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Autore: Balenotta    03/11/2010    1 recensioni
Ha sempre odiato camminare.
Eppure, Marco, un uomo che è sempre scappato da tutto, per una strana coincidenza,si ritrova a fare proprio ciò che ha sempre odiato: camminare.
Uno scontro, un caffè e una giacca da buttare, però, gli faranno riprendere in mano quelle emozioni che non provava da ormai troppo tempo.
Accetto tutte le critiche del mondo, anche perchè so di non essere brava. Tuttavia sono convinta che nella vita si possa migliorare. Balenotta
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho sempre odiato camminare.

Ricordo ancora quando mia madre mi costringeva a partecipare a quelle odiosissime gite d’istruzione che, naturalmente, si svolgevano in paesini sperduti dove l’attrazione principale era il bar frequentato dai vecchietti malati per la briscola. Oppure quella volta in cui, andando in una cittadina spagnola, il mio alloggio era a 3 kilometri dal centro della città nel quale dovevo recarmi almeno tre o quattro volte al giorno. Immaginatevi  che colpo subì mia madre quando, dopo un mese di lontananza, mi vide scendere dal pulmino con 7 kili in meno. Dico solo che si mise le mani nei capelli, diventati bianchi tutti in una volta, e incominciò a chiamare mio padre che svaligiò mezzo supermercato.
Insomma, ho sempre odiato camminare.
Eppure, quel giorno mi ritrovavo a fare slalom tra la gente agitata, preoccupata e forse anche in ritardo. Persone che correvano e si mischiavano sopra il marciapiede di una città che personalmente ho sempre amato: Parigi.
Parigi, come la chiamiamo noi italiani: la città dell’amore.
Che poi io dico: ma quale amore e amore?!?! E’ più di cinque anni che mi ritrovo per lavoro in questa città, e posso garantire di aver  visto tutto. Tutto, tranne che l’amore. Non che me ne importi più di tanto.
L’amore. Tse..
Dicono che senza amore non si riesca a vivere..Ma se io vivo benissimo?!
Continuo a camminare cercando di evitare la folla inferocita che, pur di guadagnare un centimetro in più, calpesterebbe anche un neonato.  Solitamente ogni volta che mi ritrovo circondato da persone, ho sempre il terrore di essere risucchiato dai loro pensieri. Sì, insomma. Sembrano così indaffarate  a pensare e ad ignorare ciò che li circonda, che inizio a sudare freddo e a sentire quel nodo della cravatta soffocarmi sempre di più.
Aspiro affondo venendo travolto da quel che amo più di questa città parigina: l’odore del pane. Talvolta Parigi mi ricorda Roma venti anni fa. 
Roma. L’alba di Roma in motorino per me è sempre stato IL MOMENTO. In quell’ora mi beavo della quiete della mia mente che non riusciva, forse affascinata da quel cielo che man mano si tingeva di rosa,  a produrre le solite assurde domande.
Non sono mai stato mattiniero,ma per Roma.. Per l’alba della capitale italiana, avrei fatto qualunque cosa. Qualunque cosa pur di sentire la brezza mattutina sul volto, pur di percepire la sensazione di risveglio che ti dava quell’immensa città.
Forse, però, Roma mi è rimasta impressa solo per una cosa sola.
“Cazzo!” Non riuscì a trattenere un’imprecazione mentale dopo che qualcosa di bollente mi stava ustionando mezza pancia.
“Pardòn!” Una voce cristallina incrinata dal panico ruppe tutte le mie imprecazioni mentali e il mio sguardo si posò su una chioma di una donna di bassa statura che con in mano un cartoncino di caffè schiacciato cercava di non sporcarsi più del dovuto. 
Rimasi paralizzato. Quei capelli castani portati a caschetto. Quelle piccole mani…
Tu-tum..
Tu-tum..
Tu-tum…
E, basta! Non siamo mica in una cerimonia africana, qua dentro! Urlai all’interno del mio corpo.
Mi misi a ridere di cuore guardando quel disastro di donna davanti a me che, sentendo la mia voce, alzò lo sguardo incatenandolo ai miei occhi.
“Marco?”
“Oui, madame..Che posso fare per voi?” Ok, non me la cavavo proprio con il francese. Ma avevo pur altre qualità linguistiche!
 “Ma..Oddio, scusa! Ti ho macchiato tutta la giacca!” Trillò preoccupata.
Eh, certo! Non mi vedi da una vita, e ti preoccupi della giacca! Mi sembra logico.
“Non ti preoccupare” Ribadii per la seconda volta.
“Ma io..Insomma..Poi tu, oddio che casino! Magari avevi anche un impegno di lavoro importante! Che disastro che sono! Te la ripago, guarda..Te la porto io in lavanderia, dammi un tuo recapito e te la..”
 “Cristine?”
“No! Cristine, niente Marco! Guarda che guaio!”
“Ok, se devo proprio farti sentire in colpa allora devi sapere che mi hai ustionato anche metà busto e che, di conseguenza, mi hai sporcato anche la camicia nuova..” Dissi esasperato con una punta ironica che, però, lei , visto il suo portarsi le mani davanti alla faccia come per coprirsi, non percepì.
“Ehi..Tranquilla. Sono io.” La mia voce uscì con una tenerezza che pensavo non possedessi, mentre una mia mano si depositava delicatamente sul suo piccolo polso per tentare di farle scoprire il volto.
La vidi sussultare sotto il mio tocco, mentre i suoi grandi occhi nocciola cercarono smarriti i miei.
“Che ne dici se ora che mi hai generosamente dato la tua dose mattutina di caffeina, ricambio il favore offrendoti un caffè in una vera tazzina?”
La vidi sorridere imbarazzata e non riuscii a non penare che in tutti questi anni non era cambiata poi così tanto.
“Lo prendo come un si.” Affermai avviandomi in uno dei bar parigini che preferivo.
 
