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Autore: Furiarossa    05/11/2010    2 recensioni
«Il nostro universo non è del tutto infinito. L'universo è solo una sfera gigantesca della quale non possiamo vedere i contorni, così come di noi non può "vedere" i contorni, inteso come la fine della nostra massa, un atomo posato sulla superficie di uno dei batteri che colonizzano la nostra pelle.
Potete immaginare, per parlare in immagini semplificate, una palla di vetro gigantesca.
Si, proprio come quelle che si capovolgono e la neve cade.
Ora immaginate che l'involucro di vetro racchiuda al suo interno un oceano grande come tre o quattro volte il Pacifico. Ogni atomo di idrogeno presente in quel mare è uno degli innumerevoli mondi in cui possono svolgersi Storie differenti … e tenete presente che ci sono più atomi in un solo bicchiere d'acqua di quanti bicchieri d'acqua esistano in tutti gli oceani del pianeta Terra.
Tuttavia, anche se enorme, un universo finito non è allettante … finirebbe per essere esplorato tutto, prima o poi, fra un numero di anni tanto alto da non essere prevedibile, né calcolabile, quando tutti i calendari avranno perso un senso e nuovi mondi e nuovi tempi saranno venuti …
Eppure, anche una volta che l'universo fosse stato scoperto nella sua più piccola parte, quando i segreti di nuove forme di vita fossero stati illuminati e strane leggi fisiche e condizioni estreme sarebbero state archiviate come dominio pubblico, anche allora non si finirebbe comunque di esplorare …
Poiché oltre il nostro universo conosciuto, esistono gli Altri Mondi, quelli che comunemente si chiamano Universi Alternativi o Realtà Parallele.
Facciamo finta di allontanarci per allargare la vista: abbiamo sempre il nostro universo, una palla di vetro piena d'acqua, ma man mano che saliamo vediamo che intorno alla palla di vetro c'è un enorme mare di fuoco.
Allora, potreste pensare, intorno al nostro universo c'è una distesa di fiamme infinita?
La risposta è no.[...]
Fra improbabili situazioni ai limiti della fisica e occultismo, ecco a voi una nuova serie. Non è scritta interamente da me, sarò del tutto sincera, ma è in buona parte stata elaborata da una persona che in rete conoscono come "Magictaker" o "Magician" o ancora "Cristina"
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 2
Il Fratello

Il ragazzo scese dal treno. La stazione era immensa ed affollata. Aveva deciso di non viaggiare per nave a causa del suo mal di mare, ma neanche in questo modo riuscì a stare bene.
Odiava la sua resistenza fisica così debole, maledicendola maggiormente quando cominciò a tossire. Ci sarebbe mancato pure l'influenza in un tale periodo! Nell'affondare nei suoi pensieri, non si accorse del nero treno lasciatolo alle spalle, che fischiò per annunciare la sua partenza, muovendo ritmicamente gli ingranaggi sorretti dal potente carbone. Il baffuto capotreno urlò e il mezzo di metallo partì via per future mete. Il ragazzo colto alla sprovvista, saltò in aria per lo spavento ed inciampò a terra. Sentì le risate della gente intorno a lui. Maledisse la sua sbadataggine.
Raccolse in fretta e furia le valigie e si emerse nell'onda della gente per raggiungere l'uscita. I binari si trovavano all'aria aperta, ma per dirigersi verso l'uscita bisognava percorrere una lussuosa galleria, illuminata da enormi lampadari di diamante, che con la luce riflettevano i colori dell'arcobaleno sui bianchi muri e soffitto. Le pareti erano invase dai vari negozi, ornati di ingressi d'oro e venditori di costosi oggetti preziosi. Il pavimento era formato di mosaici, che si seguivano l'un l'altro, mostrando diverse scene, da leggendarie guerre, a momenti di vita di tutti i giorni. In tale spazio chiuso, ogni attimo milioni di persone passavano per viaggiare per diverse destinazioni, sfiorandosi tra di loro, senza conoscersi e per non vedersi mai più.
