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Autore: _KyRa_    09/11/2010    10 recensioni
[ Sequel di What if...? ]
Sgranava e stringeva a scatti gli occhi.
Non aveva mai provato una sensazione tanto sgradevole e mentalmente pregava perchè non durasse ancora a lungo.
Sentiva come se la stessero squarciando a metà, senza ritegno, e salate lacrime si andarono a mischiare con il sudore sul suo viso.
Gli ultimi minuti furono i più orrendi, i più insopportabili e strazianti, fino a che non udì un potente pianto liberarsi in quella sala popolata di dottori in camice verde.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is it.'
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Two.



Correva in mezzo a quella pista aerea senza una meta. Respirava con atroce affanno, tanto che fu costretta a fermarsi. Si guardò attorno con preoccupazione ed ansia: una decina di aerei era appostata proprio di fronte a lei, pronta a partire; ma qualcosa non andava. Corrugò la fronte, nel momento in cui scorse tutti i grigi velivoli prendere a muoversi lentamente, nella sua direzione, nello stesso istante. Con il cuore scalpitante ed una nuova paura ad invaderle il corpo, si voltò repentinamente nella direzione opposta, ricominciando poi a correre. Scappava senza guardarsi alle spalle, senza preoccuparsi di controllare se quegli aerei erano ancora in moto e la stavano inseguendo; scappava e basta, consapevole solamente del fatto che aveva disperatamente voglia di uscire da quella maledetta pista.
Sgranò gli occhi, nell'esatto istante in cui percepì qualcosa, o meglio qualcuno, strattonarle malamente un braccio. La luce mattutina era a dir poco accecante ed una sgradevole sensazione di freddo e bagnato la prese alla sprovvista. Si portò una mano alla fronte e constatò che era completamente sudata. Il suo cuore batteva ancora all'impazzata ed una strana sensazione di tremore alle gambe si impossessò velocemente di lei. Stava sognando?
« Mamy! Mamy! » la delicata voce di Eveline le giunse subito alle orecchie, portandola a voltare lo sguardo verso di lei. I suoi occhietti celesti – acquisiti da Christian – la scrutavano intrisi di preoccupazione.
« Eve, tesoro, che c'è? » domandò Monique, il più dolcemente possibile, cercando così di non intimorire la bambina.
« Ti agitavi. » mormorò la piccola, attorcigliando il pigiamino tra le mani e mordicchiandolo poi da un lembo, con fare agitato. Un'infinita tenerezza invase l'animo di Monique, la quale – con un dolce sorriso – la accolse fra le sue braccia, per infonderle quel poco di sicurezza che aveva momentaneamente perso. « Tei sudata. » storse il nasino la piccola, abbandonandosi comunque contro il corpo della madre, che prese a ridacchiare.
« Stavo solo facendo un brutto sogno, non ti preoccupare. » le sorrise successivamente, per poi liberarla dalla sua presa e permetterle di scendere dal letto disfatto.
Dormire insieme era diventata una piacevole abitudine. Sin da quando era piccola, aveva abituato Eveline a riposare nella propria culla, ma con il passare del tempo la bambina aveva cominciato a fare simili richieste, le quali avvenivano solo qualche volta, ma che Monique accettava sempre di buon grado. Farsi il solletico e ridere con gusto era solamente una semplice conseguenza dei loro risvegli mattutini.
La mora doveva ammetterlo: quella piccola creatura le aveva cambiato la vita e, in un certo senso, gliel'aveva resa più serena e movimentata.
Stese le braccia sopra la propria testa, stiracchiando i muscoli intorpiditi, e si rilassò per poi scendere dal letto e seguire sua figlia in cucina.
Si sentiva ancora scossa per quello strano sogno. Immaginava che fosse avvenuto a causa della telefonata ricevuta due giorni prima, da parte di David, per riferirle che assieme ai Tokio Hotel sarebbe tornato allo studio di registrazione proprio quel pomeriggio. Si erano accordati sull'orario di incontro, nella sua vecchia postazione di lavoro, per discutere sugli orari e su ogni dettaglio. Le era stato proposto persino di portare Eveline con sé ma, come primo ritrovo, avrebbe preferito non farlo: avrebbe lasciato sua figlia in compagnia di Jessica.
