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Autore: Macchia argentata    08/11/2010    12 recensioni
La mia personale rivisitazione sul finale dell'episodio 27, 'Un rischio calcolato', e sul comportamento di Oscar davanti all'evidenza del sempre più pressante divario tra popolo e nobiltà. One-shot che non mi convince pienamente, buttata giù in un orario abbastanza improbabile, ma che spero comunque possiate apprezzare!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Notre-Dame
‘Certi pensieri sono delle preghiere. Ci sono momenti in cui, qualunque sia l'atteggiamento del corpo, l'anima è in ginocchio.’
(Victor Hugo)

Lo scintillio della spada estratta dal fodero riverberò come una falce di luce sul volto di Oscar, trasfigurato dalla collera. I suoi occhi, due specchi di ghiaccio, sprigionarono un furore cieco, che avrebbe potuto terrorizzare l’uomo inerme al suo cospetto, se questi non si fosse trovato in un profondo sonno indotto dal laudano.
Bernard Chatelet, nato nel 1960, giornalista. Poteva bruciare all’inferno, per quanto la riguardava.
“Io ti ammazzo…” le parole uscirono come un sibilo tra le sue labbra serrate. Il volto congestionato, il respiro quasi un rantolo, Oscar levò la spada su di lui: “Farò a te la stessa cosa che hai fatto ad Andrè…Sconterai questa colpa nella sofferenza maledetto…”
La mano le tremò, levata sopra alla propria testa. Rabbia e dolore le offuscavano la mente, ma un pensiero, uno su tutti, le intimò, dopo alcuni secondi di follia, di riprendere il controllo.
Non poteva colpire un uomo disarmato. Un uomo incosciente, indifeso.
Andrè non glie l’avrebbe mai perdonato, nonostante il suo fosse solo un gesto disperato per vendicarlo della perdita subita.
Ma un gesto tanto estremo, privo di clemenza…verso un rappresentante del popolo…
Non poteva fare questo ad Andrè.
Lentamente abbassò la spada, senza staccare gli occhi furenti da colui che, con un unico colpo di spada, le aveva dato una ragione per odiarlo al punto da desiderare con tutta se stessa di ucciderlo a sangue freddo, senza pietà.
Qualcosa dentro di lei si era irrimediabilmente spezzato. Le era sembrato addirittura di sentirne il rumore, quando le parole del medico avevano riempito la stanza di Andrè, solo pochi istanti prima.
‘Mi dispiace per voi…Ma avete perso l’uso dell’occhi sinistro.’
Il sordo rumore di un calice di cristallo che si infrangeva a terra. Quello era il rumore che aveva fatto in tempo a percepire, dentro se stessa, prima che il sangue le arrivasse alla testa e la sua mano si lanciasse sulla spada.
Odiava quell’uomo. Lo odiava come solo si può odiare qualcuno capace di portare via qualcosa di prezioso ad una persona amata.
Si chinò su di lui, talmente vicina da percepirne il lieve calore del respiro, lento e regolare. Il disprezzo e il rancore che provava la facevano quasi ansimare. I denti stretti nello sforzo di sibilare parole crudeli, dettate dal demone che le bruciava in corpo.
“Non posso levare questa spada su di te solo perché la volontà di qualcuno più umano di me trattiene la mia mano. Ma posso giurarti, per il torto che ci hai fatto, che tu marcirai alla Bastiglia per il resto dei tuoi giorni, lurido infame…”

Quando Andrè la raggiunse sulla terrazza, la leggera brezza del vento invernale scompigliava i suoi capelli, mentre il suo sguardo si perdeva nel nulla, inseguendo la scia del dolore che covava dentro, e che era certa, non sarebbe mai scomparso.
Era stata colpa sua. Questo, niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellarlo.
La voce calma e pacata del suo amico ruppe quel silenzio carico di funesti pensieri.
