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Autore: harinezumi    10/11/2010    5 recensioni
Arthur Kirkland è un impegnato banchiere a Londra, che sembra impiegare il proprio tempo solo ad accumulare denaro. ma un giorno eredita la villa dello zio in Francia, dove riscopre emozioni che aveva da tempo soppresso.. {una rivisitazione in chiave "hetaliana" del film omonimo del 2006; probabilmente lo ammazzerò a colpi d'ascia, siete avvertiti *-*}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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capitolo sette – in cui finisce l’inchiostro verde


 

Nessuno aveva sentito la macchina parcheggiare al viale della villa verso le una di notte. E nessuno sentì gli strilli provenire dalla camera di Matthew la mattina presto, tantomeno Antonio, impegnato a limonare allegramente con un riluttante Lovino sul tavolo della cucina.

Perciò, Matthew dovette schiacciarseli da solo, gli scorpioni.

Francis si era svegliato al fianco di Arthur, rimanendo a fissarlo mentre dormiva per qualche minuto, finché non ebbe il coraggio di alzarsi. Cercò di non fare troppo rumore, infilandosi la camicia –senza qualche bottone-, i pantaloni e raccattando le proprie scarpe sparse per la stanza. Preferì non metterle, per paura di svegliare Arthur, così si diresse verso la porta silenziosamente.

«Te ne sgattaioli sempre via così, la mattina?» gli domandò improvvisamente l’inglese, evidentemente ben sveglio.

«Credevo dormissi» si giustificò Francis, fermandosi. Si voltò, con aria seccata, tutto per nascondere l’imbarazzo per essere stato colto in flagrante. «Devo andare al lavoro, io non sono in vacanza».

Arthur lo guardò per qualche istante, perplesso. «Che ti prende?»

Francis provò a sorridere. Ci provò davvero, ma tutto ciò che il suo volto lasciò trasparire fu tristezza. Si avvicinò di nuovo lentamente al letto, sedendosi sul bordo e cercando di continuare a guardare Arthur negli occhi. «È stato bello, Angleterre. Ma lo sai perché ho passato la notte con te?» Francis s’interruppe, sorridendo appena allo sconcerto che andava aumentando sul volto di Arthur. «Perché una volta che avrai finito di fare quello che devi fare qui, te ne andrai e non tornerai più. Non c’è un futuro per noi… e c’è una certa sicurezza nel saperlo».

Già, la sicurezza che a Francis era mancata nel rifarsi una vita tutti quegli anni. Sentiva che Arthur invece non avrebbe mai potuto sorprenderlo, infatti non lo fece.

«Potresti aprire un bistrot a Londra» osservò infatti l’inglese, capendo all’istante dove voleva andare a parare, sulla sua imminente uscita di scena dalla campagna francese. Ma nel tono della sua voce non c’era un minimo di speranza, anzi risultò spiacevolmente ironico, anche se evidentemente non ne aveva avuto l’intenzione.

«Mh» fece Francis, allargando il proprio sorriso con amarezza. Si alzò dal letto, lanciandogli un’occhiata assai poco amichevole, esattamente come quando si erano incontrati, pochi giorni prima. «Che cosa tipica del carattere inglese… supporre che io viva in Provenza perché non ho altra scelta».

Arthur non poté non sentirsi ferito a quelle parole, ma cercò di mascherarlo con la sua solita, prorompente, capacità di arrabbiarsi in pochi secondi. «Beh scusa, Francis, se questo posto non si adatta alla mia vita!»

«No» rispose il biondo, con una risatina. Si avviò di nuovo verso la porta, aprendola. Si fermò un’ultima volta per lanciare un’occhiata all’altro, ancora terribilmente malinconica. «È la tua vita che non si adatta a questo posto» mormorò, uscendo.

Già, è la tua vita che non si adatterà mai nemmeno a me. Stupido inglese testardo.

***

Arthur si trovava in giardino, assieme a Matthew, seduto su una delle sdraio sotto un ampio ombrellone. Tanto meglio, perché era da quella mattina che aveva ripreso a piovigginare e non accennava a smettere.

