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Autore: Macchia argentata    06/11/2010    16 recensioni
Fanfiction breve, di soli tre capitoli autoconclusivi, ambientati in diversi spazi temporali all'interno della vita di Oscar e Andrè. Leggibili singolarmente ma legati tra di loro da un unico filo conduttore: cosa spinge Oscar, nel corso degli anni, a cercare conforto sempre nello stesso luogo, la stanza di Andrè?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Luce2 Con il gelo nella mente, sto correndo verso te.
Siamo nella stessa sorte, che tagliente ci cambierà.
Aspettiamo solo un segno, un destino, una verità…
E dimmi come posso fare, per raggiungerti adesso.
(Gocce di memoria, Giorgia)


Febbraio 1783

Tutto il gelido freddo di quell’ostile inverno lo sentivo nelle ossa e nei polmoni, quella notte, mentre cavalcavo lentamente verso casa. Le strade erano ghiacciate e cumuli di neve sporca si trovavano ammassati agli angoli delle vie di Parigi. Sporca, proprio come la mia coscienza. Nera, come la mia anima in quel momento.
Tirai le redini, intimando all’animale di rallentare la sua corsa, mentre gli zoccoli affondavano nella soffice coltre che andava formandosi ininterrottamente, rendendo il terreno instabile e scivoloso.
Se fossi caduto in quel momento, non ero certo del fatto che sarei poi riuscito a rimettermi in sella.
Non con tutto l’alcol che avevo in corpo quella notte.
Immagini annebbiate e confuse di una sudicia locanda fiocamente illuminata dalle lanterne mi balenarono per un attimo davanti agli occhi, mescolandosi con il sapore dello scadente rum che avevo ingurgitato a più riprese, e con la sensazione di un corpo pesante adagiato sulle mie ginocchia.
Un rossetto troppo rosso per quel viso pallido di cipria, in cui spiccava un falso neo.
“E allora, cosa ci fa un bel damerino come te, in un posto come questo?”
Ricordi confusi. Abiti vistosamente colorati e incredibilmente scollati, parrucche ingombranti.
“Se cerchi compagnia, chérie , sei nel posto giusto…”
'Fin dove può sprofondare la miseria umana? Quali abissi può raggiungere l’anima prima di dissolversi?'
“Altro rum, garconne!”
Forse, almeno per quella notte, pensavo, avrei potuto fingere di essere anche io ad una festa.
Un gran ballo a Versailles.
Dopotutto, dovevo considerarla una serata libera, visto che la mia presenza a palazzo come accompagnatore era stata dispensata…

Tirai le redini appena in tempo affinché il cavallo imboccasse la strada giusta al bivio che portava a palazzo  Jarjayes; non sentivo più le dita delle mani dal freddo, e cominciavo a vedere in maniera sfocata quanto avevo davanti.
“Sei proprio ubriaco, Andrè…” borbottai tra me e me, mentre le immagini di quella serata tormentavano la mia mente.

Avevo afferrato la vita della mia accompagnatrice. Il suo abito era scarlatto e i suoi occhi di uno sbiadito color nocciola, ma nella mia follia, quell’abito era candido come la neve che ora ricopriva Parigi, e quegli occhi due limpidi cieli tersi.
Sentivo le mie mani ripercorrere curve sinuose e sconosciute, ansiose, bramose di possedere in realtà un altro corpo, più snello e longilineo. Le vedevo cercare di sprofondare smaniose in una massa di setosi riccioli biondi e sfiorare invece una stopposa parrucca imbellettata.

Attraversai il cortile del palazzo, e mi lasciai scivolare davanti alla casa. Il cavallo, se voleva, ci avrebbe pensato da sé a ritrovare la strada per le scuderie perché, nonostante percepissi la flebile protesta della mia coscienza davanti a quell’atto di negligenza, mi sentivo in realtà troppo stanco e ubriaco per fare alcun che.
Mi trascinai fino agli scalini, e lì rimasi, supino, a rimirare gli scomposti fiocchi di neve che leggiadri si posavano su di me, sciogliendosi istantaneamente al contatto con la pelle accaldata del mio viso. Dalla giacca estrassi una piccola fiaschetta, che mi ero premurato di rimboccare alla taverna, e brindai a me stesso, trangugiandone una sorsata abbondante.
