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Autore: MrYamok    07/11/2010    3 recensioni
Maka vive in un mondo come il nostro, e, ogni mattina, scruta dalla finestra della sua camera per accertarsi che un grande pianoforte a coda nero sia sempre nello stesso posto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair, Franken Stein, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Spirit Albarn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight sonata – Parte prima


L'indomani mattina mi sveglio con la bava alla bocca. 
Mi pulisco la bocca come una bambina e mi chiedo che diavolo dovevo aver sognato quella notte. 
Senza pensarci inizio a canticchiare una musica che ho in testa, finché mi accorgo di stare cantando il pezzo che aveva suonato Soul il giorno prima. 
Mio padre è al tavolo in cucina che mangia. Sembra aspettarmi. 
Mi siedo e mormoro un sommesso -Buongiorno...- 
Mio padre alza lo sguardo -Chi era?- butta lì. 
-Cosa? Chi era chi?- 
-Il ragazzo che ti ha accompagnata a casa ieri sera!- esclama Spirit. 
-Accompagnata...?- mormoro, Soul mi aveva accompagnata? 
Un sorriso ebete mi spunta sulla faccia e comincio a dondolarmi sulla sedia. 
-Cos'è quello sguardo...? Non sarà che...? Ti ha toccata?!- 
-Papà stai tranquillo, lo conosco da ieri...- 
-Appunto, non è normale!- 
Sbuffo un po' irritata. Mio padre era sempre stato iperprotettivo. 
Piuttosto mi chiedevo cosa fosse successo la sera prima. Non mi ricordavo nulla. 
Ricordavo solo di aver poggiato la testa sulla sua spalla e – Puff –  tutto era caduto nel buio. 
Guardo la finestra  che da sulla sua casa. Non ci sono luci accese, non ne vedo mai. 
Il calendario attaccato al muro della mia cucina svolazza, e improvvisamente mi accorgo che è sabato. 
Mi sarebbe piaciuto andare a trovarlo a casa sua. 

Il portone della casa degli Evans non era inquietante: Era terrificante. 
Una grossa porta nera troneggia davanti a me come un rottweiler. È decisamente troppo grande per essere una porta, piuttosto sembra il portone d'ingresso di un castello. 
Un minuscolo spioncino, come l'unico occhio di quel mostro ciclopico, mi guarda e mi analizza come una cavia da laboratorio. 
Suono il campanello, la targhetta laccata d'oro sottostante con “Evans”, e il suono fa un lungo eco. 
Rimango un attimo in attesa. Comincio a sentire dei passi lontani e fremo. 
Il portone nero si apre con uno spostamento d'aria, come quando si apre una tomba di un faraone chiusa da duemila anni, e i mie capelli svolazzano come delle spighe di grano. 
Come la fessura della porta si ingrandisce, intravedo dei capelli bianchi. 
Sorrido -Soul...- 
Una figura fin troppo alta per essere anche vagamente Soul mi si pianta davanti. 
Non è Soul, ma ha gli stessi capelli bianchi e indossa un completo nero, come quello che aveva avuto addosso lui il giorno prima. 
Il ragazzo, non deve avere più di vent'anni, mi guarda con il sopracciglio inarcato -Lei sarebbe...?- 
Esito sotto quello sguardo penetrante -Maka... Maka Albarn.- 
-Cerca qualcuno?- continua con una voce da maggiordomo. 
-Io... cercavo Soul.- 
-Mio fratello?- 
Annuisco lentamente mentre analizzo quella oscura figura. Il suo sguardo non mi piace. 
-Lei invece chi è?- 
-Non le sembra di essere un po' scortese, signorina Albarn?- 
-Oh, io non volevo...- distolgo lo sguardo come se gli occhi del ragazzo mi bruciassero addosso. 
-Il mio nome è Weiss Evans, signorina Albarn. Per quanto riguarda mio fratello, temo che dovrà venire un altro giorno: oggi non è in casa.- 
-Sa dove...- 
-Arrivederci.- 
La porta si richiude con uno schianto. 
Non so se i miei capelli stanno tremando, ma di sicuro avrei voluto abbattere quel portone e strozzare quello strano tipo così dannatamente simile a Soul. 
-Ma chi cazzo ti credi di essere?- sussurro voltandomi, furibonda. 
-Non le sembra di essere un po' scortese, signorina Albarn?- dico facendogli il verso -Ma per piacere!-
Non ci credo che Soul non sia in casa. Quel tipo non me la racconta giusta. Mi ha rivolto un finto sguardo dispiaciuto, ma non mi faccio fregare per così poco. 
Giro intorno alla casa silenziosamente, mi apposto dietro un albero e lo vedo: Quel Weiss Evans è nel salotto della casa. Suona un violino. 
-Famiglia di musicisti, eh?- 
Mi avvicino alla casa, cercando di non farmi notare dalla finestra del salotto. 
La finestra di Soul è socchiusa. Abbasso lo sguardo per pensare un momento a cosa fare. 
Una musica, prima impercettibile, raggiunge le mie orecchie.
Non c'è dubbio: è sicuramente Soul. 
Quindi il fratello mentiva, dopotutto, penso, ma perchè avrebbe dovuto farlo? 
Volevo vederlo, ma ora come ora cosa faccio? Se torno a bussare, quello lì come minimo mi rompe il violino in testa. 
Guardo verso il tetto. Avevano proprio una bella tettoia. 
Lo ammetto, sono sempre stata una schiappa in educazione fisica, sia a salire la corda che nel quadro svedese. Mi ricordo ancora di quella volta quando quest'ultimo si era staccato dal soffitto. Con me sopra. Tuttavia, poso le mani sulla fredda grondaia. 
-Che diavolo sto facendo...- e comincio ad arrampicarmi lentamente e con fatica, sperando che nessuno mi noti. 