Diverse vite, esperienze, emozioni filtravano per quella galleria, e questa volta vi ci era la sensazione di soffocamento del povero ragazzo, il quale mal sopportava gli spazi troppo affollati, e non vedeva l'ora di uscire da tale luogo. Dopo pochi minuti finalmente vide la luce solare, e uscì dal mastodontico portone. Istintivamente espirò rumorosamente come di chi ritorna in superficie dopo una lunga apnea. Alzò lo sguardo per vedere il grosso orologio che si ergeva sopra la stazione, dominando con il suo sguardo tutta la piazza davanti. Era di dieci minuti in ritardo. Sperò che ciò non avrebbe causato problemi. Mentre era voltato verso l'orologio, una donna gli si avvicinò, e gli toccò la spalla. Il gesto inaspettato fece nuovamente saltare il giovane, al quale caddero le valigie. La donna rimase in silenzio, sentendosi a disagio per la situazione. Il giovane immediatamente si piegò per recuperare la propria roba, e, rosso in volto per l'imbarazzo, con una mano dietro la testa, leggermente inchinandosi, si scusò per la propria sbadataggine.
«Sono io in dovere di scusarmi» Rispose la donna.
Lo osservò: era un giovane, sulla trentina d'anni, con i capelli corti, ricci e rossicci. Aveva dei grossi occhi azzurri, che mostravano molta insicurezza di se stessi, ma anche molta bontà. Purtroppo il movimento del corpo mostrava anche segni di stupidità, confermati spesso dall'espressione del volto. Si stupì delle labbra, molto accese e delicate, quasi femminili. L'altezza era leggermente sopra la media, e il fisico era di robustezza normale, né troppo grosso, né troppo mingherlino. Indossava una camicia bianca, ornata con una cravatta nera e un discutibile completo di giacca e pantaloni verdi bottiglia. Era evidente che non era molto pratico del bon ton e della moda aristocratica.
«E' lei il signorino Woolf?» Domandò.
Lui si stupì, non avrebbe mai pensato che ad attenderlo ci sarebbe stata una tale donna, sulla cinquantina, con i capelli lunghi e mossi di un biondo scuro, quasi cenere. Indossava una elegante giacca femminile rosa, dalla quale si intravedevano i ricami della candida camicetta. La gonna chiara le copriva interamente le gambe, e a malapena si poteva comprendere che genere di scarpe indossasse. Lo sguardo degli occhi grigi che attraversava le lenti dei minuti occhiali mostrava determinazione, severità, aristocrazia e intolleranza per gli errori. Il giovane si sentiva inquieto. Con la voce tremante spiegò
« Mi scuso, ma non credo di conoscerla»
«Io sono la professoressa McDotter» rispose fieramente «Sono qui per venirla a prendere e condurla nel nostro importantissimo e affermato istituto per volere della signorina Woolf.»
«Come mai non è venuta mia sorella?»
«La signorina Woolf è impegnata in una importante ricerca scientifica, si scusa per non essere potuta venire a prenderlo lei stessa come invece desiderava.»
Il signorino annuì soltanto. L'insegnante lo condusse presso l'auto che li avrebbe portati alla meta. Si sedettero entrambi nei sedili posteriori, e la professoressa ordinò all'autista di partire. Il signorino Woolf si perse nuovamente nei suoi pensieri. Tutti i geni intelligenti li aveva ereditati la sorella! Nonostante fosse più piccola, ebbe più successo del fratello. Egli non era geloso, anzi, gioiva per ogni riuscita di lei. Era la studentessa modello della scuola, e aveva dei privilegi rispetto ai suoi colleghi. Aveva una tale nomea che perfino una professoressa come la signora McDotter si rendeva disponibile a renderle i più diversi favori, come appunto prendere alla stazione il fratello.
E per nessun studente, tranne lei, avrebbero mai prestato l'auto dell'istituto, così nera, elegante, con i due piccoli faretti iniziali e le ruote che rendevano quella macchina particolare. Ogni volta che si scrivevano per lettere, lei gli annunciava sempre più entusiasmata che presto sarebbe diventata una futura docente. Aveva fatto un'importante scoperta, che doveva solo mettere in pratica, e presto avrebbe avuto una cattedra tutta sua. Forse si trattava di questo esperimento.