“Senti Oscar…Mi resta sempre l’occhio destro. Posso ancora vedere la luce del sole, le persone…In fondo, non è cambiato quasi niente rispetto a prima.”
Andrè era alle sue spalle. Il tono gioviale di sempre, mentre cercava di sminuire l’accaduto, relegandolo a qualcosa di totalmente superfluo nella sua vita.
Oscar chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Le sue mani si strinsero con forza intorno alla spada che ancora reggeva in mano, sguainata, e poté percepire la calda viscosità del sangue fra le dita, quando la lama le penetrò nella carne.
Rimase rigida, nonostante tutto, anche quando Andrè provò a spiegarle il motivo per cui si auspicava che lei non consegnasse il cavaliere nelle mani della giustizia. Poi esplose.
Schegge di cristallo infranto tintinnarono dentro di lei, quando si voltò di scatto a fronteggiare il viso stravolto dell’amico. La ferita che gli attraversava l’occhio, nonostante lui cercasse di nasconderla tra i folti capelli corvini, appariva viva e macabra, su quel volto che, nonostante tutto, conservava la solita gentilezza.
Il cuore di Oscar si riempì di rabbia e amarezza.
“Andrè, ma ti rendi conto di quello che dici? Stai parlando in favore dell’uomo che ti ha privato dell’occhio sinistro…” Le sue mani si strinsero a pugno, il sangue si impresse sui palmi. Vide che le tremavano le braccia…Non si era mai sentita tanto sconvolta e toccata come in quel momento.
Ma Andrè, inspiegabilmente, la fronteggiava con un espressione serena, seppur seria. Oscar avrebbe voluto afferralo per il bavero della giacca e scuoterlo fino a fargli ammettere di odiare a sua volta quel miserabile che l’aveva ferito…che li aveva feriti a quel modo. Come poteva l’odio, che traboccava copioso dal suo cuore in quel momento, non attecchire minimamente in quello di Andrè? Come poteva desiderare la libertà per l’uomo che l’aveva privato di tanto?
Il disprezzo che Oscar provava si attorcigliò come un serpente nel suo animo dolente, per poi sputare il suo veleno in faccia all’amico che la fronteggiava silenzioso:
“E poi…si tratta di un volgare ladro.”
L’aveva fatto apposta a pronunciare quelle parole. Voleva sminuire quello che per Andrè sembrava essere un eroe popolare, un paladino dei benefattori.
Voleva che anche lui vedesse il marcio che ricopriva quell’individuo, che lo disprezzasse, che desiderasse vederlo dietro le sbarre di una prigione…
Ma capì subito di aver detto la cosa sbagliata. Lo lesse nello sguardo dell’amico, in quell’unica iride del colore delle foglie in primavera.
Delusione.
Andrè aveva appena perso l’occhio sinistro per colpa di un maledetto furfante, ma era fortemente deluso da lei, in quel momento. E questo, inspiegabilmente, le faceva più male di tutto il resto.
“In questo caso perdonami, Oscar. Mi ero dimenticato che lavoro per una famiglia nobile, e che voi certi discorsi non li capirete mai. Devo ammetterlo…A volte sono proprio un illuso…Ti prego di scusarmi Oscar.” C’era stanchezza, in quelle parole. C’era disillusione, stemperata in una tetra ironia. Oscar osservò Andrè darle le spalle, e lentamente, barcollando, allontanarsi da lei.
Per la prima volta da quando le loro vite si erano intrecciate, anni prima, era stato lui a tracciare una linea tra di loro. E quella linea non separava più, come era sempre stato, la servitù dall’aristocrazia.
Ma segnava ora un fosco limite tra i giusti e gli ingiusti, tra i deboli e gli oppressori, tra le vittime e i carnefici.
Rimase sola su quella terrazza, mentre il vento freddo le sferzava le guancie e le tagliava le labbra; il sangue rappreso sui palmi, la rabbia e la disperazione trattenute a stento.