« Tesoro, oggi pomeriggio, hai voglia di stare un po' con zia Jessica? La mamma deve andare a tenere un colloquio di lavoro. » chiese alla piccola, dopo averla aiutata a sedersi sulla sedia.
« Ti! Con Tia Gege! » esclamò entusiasta Eveline, battendo ripetutamente le manine. « Ma poi tu tonni? » domandò successivamente, con occhi languidi, mentre la ragazza le preparava una pappina di latte e biscotti.
« Ma certo che torno, non ci metterò tanto. » le sorrise Monique, donandole una leggera carezza sui capelli mori.


« Tom, smettila di agitarti. »
La voce di suo fratello l'aveva colto alla sprovvista, risvegliandolo dai suoi più intimi pensieri, che forse nemmeno aveva presente. Scostò lo sguardo dall'oblò e si voltò alla sua sinistra, verso suo fratello, il quale lo osservava con la fronte corrugata.
« Cosa? » domandò il chitarrista, quasi stralunato.
« Continui a muovere la gamba, mi fai tremare il sedile e io non riesco a dormire. » spiegò il vocalist. Tom sollevò un sopracciglio: conosceva l'eccessiva vena polemica di suo fratello, ma ciò che gli aveva appena detto era a dir poco futile.
« Tu riusciresti a dormire anche con un trapano pneumatico accostato all'orecchio. » borbottò il chitarrista, tornando ad osservare le nuvole sotto di sé.
Aveva abbandonato la paura di volare da un bel po' di tempo, anche se quel lieve senso di vertigine gli attanagliava sempre e comunque lo stomaco, rendendolo piuttosto vulnerabile. Aveva comunque imparato ad accantonare l'ansia di una possibile caduta o esplosione intorno alle quali la sua mente vorticava; era stato costretto, dopotutto, a causa di tutti i viaggi che doveva affrontare.
« Cosa ti rende così nervoso, Tom? E non dirmi che è il volo perchè non ci credo. »
Quella domanda l'aveva preso in contro piede. Non si era decisamente programmato una risposta plausibile da gettare, senza riflettervi, a suo fratello. Il suo cuore conosceva il motivo; la sua mente lo ignorava. Ammetterlo sarebbe stato troppo arduo per lui.
« Non sono nervoso, Bill. Lo sai che ho questo vizio da quando sono piccolo. » rispose il ragazzo, cercando di apparire abbastanza convinto di ciò che aveva appena detto.
« Sì. E so anche che lo fai, appunto, quando sei nervoso. » ripetè con un sorriso furbo in volto e le sopracciglia sollevate, in un'espressione intrisa di sarcasmo ed ironia. Tom lo fulminò con lo sguardo, mostrando una smorfia contrariata, e successivamente sbuffò, segno che si era arreso a quegli ammiccamenti da parte del suo gemello.
« D'accordo, sono un po' agitato. Giuro, solo un pochino. » ammise Tom, più per convincere se stesso che Bill, il quale appariva decisamente poco incline a credere ad ogni sua parola. « Io e lei non ci siamo salutati in modo del tutto carino, all'aeroporto, quel giorno. » mormorò, abbassando lo sguardo sulle sue mani unite in grembo. « Io te ne avevo parlato sin dalla prima volta in cui lei aveva messo piede allo studio di registrazione che avevo capito di avere un debole per lei e che avevo paura per questo. Tra parentesi, ti ringrazio per aver mantenuto il segreto. » Bill, in risposta, sorrise appena. « Anche se adesso non sono più così preso da lei come prima, mi fa sempre uno strano effetto, anche il solo pensiero di rivederla, capisci? Forse solo per un forte senso di colpa nei suoi confronti, per paura di essere respinto, per paura di essere ignorato, odiato... Perchè comunque l'ho fatta soffrire. Io a lei piacevo; ora non so. Rimane il fatto che non so assolutamente cosa aspettarmi dall'incontro di oggi pomeriggio. » concluse il chitarrista, per poi sospirare, come magicamente alleggerito da quella piccola confessione.