Lei sarebbe divenuta la docente più giovane della storia, e lui il fratello disoccupato, sfortunato e senza futuro della docente più giovane della storia. E quando finalmente sarebbe giunto il giorno desiderato, il loro padre avrebbe visto l'ennesima volta la figlia con gioia a orgoglio, e l'ennesima volta il figlio con rimprovero. Ma di questo non gli importava. Era contento per la sorella. L'unica cosa di cui si dispiaceva era deluderla. Percepiva quella sensazione, e gli aumentò quando i soldi per il viaggio dovette darli lei.
Il vestito almeno era riuscito a comprarlo lui, sperava di far bella figura in un mondo a lui sconosciuto.
In circa mezz'ora arrivarono.
La macchina si fermò di fronte all'alto cancello d'argento. A quella visione il signorino non poté fare a meno di tenere la bocca spalancata, per poi chiuderla immediatamente con vergogna quando si accorse dello sguardo arrabbiato della professoressa per tale maleducazione. Il cancello aprendosi, esibì il curato e inimmaginabile giardino, ornato di fontane, cespugli raffiguranti uomini filosofi e di scienza, e il prato di un verde acceso. La piccola stradicciola al centro conduceva alla scuola.
«Si muova, prego» Ordinò schietta la McDotter.
Lui a malapena riusciva a camminare, intrappolato nello stupore. Quello era solo l'ingresso, l'edificio doveva quindi essere qualcosa di sublime. La voglia, però, di rivedere al più presto la sorella gli diede la forza di non fermarsi e proseguire. Presto si sarebbe incontrati. La gioia lo invadeva!
«Aspettami mia piccola Claire» esclamò «Presto ti potrò riabbracciare!».
La scuola era una cosa incredibile, impossibile, una specie di fusione fra un chiosco arabo e la bellezza greca dei templi. Tutto era luce ed aria, le particelle di polvere vorticavano di fronte agli occhi del ragazzo con la grazia di simboliche farfalle, quasi a simboleggiare le materie che galleggiano nella luce perpetua della conoscenza.
E così, il piccolo Woolf, entrò in quel mondo accademico.
Lui credeva fosse un mondo serio, irraggiungibile, aulico e solenne, come un vecchio poema greco pieno di grasse parole dal significato glorioso. Se ne stava composto, cercando di fare bella figura pur nella sua umile normalità e sperando che lo accettassero.
Ma la realtà era ben diversa da quella che lui immaginava e l'istituto, sebbene avvolto da quell'austerità tipica delle università, non era il ritrovo dei grandi sapienti imbacuccati e seri destinati a diventare professori di materie teoriche.
Un grosso studente bruno, una specie di armadio tutto muscoli in tuta da ginnastica nera, sfrecciò di lato al ragazzo, guardandolo con gli occhi socchiusi. Era come se pensasse "Ma questo che ci fa qui?".
Il signorino Woolf, però, non se ne accorse. O meglio, non si accorse dello sguardo del giovane, visto che era impossibile ignorare la massa che sibilò al suo fianco quando sfrecciò come un cavallo da corsa e si perse oltre le alte colonne spesse di marmo bianco.
Altri gruppi di studenti, tutti vestiti con uniformi lunghe e di gradazioni di colore diverse, erano ammucchiati agli angoli delle gradinate e dietro le colonne, chiacchierando animatamente di cose che il ragazzo ancora non poteva capire.
Poi un uomo alto e distinto gli venne incontro.
Aveva la barba rossiccia, spruzzata di bianco, e gli occhi di un azzurro scuro che tendeva al grigio, un colore apparentemente slavato, ma che se visto da vicino dimostrava una certa, straordinaria, profondità. L'uomo vestiva di nero, come la maggior parte dei professori ed alcuni studenti, con una cravatta a piccolissimi pois rosso carminio disposti in un disegno rigidamente ordinato, e il colletto della camicia stranamente sollevato a nascondere la parte inferiore delle guance e i lati della gola.
