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Autore: ladymisteria    11/11/2010    2 recensioni
L'ultimo anno dei famosi Malandrini, tra nuovi amori, incredibili peripezie e vecchi nemici sempre in agguato...
Questa fanfiction è stata riveduta, ampliata, corretta e riscritta a seguito dell'imperdonabilmente lungo periodo di abbandono da parte della sua autrice.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Mai la Sala Grande era stata più cupa e silenziosa: i tavoli, gli stendardi e ogni più piccola traccia di colore erano svaniti. L'unico tavolo rimasto era quello dei professori, davanti al quale si allungava una lugubre fila di bare, ognuna coperta dallo stendardo della Casa di appartenenza della persona che vi giaceva o da quello del Ministero della Magia.

Silente le fissò lentamente una ad una, poi scosse la testa e fronteggiò la scuola - riunita davanti a lui.

«Oggi è un triste giorno per Hogwarts. Un giorno di dolore per tutti noi presenti qui, e per coloro che vivono nel nostro mondo. Perché oggi… Oggi noi piangiamo le vittime di un brutale attacco, perpetrato dai sostenitori di Voldemort nei confronti di persone a noi care».

Un brivido corse lungo la sala al nome di Voldemort, ma Silente non interruppe il proprio discorso.

«Cinque funzionari del Ministero della Magia e dieci studenti hanno perso la loro vita mentre tornavano ad Hogwarts. Studenti la cui vita non era che all'inizio, e maghi e streghe adulti che avevano scelto coraggiosamente di mettere le loro straordinarie abilità al servizio del bene, proteggendo il nostro mondo e le persone a loro care dalla malvagità che ogni giorno tenta di strapparci con la violenza la felicità che tanto duramente combattiamo per ottenere. Quindici persone la cui unica colpa è stata quella di salire sul treno che li avrebbe ricondotti qui. So che molti di voi, in questo momento, non desiderano altro che rimanere soli con il loro dolore e la loro rabbia; magari dimenticando la terribile tragedia avvenuta nelle ultime ore» disse, fissando con i suoi occhi azzurri i posti lasciati vuoti dai familiari delle vittime e dagli stessi feriti. «Ma nessuno di noi può o deve dimenticare. Farlo significa permettere, in futuro, che simili atrocità vengano nuovamente commesse. Significa mancare di rispetto a coloro che hanno perso la loro vita su quel treno. Per quanto faccia male, per quanto sia doloroso, bisogna ricordare. Solo ricordando questa tristezza, questa rabbia e questo dolore possiamo infatti impedire che una tale crudeltà sconvolga ancora una volta le nostre esistenze. Perché chi di noi accetterebbe di provare nuovamente ciò che sta provando ora? Ciò che dobbiamo fare è ricordare, elaborare e superare. Non sarà facile, lo riconosco. Molti di noi potrebbero impiegare anni a farlo. Ma è essenziale per continuare a vivere. Lasciate dunque che il dolore vi assalga ora, per poter domani rimettervi in piedi più saggi e più forti. Non confinatelo nei recessi della vostra mente, perché esso non farà che crescere a dismisura, sfuggendo alla fine al vostro controllo; travolgendovi e trascinandovi inesorabilmente via con sé».

Silente smise di parlare, e la sala ricadde nel silenzio.

[*]

«Non posso ancora credere che siano morti» mormorò Sirius, coprendosi gli occhi con le mani.

Lui, Lidia, Lily e Tonks avevano lasciato la Sala Grande non appena Silente aveva smesso di parlare, troppo scossi persino per domandarsi se potessero farlo senza scatenare l'ira dei loro insegnati - ed ora erano seduti da soli in riva al lago.

Sirius nascose a stento un singhiozzo. Per lui Fleamont ed Euphemia non erano solamente gli amorevoli genitori del suo migliore amico: erano i suoi genitori. Lo erano stati sin dalla prima volta che li aveva incontrati tanti anni prima; e ancor più da quando era apparso davanti alla loro porta, dopo essere scappato dalla propria famiglia. Non gli avevano fatto domande, accogliendolo in casa loro e adottandolo praticamente come un secondo figlio. E Lyall...