“Non credevo che mi avreste reso la libertà…”
La luce ambrata del tardo pomeriggio stava lentamente lasciando il posto ad un più intenso color vermiglio, mentre il vento continuava ininterrotto a gettarle addosso le sue raffiche gelate, scuotendo gli alberi spogli che adombravano il lungo viale in cui si avviava la carrozza che lei scortava, e che recava al suo interno l’uomo che solo poche ore prima avrebbe voluto massacrare barbaramente, e che ora lasciava invece  in libertà, non senza un certo sforzo.
Lo sguardo deluso di Andrè le bruciava ancora sotto alla pelle, e l’abisso sul quale si era affacciata, dopo le parole dell’amico, le avevano fatto scorgere quanto profondo fosse il divario che li separava realmente. Era qualcosa su cui in realtà, non si era mai soffermata a pensare…
Quante richieste, quanti ordini aveva imposto in vita sua? E quante volte Andrè aveva dovuto chinare il capo ed eseguire senza fiatare?
Quanto il popolo stava realmente scontando a causa delle pretese della nobiltà?
“Non dovete ringraziare me, ma Andrè…Se non avesse perorato la vostra causa, probabilmente la mia decisione in merito sarebbe stata un'altra.”
Il suo tono era secco, distaccato; il suo sguardo, freddo e impassibile, non si spostò nemmeno per un istante sull’uomo che viaggiava all’interno della carrozza, anche quando tirò le redini del cavallo, intimandogli di fermarsi.
“Vi lascio qua, Chatelet. Proseguirete fino a Parigi, dove verrete condotto da una certa Rosalie, lei si prenderà cura di voi…”
Attese alcuni secondi prima di dare di tacco all’animale. Poi, parole che si era autoimposta di non pronunciare, fuoriuscirono ugualmente dalle sue labbra serrate, con orgoglio e disprezzo.
“E permettetemi di farvi notare, quanto Andrè si sia dimostrato più uomo di voi, in questa situazione…Addio.”
Il cavallo partì al galoppo, mentre all’uomo nella carrozza rimase che la visione di una sagoma che si allontanava velocemente, offuscata dalla polvere sollevata dagli zoccoli del suo cavallo.
Posò una mano sullo sportello della carrozza, e si sporse dal finestrino quel tanto che gli consentì di vederla infine sparire del tutto, sullo sfondo delle campagne che circondavano Parigi.
“Forse, tra i nobili, c’è ancora qualcuno in grado di ascoltare la voce del popolo, e capace di mostrare un po’ di umanità…”

Cavalcò verso casa, ma giunta al bivio decisivo si sorprese di se stessa nel tirare le redini e indurre il cavallo a ripercorrere il tragitto appena percorso.
Stava andando a Parigi. Era lì che voleva vedere, toccare con mano propria, quanto il popolo stesse realmente soffrendo.
Certe avvisaglie le aveva percepite, questo era indubbio.
Solo pochi giorni prima aveva potuto constatare di persona quanto Rosalie e la sua padrona di casa dovettero faticare per mettere insieme un semplice piatto di minestra. Aveva provveduto immediatamente a farle recapitare provviste e generi di sostentamento. Ma per uno che poteva riempirsi lo stomaco, quanti altri pativano la fame?
E quanto altro, a stento, era costretta a sopportare la più bassa delle classi sociali?
Gli zoccoli del cavallo di Oscar batterono le vie di Parigi: sporcizia, mendicanti, bambini affamati, prostitute di qualsiasi età.
Pensò ad Andrè, al suo Andrè, che sin dalla più tenera infanzia aveva condiviso la sua vita: la stessa casa, la stessa istruzione, gli stessi privilegi, apparentemente…
Ma se anche Andrè avvertiva il peso di questa disparità, voleva dire che le cause più profonde di questo malessere generale non avevano solo a che fare con la fame e la povertà.
C’era qualcosa di più sottile, di più evanescente, seppur decisamente più radicato.