“Alla tua, stolto che non sei altro! Stupido imbecille…”
Che cosa credevo di aver risolto, con la mia serata trasgressiva?
Non erano le mie mani quelle che avevano percorso il corpo di Oscar, quella notte.
Non erano le mie braccia, quelle che l’avevano tenuta stretta.
Io avevo avuto solo il suo fantasma al mio fianco, nell’oscurità di quella serata. Povero illuso.
Voltai il viso verso la sua finestra, spenta. Sentivo la neve, che aveva iniziato a inzupparmi il retro della giacca, artigliarsi come una mano ghiacciata sulla mia guancia.
Levai la fiaschetta al cielo blu. A quella sua finestra crudelmente buia.
‘Dove sei Oscar? Sei ancora con lui? Sei tra le sue braccia, in questo momento?
Diavolo! Persino un tipo poco sveglio come il conte non poteva non rendersi conto di quanto eri…di quanti sei bella, dannatamente bella, questa sera.’
Il pensiero di come l’avevo vista scendere le scale fasciata in quel vestito d’avorio, per poi dirigersi in carrozza da un altro uomo mi dava il tormento da interminabili ore, ormai.
“Alla tua, contessa!” esclamai, prima di versarmi in gola un altro abbondante sorso.
Che accidenti poteva pretendere in tipo come me?
‘Se mi addormentassi su questi scalini…’
Fu un pensiero fugace. La neve aveva già cominciato a ricoprirmi, in quel suo strano silenzio, fatto di strazio e purezza.
Un lieve torpore cominciò ad impadronirsi di me.
‘Si, se mi addormentassi su questi scalini, morirei sotto alla tua finestra…E non me ne accorgerei nemmeno…’
Chiusi gli occhi ed emisi un sospiro…
Ultimamente, mi era capitato spesso di pensare alla morte come ad una possibile via di salvezza. Ma a conti fatti, la vita aveva sempre la meglio.
Così, stancamente, mi sollevai, e barcollando cercai l’entrata, lasciandomi alle spalle il muto richiamo di quella gelida e seducente libertà.

Percorsi ciondolando i silenziosi corridoi della casa fino ad arrivare alla porta della mia stanza, lieto di non aver incontrato mia nonna che eseguiva una ronda, durante il tragitto, ma maledicendomi mentalmente per non aver aggiunto qualche ciocco di legna al caminetto prima di uscire, e abbassai la maniglia.
Al buio raggiunsi la grande cassettiera addossata alla parete e vi appoggiai i gomiti, sostenendomi. Mi passai entrambe le mani sugli occhi, e rimasi immobile per qualche istante, cercando di riordinare i confusi pensieri che mi si affacciavano nella mente. L’unica cosa che desideravo era che quella notte finisse il prima possibile, e che tutto ciò che si agitava nel mio animo si assopisse di colpo. Ma soprattutto, mi auguravo di cedere all’oblio del sonno il prima possibile, perché mi terrorizzava l’idea di girarmi e  rigirarmi tra le lenzuola nell’attesa di sentire le ruote della sua carrozza che rientravano cigolando nel cortile. Non volevo sapere a che ora sarebbe ritornata.
Mi posai le mani sulle guance ed emisi un sospiro che si tramutò in una evanescente nuvoletta di condensa. Sentivo il freddo intenso della giacca bagnata a contatto con la mia schiena, il mio respiro pesante e irregolare, le ombre blu che si riflettevano sullo specchio della cassettiera…
Quando, improvvisamente e inspiegabilmente, una strana sensazione si impossessò lentamente di me.
Non era solo il mio respiro ad agitare l’aria di quella stanza, e non era solo il mio cuore a battere.
Levai gli occhi alla specchiera che mi stava dinnanzi, e il mio sguardo incrociò altri occhi, che mi scrutavano silenziosi, alle mie spalle.
Oscar sedeva immobile sul pavimento, la schiena addossata al mio letto, le ginocchia strette al petto, gli occhi fissi nei miei attraverso lo specchio.
