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Autore: Annette85    09/11/2010    6 recensioni
Il buio avvolgeva ogni cosa e sembrava che gli alberi si prendessero gioco di lui, comparendo dal nulla mentre correva a perdifiato nel bosco.
Un anno prima, non appena il Marchio Nero sul suo braccio aveva ripreso vita, era scappato. [...]

Storia classificatasi quarta e vincitrice del Premio miglior Stile e del Premio miglior Trama a "Il Marchio Nero", contest indetto da AliH e Lynda Weasley sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nota: Questa storia ha partecipato a Il Marchio Nero, contest indetto da AliH e Lynda Weasley sul forum di EFP, e si è classificata quarta, vincendo poi il Premio miglior Stile e il Premio miglior Trama. Il contest prevedeva la stesura di una storia partendo da un prompt a cui era associato un Mangiamorte, il mio prompt era: Piuma.
Questa è la prima storia su Karkaroff che ho scritto e devo dire che il personaggio non è mai stato tra i miei preferiti, ma è stato in qualche modo semplice immedesimarmi e scrivere di lui.
Devo ammettere che mi è piaciuto scrivere di questo personaggio, è vero che non si sa poi molto di lui, ma ho cercato di renderlo quanto più fedele al libro possibile.
Spero apprezzerete^^
Buona lettura^^


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La lenta caduta di una piuma

Il buio avvolgeva ogni cosa e sembrava che gli alberi si prendessero gioco di lui, comparendo dal nulla mentre correva a perdifiato nel bosco.

Un anno prima, non appena il Marchio Nero sul suo braccio aveva ripreso vita, era scappato. Lontano da Hogwarts, dove aveva lasciato i suoi studenti della scuola di Durmstrang praticamente in balìa di loro stessi; lontano da Lord Voldemort, per paura di essere ucciso dopo il tradimento compiuto anni prima.

Era scappato come un codardo per salvarsi ancora una volta la vita. Ma per quanto? Se ad Azkaban aveva resistito quel tanto che bastava per poi smascherare i propri compagni e ritornare a una vita più dignitosa, ora per quanto poteva sperare di cavarsela?

Di sicuro Lord Voldemort lo stava cercando.

O forse no.

Probabilmente non si sarebbe mai abbassato a cercare uno di quelli che gli avevano giurato eterna fedeltà, soprattutto se questo si era rivelato un inetto, rinnegando le proprie scelte. Di sicuro avrebbe mandato qualcun altro a fare il lavoro sporco.

Karkaroff, rincuorato almeno in parte da quei pensieri, calò il passo, riprendendo a camminare normalmente, per quanto l’oscurità glielo permettesse. Tastò la propria veste, alla ricerca della bacchetta: era stanco di procedere al buio e, se qualche animale l’avesse attaccato, era molto più saggio essere pronto a difendersi, anziché aspettare di finire a pezzettini.

«Lumos», il bisbiglio che squarciò il silenzio sembrò un urlo e Karkaroff si guardò intorno preoccupato che qualcuno, anche a miglia di distanza, avesse potuto sentire qualcosa. Ma nulla si mosse, se non qualche foglia spostata da un leggero venticello che scuoteva il sottobosco.

Riprese a camminare alzando la bacchetta in modo che potesse fare luce quel tanto che bastava per non andare a sbattere contro gli alberi e notò come questi si stessero diradando, lasciando il posto a una piccola radura. Di fronte a lui, nascosta dal sottobosco, che aveva ripreso vigorosamente terreno, intravide una capanna addossata a una roccia. Karkaroff fece gli ultimi metri correndo, certo che là sarebbe stato al sicuro, che avrebbe potuto passare la notte riposando e riprendendo le forze.

Entrò in quella piccola catapecchia e vi applicò quanti incantesimi scudo conosceva per avere la certezza di non essere trovato da chi lo stesse cercando.

Si sedette con la schiena contro una delle pareti e chiuse gli occhi, sperando di dormire almeno qualche ora, prima di riprendere il cammino.


La cella era piccola e angusta, l’unica apertura, una grande porta con le sbarre, dava sul corridoio ancora più sudicio e illuminato solo da qualche torcia, dove i Dissennatori passeggiavano di quando in quando, risucchiando i ricordi dei malcapitati.

Era impensabile come dei maghi di aperte vedute verso i Babbani potessero rinchiudere lì dentro i loro simili. Non passava giorno che arrivasse qualche nuovo prigioniero, “Mangiamorte dell’ultima ora”, come li definivano gli Auror che li scortavano.

Lui si trovava lì già da qualche mese, ormai; quando era ancora libero, aveva tentato di scappare, ma Alastor Moody era stato più scaltro e l’aveva preso.

Aveva subito il processo come tutti, impotente, ed era stato mandato ad Azkaban senza possibilità di scelta, se non quella di tradire i suoi compagni per salvarsi. Lo avevano trattato come un rifiuto della società, quando aveva fatto tanto per i Purosangue, nonostante non avesse mai ricevuto un ringraziamento. Non era affatto giusto, ma non poteva certo rinnegare i suoi compagni e il suo Signore Oscuro.