Ed era la disuguaglianza.
Un bambino, scalzo e sudicio, si affiancò al suo cavallo, mentre percorreva lentamente una via maleodorante, fiocamente illuminata dai bagliori del tramonto.
“Una moneta, signore…per pietà, una moneta…”
Oscar si sentì stringere il cuore nel petto nell’incrociare quegli occhi liquidi, e nell’osservare quella magra manina che si tendeva insistentemente verso di lei. Mollò una briglia e cercò nella tasca del mantello il proprio portamonete, lasciando scivolare un soldo di rame nella mano del bambino.
Il dischetto rigido non fece in tempo a toccare il palmo del fanciullo che, come comparsi dal nulla, altri mendicanti si affiancarono al cavallo di Oscar.
C’erano altri bambini, donne che reggevano poppanti stretti in luride fasce, e un questuante zoppo e sdentato.
“Signore, bel signore, fate la carità…”
“Signore, pietà, una moneta per mangiare…”
Le mani si tendevano incalzanti alla volta di Oscar, mentre il suo bianco cavallo cominciava a manifestare segni di nervosismo, sbuffando e grattando gli zoccoli sul selciato.
Lo sguardo del biondo comandante saettò spesato tra quella folla che sembrava aumentare sempre di più, e le sue dita, strette intorno al borsello in velluto, si contrassero nervosamente. Poi, tra quella ressa di facce sporche ed emaciate le parve, per una frazione di secondo, di scorgere il volto familiare di Andrè, che la fissava con quella sua espressione pacata e amareggiata contemporaneamente.
'Lo vedi da te, Oscar…Quanto di questo è responsabilità di quelli come te? Quanto la tua classe sociale sta ingrassando alle spalle del popolo?'
Oscar deglutì, spaventata, poi allungò una mano e  fece scivolare l’intero contenuto del suo portamonete a terra.
Non importava quanti soldi fossero, non sarebbero mai bastati per sfamare tutte quelle bocche.
Mentre la calca sgomitava per impadronirsi di quel piccolo tesoro, lentamente fece arretrare il cavallo, e si allontanò velocemente da quel girone infernale, che nemmeno nei suoi incubi peggiori si sarebbe aspettata di trovare in una via di Parigi, dove a soli pochi chilometri viveva gente che poteva permettersi, con un solo calzascarpe dorato, di sfamare un intero quartiere.

Non badò a dove il cavallo la stesse portando, mentre imboccava vie e vicoli di una Parigi sempre più povera e degradata. Le case fatiscenti e il liquame di scolo stavano iniziando a farle provare un senso di nausea e di vertigine. Ma più ne percepiva l’odore marcio e putrescente, più le sembrava di respirare davvero, per la prima volta. Voleva scendere fino all’ultimo anello di quell’inferno. Voleva vedere con i suoi occhi quanto poteva essere profondo l’abisso di quella miseria.
Perché era quello che consumava, ogni giorno di più, l’animo del suo amico, e lei voleva condividerne ogni amaro boccone. Voleva capire, per non dover più vedere quell’espressione nei suoi occhi, per non dover più sentire le sue parole amareggiate.
'Certi discorsi, voi nobili, non li capirete mai…'
Voi.
Nobili.

Andrè, che era come un fratello, le aveva finalmente aperto gli occhi su quanto fosse stata cieca fino a quel momento a non notare quanto in realtà loro fossero lontani, figli di due mondi totalmente opposti.
Gli voleva bene, aveva sempre condiviso tutto con lui, con naturalezza…E con la stessa naturalezza gli aveva sempre dato ordini, perché era questo che ‘quelli come lei facevano con quelli come Andrè’.
Ma quanta ingiustizia sociale poteva esserci in questo modo di agire?