Potevo vedere anche in quel riflesso la tempesta che si agitava taciturna dietro quelle iridi di ghiaccio.
Restammo immobili a fissarci per qualche secondo. Attimi che mi parvero secoli.
Notai che indossava i suoi abiti da casa: pantaloni e camicia, più una vecchia giacca lisa, di cui si stava probabilmente servendo per ripararsi dal freddo pungente dell’ambiente circostante.
I capelli erano sciolti, ma conservavano ancora una traccia statica della recente acconciatura, la prima che Oscar avesse mai portato in tutta la sua vita. Intorno al suo viso, tuttavia, quelle onde  perfette e composte, arricciate ad arte, le davano un aria che trovavo in qualche modo…‘sbagliata’, seppur affascinante. Semplicemente, non le apparteneva.
Mi voltai lentamente verso di lei, interrompendo il nostro contatto visivo giusto per una frazione di secondo.
“Oscar…” mormorai, con voce leggermente impastata “Cosa…Cosa ci fai qui?”
Gli occhi di Oscar indugiarono nei miei ancora qualche secondo, quel tanto che bastò per farmi scorgere una muta richiesta di soccorso, poi spostò lo sguardo in un punto imprecisato del pavimento al suo fianco, mentre un lieve e mesto sorriso si dipingeva lentamente sulle sue labbra.
“Mi nascondo” rispose semplicemente, come le migliaia di altre volte in cui si era presentata quell’occasione.
Forse non avrei dovuto sorprendermi più di tanto. Quante volte, in passato, mi era capitato di aprire la porta e trovare Oscar rannicchiata nella mia stanza? O di sentire un lieve bussare nel cuore della notte, e vederla sgusciare silenziosamente, come un fantasma, per venire ad raggomitolarsi al mio fianco?
Ma gli anni erano passati…e molte cose erano cambiate.
Immobile e silenzioso, guardai Oscar appoggiare lentamente la guancia alle ginocchia, e con la punta dell’indice percorrere il bordo del bicchiere di vino quasi vuoto che aveva appoggiato al suo fianco.
Si, molte cose erano cambiate, soprattutto nei nostri cuori. E io non ero del tutto sicuro che sarei riuscito ad essere per lei, in quel momento, lo stesso Andrè di sempre, quello che l’accoglieva a braccia aperte senza giudicare e senza parlare, perché anche il mio cuore sanguinava, ma io, su quale spalla avrei potuto piangere?
Combattuto sul modo in cui avrei dovuto comportarmi mi passai stancamente la mano sulla fronte.
“Oscar…è molto tardi, e francamente io…” mormorai, omettendo di proposito qualsiasi riferimento alla serata in cui per la prima volta aveva partecipato ad un ballo vestita da donna. Non volevo saperne niente.
 “Già. È molto tardi…mi chiedevo dove fossi andato con tutta questa neve…” lo disse lentamente, quasi sussurrandolo a se stessa.
Sentivo la testa pesante e le gambe molli, mentre la giacca fradicia e gelata cominciava ad attaccarsi alla mia schiena, trasmettendomi una sensazione tutt’altro che piacevole. Non ero affatto sicuro di cosa avrei potuto dire o fare nello stato in cui mi trovavo.
“Pensavo di avere la serata libera, sai…dopotutto non hai chiesto che ti accompagnassi a palazzo, perciò…”
“Andrè…” il tono di Oscar tradiva un leggero tremolio. Probabilmente, quello al suo fianco non doveva essere il primo bicchiere della serata. Mi chiesi a che ora fosse rientrata per aver avuto il tempo di cambiarsi, farsi due o tre cicchetti, e raggiungere la mia stanza. Probabilmente, la serata non doveva essere andata esattamente nel modo in cui lei aveva sperato.
“Andrè” ripetè  “Vieni a sederti qua, vicino a me” bisbigliò, battendo un paio di volte la mano al suo fianco.
La osservai dubbioso. Presumibilmente, i cicchetti dovevano essere stati più di due o tre, e se Oscar aveva bevuto per lo stesso identico motivo al quale anche io mi ero attaccato alla bottiglia, quella sera, la nostra situazione assumeva una certa macabra sfumatura ironica.