Matthew era impegnato ad andare avanti e indietro, lungo il perimetro delimitato dall’ombrellone, leggendo e rileggendo delle carte che teneva tra le mani, mentre il suo capo era impegnato ad ignorarlo e a fissare il vuoto. «I soldi che ne hai ricavato non sono stati tanto male, nonostante il resoconto dell’enologo» affermò infine, alzando gli occhi dal contratto che una coppia gli aveva presentato da appena poche ore.

Arthur mugugnò qualcosa, senza dare come al solito segno di averlo sentito, e fissando l’acqua della piscina davanti a sé, increspata da piccole goccioline.

«Basta che firmi, e la vendita sarà completa» aggiunse Matthew, raccattando una penna dalla propria tasca e fermandosi davanti a lui, per passargliela assieme ai fogli.

Arthur afferrò il contratto, ponendovi una firma sbilenca piuttosto distrattamente, prima di restituire i fogli a Matthew e tornare a fissare la piscina con aria assente. Sentì che il suo assistente riprendeva a parlare, ma dopo qualche minuto lo interruppe. «Lo sai, Charlie… credo di essere innamorato» mormorò, sentendosi confuso dalle proprie stesse parole.

Matthew, comunque, sembrò esserlo quanto lui. Poi, il suo volto s'illuminò, memore della conversazione con l'americano la notte prima; forse tra lui ed Arthur c'era stato qualcosa, ecco perchè tanto astio. «M-ma… certo, Alfred è carino, anche se è tuo cugino. Mi sembra perfettamente normale…».

«Non sto parlando di Alfred, idiota!» sbottò Arthur, interrompendolo. Già, Alfred gli era totalmente passato di mente dopo la chiacchierata con Francis quella mattina. L’americano davvero non si meritava tanta disattenzione da parte sua. «Sto parlando di… un’altra persona». Di certo non avrebbe ammesso che si trattava di Francis, anche solo davanti a Matthew. Era una cosa di cui si rendeva a malapena conto a sua volta.

«Oh… l’hai conosciuta qui?» domandò Matthew, perplesso. Dopotutto, l’unico appuntamento che Arthur aveva avuto era stato quello della sera prima, e con un uomo. Ma forse era proprio di un altro uomo che stava parlando, pensò arrossendo all’istante fino alla punta dei capelli.

«Stavo pensando… che forse non dovrei vendere la casa» mormorò Arthur, senza rispondere.

«Ma hai appena firmato…» mormorò Matthew, alzando leggermente il foglio con il contratto, in modo che l’altro lo potesse vedere. Arthur però non lo degnò di un’occhiata, ancora del tutto perso a fissare la piscina davanti a sé. «Forse non ti senti bene» osservò alla fine. In effetti, in cinque anni che lavorava per lui, non aveva mai visto il suo capo ridotto così; specialmente se si trattava di soldi.

«Potrei tenere la casa… e venirci per le vacanze, sai…».

«Però tu non fai mai vacanze» fece Matthew, ancora più confuso di un attimo prima. «E hai sempre detto che se hai il tuo lavoro è perché sei riuscito a fregare il tuo capo dopo quindici anni che non andava in vacanza…».

«Già» mormorò Arthur. Qualunque fosse il nome del suo assistente, non poteva negare che avesse ragione.

Però ogni volta che pensava a Francis non riusciva a non sentire un nodo alla gola; non era troppo sicuro che si trattasse di amore, ma sicuramente le parole che il francese gli aveva rivolto quella mattina lo avevano ferito.

Lo facevano sentire un mostro, proprio perché era stato Francis a pronunciarle: dimostrargli che era il genere di persona che lui si aspettava lo infastidiva, lo gettava nella disperazione più totale, e non sapeva perché. Vendere la casa significava dare ragione a Francis, oltre che dire definitivamente addio ai ricordi dell’estate che vi aveva passato durante l’infanzia.

Una parte di lui, poi, sentiva che le due cose erano estremamente collegate, ma non riusciva a capire come Henry potesse essere associato a Francis nella sua testa, dato che non si erano mai incontrati da bambini.

In pratica, rimase seduto a rimuginare per un bel pezzo, senza nemmeno sentire Matthew che balbettava se per caso non si sentisse bene e che aveva un’aria inquietante.