Nessuno aveva mai messo in dubbio questo comportamento, fino a quel momento. Nessuno le aveva mai aperto gli occhi su questa assurda verità, fino a quando Andrè non la aveva condotta in quella chiesa, in cui popolo e piccola nobiltà cercavano un modo per fare avere a tutti gli stessi diritti, le stesse possibilità.
Uguaglianza.
Quanto poteva contare avere un titolo nobiliare? Quanto poteva contare non averlo?
Il cavallo si fermò, e Oscar levò lo sguardo.
Nell’ultimo quarto d’ora, assorta in quei ragionamenti, non aveva minimamente prestato attenzione al percorso scelto dal suo fedele compagno, e si rese conto con una certa sorpresa di essersi lasciata alle spalle i vicoli bui e fetidi di quella Parigi sotterranea. Il riflesso brunito del tramonto le illuminava le gote arrossate dal freddo pungente, e si rifletteva, solenne, nel maestoso rosone che sovrastava la chiesa al suo cospetto.
“Notre-Dame…” mormorò Oscar, leggermente in soggezione.
L’aveva sempre affascinata e intimorita al tempo stesso. Notre-Dame, con la sua facciata imponente, le svettanti torri, l’immenso rosone, le campane capaci di battere cupi e tonanti rintocchi, in grado di farle venire la pelle d’oca, il portale del giudizio universale…
Raramente le era capitato di presenziare a qualche cerimonia all’interno di Notre-Dame, ma ogni volta era stata costretta a domandarsi cosa le sarebbe capitato varcando quel portale.
Nostra signora aveva qualcosa da dire ad una donna che rinnegava tutti i propri doveri per fingersi uomo? Mentire a quel modo era considerato peccato? Oscar immaginava che per quella vita ci sarebbe stato un prezzo da pagare dopo la morte. Sempre che qualcosa esistesse, dopo la morte…
Il suo non era forse il secolo della scienza e del pensiero razionale?
“Questi illuministi!” Avrebbe bofonchiato Nanny, prima di afferrare il grano successivo del rosario e recitare l’ennesimo Pater Noster.
Uno stormo di colombe volarono fuori dalle gallerie superiori della chiesa, volteggiando compatte a pochi metri dalla testa di Oscar, per poi perdersi nel tramonto che infuocava Parigi. Il suo cavallo sbuffò e fece roteare la coda, arretrando leggermente, ma Oscar tenne le briglie salde, osservando pensierosa l’imponente cattedrale che la sovrastava completamente.

Una fredda umidità la avvolse completamente quando varcò l’ingresso della chiesa, unita ad un persistente odore di incenso, e alla melodia biascicata dei salmi in sottofondo. L’ambiente scuro e tetro della cattedrale era rischiarato dai magnifici giochi di luce che il sole del tramonto creava tra i vetri colorati del rosone: i rosa, i blu, i verdi, sapientemente amalgamati in una trama perfetta, in un intreccio che aveva del divino, e che si rifletteva sulla quadrettatura del pavimento.
Rimase ipnotizzata ad osservare quelle macchie di luce che bagnavano di delicato colore le piastrelle bianche e nere, nella campata della navata centrale, finché il suo sguardo non si spostò agli imponenti pilastri granitici, e poi più in alto, verso gli archi a sesto acuto che componevano la volta a crociera del soffitto, parecchi metri sopra di lei.
Si sentì improvvisamente piccola, una sensazione che la mise decisamente a disagio. Per una frazione di secondo si chiese cosa l’avesse spinta a varcare quella soglia, a penetrare in quell’ambiente che…non le apparteneva. Che non sentiva suo.
Al di là delle nozioni prettamente artistiche e architettoniche, che l’avevano spinta per un periodo a studiarne la struttura, Oscar sentiva di non avere alcuna particolare connessione con quell’ambiente.