 
“Allora, come procede la vita? Vivi qui a Parigi?” Chiesi curioso.
“Bene, grazie. Si, ho un piccolo appartamento in periferia. Subito dopo il mio trasferimento a Torino, volevo dare una piega diversa alla mia vita, ed eccomi qui. A Parigi da dodici anni. Qui ho incontrato il mio attuale marito e dopo cinque anni mi sono sposata .” Rispose diminuendo il tono di voce alla fine della sua frase e coprendosi quella fede che solamente ora avevo notato.
“Che fai, ti imbarazzi con me?” Sorrisi nuovamente ricordandomi del nostro primo rapporto. Avevamo appena trascorso una giornata in giro per Roma, ed eravamo finiti a casa mia. Sopra il mio letto..
Marco, hai davanti una donna sposata. Non hai più diciotto anni, ricordatelo bene.
“Ma no..Che dici..E’ che, insomma..Dopo quello che accad..” Balbettò riferendosi alla nostra sto..si insomma a quello che eravamo in passato.
“Cristin, eravamo giovani. Giovani e stupidi.” Le dissi guardandola negli occhi.
Anche se vorrei ancora essere stupido. DI nuovo, magari solamente un’altra volta..Solo con te.
Mi sorrise mentre la cameriera le porgeva il suo caffè.
“E tu? Cosa hai fatto in tutti questi anni?” Mi domandò, soffiando dentro quella tazzina e provocandomi un brivido che mi percosse tutta la schiena.
Le sue labbra sensuali che lambivano la mia pelle, le mie labbra. Ed erano solo mie. Mie, solo mie.
“Mi sono buttato nel lavoro. Sono socio di una grande impresa pubblicitaria che lavora per molte ditte europee.. Avrai sicuramente visto molte mie creazioni attraverso i mezzi di trasporto parigini.”
“Uhh..Abbiamo una star!”
“Scema.. E tu?” Sorrisi posando l’attenzione su un interessante posacenere. Sembrava che il tempo non fosse mai passato. Che quei venti anni, non fossero mai passati. Eravamo noi due, seduti e spensierati. Quell’imbarazzo, che avrebbe dovuto caratterizzare questo incontro, non c’era affatto.
“Io ho una piccola impresa familiare.Mi alzo la mattina e preparo la colazione per tutti, poi pulisco la casa, faccio il bucato, preparo il pranzo, vado a prendere la mia piccola peste all’asilo, ritorno a casa e preparo la cena..Una donna d’affari, come puoi constatare” Si auto beffeggiò con il sorriso sulle labbra
“Una peste, eh?!”
“Si. Si chiama Peter..Un piccolo lucifero in carne ed ossa!” Rise pensando forse alla cosa più giusta che nella sua vita aveva fatto.
“Quanti anni ha?”
“Tra pochi mesi 4”
“Sono felice per te..” Mentii, e lei se ne accorse. Ci guardammo nuovamente negli occhi. Infondo, pensandoci, il nostro era sempre stato un rapporto silenzioso. I nostri occhi valevano molto di più di mille parole. Raccontavano temi lunghissimi e pieni di significato. E, anche quella volta, lei mi capì.
“Sei sempre stato un bravo bugiardo. Uno di quelli che riesce ad ingannare gli altri, ma molto spesso riesce ad prendere in giro anche se stesso. Quando stavamo insieme sono stata spesso imbrogliata dalle tue parole che io consideravo fredde,scostanti. Riflettendoci adesso, mi viene da ridere. Infondo, non c’è ghiacciolo che voglia sentirsi per una volta caldo. So che quello che hai detto non è vero, ma farò finta che lo sia.” Disse con sicurezza guardandomi negli occhi. E, per la prima volta vidi davanti a me una donna. Per la prima volta, in quei 20 minuti, mi resi conto che, in realtà, lei era cambiata.