***

Quando Arthur riuscì a riprendersi e a ricominciare a pensare, lasciò che Matthew tornasse alla villa per occuparsi delle ultime scartoffie per fare un ultimo giro del vigneto; sarebbe partito più tardi quel pomeriggio, aveva già un appuntamento con il proprio capo.

Non aveva ancora parlato ad Alfred, ma aveva appreso che aveva intenzione di partire prima di lui. In fondo, era meglio così, dato che non era più Arthur il proprietario della casa; ed era meglio che lui e suo cugino non rimanessero in contatto, dato che in fondo, oltre a quel luogo, nulla li avrebbe mai accomunati.

Mentre Arthur si rabbuiava ulteriormente a quei pensieri, sentì la voce di Lovino imprecare poco più in là nelle vigne, e si diresse verso la sua direzione, tanto per salutare anche se non era entusiasta all’idea di farlo. Piovigginava ancora, ma non vi fece caso, tanto quel tempo era consono all’umore che stava provando in quel momento.

Lovino era stranamente più allegro del solito, e quando lo vide si esibì in un sorriso. «E così hai venduto» fu il suo saluto, mentre lo guardava avvicinarsi, intento a potare alcuni rametti.

«Che avrei dovuto fare» sbottò Arthur, irritato da tutto quel buonumore. «Il tuo vino è letteralmente disgustoso. Sembra sabbia».

«Quel vino?» Lovino rise, lasciandolo letteralmente senza parole. Prima che potesse scaldarsi quel tanto che bastava per strozzarlo, però, quello continuò a parlare. «Questo è il Coin Perdu» mormorò, con un sorrisetto vittorioso, accarezzando con teatralità una delle foglie.

«Come… sarebbe a dire?» esclamò Arthur, sgranando gli occhi, perplesso. «L’enologo ha detto… che il campo sarebbe buono solo per coltivarci patate…».

«Mio dio, sei davvero scemo come sembri» rise Lovino di cuore. «Andiamo, non te ne sei accorto? Questa vigna è praticamente perfetta. E l’ “enologo” era mio fratello, imbecille».

Arthur lo guardava, a bocca aperta, senza riuscire a capire come quel piccolo bastardo fosse riuscito a fregarlo in quella maniera. Ed era anche riuscito ad assicurarsi di rimanere lì a lavorare: a lavorare su uno dei vini migliori che avesse mai assaggiato, e anche su uno dei più costosi.

«Abbiamo pensato che se tu avessi creduto che la Siroque non aveva valore, avresti lasciato le cose come stavano…» spiegò Lovino, alzando le spalle, senza riuscire a trattenere un sorriso sulle labbra. Era più che evidente che la costernazione di Arthur lo stava divertendo un mondo.

«Tu e Antonio? Perché non me l’hai detto prima?» chiese quello, indietreggiando di un passo e sbattendo le palpebre, leggermente stordito. «Perché non ti sei fidato di me?»

«Tu ti fideresti di te?» domandò Lovino, con una smorfia. «Antonio non ne sapeva niente. È stato tuo zio a dirmi di fare così… queste vigne sono illegali. Voleva dare a te ogni cosa, ma era preoccupato per cosa ne avresti fatto… diceva che eri un egoista» sibilò, fissandolo con astio. «E infatti faceva bene a non fidarsi. Ma è morto prima di poter decidere».

«Io però… ho già venduto» mormorò Arthur, appoggiandosi ad uno dei pali che sorreggevano le vigne e fissando lo sguardo sui ciottoli sotto di sé. Si sentiva decisamente svuotato: sapere che ciò che aveva temuto che suo zio pensasse di lui non lo rendeva certo felice. Ma ancora più orribile era per lui l’idea di essere riuscito a deluderlo anche dopo la sua morte.

«Allora hai fatto l’unica cosa che Henry temeva avresti fatto» sbottò Lovino, indietreggiando a sua volta, ma per poi voltarsi e allontanarsi da lui. Prima di sparire tra le vigne, però, gli urlò ancora qualcosa, con quel suo tono eternamente arrogante e d’accusa. «Ecco dov’erano i fottuti soldi di Henry, ora goditi la vista e poi levati dai piedi».