«Oh, buongiorno messere» Salutò la McDotter, con un tono quasi adulante
«Buongiorno» rispose l'uomo, fissando i suoi occhi acuti sul giovinetto a lato della sua collega «E chi è il nostro ragazzo»
«Il signorino Woolf» rispose prontamente la professoressa «Il fratello di …»
«Ma certo» la interruppe lui, il cui sguardo ormai scintillava di piacere «Abbiamo già una Woolf nel nostro accreditato istituto. Una mente brillante, assolutamente brillante» scosse leggermente la testa e la barba ispida delle guance strusciò contro il colletto evidentemente inamidato «Se lei, signorino, è altrettanto intelligente come sua sorella, non ho dubbi sul fatto che sarà il benvenuto nella nostra scuola» gli tese una mano.
Il giovane la strinse, sorridendo sforzatamente. Nonostante la sua espressione non molto intelligente, quel sorriso stentato aveva un che di tenero e quasi sensuale, ma divenne una smorfia leggermente addolorata quando la mano del professore, grossa e calda, strinse troppo le dita del ragazzo.
«Io sono Paul Genovesi, docente di occultismo, specializzato in vampirismo» Si presentò l'uomo, con una certa enfasi sottolineata ancora una volta dalla sua stretta stritolante.
Il signorino Woolf pensò che dovesse essere pazzo … bah, vampirismo. Non esistevano cose come il vampirismo e l'occultismo, gli aveva detto sempre suo padre, era una cosa per malati di mente.
Il signor Genovesi guardò sul suo dorato orologio, con il cinturino di pelle marrone. A quella vista Woolf pensò che con un tale oggetto di valore si sarebbe addirittura potuto comprare una casa. Il docente esclamò stupito
«Si sta facendo tardi per la riunione. Signorino Woolf, mi farebbe enorme piacere se lei si unisse a noi. Sarebbe interessantissimo udire le opinioni che ha da offrirci niente poco di meno che il fratello maggiore della signorina Woolf»
Il giovane comprese che doveva trovare una scusa gentile per rifiutare l'invito
«Mi farebbe piacere assai, ma dopo il lungo viaggio avrei il forte desiderio di vedere mia sorella il più presto possibile»
Il che fu anche vero. L'altro mostrò un'espressione deludente, forse si era dispiaciuto per la risposta, pensò il giovane. Egli, però, ne spiegò immediatamente la ragione
«In questo momento la signorina è impegnata in un esperimento scientifico. E' impossibilitata ad incontrarla, ma credo che finita la riunione anch'ella avrà concluso e vi potrete incontrare. Perciò non si preoccupi, e mi segua».
Il signorino comprese di non avere scelta. Sperava solamente di non fare brutta impressione. La professoressa McDotter era invece compiaciuta della situazione: era intrigante osservare come si sarebbe comportato il giovane.
Non camminarono molto. Si addentrarono in un'ampia aula, preceduta da un'immensa porta. Woolf si sorprese che in tale sublimità la porta, anche se imponente, fosse solo di legno, dovette poi cambiare idea nell'osservare che all'interno la porta era a vetro e si osservava l'esterno. Era un genere di incantesimo che egli non conosceva assolutamente, come d'altronde molte cose del mondo a lui ignare. L'aula aveva mura alte e bianche marmoree, con ampie finestre che mostravano il giardino, e una cupola al soffitto che completava l'opera. Entrando, si aveva alla propria sinistra una possente cattedra, al quale era seduta una donna. Ne poteva osservare solo i capelli scuri lunghi, giacché il volto era abbassato intento a leggere chissà cosa. Il resto della stanza era colmo di posti a gradino, addobbati di poltrone rosse e banchi.
Vi ci erano seduti i vari insegnanti. Era una elegante aula universitaria. Solo i due docenti mancavano ancora all'appello. Si sedettero, e anche Woolf, scegliendo il posto più vicino possibile alla porta, nella speranza di non passare osservato, e nel caso sarebbe servito di fuggire facilmente e molto, molto velocemente.