Ogni volta che un Dissennatore passava davanti alla sua cella, i ricordi più belli venivano risucchiati via, strappati alla sua memoria come foglie secche rubate ai rami degli alberi dal vento, e lui, ne era certo, a breve sarebbe impazzito come tanti altri suoi compagni o, peggio, sarebbe stato Baciato.

Nei lunghi momenti di riflessione a cui si abbandonava in quei giorni tutti uguali, si ritrovava a pensare che forse perdere del tutto il senno o l’anima non sarebbe stato così male: avrebbe smesso una volta per tutte di ricordare com’era la vita fuori da Azkaban.

Si guardò intorno assente e notò che una delle torce si era spenta, segno che qualche guardiano stava facendo un giro di ronda. Probabilmente, sperò, quella sarebbe stata la volta buona, il momento atteso per mesi.

Socchiuse gli occhi, pronto a subire un altro attentato ai propri ricordi, ma il fruscio della creatura lo oltrepassò senza badargli molto, come se qualcos’altro l’avesse attirata con forza verso una nuova fonte ben più ricca.

Si sporse verso le sbarre quel tanto che bastava per scorgere almeno in parte cos’avesse attirato un Dissennatore con tanto interesse: intravide la creatura sostare davanti una delle celle poco più avanti e aprire lentamente la grata con una delle sue mani putride. Di solito non aprivano la cella, anzi, vi si fermavano solo davanti e rubavano quanti più ricordi potevano per soddisfare la loro fame.

Aprivano le celle solo per un motivo, l’unico e il più terrificante: Baciare il prigioniero.

Karkaroff deglutì a fatica, mentre cercava di capire chi fosse il malcapitato contando le celle che li separavano.

Attese.

Attese a lungo che qualcosa succedesse, che il mago dentro quella cella urlasse o cercasse di scappare, anche se si sapeva essere cosa impossibile.

A un tratto un urlo esplose in quel silenzio irreale calato su tutto il piano: nessun mago aveva osato fiatare da quando il Dissennatore era apparso dal fondo del corridoio; nessun mago aveva provato ad attirare l’attenzione della creatura, sviandola dal suo compito; nessun mago aveva potuto salvare il malcapitato dal proprio destino, segnato con le sue stesse mani quando si era unito al Signore Oscuro.

Karkaroff restò immobile, come pietrificato dopo aver sentito quell’urlo disumano; il sangue si era come fermato all’interno delle sue vene, congelato, mentre il cuore aveva perso un battito.

La porta della cella si richiuse con un lungo e lento cigolio, che riportò gli altri prigionieri alla realtà, mentre guardarono sfilare la creatura davanti alle celle ancora una volta. Passò davanti a quella di Karkaroff e di nuovo non si fermò.

Sospirò di sollievo quando la porta in fondo al corridoio si chiuse con un tonfo, lasciando una scia di sgomento dietro di sé. Il suo sguardo vagò ancora qualche istante sul pezzo di corridoio visibile dalla propria cella e notò una piccola piuma bianca che svolazzava spostata dall’aria, prima di posarsi sul pavimento sudicio davanti alla grata.

Karkaroff allungò la mano per quanto le sbarre glielo permettessero e prese la piuma; la guardò per qualche istante, rigirandosela tra le dita, prima che una nuova consapevolezza si facesse strada dentro di sé: voleva continuare a vivere, rivoleva la libertà. Morire lì dentro era la cosa più aberrante che sarebbe potuta succedergli.

Si risedette con le spalle al muro e pensò a quanto gli mancasse l’aria pulita e piena di vita fuori da Azkaban: sarebbe stato veramente bello ritornarvi, anche solo per qualche istante.

Nessuno avrebbe più potuto recriminare se lui avesse fatto dei nomi, se lui si fosse salvato la vita, se lui, forse per la prima volta, avesse fatto la scelta migliore per sé, quella che gli altri di sicuro non si aspettavano. Il Signore Oscuro era morto, quindi perché non tentare di salvarsi?

«Nuovo arrivo», una voce a lui terribilmente familiare ruppe il filo dei pensieri, mentre la porta del corridoio si riapriva, questa volta per far passare due Auror.

«Sono sicuro che ti divertirai un mondo qui dentro», disse il secondo mago, mentre passavano davanti alla cella di Karkaroff, diretti in fondo al corridoio, dove ce n’erano ancora alcune vuote.

Il “Nuovo arrivo” non disse nulla, si sentì solo un tonfo quando i due maghi lo gettarono letteralmente dentro la cella, prima di chiudersi la grata alle spalle.

Karkaroff si alzò in piedi e si avvicinò alle sbarre e cercò di fermare almeno uno dei due Auror, ma questi lo ignorarono, come non ci si interessa a qualcuno di assolutamente inutile.

«Ehi», li richiamò il Mangiamorte con voce tremante. «Ho delle informazioni per voi».

