Videogiochi > Dragon Age
Ricorda la storia  |      
Autore: Lord Revan    02/11/2010    2 recensioni
Inizio subito col dire che io non sono una persona cattiva. Tutto ciò che ho fatto è conseguenza di quanto è stato fatto a me. Posso dire con certezza che tutto è cominciato il giorno in cui Loras Zelior, un piccolo nobiluomo locale, mi commissionò la forgiatura di un'armatura, che lo stolto avrebbe voluto che fosse "la più possente mai realizzata, non importa quanto dovrò pagare" e di una spada, la quale "più tagliente del gelo d'inverno dovrà essere".
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le memorie di Odred Thuras, fabbro di Denerim Queste sono le memorie di Odred Thuras, il più grande fra i fabbri umani che mai abbia battuto il suo martello a Denerim.

Inizio subito col dire che io non sono una persona cattiva. Tutto ciò che ho fatto è conseguenza di quanto è stato fatto a me. Posso dire con certezza che tutto è cominciato il giorno in cui Loras Zelior, un piccolo nobiluomo locale, mi commissionò la forgiatura di un'armatura, che lo stolto avrebbe voluto che fosse "la più possente mai realizzata, non importa quanto dovrò pagare" e di una spada, la quale "più tagliente del gelo d'inverno dovrà essere".

Detto fatto, il vecchio Odred andò a preparare la cantina per fare spazio ai materiali ma, vedendo che di spazio non ce n'era più, decisi di appendere due grosse mensole alla parete. Presi un chiodo, il martello, e iniziai a picchiare. Nulla voleva saperne il dannato chiodo di entrare, al punto da saltare a terra! Così mi abbassai per prenderlo e, quando mi rialzai, la vidi: dalla scalfitura che la punta del chiodo aveva prodotto sulla parete di roccia grezza fuoriusciva una luce azzurra.

Incuriosito dallo strano fenomeno, presi il martello e iniziai a distruggere lo strato di roccia superficiale, per vedere cosa producesse quella strana luce e quanta ce ne fosse. Grande fu la mia sorpresa quando vidi che tutta la parete nascondeva una gigantesca vena di Lyrium. Fui sorpreso anche perchè nei trent'anni in cui ho vissuto lì, mai mi ero accorto della presenza del miracoloso materiale.

Ora, la luce del Lyrium era calda ed avvolgente, e dava sollievo venirne inondati. Così, la cantina fece presto a diventare il luogo in cui passavo la maggior parte del mio tempo libero. Tutto era perfetto, assolutamnte. I problemi iniziarono quando, un giorno, uscii dalla bottega ed alzai lo sguardo verso la statua dell'arle posizionata al centro della piazza. La statua era lì da almeno vent'anni, eppure mai avevo fatto caso al suo cipiglio: sembrava proprio che avesse lo sguardo puntato verso casa mia... ignorai la cosa e sbrigai le faccende che avevo da sbrigare ma, al mio ritorno, mi accorsi che lo sguardo della statua non volgeva più verso casa mia, ma verso la direzione dalla quale arrivavo.

Sicuro di avere preso un abbaglio, rincasai. La mattina seguente, mi alzai di malavoglia. Qualcosa non era al proprio posto, una situazione di malessere si svegliò con me e, per le braghe di Andraste, non mi abbandonò per tutto il giorno. Quando arrivò la sera, ed io chiusi bottega, andai in cantina, a cercare sollievo fra le braccia del Dono della Pietra. Una volta avevo sentito dei Nani chiamare così il Lyrium, e lo trovavo il nome che meglio gli si addiceva.

Grande razza, i Nani. Fabbri nel sangue, proprio come me, vivono fra la Pietra e la contemplano, e nel suo abbraccio nascono, passano la vita e muoiono. Folli e stolti sono quelli che abbandonano le distese sotterranee di Orzammar per venire in superficie, dove la Pietra è solo un mero strumento in mano agli uomini!