Ci fu un leggero chiacchiericcio tra i colleghi, che si interruppe immediatamente quando la docente che presiedeva la cattedra alzò lo sguardo.
«Colleghi e colleghe» pronunciò Kate «Siamo qui riuniti oggi per discutere dei vari punti giornalieri. Siamo pronti a cominciare?»
Un secco e deciso «sì» fu esclamato dai docenti.
Kate annuì
«Bene, cominciamo dal primo punto: promozioni e bocciature degli studenti, e apertura con annessi nuovi iscritti del prossimo anno»
La riunione parve fin da subito lenta e tanto, tanto noiosa. Woolf non poteva credere a ciò che stava assistendo. Un ammasso di burocrazia inutile e odiosa. Ogni docente che interveniva era un blaterare continuo ed insensato per il povero giovane. Quanto tempo era passato? Delle ore interminabili? Pregava che la riunione si concludesse al più presto, ma l'ultimo punto catturò la sua attenzione
«Settimo e ultimo punto» dichiarò Kate «L'esperimento in corso del professor Participius e della studentessa Woolf»
Il fratello si inquietò quando sentì nominare la sorella. Si concentrò per comprendere meglio cosa stesse succedendo.
Un docente, obeso per l'avanzata età e con folti baffi bianchi, si espresse
«Non comprendo cosa ci sia da discutere. Già nella precedente riunione se n'è dibattuto, e il professor Participius ha spiegato in maniera ineccepibile i suoi studi e io non posso che essere d'accordo. D'altronde, signora Kate, mi stupisco di lei. Lei stessa nelle sue lezioni insegna i viaggi tra universi paralleli, e poi condanna il loro studio pratico. E' contraddittoria, a mio dire»
Gli occhi di Kate scintillarono nell'accettare la verbale sfida
«Io sto insegnando i viaggi tra i diversi universi, giusto, ma quello che il professor Participius sta creando non è solo un semplice mezzo per muoversi tra essi. Già la nostra scuola è in grado di usufruire di tale tecnologia. Proprio a lei, signor Medcer, docente di scienze, devo spiegare la formazione del nostro universo?»
«Non comprendo cosa c'entri questo» era turbato
«C'entra giacché le ricordo che il nostro universo è formato per il settantaquattro percento da "energia oscura",  il ventidue percento da "materia oscura" e solo il quattro percento dalla parte visibile e/o comprensibile: atomi, molecole, particelle, radiazione ecc ecc. Insomma il novantasei percento della realtà è fatto di qualcosa di cui non sappiamo nulla salvo il fatto che esiste. Comprende come già sia misterioso solo il nostro di universo. Inoltre le ricordo dell'immensa voragine che si è creato nell'universo di ben 900 milioni di anni luce di grandezza. E' stata causata perchè un altro universo ha superato il nostro, vi ci è entrato. Non vogliamo certamente invadere gli altri universi, vogliamo conoscerli, studiarli, ma non distruggerli. Un minimo errore e rischiamo di causare un secondo Big Bang.»
«Ma il professor Participius ha creato, mostrandocela, una macchina che non intacca gli equilibri degli universi»
«Mi faccia finire di parlare» fu brusca «Il professore Participius non vuole di certo distruggere gli universi, ma sta creando dei collegamenti tramite la materia oscura, la quale ho presentato all'inizio. Come possiamo fare esperimenti su energie e materie a noi ignote? Per anni questo istituto ha severamente vietato la manipolazione dell'energia e materia oscura, e all'improvviso tutti i docenti sono favorevoli a tale cosa. Non sappiamo nulla a quali conseguenze potrebbe portare tale esperimento. E che conseguenze vantaggiose potrebbe portare a Participius, o dannose per noi»
L'aula cadde in silenzio. Un freddo brivido la invase. Woolf fu terrorizzato dal discorso. Non aveva capito assolutamente nulla, solo che un pazzo faceva sperimenti folli e sua sorella ne era coinvolta. Doveva reagire. Stava per alzarsi e parlare, ma Genovesi lo precedette
«Signora Kate il suo discorso mostra ancora una volta la sua infinita cultura e sapienza» Iniziò «Però sono contrario di fronte alle sue affermazioni. L'oscuro fa parte dell'essere umano, come vi è nell'uomo, vi è nella natura e nell'intero universo. Ho sempre insegnato e sempre insegnerò ai miei allievi che bisogna apprendere, accettare, e anche amare la nostra parte di anima dannata, e non ritengo vi ci sia ragione di non farlo anche con l'universo. Come lei ha già spiegato questa materia oscura è anche energia oscura, energia che se compresa potrebbe tornarci utile. Se l'umanità avesse sempre seguito il suo ragionamento, per paura del rischio non avrebbe mai scoperto né il fuoco né l'elettricità né qualunque altra cosa, e non si sarebbe mai evoluta. Il professore Participius e la signorina Woolf sanno di correre un immenso pericolo, e io rispetto il loro coraggio. Perciò approvo che l'esperimento continui».
