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Autore: Fabi_    04/11/2010    3 recensioni
Pansy e Theo vanno in vacanza in un hotel magico, al loro arrivo, capiscono che la fortuna è stata dalla loro parte: infatti, la camera 237, che è stata loro assegnata, è molto bella, la più bella dell’hotel. Subito, però, cominciano a capitare ai due le cose più strane.
Questa storia si è classificata seconda al contest Horror Potter, indetto da vogue, e ha vinto il premio 'Miglior Horror'.
Genere: Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Zukkerina: sono felice che abbia provato a leggere anche tu. Spero che questo capitolo ti piaccia^^

Payton: in effetti avevo pensato di lasciarmi un po’ ispirare da 1408 anche se gli elementi sono presi da Shining, anche alcuni di questo capitolo, come potrai notare.

Vogue: infatti, tu sai come va a finire, non puoi restarci di nuovo male^^.

4. Labirinto

 

Pansy doveva essersi completamente ammattita. Fantasmi? Aveva avuto un incubo, ma da qui a parlare di presenze c’era una differenza enorme; sbuffai contrariato osservando la siepe a forma di Unicorno.

Notai un particolare che mi sorprese: gli occhi dell’unicorno si muovevano, un incanto indubbiamente ben fatto, ma pur sempre un incanto. Non sarebbe certo stato quello stupido trucco a spaventarmi.

Presi la via per il labirinto, sapevo che Pansy voleva che ci andassimo insieme, ma lei si era messa in testa di salvare non si sa chi da non si sa cosa, quindi non m’importava di quello che avrebbe detto. Non sarebbe uscita dalla biblioteca fino a quando non avesse trovato quello che le serviva.

“Ci torneremo insieme!” dissi più a me stesso che altro.

C’era una quantità impressionante di gente in mezzo a quello stupido labirinto. La ragione di quell’intasamento probabilmente era la più logica: non c’era altro da fare in quel posto dimenticato e disperso in mezzo alle montagne.

Ammetto che all’inizio pensavo che sarebbe stato più facile arrivare nel mezzo ma, dopo quasi un’ora di cammino, avevo cominciato a pensare che forse non era stata una grande idea.

Bambini correvano urlando, seguiti da genitori esasperati. Sinceramente mi chiedevo quale fosse il motivo che spingeva tutti a procreare, non potevo immaginare la mia vita con una di quelle piccole bestie urlanti; certo, era meglio non dirlo a Pansy.

Perso nei miei pensieri, non avevo notato che, finalmente, potevo vedere il punto di arrivo.

Una volta al centro mi preoccupai di prendere una delle mappe per uscire, non intendevo impiegare altre ore inutilmente.

Mi sedetti su una panchina per riposarmi, dopo aver comprato una Burrobirra al baracchino che era stato sapientemente posto nel centro di quella gigantesca gabbia per umani.

Incredibile che non avessero qualcosa di meglio da bere.

Dopo qualche minuto mi alzai dalla panchina, posai il bicchiere e presi a camminare in direzione dell’uscita.

La cosa strana era che sentivo freddo, si era alzato un vento che non riuscivo a spiegarmi: sono in mezzo a un labirinto, in teoria dovrei essere protetto dal vento.

Immaginai che probabilmente le pareti alte e strette rendessero più forte l'effetto del vento, per qualche strano gioco tra la montagna e le correnti d’aria. Continuai quindi a camminare.

All’improvviso, le descrizioni della mappa sembrarono diventare inutili, in più mi resi conto che oltre a me non c’era anima viva.

Rimasi fermo per qualche minuto, aspettandomi di vedere qualcuno avvicinarsi, ma sentivo solo il vento e vedevo solo le siepi intorno a me.

Cercai di tornare indietro, in fin dei conti non potevo aver sbagliato di molto, ma nessuna delle indicazioni mi aiutava. Sarei uscito, anche a costo di scavare le siepi. Non sarei rimasto lì per molto.

Cercai nella tasca e mi trovai a maaledire la mia stupidità, che mi aveva fatto lasciare la bacchetta nella camera.

Pansy mi avrebbe detto: "Mai lasciare la propria bacchetta incustodita!" e avrebbe avuto ragione.

Ma chi avrebbe potuto immaginare una situazione del genere?

Ripresi a camminare. Avevo freddo, come se tutto il resto non fosse stato abbastanza inquietante, notai che il sole cominciava a scendere, non lo stavo immaginando.

Com’era possibile? Ero entrato nel labirinto di mattina e ora sembravano le tre del pomeriggio, quando non potevano essere passate più di due ore.

Mi resi conto di avere appetito, cominciai ad accelerare, ma niente: non c’era anima viva in giro.

Camminando, notai una busta incastrata tra i rami delle siepi, la presi e la aprii senza pensarci troppo.

All’interno c’era scritto solo: “Apri gli occhi.”

Non feci troppo caso alla busta, me la misi in tasca e proseguii.

