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Autore: Silice    14/11/2010    15 recensioni
Una gita, una missione. I loro destini si incrociano. Un’avventura per entrambi, lei trascinata in un mondo misterioso e sconosciuto, lui nell’universo degli adolescenti. Riusciranno a uscire indenni da questa avventura? Ma soprattutto, i loro destini rimarranno legati? La guardò negli occhi. “Ti odierò per sempre” Silenzio. “Anch’io"
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dunque.

Sono tornata.

Credo di dover ringraziare alcune persone che mi hanno spronata (e minacciata) ad andare avanti. Prima di tutto un grazie enorme a chi ha messo la storia, e me, fra i preferiti e le seguite. Siete più di quanto mi sarei mai immaginata. Grazie infinite.

E ora, passiamo a voi:

-         Sleeper: grazie sul serio. Sì, prima o poi bisognerà sanarle ‘ste lacune, a partire dal prossimo capitolo. Sono contenta davvero che il punto di vista di Artemis ti piaccia. A presto ^^

-         Juliet95: sei indubbiamente una delle mie più affezionate lettrici. Grazie. E, in quanto ad Artemis… non posso che concordare con Arianna. ;)

-         Giovy39: Draco moro? Sì, ci sta indubbiamente ;) non preoccuparti se non recensisci, io sono l’ultima che dovrebbe lamentarsi!

-         Chariss: ecco svelato il mistero della porta! ^^ Grazie, sono contenta che ti faccia ridere. È bello sapere che non fa piangere ^^

-         Lucille: Artemis è carino. Punto. E, in questo capitolo, ha un ruolo fondamentale. Beh, non proprio positivissimo, ma fondamentale sì. Spero che ti piaccia. Grazie di tutto ^^

-         Raven_95: Un grazie ENORME per aver espresso i tuoi bellissimo commento sulla protagonista. Anche io l’adoro. Spero solo di non averla fatta troppo MarySue! A presto ^^

-         Elfa Sognatrice: Beh, direi che adesso le chiederà più o meno scusa. Più o meno ;) e complimenti, ci hai azzeccato in pieno!! Grazie mille, a presto.

-         Vikie: Grazie mille! Spero proprio che anche questo capitolo ti piaccia ;) A presto.

-         Vampire_Twilight: brava anche a te, hai indovinato! Grazie mille, i complimenti (e le critiche) sono la linfa vitale per una scrittrice alle prime armi ^^ E grazie, grazie, e mille volte grazie per avermi spronata. Che dire, sono pigra e ho poca immaginazione, e voi siete quello che ci vuole per me. ^^

-         Spuffy93: Eccomi qua!! Grazie anche a te per avermi chiesto di tornare. Non sai quanto faccia piacere ^^

-         Kira97: here I am! Grazie mille, sono contenta che ti piaccia! Spero che apprezzerai anche questo capitolo. A presto ^^

-         Nihal Darko: ma certo, lo sapevamo tutte che Artemis è sempre stato un CBCRPV (Cresci Bene Che Ripasso Più Volte). L’ho sempre detto io… ;) Spero che ti piaccia anche questo capitolo ^^ Grazie e baci.

Last but not least, grazie alla mia Arianna. Per tutto. Ti voglio bene.

 

Ancora due paroline prima del capitolo. Qua, i protagonisti sono due: Elinor e Artemis. Dal prossimo, tornano anche tutti gli altri. Promesso ^^

 Ordunque, vi ricordate dove vi avevo lasciate?

Elinor apre la porta, e…

 

11 - PIOGGIA

 

 

Elinor adorava i libri. Nel vero senso della parola. Aveva letto il suo primo vero libro, “Le leggende di Redwall”, a sette anni, e da allora gli armadi in camera sua si erano riempiti sempre più di volumi e romanzi, occupando il posto che normalmente sarebbe stato riservato alle bambole.

La sua reazione alla vista di quella sterminata distesa di libri, dunque, fu di pura gioia, prima che si tramutasse in un vago senso di irrequietezza. Per un attimo, si dimenticò di dove si trovava, e inspirò l’odore delle pagine, vagò con gli occhi fra gli enormi scaffali marroni che si innalzavano nell’enorme sala, immaginando quanti libri potessero contenere.

Si incamminò, cercando di non pensare a ciò che stava facendo, e di godersi quel breve momento di pace. Alzando un braccio toccò appena, con la punta delle dita, la superficie dei libri sullo scaffale alla sua destra. Romanzi russi, una quantità che avrebbe sicuramente superato quella di tutte le biblioteche torinesi messe assieme.

Alla sua sinistra, invece, si trovavano varie sezioni: gialli, classici, storici… qualche metro più in là, si accorse di trovarsi nel reparto dedicato alla letteratura inglese. Con lentezza studiò attentamente i titoli e le copertine, e sollevò delicatamente la mano per sfiorare uno dei romanzi.

Non appena lo fece, l’incanto finì.

“Orgoglio e pregiudizio”.

Al suono di quella sgradevole voce proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle, Elinor abbassò la mano e chiuse gli occhi in una smorfia, maledicendosi per non aver controllato se ci fosse qualcuno prima di entrare.

Prese un bel respiro e si girò. Davanti a lei, l’oggetto dei suoi insulti mentali la fissava con un ghigno appena accennato sulle labbra.