«Anch'io approvo» Ripetè il dottor Medcer, e con lui tutti gli altri.
Kate non poté far altro che accettare la decisione. Aveva il ruolo dominante dell'istituto, ma si decretava per maggioranza. Una volta solo si urlò un possente no. Si voltarono, si trattava del giovane Woolf
«Non mi importa dell'esperimento, scienza, evoluzione, e roba oscura. Mia sorella non deve essere in pericolo!»
«E lei chi è?» domandò sorpresa Kate
«E' il signorino Woolf, fratello della signorina» spiegò brevemente la McDotter.
A Kate non parve vero di avere di fronte proprio il fratello della Woolf. Si rese conto di avere dalla sua un alleato che l'avrebbe aiutata a far finire tale follia.
«Senta giovanotto, lei deve comprendere...»
«Non comprendo nulla!» il ragazzo aggredì il baffuto insegnante «Voglio solo che mia sorella stia bene!»
«E le prometto che starà bene» lo rassicurò Kate avvicinandosi, e si presentò.
Gli spiegò che la sorella era in laboratorio, e probabilmente avevano già terminato e lei sarebbe stata ben lieta di condurlo lì. Woolf, ansimante annuì soltanto con la testa, e i due uscirono dall'aula.
Tutti i professori rimasero senza parole per la scena, e Genovesi rimase molto deluso nel capire che il signorino non era intelligente come credeva.

Il laboratorio era scuro, e invaso del perenne rumore delle ventole. La signorina Woolf sentì il pavimento scomparire all'improvviso, e si sentì galleggiare nel vuoto.
Non vide intorno a se neppure il professore. Voleva urlare, ma non ci riusciva. Il nero invadeva il suo sguardo. Improvvisamente una luce blu scuro le comparve davanti. Non comprendeva cosa fosse. Voleva avvicinarsi, ma non poteva muoversi. Quando inaspettatamente un'oscura mano uscì dalla luce, la stava per afferrare e...
Ed ella ritornò nel laboratorio. Si guardò intorno terrorizzata. Non era mutato nulla. Si volse verso il professore, era furioso
«Dannazione! Dannazione! Neanche questa volta ha funzionato! Niente! Non è accaduto niente!»
Woolf non poteva credere alle sue orecchie: quell'esperienza l'aveva vissuta solo lei?
«Professore, forse se teneva accesa ancora un po' la macchina.»
«Per cinquantaquattro minuti l'ho tenuta accesa, cinquantaquattro e niente!».
Lei non poté crederci. Le pareva essere passati pochi attimi, e invece era passata quasi un'ora. Cosa diavolo le era successo? Participius vide il suo volto spaventato
«Lei ha visto qualcosa? Cosa?»
«Io... Io non lo so...» balbettava
«Dimmi cosa hai visto, devo saperlo!».
Avrebbe fatto di tutto pur di scoprirlo, di sapere perchè con lei avesse funzionato e a lui no. E cosa aveva funzionato poi. Ma furono interrotti dalla porta che si spalancò
«Claire!»
«John!» gridò.
Mai come in questo istante era felice di vedere il fratello. Si abbracciarono.