Suo fratello lo osservava con tangibile comprensione sul volto. Aveva capito perfettamente cosa volesse dire con quelle affermazioni e conosceva anche il sentimento che stava provando.
« E' normale che ti senti un po' spaventato da questo ma, ormai la conosciamo: Monique è una ragazza intelligente e non mi sembra il tipo che porta rancore. Probabilmente, con il tempo – dato che è stato tanto – è passata anche a lei la cotta che aveva per te, se possiamo definirla tale. Quindi non vedo perchè dovrebbe trattarti male o non parlarti. Il passato è passato; ora è cresciuta, ha una figlia, ha cose molto più serie di cui preoccuparsi. »
Le parole di Bill erano state assorbite, dalla prima all'ultima, dal suo cervello. Non capiva come fosse possibile ma, il pensiero che Monique lo avesse dimenticato, dal punto di vista sentimentale, lo rendeva particolarmente malinconico. Non sapeva spiegarsi se fosse dovuto dalla questione del solo Ego maschile che non doveva assolutamente andare distrutto, o fosse per un motivo decisamente più specifico.
« Sì, può essere come dici tu. » concluse con una lieve alzata di spalle, poggiandosi poi contro lo schienale del suo sedile, per tornare a scrutare il cielo limpido mattutino che stanziava attorno a lui.
Semplicemente, non doveva pensarci.
Qualche secondo più tardi, percepì la mano di suo fratello posarsi sulla sua gamba per schiacciargliela verso il basso, con l'intento di fargliela tenere ferma. Sorrise impercettibilmente: era più forte di lui.


Da minuti interminabili respirava allo stesso modo di quel lontano giorno in cui aveva partorito.
Ricordava ogni singolo incoraggiamento da parte dei dottori, ogni singolo dettaglio di quella affannosa respirazione che le avevano ordinato di adottare e l'aveva rimesso in pratica in quell'istante. Non riusciva a capire – o forse non voleva – come fosse possibile un'agitazione simile. Avrebbe rivisto i suoi datori di lavoro, con i quali aveva sempre passato ogni momento delle sue giornate, eppure si sentiva non poco nervosa.
Appena entrata con la macchina nel vialetto dello studio di registrazione, il suo cuore aveva preso ad eseguire fantastiche acrobazie, nell'avvistare l'enorme Cadillac e le Audi parcheggiate proprio lì, a qualche metro. Era scesa dalla sua auto con lentezza eccessiva e si era guardata attorno come se avesse commesso un reato per il quale qualcuno l'avrebbe improvvisamente accusata.
La verità era che aveva paura che qualcuno di indesiderato sbucasse alle sue spalle, da un momento all'altro. Ciò, fortunatamente, non avvenne ed aveva così raggiunto in poco tempo lo zerbino, di fronte all'entrata. Ora era ferma lì, ad attendere una qualche chiamata divina che le infondesse il coraggio necessario per varcare quella soglia, o più semplicemente suonare quel dannato campanello, nonostante possedesse ancora le chiavi.
Sollevò una mano tremante verso il bottoncino affianco alla porta e, dopo qualche attimo di lunga esitazione, chiuse gli occhi e vi premette con un dito. Pochi secondi in cui il suo cervello le ordinò di scappare e in cui la porta si aprì, rivelando dietro essa l'esile figura di David.