Sirius aveva sempre ammirato il padre di Remus: un mago che non solo aveva saputo vedere al di là delle differenze del figlio, crescendolo ed amandolo ogni giorno; ma anche che non aveva avuto paura di proteggerlo e difenderlo dal giudizio della comunità magica e da un mostro come Fenrir Greyback. Un mago che - già una volta punito per aver giudicato chi aveva di fronte - al loro primo incontro l'aveva stretto in un abbraccio paterno, infischiandosene delle sue origini, e l'aveva ringraziato di cuore per essere diventato amico del suo unico figlio.

L'Animagus non l'aveva mai detto a nessuno, ma all'inizio era stato invidioso di James e Remus, perché loro avevano qualcosa che lui non aveva e non avrebbe mai avuto: un padre e una madre che li amavano con tutto il cuore. Ma la sua invidia non era durata a lungo. Giusto il tempo di capire che per i Potter e i Lupin lui era esattamente come James e Remus: un figlio - o perlomeno parte della loro famiglia.

«Non riesco a togliermi dalla mente lo sguardo di James e Remus» sospirò Lily, reprimendo a sua volta un singhiozzo.

«Sono insieme?» chiese Lidia, soffiandosi il naso.

Lily scosse il capo.

«No. James è andato immediatamente al rifugio, dopo essere uscito dall'infermeria. Remus invece è sceso nell'aula che Lumacorno usa per le sue feste. Ha detto qualcosa a proposito di aver bisogno di qualcosa che l'aiutasse a distrarsi» mormorò.

Lidia si alzò in piedi.

«Penso che non faccia loro bene stare da soli. Io e Tonks andremo da Remus. Sirius, tu e Lily andate da James. Vi raggiungeremo lì».

[*]

Appena imboccato l'ultimo corridoio, Lidia e Tonks rimasero incantate da una struggente melodia che sembrava provenire proprio dalla vasta aula che il professor Lumacorno utilizzava per i suoi esclusivi ricevimenti.

Tonks guardò confusa Lidia, che si posò un dito sulle labbra, facendole poi cenno di seguirla.

Affacciandosi sulla porta dell'aula, le due ragazze osservarono in silenzio Remus suonare la misteriosa musica su un vecchio pianoforte in un angolo.

Tonks trattenne a stento un'esclamazione di sorpresa.

«Non sapevo suonasse» sussurrò impercettibilmente.

Lidia annuì piano.

«Quando anni fa Sirius lo scoprì, Remus gli rivelò che fu sua madre a insegnargli, subito dopo il morso. Remus gli assicurò che per quanto potesse sembrare una cosa sciocca ed inutile da fare contro la licantropia, in realtà si rivelò essere un prezioso ed infallibile metodo per controllare i suoi istinti. Suonare richiede molta concentrazione, Tonks. Devi imparare a sentire la musica, per poterla poi riprodurre al meglio. Non basta posare le dita sui tasti e aspettare: devi essere tu a creare la magia. Certo, devi dare libero sfogo alle tue emozioni, ma devi farlo seguendo precise regole, affinché il risultato non sia un semplice rumore, bensì una melodia che riesca a trasmettere ciò che senti in quel momento» aggiunse, vedendo l'espressione confusa della giovane al suo fianco.

Tonks sgranò leggermente gli occhi, capendo ciò che la ragazza voleva dire.

«Gli insegnò a sfogare la rabbia e la frustrazione del lupo sui tasti di un pianoforte» mormorò.

Lidia annuì di nuovo.

«Quasi tredici anni dopo questo è il risultato».

Tonks fissò Remus, ancora profondamente intento a suonare - apparentemente ignaro della loro presenza.

«E' magico» sussurrò.

E lo era davvero.

Hope Lupin, una Babbana, era riuscita a compiere una magia che nessun mago - nemmeno il più potente - sarebbe mai stato in grado di replicare: aveva trasformato la maledizione dell'unico figlio in musica.

«Perché non è con James?» chiese la Metamorfomagus, lasciandosi cullare dalla struggente melodia che riempiva l'aria.