Lui percepì che la sorella era scossa
«Tutto bene?» chiese preoccupato
«Sì, solo vorrei tornare nella mia stanza»
«Ma certo!» e l'accompagnò.
Participius era arrabbiato, ma dovette calmarsi quando di fronte a lui apparve Kate. La donna non si mostrava meno rabbiosa di lui, e sapeva benissimo che sarebbe iniziato presto un diverbio.
Claudius inspirò a fondo, dilatando le narici come un toro infuriato. I suoi lineamenti si contrassero per un attimo con rabbia, in una smorfia feroce, ma immediatamente l'autocontrollo ferreo che si imponeva sin da giovanissimo ebbe il sopravvento.
Kate gli si avvicinò e lo guardò negli occhi, notando immediatamente la sua rabbia
«Cosa è successo?» scandì lentamente, in tono più neutro possibile.
Claudius Participius, non più il professor Participius, in quel momento si rivide bambino. Rivide se stesso alto un metro e venti, ancora magro, seduto sulla propria sedia di legno scuro sulla quale aveva appuntato le formule matematiche. E poi lei, sempre lei, la regina dei Druidi, che si avvicinava. Quando lui era ancora un bambino, la regina non era Kate, quella che ora si fregiava del titolo di Signora del Sapere era la reincarnazione di quella che lui aveva conosciuto da bambino …
Ma lui ricordava benissimo il volto senescente e lo sguardo acuto, infossato in orbite molli, di quella vecchia che lo studiava. Lui aveva avuto paura, la prima volta che la aveva vista, percependo il campo di energia e la grande saggezza di quella vecchia che, curva, avanzava verso di lui scortata da due uomini enormi. E poi c'era quel mostro, il Ministro, che proteggeva sempre la regina dei Druidi, camminando rispettosamente un passo dietro di lei. Faceva paura, quell'uomo, era anche più grosso delle due guardie del corpo e aveva un giubbotto nero che faceva paura, oltre a quell'orribile cravatta a disegni viola geometrici che, se la guardavi bene, sembrava ritrarre un occhio mostruoso.
La regina si avvicinava e lo toccava con le sue mani … quelle sue mani rugose … lui cercava di non fissare le dita che si abbattevano sulla sua testa, accarezzandogli i capelli scuri …

E all'improvviso la realtà. Kate non era certo quella vecchia che Claudius aveva conosciuto da bambino, ma lui continuava ad averne ugualmente paura. Gli occhi erano gli stessi, così terribilmente intelligenti, ma no … quello era niente … quegli occhi erano terribilmente antichi, come lo sguardo di un fantasma che aveva cavalcato attraverso le ere storiche, portandosi sulla cresta della battaglia, per giungere fino ad oggi e reincarnarsi in una giovinetta apparentemente innocua.
Ma Claudius non credeva che lei fosse innocua …
«Non è successo nulla che sia degno di nota, non temete» Mentì, cercando di sembrare il più naturale possibile.
Kate lo guardò con uno sguardo che sembrò trapassarlo da una parte all'altra, i suoi occhi castani e acuti si fissarono contro le pupille dell'uomo con una ferocia inaudita, che però non contagiò nessun'altra parte del suo volto, il quale rimase sereno come sempre
«Qualcosa, invece, è accaduto, professore … o meglio, Claudius».
Il professor Participius, al sentirsi chiamare per nome, temette l'arrivo di un altro doloroso flashback della propria infanzia, ma che per fortuna non venne mai.
«Kate» Disse, usando come sfida quel chiamarla per nome con asprezza «In realtà, hai ragione, qualcosa è accaduto. Per un solo istante, uno solo, sembra che la macchina abbia funzionato …»
«Avete viaggiato attraverso la materia oscura?» chiese Kate, con stupore «Come è possibile che vi sia riuscito con tanta semplicità? Ci sarebbero dovuti essere … anni di studi teorici prima di riuscire in un'impresa simile».
Il professore sospirò, scuotendo piano la testa. Un paio di ciocche nere gli sfuggirono sulla fronte sudata.
Gli sarebbe piaciuto moltissimo che fosse andata come pensava lei …
  
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