Arrivai di nuovo al centro del labirinto. “Com’è possibile?” mi trovai a sussurrare: lo spiazzo centrale era vuoto. Nessun baracchino per le bibite, nessun bambino urlante, nessuno, niente.

A bocca aperta feci appello al mio self control tipicamente Nott. Cercai di radunare le idee: Non potevano essere scomparsi tutti nel nulla, una spiegazione razionale era quello che mi serviva in quel momento:

1.       Avevo preso la mappa sbagliata, magari riferita a un anno passato o più probabilmente lo stupido scherzo di qualcuno.

2.      Mentre mi addentravo dalla parte sbagliata, i gestori avevano avvisato la clientela dell’arrivo di una tormenta e probabilmente li avevano invitati a tornare all’hotel.

3.      Avrei sicuramente trovato qualcuno anch’io, così sarei potuto tornare indietro.

Cominciai con il cercare una cartina aggiornata: i dispenser contenevano una quantità industriale di mappe, ne presi una e la confrontai con quella che avevo tra le mani. Non ci volle molto: era bianca.

Non riuscii a trattenere una risata. Certo, ero abbastanza disperato in quel momento, ma non potevo smettere. Non capivo cosa si fosse impossessato di me, perché presi a ridere senza riuscire a frenarmi. Risi talmente tanto che fui costretto a sedermi a terra, con le lacrime agli occhi e un crampo allo stomaco.

Strappai la mappa bianca e chiusi gli occhi, sicuramente aprendoli avrei ritrovato lo squallido venditore di Burrobirra. Ascoltando attentamente sentii un rumore, come se qualcuno vicino a me fosse stato intento a tagliare una siepe.

Mi alzai in piedi a occhi chiusi, sicuramente nel vedermi mi avrebbero scambiato per uno stupido, ma poco m’importava: quel rumore esisteva, io lo sentivo e intendevo individuarlo, per poi seguirlo.

Quando aprii gli occhi, vidi che di fronte a me sedevano due bambine, l’una di fronte all’altra su una panchina, potevo inquadrare il viso solo di una delle due, che mi osservava sorpresa.

Avevano tra le mani dei fogli che stavano tagliando in varie forme.

“Ciao,” mi disse una delle due.

Io salutai con la mano, avvicinandomi lentamente. Sembrava che a loro non importasse della mia presenza. Stavano tagliando delle bambole di carta, ma non sembravano molto abili, infatti a terra era pieno di fogli strappati e di bambole prive di testa o di braccia.

“Cosa ci fate voi qui?”

“Aspettiamo il nostro papà, ci ha detto di imparare a tagliare le bamboline, e noi lo facciamo,” affermarono con naturalezza, in un modo che reputai strano, quasi meccanico.

In quel momento sentii una risata, mi voltai e vidi un uomo i cui occhi folli mi scrutavano attentamente: “Buongiorno signore, cosa ci fa nel mio labirinto?” disse con rabbia, io arretrai e mi voltai verso le bambine, che nel frattempo erano scomparse nel nulla: “Io... sono un ospite dell’hotel”

Una stupida risposta, mi sentivo inquieto, quella situazione non aveva nulla di normale: le bambine erano scomparse, l’uomo avanzava minaccioso. Per un attimo, temetti per la mia vita.

“Sa una cosa?” disse rivolto a me, per poi continuare a parlare: “Io odiavo quelle bambine, ma non avrei mai voluto far loro del male.”

Seguii il suo sguardo per vedere un lago di sangue e le bambine stese a terra in posizioni innaturali: “Non sono stato io, ma la voce che canta in me,” disse. Poi iniziò ad avanzare. Camminava lentamente verso di me, i suoi occhi erano minacciosi e lo strano uomo minaccioso non pareva intenzionato ad abbandonare il mio sguardo. Mi sentivo quasi ipnotizzato.

Sorrise e prese fiato: “La cosa è molto strana, non ha ancora cominciato a correre”, continuava a guardarmi negli occhi.

Io, che fino a quel momento ero rimasto paralizzato dalla sorpresa, iniziai a correre.

Non sapevo dove stessi andando, il labirinto era pericoloso, me ne rendevo conto, ma il folle fischiettava tranquillo. Quando lo vidi dietro di me, notai che aveva un’ascia fissata alla schiena.

Gridai terrorizzato, ma non sentii neppure io le mie grida, parevano essere risucchiate dal vento. Continuai a correre, inciampando e sbattendo contro le siepi, ma fui fortunato: probabilmente qualcuno lassù mi vuole molto bene perché riuscii ad uscire.

Fuori da labirinto tutto era normale: due streghe di mezza età mi guardavano sconvolte, probabilmente a causa della mia aria trafelata. Non c’era più traccia di quel pazzo.

Mi afflosciai a terra, incapace di muovere anche solo un altro passo.

“Theodore!”

   
 
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