Lidia scrollò le spalle.

«Hanno due caratteri molto differenti. James dà sfogo al proprio dolore urlando, disperandosi... Magari distruggendo ogni cosa che lo circonda. Remus al contrario preferisce chiudersi in se stesso, celando il proprio dolore dietro ad una maschera serena anche se triste. Ha scelto molto tempo fa di essere colui che consola, anziché colui che dev'essere consolato» esitò, lasciandosi poi sfuggire un sospiro. «Onestamente non sono sicura di quale dei due sia il modo migliore di affrontare situazioni simili...».

Le due rimasero in silenzio per un po', ascoltando la musica piena d'angoscia e dolore che fuoriusciva dal pianoforte.

Alla fine Tonks raddrizzò le spalle con aria decisa.

«Io entro. Và pure da Sirius e gli altri. Saremo subito da voi» disse.

La Corvonero annuì, posandole delicatamente una mano sulla spalla.

«Cerca di aiutarlo, Tonks. Non è salutare tenersi tutto dentro...» le sussurrò, prima di allontanarsi.

Tonks si fece coraggio, poi entrò nell'aula.

Remus alzò brevemente gli occhi su di lei, per poi tornare a concentrarli sui tasti.

«Mi chiedevo quando sareste entrate...» mormorò, continuando a suonare.

Tonks lo osservò in silenzio per qualche istante. Sul suo volto - pallido come dopo la luna piena - vi era un piccolo sorriso. Ma non uno di quelli caldi e rassicuranti che il ragazzo rivolgeva sempre a chiunque. Era un sorriso triste e stanco; quasi che qualcuno avesse fallito nel colpirlo con un Incantesimo Rallegrante.

«Ci sono solo io. Lidia ci ha preceduti al rifugio» mormorò.

Remus annuì lentamente.

«Tu vai comunque benissimo...» sussurrò, smettendo di suonare.

La musica cessò di colpo, lasciando Tonks con un vago senso di vuoto all'altezza dello stomaco.

«E' stato Sirius a dirti dov'ero?» chiese il ragazzo, facendole posto accanto a sé.

Tonks scosse il capo.

«Lily, in realtà. Spero non ti dispiaccia. Posso sempre andarmene, se vuoi restare solo» si affrettò ad aggiungere.

Il licantropo la guardò di sottecchi per un breve istante.

«Lo faresti davvero?» chiese piano.

La ragazza si morse il labbro, e scosse nuovamente il capo.

«No...» pigolò.

Questa volta un vero sorriso illuminò il viso di Remus, ma durò appena un battito di ciglia.

«Grazie» mormorò, senza alzare gli occhi dalle proprie mani.

Tonks prese la più vicina, sfiorandone delicatamente le nocche con le labbra.

«Sei davvero molto bravo» gli disse sincera, posando la testa sulla sua spalla.

Le guance del ragazzo si colorarono un po' di rosso, ma lui non replicò.

«James sta molto male, vero?» chiese dopo un po'.

Tonks chiuse brevemente gli occhi, sospirando.

«Starete meglio. Tutti e due» precisò.

Anche Remus sospirò.

«James ha perso entrambi i genitori in una sola volta, Dora. Merita ben più attenzioni di...»

«Finisci la frase, Remus Lupin, e sarai costretto a tornare da Madama Chips per farti sistemare anche l'altra gamba» lo interruppe lei, fissandolo minacciosa.

Il ragazzo sostenne a lungo il suo sguardo, ma alla fine fu costretto a cedere.

«Devo assicurarmi che stia bene, Dora. Lo capisci, vero?» sospirò.

Tonks annuì.

«Certo che lo capisco, cosa credi? Dico solo che non puoi pensare a tutti meno che a te stesso. Non ti fa bene tenere tutto dentro, l'ha detto anche Silente. Và pure da James: consolalo, per quanto è in tuo potere. Ma promettimi che poi non ti rinchiuderai in te stesso; che affronterai la tua perdita adeguatamente» disse, prendendogli il volto tra le mani.

Di nuovo, Remus la fissò, scostandole una ciocca di capelli dagli occhi scuri.