Quando Soul Eater Evans suonava, la gente moriva. O almeno era così che lui si era convinto. 
La mattina che sua madre morì, lui suonava in quella stanza scura. Suo padre venne a riferirglielo, piangendo, ma lui non si voltò nemmeno. 
Semplicemente continuò a suonare, più forte. E come la melodia della marcia funebre di Chopin marciava dal suo cuore ai tasti di quel pianoforte nero, così il corpo della madre passava dal suo letto ad una fredda bara. 
Quel giorno Soul non pianse. Non ne sapeva il perchè nonostante il cuore gli scoppiasse in mezzo al petto, eppure, dopo quel giorno, non ci riuscì più né provò ci provò mai. 
Nemmeno quella volta che era caduto in bicicletta e si era ferito al ginocchio. 
Sentiva il dolore, ma restava a guardare il sangue che colava come un ruscello senza dire una parola. 
Suo padre si era preoccupato, così aveva cominciato a viziarlo, nel tentativo di renderlo felice. 
A sedici anni aveva avuto la sua prima moto, era di un arancione profondo: era così lucida che riusciva a vedere la sua immagine riflessa. 
Non ci andava molto spesso. Le poche volte che la prendeva, andava lontano. 
Andava per chilometri e chilometri di campagna fino ad arrivare in un posto tranquillo e, come restava da solo, cominciava a suonare tasti immaginari di un pianoforte davanti  a sé. Allora ripensava a sua madre. 
Ogni sera usciva di nascosto e tornava a casa tardi. Dove andava lo sapeva solo lui. 
Suo fratello invece era sempre in giro per concerti di violino. Lo avevano forzato a suonare il piano fin da bambino, e alla fine era diventato il suo unico modo di esprimersi. 
Le sue paure, le sue ansie, le sue felicità, i suoi amori perduti erano stati rinchiusi in una stanza nera in fondo al suo cuore. Eppure quando poggiava le mani su quei tasti bianchi sentiva che tutto svaniva. Il mondo intorno a lui non era più lo stesso, sua madre era di fianco a lui e gli sorrideva. Quella angusta stanza del suo cuore apriva le sue finestre temporaneamente, allora le sue emozioni scivolavano fuori come serpenti e un vento caldo lo pervadeva. 
In quel periodo non aveva fatto altro che andare a scuola e, tornato a casa, chiudersi in camera a suonare. 
Eppure, un giorno di quelli, aveva conosciuto quella ragazza. 
Quei suoi capelli e il suo corpo sottile le danno un aria semplice, pensò. 
Eppure... c'era qualcosa in quella ragazza che non comprendeva. 
Per qualche strano motivo, le sue parole lo facevano sorridere, e i suoi capelli gli ricordavano i raggi di luce che entrano da una fessura di una finestra. 
Ogni sera la vedeva mentre lo spiava da dietro la tenda della sua camera, e ogni mattina la sentiva camminare, respirando piano, dietro di sé, mentre il vento gelido gli sussurrava il suo nome all'orecchio: Maka Albarn. 
Smise un secondo di suonare. Gli era parso di sentire un rumore. 
Rincominciò a suonare. Ora un Jazz lento. 
Una manina spuntò dallo stipite della finestra. Soul spalancò gli occhi e suonò debolmente. 