Tuttavia decisi di assecondarla e attraversato il breve spazio che ci separava scivolai lentamente seduto al suo fianco.
“Pessima idea…” constatai dopo alcuni secondi, rigirandomi fra l’indice e il pollice il suo calice semivuoto. Il rumore del bicchiere che ruotava sul pavimento risuonò tetro in quella bolla di silenzio perfetto e assoluto che circondava me e Oscar.
“Potrei farti la stessa osservazione…” replicò lei, posando una mano sulla mia e bloccando quel movimento dal suono tanto invasivo.
La sua mano indugiò alcuni secondi, anche dopo che la mia si fu fermata, ma il suo sguardo non era rivolto a me quando mormorò: “Hai le mani gelate…E la giacca inzuppata. Sei caduto da cavallo? Dovresti cambiarti se non vuoi prendere una polmonite…”
Non mi sembrò ci fosse bisogno di una risposta, provai perciò ad afferrarle le dita della mano, che teneva ancora appoggiata sulla mia, ma lei la scostò rapidamente, ed io la sentii sgusciare dalla mia allontanando da me qualsiasi tenue fonte di calore, proprio come quando il sole tramonta, e una sensazione di freddo e gelo prende il posto del caldo tepore dei raggi solari a contatto con la pelle.
Sentii montarmi dentro un certo risentimento, alimentato soprattutto dal rum e dal bourbon che avevo in corpo.
Mi voltai verso di lei. Guardava fisso davanti a sé, intorno agli occhi un alone scuro di qualche tipo di belletto sbavato, mentre le labbra piene conservavano ancora il color ciliegia del rossetto che aveva indossato quella sera. Improvvisamente le immagini della mia serata alla locanda si sovrapposero a quelle di quella nuova e strana creatura che sedeva in quel momento al mio fianco, e una dolorosa forma di eccitazione mista a rabbia si impadronì di me. Non mi ero mai sentito tanto pericoloso per lei come in quel momento in cui non sapevo se sarei riuscito a controllarmi. Volevo disperatamente averla e allo stesso modo volevo che si allontanasse il prima possibile.
Sentivo la mia anima scalciare e dimenarsi al punto che per alcuni istanti pensai che mi sarei spezzato in due per la tensione.
Poi Oscar parlò, e quell’attimo di terrore e follia defluì in me, lasciandomi confuso e smarrito dai miei stessi sentimenti.
“E’ stato uno sbaglio Andrè. Una farsa disgustosa…Ero ridicola.”  si voltò verso di me e i suoi occhi mi scrutarono alcuni secondi, e in quel momento la vidi, la fiamma che si accendeva e ardeva in quelle iridi di ghiaccio. Cercai di ricambiare quello sguardo con altrettanta rabbia.
Ero sfinito, e per quanto mi riguardava era finito il momento dei silenzi accondiscendenti e della comprensione. Se Oscar si sentiva autorizzata ad infilarsi nella mia stanza per rovesciarmi addosso la sua frustrazione, potevo sentirmi autorizzato anche io a ribattere con la stessa moneta. Era un luogo neutro quello. Quattro pareti che avevano visto la vera Oscar in tutte le sue sfumature: l’avevano vista bambina nascondersi tra le mie lenzuola dopo un incubo, l’avevano vista in lacrime dopo una lite con il padre, l’avevano vista imbarazzata e confusa subito dopo essere diventata una ‘signorina’, cosa che l’aveva del tutto stravolta ai tempi. Ora la vedevano donna, più donna di quanto non fosse mai stata, e non perché conservava addosso tracce di trucco e parrucco, ma perché, per la prima volta aveva giocato con le armi affilate della seduzione per conquistare il cuore di uomo. E quell’uomo l’aveva rifiutata.
Ora quella carica sensuale che si portava addosso dall’intera serata, e che era stata alimentata dagli sguardi adoranti che sicuramente le avevano rivolto tutti i presenti, aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo.
E io non potevo spalancare le mie braccia per lei. Non in questo caso. Non in questo momento.
O le avrei fatto molto più male di quanto riuscivo ad immaginare.