«Te lo prometto».

[*]

Sirius fissò James - sdraiato sul suo letto al rifugio con il viso nascosto nel cuscino - senza riuscire a dire nulla. E in fondo, che avrebbe potuto dire? Cosa si diceva in questi casi? "Mi dispiace per la tua perdita, vedrai che poi andrà meglio"?

L'Animagus sospirò, passandosi una mano sugli occhi chiari e allontanandosi un po' dal camino acceso.

«Jamie... Avanti, l'ha detto anche Silente: bisogna accettare ciò che è successo, e superare il...».

James voltò rabbioso la testa verso di lui, gli occhi nocciola arrossati dal pianto.

«Vuoi dirmi come accidenti si può "accettare e superare" una cosa del genere, Sirius?! I miei genitori... Mia madre, mio padre...» farfugliò, e in uno scatto d'ira scagliò la bottiglia di Whisky Incendiario che stava sul comodino dritto nel camino, scatenando una violenta fiammata. «...Andati. Saltati in aria esattamente come quella dannata bottiglia! E io lì, senza poter fare nulla, a meno di un paio di metri da loro! Avrei potuto convincerli a rimanere nel nostro scompartimento! A passare il viaggio di ritorno insieme a noi! E invece che ho fatto?! Li ho lasciati andare a sedersi non solo in un altro scompartimento, ma addirittura in un'altra carrozza! Potevano essere vivi! Potevano...».

Lily sospirò.

«James, non continuare a tormentarti con quello che avresti potuto dire o fare. Non cambierà nulla, purtroppo. Non farai altro che soffrire ancora di più. Te ne prego, smettila!».

Il Grifondoro scosse il capo con decisione, reprimendo un singhiozzo e tornando a nascondere il viso nel suo cuscino.

Si rese conto che qualcuno era entrato solo quando il materasso si abbassò, e una mano fasciata si posò sulla sua spalla. Remus.

«Devi reagire, James» mormorò il licantropo.

James scosse il capo con maggiore ostinazione.

«Non posso farlo, Remus. Non ce la faccio» singhiozzò.

Non gli importava di star dando uno spettacolo pietoso ai presenti nella stanza; di apparire come un bambino capriccioso, anziché come un mago adulto. I suoi genitori non c'erano più: poteva comportarsi come accidenti gli pareva!

Remus scosse il capo a sua volta.

«Sì che puoi, James. Puoi e devi. Per Fleamont ed Euphemia. Perché non avrebbero mai voluto vederti ridotto in questo stato a causa loro. Ne sarebbero stati devastati» disse, stringendo la spalla all'amico.

Di nuovo, James si mise seduto con un'espressione carica d'ira - stavolta rivolta a Remus.

«Che ne vuoi sapere tu di cosa volessero loro?!» sputò furioso, liberando bruscamente la spalla dalla stretta dell'amico. «Tu non sai niente! Li vedevi al massimo un paio di volte l'anno! Come puoi anche solo pensare di conoscerli?».

Sirius fece per parlare, ma Remus gli rivolse un cenno rassicurante, tornando poi a concentrarsi su James.

«E' vero, non li conoscevo come te o Sirius. Ed è vero che li vedevo solo un paio di volte all'anno. Ma non è detto che per conoscere qualcuno bisogna per forza passare ogni giorno insieme. Ci sono cose che le persone fanno solamente in presenza di estranei. Così come ci sono parole che in compagnia di persone a loro vicine non oserebbero mai ripetere» replicò, pacato.

James si alzò in piedi, facendo il giro del letto e fermandosi davanti a Remus.

«Cosa vorresti dire? Che solo tu sei in grado di capire le persone? Che gli altri sono troppo ottusi?» ringhiò.

Il licantropo scosse il capo.

«Non ho mai detto questo, James. E non lo direi mai. Voglio solo dire che pur non vedendoli spesso, non mi è difficile capire ciò che avrebbero -  o non avrebbero - voluto per te. E di sicuro il modo in cui stai affrontando la cosa rientra tra le cose che entrambi avrebbero disapprovato».

James impallidì.