Si guardò attorno smarrita, cercando di rendersi meno visibile ai fedeli che camminavano silenziosi tra le navate, e considerò l’idea di dirigersi verso l’ultima navata, per uscire indisturbata da una porta laterale. Ma dopo aver mosso qualche passo con il colletto del mantello rialzato, quasi a volersi difendere da sguardi indiscreti, si rese conto che, lì dentro, nessuno badava a lei. Si concesse qualche secondo per scrutare i volti delle persone che le passavano accanto, senza degnarla di uno sguardo: gente comune, aristocratici, ecclesiastici…Quell’ambiente sembrava immune al malessere e allo scompiglio che serpeggiava per Parigi di quei tempi. Ognuno pareva profondamente concentrato in preghiere che esulavano dal fatto di essere espresse in presenza di altre classi sociali.
Era un luogo neutro, quello, in cui ognuno poteva essere semplicemente quello che era.
Già…ma lei, chi era?
I suoi occhi vagarono tra la nebbia dell’incenso e l’oscurità, tra le candele accese e i mozziconi consumati, e incrociarono quelli delle statue che immobili ed eterne la osservavano dalle cappelle, fino ad imbattersi nello sguardo sereno e solenne della vergine con il bambino, che la scrutava da un angolo della cattedrale.
“Nostra Signora…” mormorò Oscar, avvicinandosi.
Decine di candele accese ai piedi della vergine illuminavano con la loro fiamma tremolante i lineamenti dolci e perfetti scolpiti nella pietra: il viso soave, il panneggio delicato, il morbido braccio con il quale sorreggeva il bambino e l’altra mano tesa, nel gesto di benedire e perdonare ogni peccato…
L’invitante promessa che affidandosi a quella fede fosse possibile sopire ogni dolore, cancellare ogni efferatezza, ritrovare la purezza e l’innocenza con la quale si guardava il mondo da bambini.
Oscar sentì che, davanti a quella mano tesa e a quello sguardo consolatore, tutto quello che si era rotto dentro di lei in quella giornata infernale, e che era sprofondato negli abissi della sua anima, stava lentamente riaffiorando in superficie, nonostante gli sforzi compiuti per tenere a freno il dolore e far prevalere la fredda razionalità della coscienza.
Chiuse gli occhi, e la paura che per tutto il giorno aveva cercato di evitare, alimentandola con la rabbia e il disprezzo, tornò ad essere paura. Sentì che le ginocchia le tremavano, e lentamente si spostò verso una panca di legno laterale, lasciandosi scivolare su di essa e portandosi le mani al viso.
La differenza di classe, le strade infime di Parigi, la carrozza su cui se ne era andato Bernard Chatelet…
Andrè.
Il terrore che aveva provato, quando l’aveva visto accasciarsi davanti al cavaliere nero, con il volto coperto di sangue. Il freddo che si era impossessato di lei in quel momento ancora non l’aveva abbandonata…Lo sentiva dentro nell’oscurità della notte, quando le ombre strisciavano nella sua stanza, e lei affondava il volto nel cuscino, mordendone un lembo, per non piangere e gridare.
Andrè.
Il suo volto, stanco ma sereno, quando le aveva confessato quanto fosse felice che non fosse stata inflitta a lei quella ferita dolorosa.
Andrè.
Le parole lapidarie del medico, il pianto di Nanny, il suo cuore che si frantumava in mille schegge di cristallo.
Andrè.
La delusione nel suo sguardo, quando la distanza fra di loro era diventata palpabile e visibile, quasi quanto la parola nobile e la parola plebeo, marchiate a fuoco sulle loro fronti.
Oscar non aveva ancora pianto da quando la macchina infernale che aveva portato alla cattura del cavaliere nero si era messa in azione, ma in quel momento sentì fra le dita il calore umido delle lacrime che scendevano copiose, inzuppandole le guance e il colletto dell’uniforme. Piangeva a labbra serrate, scossa dai singhiozzi.
Sentì la sua anima spezzarsi, e il dolore investirla come un'onda. Cadde in ginocchio sullo spazio per genuflettersi e appoggiò i gomiti e le braccia davanti a sé, sprofondandoci dentro il viso.