Sostenni il suo sguardo ancora per qualche istante, poi fui costretto ad abbassarlo.
A denti stretti mi costrinsi a farfugliare quella che per era l’inconfutabile verità. Non mi importava cosa avrebbe detto o che ne avrebbe pensato. Tacere non aveva più senso.
“Non eri ridicola, eri… bellissima. E se questo il conte non è stato in grado di apprezzarlo, è lui ad essere ridicolo, perché avrei sfidato qualunque uomo presente a quel ballo a non ammettere quanto eri…incredibilmente…”
“Non si tratta del conte di Fersen, Andrè.” Il suo tono era glaciale “Io non sono una donna, e cercare di sembrarlo, questa sera, è stato degradante. Io…”
“Senti Oscar, il fatto che vesti da uomo e porti un nome maschile non ti rende automaticamente un uomo. Sei più donna tu che ti destreggi tra spade e pistole di quanto non lo siano quelle frivole damine tutte ventagli e tazzine da tè. Perciò permettimi di insistere…Non sei tu ad aver fatto un torto a te stessa, questa sera. Ora, se vogliamo stare tutta la notte a discuterne, benissimo, ma non cambierò la mia opinione, e tu questo lo sai da tempo, ormai.”
“Certo! Per te non sarei nemmeno dovuta diventare capitano delle guardie reali…ricordo ancora le tue parole ‘sei ancora in tempo a cambiare idea, Oscar!’…Come se fosse semplice!”
Oscar aveva allungato le gambe, e posata una mano a terra si era voltata verso di me, alzando il tono della voce e ansimando leggermente. Il calice di vino, urtato, era caduto a terra.
“Non ho mai detto che fosse semplice. Ma se questa è la natura che Dio ti ha dato, non vedo perché snaturarla fino a questo punto, quando è chiaro come il sole, e dopo questa sera ancor di più, che donna sei nata, e donna sei.” Avevo a mia volta alzato il tono di voce, ma continuavo ad evitare di guardarla negli occhi “E ribadisco, se il conte non lo ha capito, non è certo perché a te manchi qualcosa, anzi, probabilmente è vero il contrario…”
“Non sai di cosa stai parlando, Andrè…” sibilò, indignata.
“Lo so meglio di te, fidati Oscar.” Presi fiato un istante, e finalmente mi voltai a fronteggiarla “E comunque vorrei sapere, perché sei venuta da me? Cosa cerchi in realtà? Vuoi qualcuno con cui prendertela perché la tua serata non è andata come previsto? Perché ti vorrei far notare che ho anche io i miei problemi, e questa è una di quelle serate in cui…beh…” improvvisamente persi il filo del discorso “Beh, lasciamo perdere. Siamo tutti e due stanchi e…direi anche abbastanza sbronzi. Mi sembra inutile accanirci uno contro l’altro…per…stupidaggini del genere. Sono sicuro che domani vedremo entrambi le cose sotto un'altra prospettiva, perciò credo che un buon sonno…”
Oscar raccolse lentamente il bicchiere da terra. Tra di noi si era creata una certa distanza, che in quel momento si riempì di silenzio. Percepivo che la calma era solo apparente e che la tempesta si agitava sotto all’acqua cheta.
“Si, hai ragione Andrè…Siamo entrambi sbronzi. E non sono venuta qua per prendermela con te…”
La osservai giocherellare con il calice di cristallo, illuminata solo dal lieve riflesso blu che penetrava dalla finestra. Il bianco della neve all’esterno assorbiva il nero della notte, tramutandolo in un colore quasi magico, che sposandosi con la pelle pallida di Oscar la faceva assomigliare ad una strana e meravigliosa creatura marina. Solo il rosso delle sue labbra truccate spiccava in quel volto d’alabastro, facendomi venire voglia di accarezzarle con le dita per sentirne la morbidezza…
“Andrè…” la sua voce spezzò quel silenzio incantato. “Andrè posso farti una domanda?”
“Certo..” risposi con una certa titubanza. Improvvisamente sembrava imbarazzata e la cosa mi stupì.
Oscar continuò a giocherellare con il bicchiere, evitando il mio sguardo.