Mentre Lovino si allontanava, non poteva fare a meno di sorridere per aver lasciato Arthur in quelle condizioni. Non gli interessava quanto in colpa l’inglesino si potesse sentire: aveva fatto ciò che gli era stato detto, e in più aveva preservato tutto ciò che amava. Nulla gli avrebbe impedito di rimanere alla Siroque, così come nient’altro al mondo avrebbe più potuto portargli via Antonio.

Anche se al solo pensarle, certe cose, si sentiva arrossire, e gli veniva una gran voglia di prendere a calci qualcosa; ma quando vide Antonio poco più in là nel parco, che lo aspettava con uno sorriso larghissimo persino per lui e un ombrello in mano, quella voglia stranamente gli scemò dal petto, e si ritrovò ad avvicinarsi all’altro, arricciando il naso e distogliendo in fretta lo sguardo dal suo.

Si fermò davanti a lui, borbottando appena qualcosa.

«Eh?» domandò Antonio, stupidamente, continuando a sorridere con aria beota.

«Ho detto checcosacifaiqui, imbecille» sibilò Lovino, cercando di ignorare l’ombrello chiuso che Antonio teneva aperto anche sopra alla sua testa, per tenerlo al riparo dalla pioggia.

«Sono venuto a prenderti, perché so che ti piace girare per il vigneto quando piove. Però dovresti stare attento a non prenderti il raffreddore» rispose Antonio, senza notare come al solito quando stesse mettendo in imbarazzo Lovino. Stavolta era comunque in gran parte giustificato, perché intorno in effetti non c’era anima viva.

«E che te ne frega, torna a scopare i tuoi cazzo di pavimenti» sbottò Lovino, cercando di togliere con un gesto brusco l’ombrello da sopra di sé, e per poco non dandoselo in testa a causa tanto maldestro era.

Mentre stava per imprecare ad alta voce, sentì Antonio afferrargli i fianchi, circondandoli con le sue braccia e stringendolo contro il proprio petto. A quel punto, non gli importava molto dove fosse finito l’ombrello.

«Preferisco farlo con te» sentì la voce calda dello spagnolo sussurrargli nell’orecchio, e prestò capì di avere il volto in fiamme.

Mentre Antonio si appropriava delle sue labbra, il corpo fremente di Lovino stava elaborando il metodo più veloce per prendere l’ombrello e darglielo in testa più volte, la voglia di prendere a calci qualcuno improvvisamente tornata –e aumentata-.

***

Arthur tornò in camera sua tirando un calcio ad uno dei comodini e rimanendo di conseguenza per una buona mezz’ora dolorante sul letto, a stringersi un piede imprecando tra i denti.

Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. Suo zio non si fidava di lui, Francis non si fidava di lui. Alfred poi lo considerava un emerito idiota. L’unico che lo trattava con gentilezza sembrava Antonio, ma Antonio non era particolarmente intelligente, né abbastanza cattivo per arrabbiarsi con lui. E non poteva sopportare il fatto che anche Lovino lo avesse trattato in quella maniera, rigirandolo alla fine come gli aveva detto di fare suo zio.

Avrebbe dovuto immaginarselo, che quei ragazzi di nome Feliciano e Ludwig non erano particolarmente ferrati nell’assaggio dei vini, ma la sua stupida testa aveva avuto ben altro a cui pensare quel giorno.

E in più sentì la porta della stanza di Alfred che si chiudeva, mentre i suoi passi si dirigevano al piano di sotto. Bastarono quei pochi rumori per gettarlo ancora di più nello sconforto più totale; evidentemente, l’americano se ne stava andando, ed aveva tutte le ragioni di farlo.

Si alzò lentamente, andando alla finestra. Stando bene attento a non palesare la propria presenza, si affacciò, scrutando da lì la figura di Alfred che attraversava il viale, dirigendosi verso l’entrata alla villa, a piedi, con il suo zaino caricato sulle spalle. Non l’aveva nemmeno salutato; aveva appena smesso di piovere, perciò probabilmente si stava dirigendo in paese per prendere da lì un autobus.

Arthur si mordicchiò il labbro inferiore, rimanendo a fissarlo finché non sparì, e allora prese una decisione.

Scese le scale, dirigendosi nello studio e prendendo il calamaio con l’inchiostro verde, quello con cui Henry scriveva tutte le sue lettere, e afferrando un foglio di carta qualsiasi dalla pila nel cassetto della scrivania, di quelli che usava per la sua corrispondenza.