La faccia di Maka apparve dalla soglia della finestra -Ehi, Soul...- 
-Ma che diavolo stai facendo?- sussurrò esterrefatto. 
-Me lo domandavo anch'io. Senti non è che potresti darmi una mano a salire?- 
Soul esitò un po', continuando a suonare e guardando verso la porta, -Aspetta. 
Si alzò leggermente e andò a chiudere la porta a chiave. 
Si avvicinò alla finestra e tese una mano a Maka tirandola su -Ma sei impazzita? E se qualcuno ti avesse visto?- 
Maka scrollò le spalle. Quella ragazza era sempre più incomprensibile. 
-Perchè ti sei arrampicata per la grondaia e sei venuta fin qua? 
Intuì che aveva una risposta dal modo in cui distolse lo sguardo. 
-Tuo fratello non mi voleva fare entrare.- 
-E quindi? Non potevi aspettare un altro giorno per venirmi a trovare?- disse un po' scocciato. 
Maka girò la testa di lato indispettita. 
-Ecco...- incominciò lei -Io ero venuta per chiederti se volevi uscire con me oggi...- 
Soul alzò un sopracciglio -In che senso? 
-Non fraintendere, volevo solo chiederti se volevi accompagnarmi in biblioteca...- 
-A leggere libri insieme?- sorrise sarcastico Soul. 
-Certo che n...- 
Soul le posò un dito sulle labbra -Parla piano. Mio fratello potrebbe sentirti. 
Si risedette al piano e ricominciò a suonare una melodia distensiva -Oggi non posso.- esordì tranquillamente -Vieni domani, mio fratello non è in casa. Parte per un altro dei suoi innumerevoli viaggi all'estero. 
Maka fece un gesto vago nel sfiorarsi il punto in cui Soul l'aveva toccata -Capisco.- disse con un filo di voce. 
-Ora vai, mio fratello potrebbe venire da un momento all'altro. E la prossima volta non cercare di ammazzarti cercando di scalare una grondaia. 
I suoi occhi tornarono su un punto imprecisato del pianoforte. Ci fu un attimo di silenzio. 
 Sentiva lo sguardo di Maka su di lui. 
-Beh, perchè resti lì impalata?- chiese voltandosi. 
-E-Ecco...- balbettò Maka -Non mi hai detto l'ora...- 
-Vieni alle otto, alla mattina.- disse pacato. 
-Sarò puntuale.- affermò Maka con un sorrisetto ricco di nonchalance. 

Mentre scendo la grondaia accompagnata dalle note di Gershwin, i miei capelli fluttuano. 
Il mio primo appuntamento, penso. In qualche modo mi sento come liquefatta: il mio corpo si muove come sotto effetto di droghe. Tuttavia sono un po' innervosita. 
Se c'è una cosa che non sopporto è qualcuno che non ti guarda negli occhi mentre parla. 
E Soul si ostinava a non guardarmi mentre parlava. Questo mi fa irritare. 
Voglio quei suoi occhi rossi incollati ai miei e i suoi capelli e le sue mani e... 
Mi fermo di netto. Non mi sono neanche accorta che sto respirando come fossi andata in iperventilazione. 
Il cuore mi batte ad un ritmo di otto quarti. 
Ho paura dei miei sentimenti. Non conosco quel ragazzo da più di due giorni e già... 
-Domani alle otto.- mi ripeto -Domani alle otto...- 
Mi riavvio i capelli e riprendo a camminare con disinvoltura, come sapendo che il suo sguardo si nasconde dietro quella finestra ombrosa.
   
 
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