« Monique! » esclamò entusiasta, accogliendola in un caloroso abbraccio che quasi le fece mancare il fiato. La ragazza non poté fare a meno di ricambiare quella stretta, rilassandosi in un sorriso sincero. Alle spalle del manager, avvistò Bill, Gustav, Georg e – con un colpo al cuore – Tom, camminare in quella direzione, piuttosto sorpresi. Il vocalist le si fiondò addosso, seguito repentinamente dal batterista, per poi schioccarle innumerevoli baci sul volto; successivamente toccò anche al bassista che l'accolse fra le sue braccia muscolose. Quando infine si voltò nella direzione di Tom, per un attimo le mancò il fiato. Il ragazzo la guardava con un'espressione intimidita ma allo stesso tempo sorridente.
Si sentiva impacciata, non sapeva che fare, così sorrise appena di rimando e sussurrò un “Ciao”, al quale il chitarrista rispose con un cenno del capo.
« Non hai portato Eve! » constatò Bill, imbronciato.
« No, l'ho lasciata a casa con Jessica. Non mi sembrava il caso di portarla ad un colloquio di lavoro. » rispose Monique, cercando di non pensare a quegli occhi nocciola che intanto la scrutavano.
« Ma tanto ormai siamo tutti in famiglia! Dobbiamo solo rivedere alcune cose, potevi tranquillamente portarla. » intervenne David. Monique sollevò le spalle e l'uomo scosse appena la testa, divertito. « La prossima volta però ce la devi far conoscere. » insistette.
« Senza dubbio. » sorrise la mora, scoccando poi un veloce sguardo al chitarrista.


Erano passate quasi due ore dal momento in cui si era seduta su quella sedia, in cucina. Attorno al tavolo sedevano anche i ragazzi, assieme al manager, intenti a discutere circa orari e simili.
Si era infine stabilito che Monique sarebbe tornata a lavorare come traduttrice o interprete simultanea – casomai avessero dovuto tenere ulteriori interviste – ma le pulizie a cui precedentemente si dedicava, al pomeriggio, assolutamente no. Ora aveva una figlia a cui badare e doveva trovare il tempo materiale per riuscire a gestire ogni singolo impegno o dovere. Al momento, il dovere di madre era quello che più le premeva e, in quanto tale, avrebbe dovuto assicurare una buona situazione – anche in termine economico – a sua figlia.
Tom, in tutto quel tempo, aveva parlato pochissimo; aveva annuito o era intervenuto di tanto in tanto, quando gli era praticamente di dovere, ma oltre a monosillabi, non aveva esposto più di tanto le sue idee. Monique continuava a torcersi le mani; non perchè si sentisse ancora attratta da lui – cosa che, dovette ammettere, era più o meno tale – ma perchè quella situazione le pesava ed allo stesso tempo non riusciva a fare finta di nulla. Nel profondo, nonostante si fosse impegnata per far sì che ciò non influenzasse negativamente il loro rapporto, si sentiva ancora arrabbiata, o meglio furente con lui. Era riuscito a rovinare tutto quanto con motivazioni a dir poco futili, nonostante lui le reputasse alquanto sostanziose.
La conversazione, a quel tavolo, aveva lentamente preso una piega del tutto diversa da quella lavorativa. Ora tutti erano curiosi di sapere qualcosa riguardo Monique e la sua situazione familiare, da quando era “entrata in scena” Eveline.
« Quindi ha i tuoi stessi capelli mori? » domandò Bill, sognante, con il viso poggiato ai palmi delle sue mani, con fare interessato. Monique annuì, sorridendo appena; aveva imparato a convivere con un nuovo sentimento, da quando era diventata madre: l'orgoglio per sua figlia.
« E gli occhi? » intervenne David.
« Quelli li ha ereditati da suo padre. » commentò la ragazza con una smorfia, al solo ricordo del suo ex fidanzato. « Sono celesti e, mi duole ammetterlo, ma su di lei sono una meraviglia. » borbottò la mora, al che i ragazzi ridacchiarono compiaciuti da quella difficile dichiarazione.
« Mi fa strano sentirti parlare in questo modo di una bambina. Se penso che fino a qualche tempo fa quasi li ripudiavi, i bimbi... » sorrise Gustav.