“Perdonami…perdonami…” singhiozzò, con il volto dell’amico nella mente. “Non volevo che finisse così…Non volevo che accadesse questo…Dio! Se ci sei perché hai lasciato che questo avvenisse?! ”
L’incenso e l’oscurità della chiesa la avvolgevano come un velo, e dentro quell’involucro Oscar sfogò tutto l’amarezza e il senso di colpa per ciò che, ne era certa, fosse solo colpa sua.
Se Andrè fosse morto, non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei. Sarebbe stato come slegare l’unico filo che la teneva ancorata alla ragione.
Senza Andrè, sarebbe stata la follia…
Ma come poteva ancora pensare di tenerlo vicino? Di avere pretese su di lui, di fargli scontare il prezzo delle sue colpe?
Tutto il mondo che avevano sempre conosciuto, e in cui erano vissuti come fratelli, si stava ribaltando velocemente.
'Mi dispiace dirtelo Oscar…Ma ritengo arriveranno dei momenti duri per la nobiltà…'
Erano state le parole di Andrè, qualche tempo prima. Parole su cui lei aveva ironizzato.
'E di cosa ti preoccupi? Tu non sei nobile…'


Non seppe dire quanto tempo rimase in quella posizione. Quando sollevò il viso, dagli occhi gonfi e rossi, la luce del tramonto aveva abbandonato la cattedrale, e parecchie candele ai piedi della vergine si erano consumate, cedendo la loro fiamma all’oscurità.
Oscar si guardò attorno smarrita, il suo sguardo corse lungo la navata, fino all’altare, sovrastato dalla pietà.
Pensò a tutte le menzogne su cui era costruita la sua fragile vita, al triste sentimento per il conte di Fersen, agli splendori di Versailles e alla guardia reale, al degrado di Parigi…
Pensò a lei ed Andrè, cresciuti nella stessa casa, ma appartenuti da sempre a due mondi distinti, due mondi che si sarebbero scontrati di lì a poco.
Pensò alla perdità subita da Andrè, al fatto che gli fosse stata sotratta per sempre una fetta di luce e di mondo.
Pensò alla sua devozione, alla sua fedeltà, alla sua gentilezza. E comprese tutte le ingiustizie che gli aveva causato.
Un’ultima lacrima si formò nei suoi occhi, imperlandosi nelle ciglia fradice, e scivolò silenziosa lungo una guancia.
“Dio, davvero non so se ci sei, ma se ci sei…dammi la forza…” mormorò con voce roca “La forza per allontanarlo da me…Per renderlo un uomo libero.”


Nota dell’autore
Non sono molto convinta di questa fan fiction, soprattutto per la scelta della terza persona, che è una novità per me…L’ho scritta di getto, mentre in realtà stavo provando a scrivere altro, e le ho dato qualche aggiustatina nei giorni seguenti, ma non saprei davvero…Diciamo che vuole suggerire una versione alternativa al perché Oscar, di punto in bianco, decide di lasciare la guardia reale e dispensare Andrè dall’incarico di attendente. Ho provato a immaginare che queste due importanti decisioni potessero non avere a che fare solo con il sentimento non ricambiato nei confronti del conte di Fersen, e che forse, la voce del popolo e il desiderio di non essere più la ‘padrona’ di Andrè si siano fatti sentire nella sua coscienza molto più forte del desiderio di fuggire da Fersen^^
Per il resto mi affido al vostro giudizio, approfittandone anche per ringraziare chi segue e commenta la mia altra fic in corso, 'La luce della tua stanza', che conto di aggiornare a breve! Grazie^^

P.S sono passati un paio di anni (o anche di più…) dalla mia ultima volta a Notre-Dame, certe sensazioni non si dimenticano, è vero, ma la memoria fotografica non è il mio forte…perciò mi scuso in anticipo per eventuali strafalcioni nella descrizione della cattedrale!
  
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