“Tu…sei mai stato…innamorato?”
Quella domanda galleggiò tra di noi per alcuni secondi, prima che trovassi il coraggio di parlare.
“Si.” Le risposi, dopo un solo istante di esitazione. Sentivo che l’alcol aveva allentato le mie difese e in quel momento essere sincero mi pareva l’unica cosa sensata da fare, quasi come se, dopo tanto tempo, fosse una sorta di liberazione.
Oscar levò lo sguardo verso me. Probabilmente non si era aspettata una risposta tanto diretta. O forse non si aspettava quella risposta e basta.
Deglutì.
“Non me ne hai mai parlato…” sussurrò.
“Non ne vedevo il motivo.” replicai.
“Certo…” improvvisamente, sembrava di nuovo una bambina “Ad ogni modo, quindi…tu…hai…”
Si bloccò, guardandomi come se dovessi capire una cosa ovvia. In realtà un sospetto su cosa volesse domandarmi ce l’avevo, ma volevo vedere fin dove si sarebbe spinta.
“Ho…?”
Le sue guance avvamparono. Non doveva essere facile per qualcuno abituato ad avere tutto e subito quello che domandava girare tanto a lungo attorno ad una questione.
Oscar cercò di darsi un contegno.
“Si, insomma…tu hai fatto, tu hai mai fatto…”
Notai che si stava torcendo un bottone della giacca già allentato, e se avesse continuato così avrebbe finito per staccarlo del tutto.
“L’amore?” le domandai, guardandola dritto negli occhi. “Mi stai chiedendo se ho mai fatto l’amore con una donna?”
Avvampò ulteriormente, ma non distolse lo sguardo. Potevo leggere una certa curiosità mescolata all’imbarazzo nel suo sguardo. Annuì silenziosamente.
“No…” risposi, lentamente. “Sono stato con qualche donna. Ma se tu vuoi sapere se ho fatto l’amore con loro, la risposta è no. L’amore non l’ho mai fatto…”
Oscar mi scrutò con interesse per qualche secondo. Doveva essere una novità per lei il fatto che anche il suo attendente fosse alle prese con un amore non corrisposto.
Certe volte mi chiedevo dove cadesse in realtà il suo sguardo quando sembrava posarsi su di me, perché probabilmente fino a quel momento non mi aveva mai visto per davvero.
Ero al suo fianco da tutta la vita, ed era da me che veniva quando non riusciva a vedersela con se stessa. Ma di me non avevamo mai parlato, dopotutto. I miei incubi, i miei dubbi, i miei dolori, erano miei e solo miei.
“Andrè…” il corpo di Oscar si avvicinò leggermente al mio “Tu prima…hai detto che questa sera, mi trovavi bella. Eri sincero?”
“Completamente.”
“E se…se ti facessi una domanda, un'altra domanda, saresti nuovamente…completamente sincero?”
“Ci proverò…”
“Bene” Oscar abbassò lo sguardo, poi lo rialzò e puntò i suoi occhi color del mare nei miei
“Faresti l’amore con me, questa notte?”
Per un istante, un solo istante, pensai che il cuore mi si fosse fermato nel petto. I nostri occhi incatenati da quella domanda così assurda, così disperatamente attesa, eppure….così sbagliata, in quel momento.
Mi resi conto che i secondi stavano passando veloci, e che non potevo indugiare oltre. Ma come avrei potuto rispondere? Essere completamente sincero significava confessarle che si, certo che avrei voluto. Avrei voluto che fosse mia, notte e giorno. Avrei voluto che le classi sociali non esistessero, per avere una reale possibilità di corteggiarla, e non dover restare in silenzio all’ombra del mio stato servile. Avrei voluto essere il suo accompagnatore quella sera al ballo e poter percepire il suo corpo che si muoveva sinuoso sotto alla seta dell’abito. Avrei voluto poter avere il diritto di chiedere la sua mano, per poter condurla all’altare, un giorno.
Ma la realtà era che non avevo diritti, io. E non potevo esigere nulla per me, nemmeno la verità.