« Beh, diventare madre ti cambia radicalmente la vita. E poi, non so, è come un istinto naturale che ho sentito nell'esatto momento in cui mi hanno appoggiato la bimba sul petto. » la sua voce era andata a calare sempre di più, parola dopo parola, poiché un ricordo stava spintonando fra i suoi pensieri per venire fuori.


« Insomma, Tom. A me i bambini neanche piacciono. » ammise, prendendosi la testa fra le mani. Tom restò qualche attimo in silenzio, scrutandola accigliato. « Non sono in grado di crescerne uno. Probabilmente non sarei neanche affettuosa, mi farebbe schifo cambiargli il pannolino, perderei le staffe se mi svegliasse il suo pianto durante la notte, uscirei di testa. Forse non sarei nemmeno in grado di crescerlo, di dargli una buona educazione, di aiutarlo con i compiti. Tom, non sono in grado di fare la madre! » sbottò Monique.
[...]
« Sai cosa penso? Che tutte le donne abbiano, chi più chi meno, un istinto materno. Alcune ce l'hanno più marcato, altre lo nascondono persino a loro stesse. Forse semplicemente perchè non lo vogliono tirare fuori. Probabilmente perchè si sono sempre convinte, come nel tuo caso, che i bambini non faranno mai parte della loro vita. » esortò il ragazzo, lasciando Monique di stucco. Tutto si sarebbe aspettata dal chitarrista, ma non un discorso intriso di tale maturità. «Insomma, voi donne siete connaturate così... Per dare al mondo i bambini. Ce l'avete dentro. Forse tu non lo senti ancora, ma sono sicuro che non appena partorirai e ti appoggeranno quel fagottino sul petto... Ti sentirai più mamma tu di qualsiasi altra donna. »


Quelle parole, di tanto tempo prima, erano dannatamente veritiere; senza saperlo, Tom ci aveva preso, sin dall'inizio. Non poteva immaginare che, in un modo o nell'altro, avrebbe avuto ragione.
Nel momento in cui sollevò lo sguardo su di lui, notò che la stava osservando con quella stessa profondità, con quella stessa espressione, testimone di tante parole non dette ma volenterose di fuoriuscire dalle sue labbra. Probabilmente, entrambi avevano ricordato lo stesso episodio, nel medesimo istante.
Come imbarazzato, il chitarrista tornò a scrutare il tavolo, sotto di sé.
« Sei ritornata perfettamente in forma, comunque, lasciatelo dire. » constatò Bill, come suo solito attratto dall'estetica.
« Ho fatto un po' di ginnastica in casa, con Jessica che, sosteneva mi facesse da personal trainer, ma a me pareva più la copia femminile di Hitler. » spiegò Monique.
I ragazzi, assieme al manager, scoppiarono a ridere, probabilmente immaginando la scena.
« E Christian si è più fatto vedere? »
La domanda di Georg aveva trascinato all'improvviso il silenzio in quella cucina. Tom aveva di nuovo sollevato lo sguardo su Monique, attendendo evidentemente una risposta da parte sua.
« No, non si è fatto vedere e non ci deve nemmeno provare. » rispose freddamente la ragazza, al che il chitarrista si rilassò sulla sedia. Non comprendeva nemmeno lui la ragione per cui per quei secondi apparentemente interminabili avesse sperato tanto in quella risposta.
« Se sbucasse nuovamente e volesse avere un rapporto con la figlia, cosa faresti? » chiese ancora Gustav. Monique rifletté qualche attimo, prima di rispondere.
« Non è un problema che mi sono mai posta, semplicemente perchè do per scontato che non lo farà mai, dato che non glien'è mai importato nulla né di me, né della creatura che tenevo in grembo. Probabilmente reagirei di conseguenza; dovrei trovarmi nella situazione ma spero che questo non accada. »
Improvvisamente, il cellulare prese a vibrare nella tasca dei suoi jeans, interrompendo quella conversazione. Si affrettò a recuperarlo e rispose.
« Monique, hai ancora tanto? » sentì la voce di Jessica.