Moody si voltò lentamente a guardare Karkaroff con disprezzo: «E perché non hai parlato prima?» chiese beffardo mentre gli si avvicinava.

«Perché non mi avete fatto parlare», rispose sicuro di sé il prigioniero. «Ora, però, dovrete ascoltarmi».

«Molto bene», continuò Moody incrociando le braccia al petto. «Parla pure, ti ascolto».

«Non qui», sussurrò Karkaroff abbassando lo sguardo, timoroso che qualcuno dei suoi compagni di prigionia potesse sentire. «Parlerò, ma solo davanti al Wizengamot».

Moody ghignò, capendo immediatamente il gioco del Mangiamorte: salvarsi davanti al Tribunale dei Maghi, ma senza che i suoi compagni sapessero cos’avesse detto.

«Molto astuto», sibilò l’Auror. «Vedrò cosa posso fare». Si girò e riprese a camminare verso l’uscita, dove l’altro aveva aspettato pazientemente.

Karkaroff si sentì in qualche modo sollevato, nonostante Moody non gli avesse promesso alcunché. Riprese tra le mani la piuma e la guardò ancora, questa volta con la consapevolezza nuova e, forse, meschina che avrebbe potuto essere di nuovo libero. Ma prima, doveva pensare ai nomi giusti da fare per poter raggiungere il suo scopo.


Si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore, mentre lo sguardo andò subito alla porta di legno malridotta. Un rumore aveva interrotto bruscamente il suo sonno.

Si appiattì nell’ombra, bacchetta alla mano, pronto a difendersi da qualsiasi cosa o persona si potesse aggirare nel sottobosco. Il suono di alcuni passi appena fuori la capanna risuonò per degli istanti interminabili, mentre un respiro lento e pesante sembrava voler trapassare le pareti della capanna.

Karkaroff strinse maggiormente la bacchetta e solo allora si accorse di avere in mano anche qualcos’altro. Non appena capì di cosa si trattasse spalancò gli occhi e deglutì a fatica: prima di allora l’aveva vista una sola volta ed era stata simbolo di libertà. Ora quella piuma cosa poteva significare? Perché se l’era ritrovata tra le mani senza ricordare dove l’avesse presa?

«Sei sicuro che si trovi da queste parti?» una voce roca, come se l’uomo a cui appartenesse non parlasse da molto tempo, riportò Karkaroff alla realtà e lo spinse a stringere di nuovo la bacchetta.

«Sì, giù in paese hanno detto di aver visto una persona aggirarsi nella boscaglia ieri sera», rispose un altro, sicuramente più giovane del primo. «Chi mai si avventurerebbe da queste parti, di notte?»

«Nessuno sano di mente», disse il primo emettendo subito dopo una risata cavernosa. «Non hanno detto che qui dovrebbe esserci una catapecchia?»

Karkaroff improvvisamente si ricordò quella strana sensazione che era solita farsi strada dentro di lui quando era ad Azkaban e lo portava a pensare al peggio, alla possibile morte imminente.

«Così dicono», sussurrò l’altro. «Homenum revelio».

La capanna fu scossa per qualche istante, mentre l’incantesimo trapassava senza rompere gli incantesimi protettivi lanciati da Karkaroff e si dissolveva dopo aver trovato ciò che cercava.

I due uomini risero di gusto constatando quanto fosse stato facile rivelare la presenza di qualcuno, nonostante questi avesse cercato di nascondersi il più possibile. Evidentemente la fuga e il terrore di essere scoperto avevano influito sulla magia e quindi gli incantesimi lanciati si erano rivelati più deboli del previsto.

Il mago, allora, si fece forza rimettendosi in piedi: il cuore sembrava volergli scoppiare nel petto per l’agitazione che provava in quel momento; spalancò la porta con un incantesimo e uscì allo scoperto con la bacchetta stretta in pugno, pronto a combattere per salvarsi la vita. La piuma scivolò lenta ai suoi piedi, unica testimone silenziosa dell’ennesimo tentativo di riconquistare la libertà.


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Questa storia è molto lunga e forse un po' pesantuccia, purtroppo, avendo scelto di descrivere un avvenimento così, era inevitabile.
Spero, comunque, che vi sia piaciuta e che abbiate apprezzato questa storia che, in qualche modo, cerca di scagionare il povero Igor da alcune colpe. Di certo non voglio dire che non fosse colpevole, inetto, calcolatore e traditore, ma spero di avergli reso un po' di giustizia.
Sia chiaro: io non vado molto d'accordo con i Mangiamorte, ma ho voluto cimentarmi in questa sfida e devo dire di essere molto soddisfatta del risultato.
Ringrazio AliH e Lynda per aver indetto il contest e spero proprio ci sia una seconda edizione: scrivere di personaggi del genere è sempre uno stimolo per me, soprattutto quando si tratta di quelli che non vedo di buon'occhio o non sono stati approfonditi particolarmente in originale.
Ora, prima che scriva altre quattro pagine di note, lascio la parola a voi, nella speranza che la storia sia stata di vostro gradimento^^

Ciao ciao

   
 
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