“Adesso dovrei andare..Per quanto riguarda la giacca e la camicia, mi dispiace immensamente. Se vuoi..”
“Non dirlo neanche per scherzo..Lo hai detto anche tu che sono una star.” Scherzai per vederla sorridere. Per ammirare quelle labbra distese solo per me, per me. Per l’ultima volta.
E, infatti, sorrise. Il sorriso più bello che io avessi mai visto in una donna.
Uscimmo  dal bar fermandoci su quel maledetto marciapiede che ci aveva fatto incontrare e che ci avrebbe fatto dividere.
Non ti incontrerò mai più. E’ il nostro addio.
Ci guardammo per svariati minuti, come se non ci importasse di nulla. Come se il pranzo che avrebbe dovuto preparare per suo marito e per suo figlio fosse diventato un dettaglio.
Tempo fa eravamo una coppia..Forse neanche quella, pensandoci. Eravamo solamente due cretini che sopra una vespa avevano vissuto quel loro amore. Si, eravamo proprio due teste di cazzo che litigavano in continuazione e che, alla fine, si erano lasciate veramente. Infondo, forse..Non avremmo creato nulla di buono. Ma questo, chi lo sa.
La vita è fatta di troppi se per rimanere fermi a pensare.
 “Addio, Marco.” Le sue labbra soffiarono quelle che sarebbero state le ultime parole del nostro ultimo incontro.
Cazzooo. Datemi un telecomando che fermi il tempo. Una macchinetta fotografica, che ne so..Una matita per poter disegnare il suo volto all’interno della mia mente. Dio, fa che non si scordi di me.
“Addio, Cristine” Pronunciai vedendo il suo corpo iniziare a percorrere una strada diversa dalla mia.
Una suoneria riempì il vuoto che si era creato all’interno del mio corpo. La vidi fermarsi, cercare dentro la borsa, prendere il cellulare e rispondere.
Marco..” Pronunciò con un luccichio negli occhi.
“Si..Sto per tornare a casa. Tra venti minuti sono lì, passi a prenderlo tu Peter? Si, ti preparo le lasagne. Ma devi andare all’università? Ah..Sisi.Mi muovo, mi muovo..Ciao amore.”
Il mio corpo tremò per la seconda volta.
Marco. Marco. Marco. Marco.
La raggiunsi posandole una mia mano sopra la spalla.
“Cristine..” Sussurrai roco..
“Mio figlio più grande.” Disse sorridendo forzatamente.
“Marco?” Chiesi con il cuore a mille.
“Si, gli ho dato il tuo nome.” Affermò mentre vidi una lacrima cadere dal suo volto.
 E se ne andò.  Proseguì la sua strada, lontano da me. Nonostante questo, però, ero felice. Ero contento del fatto che non si sarebbe mai e poi mai dimenticata di me e di Roma: involucro del nostro amore.
 
Ripresi a camminare sul marciapiede opposto con le mani all’interno delle tasche della giacca fischiettando Cheek to Cheek di Louise Amstrong .  Ad un tratto mi fermai incominciando a ridere rendendomi conto che ero finito con una giacca da buttare, un cuore che aveva ripreso a battere e, naturalmente, i piedi che mi facevano male.
L’ho già detto che odio camminare?




Balenotta                      
 




  
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