Sorrisi. Dopotutto, in quel momento non ero nemmeno Andrè. Non so se rappresentassi il conte di Fersen o semplicemente un limite che non era riuscita a oltrepassare quella notte.
Non sapevo se la partita fosse contro la sua femminilità, o semplicemente contro se stessa. Andare a letto con un uomo, per dimostrare di essere una donna. O forse, fare del semplice sesso per dimostrare di essere un uomo, che può concedersi scappatelle senza impegno.
O magari era pura e semplice curiosità per un desiderio che non era ancora riuscita ad appagare.
Sapevo solo che in quel momento era più confusa di quanto non fosse mai stata. E che in ogni caso, l’uomo che voleva non ero io.
“Oscar…” pronunciare quelle parole mi costò più di quanto avessi voluto ammettere “questo discorso non ha senso…sei ubriaca.”
Un battito di ciglia spezzò quella tensione.
“Si…Si credo che tu abbia ragione Andrè. Non so cosa mi è preso…Scusa se sono stata inopportuna…Dimentica quello che ho detto.” il suo sguardo era smarrito.
“Oscar…” mi costrinsi a guardarla, e visto che evitata il mio sguardo, le sollevai il mento con la punta dell’indice “Non sei stata inopportuna. Solo che…tra di noi, in questo momento…sarebbe una cosa sbagliata. E non perché tu non sia abbastanza donna…e assolutamente non perché tu non sia una bella donna. Sarebbe sbagliata e basta. E se Fersen questa sera non ha provato niente per te, probabilmente è solo perché nel suo cuore c’è già qualcun altro, non di certo perché tu non possa essere la donna giusta da…amare. Da desiderare.”
Oscar mi fissò deglutendo. Vidi che tratteneva le lacrime. La rabbia, la frustrazione, la voglia di rivalsa erano scivolate vie. Rimaneva solo una grossa delusione, quella con cui tutti dovevamo fare i conti prima o poi, a quanto pareva. Le passai un braccio intorno alle spalle e la trassi a me, carezzandole dolcemente le testa che teneva ora appoggiata alla mia spalla.
Non sapevo davvero perché avevo provato ad opporle resistenza, quando era chiaro come il sole che sarebbe finita come sempre. Prendermela con lei, o con me stesso, non sarebbe servito. Non l’avrei mai lasciata, anche se questo significava sacrificarsi in nome di un altro uomo. Anche se questo significava tenersi tutto dentro e fare buon viso a cattivo gioco.
Non sapevo cosa avrebbe deciso di se stessa il giorno seguente, se tornare alla sua vecchia vita o provare a intraprenderne una differente, in cui affrontare la sua parte femminile non sarebbe stata un’esperienza tanto traumatizzante.
Per me lei restava splendida comunque, che avesse addosso una divisa o che fosse fasciata in un seducente abito da sera. L’importante era che restasse la stessa, dentro.

Il suo respiro calmo e regolare, dopo qualche tempo, mi informò del fatto che si fosse addormentata, trovando finalmente un po’ di pace…
Mi scostai leggermente da lei, e vedendo che non dava segno di svegliarsi, la sollevai delicatamente tra le braccia, portandola fino al mio letto, dove la adagiai, approfittandone poi per togliermi di dosso la giacca fradicia e accendere il caminetto, per far risalire la temperatura della stanza.

Circa un’ora dopo me ne stavo seduto sulla poltrona a fianco del letto, rigirandomi tra le mani la fiaschetta di rum che avevo preso dalla giacca.
Il grado di calore della stanza era leggermente migliorato, e le lingue di fuoco si stiracchiavano pigramente nel caminetto, in una danza ininterrotta di punte rosse e arancioni.
Il mio sguardo non aveva abbandonato nemmeno per un secondo il viso di Oscar, rischiarato dal bagliore del focolare. Luce e ombra si inseguivano sulla sua pelle di porcellana, creando strani contrasti e giochi luminosi sui suoi zigomi delicati, sulle sue ciglia che parevano spolverate d’oro, sulle sue labbra piene leggermente socchiuse.