***

Alfred sbuffò, tirandosi più sulle spalle lo zaino, sollevato dal fatto che a pochi metri di distanza s’intravedesse finalmente la fermata dell’autobus. Non che fosse stanco, ovviamente, ma avrebbe preferito che fosse l’autobus a cercare lui, non il contrario.

Si fermò solo davanti al cartellone degli orari, cominciando a leggere e rendendosi conto che mancava ancora mezz’ora all’arrivo del prossimo autobus. Sospirò, voltando inutilmente gli occhi sulla strada, ma li sgranò quando vide l’auto verdognola di Arthur dirigersi verso la fermata.

Rimase immobile a fissarla finché non parcheggiò esattamente davanti a lui; ma l’inglese, per quanto fosse evidente che era proprio lui che cercava, non accennò ad uscire e rimase a fissarlo negli occhi dal finestrino aperto, decisamente imbarazzato, per qualche minuto.

«Che cosa c’è?» domandò Alfred, perplesso.

«Ti ho portato qualcosa» mormorò Arthur, risvegliato dall’ennesima volta dal coma che sembrava averlo preso. Distolse lo sguardo, andando a raccattare qualcosa dal sedile accanto al suo, per poi passarlo ad Alfred. «Hai dimenticato il tuo libro».

Alfred prese il volume, leggendo il titolo di Morte a Venezia e chiedendosi all’istante perché Arthur gli stesse facendo un regalo del genere. «Già… per il fuso orario» rispose, con un sorrisetto.

«Sì». Arthur ricambiò il suo sorriso. «Alfred… credo davvero che tu abbia il suo stesso naso. E fai anche le stesse espressioni».

Alfred rimase per un attimo interdetto, distogliendo immediatamente gli occhi da quelli dell’altro e riposandoli sul libro. Era consapevole che Arthur si stesse riferendo ad Henry, ma siccome non aveva intenzione di dare a vedere quanto la cosa lo commuovesse, alzò in fretta la testa, tornando a sorridere. «Grazie! Spero che ci vedremo ancora, Arthur».

«Lo spero anch’io. Sono molto contento di averti conosciuto» rispose Arthur, rimettendo il moto l’auto. «Au revoir» lo salutò, lanciandogli appena un’ultima occhiata, prima di ingranare la retromarcia e tornare sulla strada principale, ma non quella che portava alla Siroque.

Alfred se ne accorse, e realizzò che probabilmente anche l’altro se ne stava andando, stava tornando a Londra. Allora decretò, con una risatina, che la sua avventura in Europa era durata poco, ma doveva ammettere che aveva fatto meno schifo di quello che si era immaginato.



 

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ho aggiornato presto, vero? vero? vero? uhm non ho dichiarazioni da fare, se non "non uccidetemi" °-°
ringrazio chi continua a seguire la storia :D mi fa molto piacere. e ovviamente chi recensisce ^^ sono sempre felicissima quando leggo le vostre opinioni!!

to Julia_Urahara: cosplayyy... *bava alla bocca* lasciamo stare xD se il capitolo prima è uscito bene, è merito solo di una persona, lo sappiamo entrambe: nostro signore Francia delle cerniere lampo *-^ grazie tesoro!!

to GinkoKite: wow, ti ringrazio :D sono felice che la storia ti piaccia, e specialmente che hai visto il film ^^ è proprio bello, io poi lo trovo mooolto hetaliano xD spero che la mia mancanza totale di originalità non lo rovini.. intanto grazie ancora ^^

to Aerith1992: non riesco proprio a considerare Arthur una donna isterica °-° cioè, è uno molto abbottonato, non mostra facilmente le sue debolezze (o se lo fa è per imbranataggine).. infatti in questa fic il rapporto tra lui e Francis mi sembra alla pari xD ma magari sbaglio! grazie mille della recensione cara ^^

to Arisu Kon: il mio obbiettivo era proprio quello di farvi restare molto male alla fine del capitolo ^^ (che bastarda) evvai! xD no, è che è la prima scena del genere che scrivo quindi non sono andata fino in fondo! ti ringrazio per i complimenti *-* apprezzo un sacco!

 

harinezumi

  
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