Ma sto divagando. Per tre giorni ancora aprii la bottega e la presidiai, ma il mio spirito da tutt'altra parte giaceva: in quelle tre sere chiusi i battenti sempre prima, ed arrivai a non aprirli per nulla nel quarto giorno. Vidi la folla di fronte alla mia soglia, dapprima vicini incuriositi, poi clienti infuriati, ma non me ne curai. Avevo il Dono, ed egli aveva me. Tutto cambiò quando mi resi conto che non era malessere quello che mi prendeva nell'ora del risveglio, ma era la Voce della statua dell'arle fuori da casa mia! Me ne resi conto quando finalmente sentii le parole: "Non lasciare che gli stranieri entrino in casa tua" e, volgendomi dalla direzione da cui sentivo arrivare la Voce, vidi la testa della statua voltata verso di me.

"Perchè? Il mio lavoro è servirli!" le risposi. "La tua vita è servire il Dono, e proteggerlo dai suoi nemici." ribattè la Voce, e per il momento più non parlò, neanche quando le chiesi chi fossero i nemici.
Quando la risposta mi apparve davanti agli occhi, capii che era sempre stata lì: gli elfi. Essi, odiosi vermi, vivono lontano dalla Pietra, ma ne conoscono il Dono. Lo bramano. Lo bramano tanto quanto lo odiano, e lo odiano al punto da volerlo separare per sempre dai suoi Figli. Non potevo permettere che i maledetti elfi distruggessero il Dono che avevo trovato, così quella notte agii.

Presi la spada "più tagliente del gelo d'inverno" e mi intrufolai all'interno dell'Enclave. Sapevo che la Voce mi avrebbe protetto, e infatti nessuna guardia mi vide, tanto meno quella al cancello, chè la Voce la teneva addormentata. Una volta dentro l'Enclave, il puzzo di elfo mi penetrò le narici, nauseandomi. Ma il mio spirito era forte e così, con rinnovato vigore, mi intrufolai nelle case delle odiate creature e le uccisi tutte, ad una ad una, infilzandole, decapitandole e facendo scempio deli loro corpi. Quando uscii dall'Enclave, madido di sudore e sangue, andai di fronte alla statua, il cui sguardo era posato su di me, ma la Voce disse: "Non basta."

Non riuscivo a capire, perchè non bastava? Avevo ucciso tutti gli elfi di Denerim, il Dono era al sicuro, cosa avrei potuto fare di più? Scagliai la spada del nobiluomo contro la statua, il cui naso venne staccato di netto. Proprio in quel momento capii cosa volesse dire la Voce: un'elfa uscì dai cancelli dell'Enclave, anch'essa zuppa di sangue, e iniziò a gridare. La protezione della Voce era evidentemente svanita, poichè subito dopo venni catturato.

Mentre mi portavano in cella, sentii una delle guardie dire che avevo ucciso ventotto elfi fra uomini, donne e bambini. Sapendo che nell'Enclave ve ne è all'incirca un centinaio, capirete perchè la mia frustrazione si trasformò in delusione vera e propria. Dopo qualche giorno, venne a farmi visita l'arle, e volle rimanere da solo nella cella con me. Non disse nulla, ma mi squadrò. Mi guardava con un occhio accusatore e disgustato che mi fece ribollire il sangue nelle vene: lui era l'arle di Denerim! Per proteggere la sua città aveva un esercito! Io ero solo un umile fabbro senza potere alcuno, e per proteggere ciò che ho di più caro al mondo ho fatto ciò che andava fatto, e questo ci rendeva simili, a parer mio. Ma il suo sguardo continuava a trapassarmi, schifato. Arrivai al limite, poi cedetti.

Quando le guardie entrarono, la vita aveva già lasciato il corpo dell'arle, accompagnata dalle mie dita, le quali avevano sfondato la sua gola, e dalla mia bocca, che aveva strappato il suo naso inzuppando entrambi di plasma vermiglio. Le spade delle guardie mi passarono da parte a parte, ma io non morii. Mi svegliai in questa cella, in attesa del patibolo. Dicono che sono a Forte Drakon, e che il nuovo arle, figlio del precedente, voglia giustiziarmi in maniera spettacolare. Che faccia. Io sono già libero, il mio spirito giace col Dono, e non vede l'ora di tornare ad esso. Ma queste memorie siano d'avvertimento per chiunque abiterà questa cella dopo di me: rendi onore al Dono, ed Egli te ne sarà grato. Proteggilo, ed Egli ti ricompenserà.

Odred Thuras
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: Lord Revan