedeva, la ragazza non poteva fare altro che sperare in una saluto, anche solo in un “ciao…” che le sarebbe bastato per vivere una giornata meravigliosa.

Ed era quello cui si preparava, e non si immaginava lontanamente cosa stava per accadere.

-Ciao- disse lui, e si fermò. Poi, come se stesse recitando una battuta, aggiunse:

-Ehi, un attimo… vai a scuola da sola? Se vuoi ti accompagno… ah, che stupido, io sono…-

La ragazza non credeva alla piega che stavano prendendo gli eventi. Ma, quando rispose, intimamente contenta, e si incamminò con lui, capì che la fata si era davvero ricordata di ringraziarla.

 

E in quel momento, la fata la osservava da sopra un albero. La ragazza sembrava felice.

Disse: Ho fatto bene a chiedere a te. Hai fatto proprio un buon lavoro.

A queste parole, il Destino scosse la testa e borbottò qualcosa. Certo che era un buon lavoro; non era mica uno scemo qualunque, lui.

 

 

 

 

Hola hola hola!!! Non ho potuto resistere alla tentazione di scrivere qualcosa sulle fate… e vari accadimenti della scorsa settimana hanno influito, ma va beh.

Che dire? Spero che vi piaccia! Perché ci ho faticato sopra, cosa credete??

Va beh, chi avrà voglia di farmi felice, commenterà :) grazie in anticipo, anche solo se leggete! Alla prossima fic, bye!

PS: e “battete le mani se credete alle fate…” :)

  
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