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Autore: C_Moody    10/11/2010    0 recensioni
" In questa sera della vigilia di Natale, attorno a tutte queste persone diventate miei parenti, a questa tavola dove abbiamo gustato deliziose pietanze preparate da me e mia suocera, mi è stato nuovamente chiesto di tirar fuori la mia storia. Questa volta però è stato meno difficile, con tempo e amore tutte le ferite rimarginano."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il mio primo ricordo risale a quando avevo circa tre anni, ero a casa di mio nonno. A quell'età, un bambino non sa neppure di esistere, ma io quella volta capii chi ero e cosa potevo fare, fino dove potevo spingermi. Mio nonno in passato era stato davvero un bell'uomo, con tante donne, tanti soldi, ma poi gli era rimasto solo un enorme campo da badare, l'unica cosa che gli teneva compagnia. Lui si prendeva cura del suo lotto con tanto coraggio e tanta pazienza, come se fosse Christine, la sua defunta moglie. Ho saputo molto più tardi che eravamo lì per la prima volta, che era la prima volta (e purtroppo l'ultima) che il nonno mi vedeva. Mi sono chiesta molte volte se quel primo ricordo è stato un sogno o è accaduto veramente. I miei genitori però mi assicuravano che era tutto vero. Comunque la scena si svolge nel grano alto, molto più di me. I miei non volevano che mi allontanassi dal cortile pavimentato, ma era stato più forte di me. Un attimo di distrazione da parte di nonno, mamma e papà, ed io correvo inoltrandomi nel grano. Riesco ancora a sentire molto intensamente il brivido dell'avventura di allora, in quella foresta incantata. Sapevo che i miei non mi avrebbero trovata e pensavo che, siccome mi tenevano bene alla larga da quel posto, era lì che nonno nascondeva le caramelle. Continuavo a muovermi molto lentamente, era una giornata molto afosa ed io mi facevo strada con le braccia per evitare che il grano mi graffiasse la faccia. Rimasi ferma qualche secondo e capii di non essere sola. Qualcosa si muoveva lentamente, alla mia destra. Sempre cercando di far poco rumore, lo inseguii. Con un minimo di orientamento, capii che mi stavo allontanando sempre di più dalla fattoria. Ma il rumore m'incuriosiva, e mamma anni dopo mi raccontava che ero sempre stata molto curiosa. Non appena avevo imparato l'andatura carponi non c'era stato più niente che mi potesse fermare. Le cose poi non migliorarono quando imparai anche a camminare. Più mi muovevo, più il rumore aumentava la propria velocità. Aprii il grano e vidi una coda strisciare via. Luccicava come i diamanti e i suoi colori rosso, argento e giallo mi avevano ipnotizzata. La presi in mano senza pensarci. Era una foresta incantata, c'erano solo fate e folletti quindi non c'era da temere, pensai, con la pericolosa ingenuità della bambina sveglia che ero. Subito, però, la proprietaria di quella coda si arrabbiò. Una testa dalle curve ben marcate, con due dentoni minacciosi si voltò verso di me producendo un lieve sibilo. Mi spaventai, ma non abbastanza perché presi quella testa fra le mani. Il resto del corpo mi si attorcigliò attorno al braccio. Mi diressi alla fattoria, ero sicura di aver acchiappato il ladro di pannocchie di nonno.
"Luna! Lunaaaaa!"
Riconobbi la voce di mio padre e la seguii. Quando mi trovai fuori dal campo, vidi mio nonno che armeggiava col cacciavite su un tavolo. Era girato e non si accorse del mio arrivo.
"Nonno, ho catturato di ladro di pannocchie!"
Al suono della mia voce, mia madre e mio padre uscirono da casa e mi videro. Non capivo perché mia madre urlava afferrandosi i capelli in cima alla testa, né perché mio padre sgranava gli occhi e restava immobile. Nonno si avvicinò a me e molto lentamente cercò di afferrare la testa del rettile fra le mie mani. Un attimo di libertà e quella testa avrebbe morso uno dei due.
"Sean, dammi una mano! Non startene lì impalato!"
Mio padre si avvicinò e mi guardò preoccupato e incredulo.
"Srotola lentamente il serpente dal braccio della bambina, coraggio."
La vipera si tenne saldamente al mio braccio, quasi non volesse lasciarmi andare, perciò mio padre dovette usare la forza. Da piccoli non si ha alcun senso della misurazione ma adesso, a occhio, direi che era lunga circa un metro. La testa dura e triangolare era grande poco meno di un'arancia e, a detta dei miei genitori all'epoca dell'accaduto e molti anni dopo, era un serpente velenosissimo. Quando mi ebbero liberato il braccio, mio padre lasciò il serpente per afferrarmi e sculacciarmi un paio di volte. Io non piansi, non era assolutamente necessario e poi non riuscivo a capire. "Mi sculaccia per un atto buono? Perché catturo il tanto ricercato ladro di pannocchie e non ricevo premi e medaglie? Acchiappo finalmente colui che rubava le pannocchie al nonno e mi becco due sculacciate e un forte rimprovero dalla mamma."
 
Il ricordo comunque termina con la visione un po' offuscata del nonno che reggeva il serpente saldamente con la sua enorme mano mentre con la mano libera afferrava il machete conficcato in un tronco. Poi basta. Mi arrivava lontana la voce di mia madre che mi scuoteva per un braccio dicendomi: "Luna, tu osi troppo!"
 
Oggigiorno, porto quel serpente tatuato sul braccio sinistro. Luna osa troppo.
   
 
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