Sarei potuto restare per delle ore ad osservarla dormire, perché in quella dimensione non era ne l’algido comandante dallo sguardo di ghiaccio, ne la figlia del mio padrone. Non era una persona che doveva combattere ogni giorno contro pregiudizi e ostilità, ne la donna innamorata di qualcuno che non la ricambiava.
Era semplicemente la mia Oscar, che scappava nella mia stanza quando aveva bisogno che qualcuno la tenesse stretta tra le braccia e le dicesse che non doveva più sforzarsi con tutta se stessa di affrontare la vita.
Lei era perfetta così com’era.
Allungai una mano verso il suo volto e le scostai qualche ricciolo dorato dalla fronte.
E in quel momento, la paura che avevo tenuto a freno per tutta quella notte, riaffiorò in me.
Paura di me stesso, dei pensieri che spesso mi sorprendevo a fare.
Quella notte avevo camminato sulla linea di confine del baratro, e mi ero trattenuto con tutto me stesso. Se fossi scivolato, non sarei più riuscito a riemergere.
Avrei potuto farle del male, ferirla. I miei sentimenti per lei erano un pericolo più grande di quanto spesso fossi disposto ad ammettere.
La mia mano scese a sfiorarle una guancia, e le mie dita scivolarono sulle sue labbra.
Quelle labbra così morbide e piene. Le desideravo più di quanto avessi mai desiderato qualcosa in vita mia…
Oscar si mosse leggermente, e la mia mano si ritrasse di scatto. Ma nel farlo lasciò una traccia di rossetto sbavato all’angolo della sua bocca ancora truccata.
Rimasi ipnotizzato, fissando rapito quello sbaffo vermiglio, e la mia mente evocò lo sconveniente pensiero che quello avrebbe potuto essere l’aspetto delle sue labbra, dopo che qualcuno avesse provato a baciarla con una passione eccessiva.
Quasi con la forza.
Mi ritrassi di scatto da lei.
Oscar continuò a dormire indisturbata, ma i miei pensieri vagavano ora inquieti, e la bestia nera di quell’amore non corrisposto, che da anni divorava la mia anima, mi fece pronunciare, nel silenzio di quella notte, parole che si allungarono come ombre fameliche su di noi, perdendosi nell’oscurità.

“Se un giorno dovessi arrivare a tanto…Che Dio possa perdonarmi.”





Nota dell’autore
Prima di tutto voglio ringraziare tutte voi che mi avete lasciato splendidi commenti e interessanti consigli, sono stati davvero apprezzati^^ Grazie di cuore a: Hopelessgirl, Pry, Morgana85, Ninfea Blu, Kira91, Crissi, Tetide, Baby80, Ladyoscar13, Kikkisan, Arte; siete delle autrici meravigliose e ricevere i vostri commenti è davvero un onore^^
Come seconda cosa, vorrei spiegare alcune scelte di questo secondo capitolo. Mi sono presa la licenza poetica di ambientare la famosa serata al ballo di Oscar in un freddo inverno, quando dall’anime si evince invece il contrario (penso almeno…). Volevo scrivere qualcosa di completamente diverso dal capitolo scorso, con una Oscar e un Andrè induriti dalle sconfitte e dalle delusioni della vita, entrambi impegnati a combattere il proprio personale inferno. Il punto di vista di Andrè si discosta dalla linea che avevo deciso di far seguire a questa storia, ma in questo capitolo mi era necessario, perché erano soprattutto i suoi sentimenti che volevo evidenziare: quelli di un uomo innamorato e disperato, ma irrimediabilmente legato ad una donna per la quale teme di diventare, con il passare del tempo, più un pericolo che un rifugio sicuro in cui approdare dopo una delusione.
Ad ogni modo, spero di non aver deluso le aspettative di chi aspettava questo capitolo, stravolgendo eccessivamente le personalità dei personaggi... come sempre, critiche e suggerimenti sono bene accetti!
P.S provo ad aggiungere una fanart su questo capitolo, non è niente di che, ma mi sono divertita a farla, spero che possa farvi piacere^^ Vi lascio il link perchè non ho idea di come si carichi un immagine...se qualcuno ha suggerimenti anche per questo è il benvenuto!XD
 http://img821.imageshack.us/i/oscareandre.jpg/


  
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