«Io... Tu... Come ti permetti di giudicare il mio comportamento?! Proprio tu che hai abbandonato la tua famiglia per due anni! I MIEI GENITORI SONO MORTI, REMUS! Forse per te è facile accettare l'idea che tuo padre non ci sia più, dato che eri già stato tanto codardo da aver voltato le spalle a lui e tua madre, ma le persone normali...».

Sirius scattò in avanti nell'esatto momento in cui Remus si alzò in piedi, afferrando James per il bavero della camicia.

«Ascoltami bene, perché non mi ripeterò nuovamente» ringhiò il licantropo, fissando l'amico con gli occhi che mandavano scintille. «Lo capisco, okay? I tuoi genitori erano persone splendide, premurose, e gentili; persone che ti hanno adorato sin dalla prima volta che hanno posato gli occhi su di te, e che tu a tua volta amavi incondizionatamente. Te li sei visti strappare via entrambi nello stesso momento, e questo è stato oltremodo brutale. Ma non devi dimenticare una cosa: su quel maledetto treno c'era anche mio padre. La prima persona a capire che oltre al lupo c'è pur sempre un essere umano; la prima - e probabilmente l'unica - a non essersi domandato una sola volta se l'avrei attaccato nel sonno; la prima a non camminare sulle uova intorno a me per paura che io potessi reagire con violenza ad una parola sbagliata. La stessa persona che sono stato costretto ad abbandonare, come dici tu, per evitare che un dannatissimo criminale come Fenrir Greyback lo uccidesse per il semplice gusto di ferirmi, e che a mia volta mi sono visto strappare via dalla medesima esplosione che ha ucciso tuo padre e tua madre. Hai ragione, però, le persone normali non "voltano le spalle" a chi amano. Ma d'altronde io non sono una persona normale, vero? Non è forse questo che intendi dire?».

Tutti fissarono ammutoliti la scena. Non era facile vedere Remus perdere la calma. Era capitato, certo, ma lui per primo cercava sempre di controllare la propria furia - allontanandosi quando gli era impossibile.

Sirius si fece avanti, liberando con aria cauta la camicia di James dalla stretta di Remus.

«Diamoci tutti quanti una calmata, va bene? Questo non è il momento di litigare tra di voi, accusandovi l'un l'altro di alcunché» aggiunse, fissando James con aria torva.

Era rimasto, in realtà, piuttosto sorpreso dalle parole proferite dall'Animagus.

Remus si avviò verso la porta con passo deciso, ma prima di uscire si voltò nuovamente verso James.

Tremava, e la mano era serrata a tal punto intorno alla maniglia, che le nocche gli erano diventate bianche.

«Comportarti come un ragazzino non farà tornare i tuoi genitori, Potter. Non basta versare un fiume di lacrime perché le cose si risolvano magicamente da sole. Quindi ascolta quello che ti abbiamo detto: accetta la loro morte e inizia a pensare a come vendicarla; a come farla pagare a Voldemort e ai suoi Mangiamorte. E' quello che sto facendo io: cerco il modo di dimostrare a quelli - tra i presenti in questa scuola - che sono felici di quanto accaduto per mano dei loro futuri compagni che ad ogni azione corrisponde una reazione. Specialmente se tale reazione proviene da un Malandrino con la brutta abitudine di trasformarsi in una creatura oscura ammazzamaghi ogni mese» sibilò, guardando l'amico con uno sguardo sprezzante. «Oppure rimani chiuso qui a piangere e a lamentarti di quanto il mondo sia stato ingiusto con te. Ma lascia che ti dica una cosa: il mondo non è giusto. Ritieniti fortunato di averlo scoperto a diciassette anni, anziché a quattro».

Un istante dopo la porta si chiuse con uno schianto alle sue spalle, e nel rifugio calò un silenzio di tomba.

Profondamente scosso dalle parole e dalle azioni dell'amico, James si asciugò gli occhi con la manica della divisa.

«Ha ragione. Ho frignato abbastanza» mormorò, guardando Sirius e le ragazze. «Andiamo a far capire a quegli idioti chi comanda davvero qui».

   
 
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