« Ehm, no, a dire il vero, abbiamo finito. » rispose la mora, aggrottando le sopracciglia. « Qualcosa non va? » domandò poi.
« No, non ti preoccupare. Solo che Eve mi sta chiedendo da un po' quando arrivi. »
« Tesoro... Dille che arrivo subito. »
« Ma sì, fai pure con calma. A dopo. »
Riattaccò e ripose il cellulare in tasca.
« La piccola chiama. » annunciò alla tavolata. « Sarà meglio che vada perchè, tra le chiacchiere, non mi sono accorta dell'ora. » sorrise appena, alzandosi intanto dalla sedia. Tutti quanti annuirono e si alzarono a loro volta. La accompagnarono sino alla porta, salutandola successivamente, dopo essersi ricordati a vicenda che la mattina seguente sarebbe già tornata a lavorare. « Ciao, ragazzi, a domani. » salutò la mora, uscendo poi dallo studio di registrazione.
Il cielo, sopra di lei, era già buio, reso appena più luminoso solamente grazie alle stelle che quella sera avevano deciso di ornarlo, senza alcuna nuvola a guastare quel piacevole spettacolo. Si strinse nel cappotto, diretta verso la sua macchina, quando udì una voce, alle sue spalle, fermarla.
« Monique. »
Un brivido, uno di quelli che era solita provare fino a qualche tempo prima, le attraversò la colonna vertebrale. Impuntò sui propri piedi, quasi indecisa sul da farsi ma, senza riflettervi ulteriormente, si voltò nella direzione del chitarrista. Quest'ultimo la guardava intimidito, con le mani in tasca e stretto nelle proprie spalle, ma con espressione crucciata e bisognosa di liberarsi di un peso troppo opprimente.
« Dimmi. » cercò di apparire disinvolta la mora. Tom restò qualche attimo in silenzio. A dire il vero non conosceva nemmeno lui il motivo per cui l'aveva inseguita, con l'intento di parlarle. Ma per dirle cosa?
Il chitarrista prese a strusciare una scarpa contro l'erba che gli sottostava, decisamente pentito di aver fatto ciò; ora non sapeva più come venirne fuori.
« Nulla, volevo solo... » esitò ma le parole non si liberarono nell'aria. Semplicemente si fermò, guardandola con una strana luce malinconica negli occhi. Monique aveva i pugni stretti nelle tasche del suo cappotto ma questo Tom non poteva vederlo. Voleva apparire al suo sguardo sicura di sé e per niente turbata, ma il suo impegno stava cominciando a vacillare.
« Solo? » lo incoraggiò, senza esternare quella lieve speranza che aveva preso possesso dei suoi sensi. Il suo cuore, infondo, sperava che le dicesse qualcosa che l'avrebbe fatta tornare a casa con il sorriso, anche se ciò non avrebbe cambiato la situazione. « Tom, Eve è a casa che mi sta aspettando. » provò ad incitarlo ulteriormente. Lo vide ancora più teso; forse si sentiva pressato.
« Hai ragione... Vai. » sorrise appena il ragazzo, portandosi una mano dietro alla nuca. Si sentiva eccessivamente in imbarazzo e fremeva dall'urgenza di correre nuovamente dentro lo studio e nascondersi dagli occhi della mora.
Monique ricambiò appena il sorriso ed aprì successivamente la portiera della macchina.
« Ciao, Tom. » lo salutò cordialmente, per poi salire sulla sua autovettura ed allontanarsi sempre di più da quel ragazzo così abbattuto.
Si sentiva tremendamente in colpa per averlo lasciato lì, senza nemmeno dargli il tempo necessario per esprimerle ciò che lo turbava, ma era stato più forte di lei. Nonostante una parte del suo cuore desiderasse sentirsi dire determinate cose, un'altra le rifiutava con tutte le proprie forze; forse voleva vivere nell'oscurità, nell'ignoranza... Solo così avrebbe avuto modo di non soffrire più.


  
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