Elinor lo guardò. Aveva le maniche della camicia azzurra arrotolate all’altezza dei gomiti, i capelli un po’ più disordinati di quella mattina, ma nel complesso sembrava mostrare un’eleganza studiata, un finto disordine che celava una sconfinata sicurezza di sé, ed effettivamente, come aveva detto Sissi appena qualche minuto prima sembrava…

Odioso. Sembra odioso. Elinor se lo ripetè nella mente, sperando di non essere arrossita. Inevitabilmente, si ritrovò a pensare a quella mattina, alla canzone, e a quanto probabilmente quel ragazzo la credeva fuori di testa, al che arrossì ancora di più. E, sicuramente, ci stava pensando anche lui, a giudicare dal sorriso sghembo sulla sua faccia.

Algida, altezzosa regina delle nevi. Elinor tentò di ricomporsi, alzò il mento e con tutto il coraggio che aveva disse “Sì” con forza.

“Ti piace?”

Aveva sentito bene? Perché quello lì stava intavolando una conversazione con lei?

Che diamine voleva?

“E’ il mio libro preferito.” Disse, non trovando nulla di meglio.

Lui sbuffò, sghignazzando.

“Beh? Che c’è di male?” Senza neanche accorgersene, Elinor dimenticò il disgusto e l’imbarazzo che provava di fronte a quell’individuo, per trasformarlo in un’ira giustificata dal fatto che aveva quasi insultato un libro che, per lei, era una Bibbia.

“Fammi indovinare… vorresti che l’uomo della tua vita fosse come Darcy, giusto?”

Il ragazzo le si avvicinò, sempre sorridendo. Il suo sorriso, però, aveva qualcosa di malefico, o comunque di diverso dai sorrisi normali. Non c’era felicità, bensì la consapevolezza di sapere qualcosa che gli altri non potevano neanche immaginare.

Elinor non rispose, non riusciva davvero a capire dove volesse andare a parare.

“Darcy è un idiota.” Sentenziò il ragazzo, tranquillo.

Elinor non si arrabbiò eccessivamente. “Effettivamente a volte si comporta da stupido e orgoglioso, ma alla fine impara dai suoi errori.”

“Non mi sto riferendo a quello. È un idiota perché si è dichiarato a una donna che non era al suo livello e che, per giunta, non lo voleva nemmeno.”

La ragazza cercò in tutti i modi di escogitare una risposta degna di quell’accusa infamante, ma, priva di qualcosa di sarcastico e geniale, preferì chiudersi in un silenzio d’offesa. Si girò veloce, e colmò in breve tempo la distanza che separava lei dalla porta, e che separava lui dal ricevere un bel pugno sul naso.

Esci, esci, esci, esci.

“E lei è così stupida.”

Pugno sul naso.

Elinor si fermò con un piede già fuori dalla porta, e si girò lentamente, come un cowboy che, nel Far West, si appresta a tirar fuori la pistola e ammazzare l’avversario. E, per il momento, i sentimenti di Elinor nei confronti del ragazzo non erano troppo dissimili da quelli del Cowboy.

“Lizzie non è stupida. Ha fatto le sue scelte, è coraggiosa, ed è proprio la sua determinatezza ciò che poi farà innamorare Darcy. Lei non è stupida.”

Artemis la guardò per qualche istante, con un leggero sorriso di sfida appena pronunciato sulle labbra.

“Lizzie?” Chiese lui, ironico. “Sembra quasi che tu la conosca. Non sarai per caso una di quelle ragazze che si stordisce di romanzetti d’amore da quattro soldi e che ancora crede nei lieto fine?”

Oddio, sì.

Ma invece di questa poco elaborata e più sincera risposta, Elinor alzò il mento, si mise la mani sui fianchi e assunse il suo cipiglio più fiero.

Algida, fredda Regina delle Nevi.

“A te non frega un accidente di chi sono o come sono, altrimenti non ci terresti rinchiusi qui.” Affermò, cercando di non far notare l’improvviso tremolio della sua voce. Aveva visto il suo libro preferito, stava discutendo della sua eroina, ma in fondo era ancora rinchiusa lì dentro. Un’improvvisa fitta le raggiunse lo stomaco, e dovette rispecchiarsi anche nel suo volto, perché Artemis si astenne dal rispondere.

Silenziosamente, Elinor gli diede le spalle e uscì.

 

Andava tutto bene.

Effettivamente, andava tutto bene. Tutti quanti avevano gradito la torta, Giova aveva spento le candeline e avevano pure intonato qualche nota di una stonatissima canzone di auguri. Andava tutto bene.

Elinor, tuttavia, non riusciva a dormire. C’era una strana irrequietezza, un vago sentore che quella non fosse altro che una messinscena, una parvenza di serenità. Stare lì, nella sua stanza buia e silenziosa a fissare l’oscurità, era impossibile.

Si alzò e si mise le ciabatte ai piedi. Indossò una delicata vestaglia azzurra ben stretta attorno ai fianchi, per proteggersi dal gelo che, forse, sentiva solo lei.

Uscì dalla porta, ormai aperta da qualche notte, e scese le scale. Entrò in cucina senza far rumore. L’ambiente era illuminato dal fioco bagliore della luna, che proveniva dall’esterno, dunque preferì non accendere la luce.

Si sedette al tavolo. Aveva sempre pensato che le cucine avessero qualcosa di caldo, in sé, che le rendesse sempre luminose e accoglienti, perfino quando tutto era buoi e freddo. Ma quella cucina era diversa, nulla la rendeva speciale. Si alzò e si riempì un bicchiere d’acqua. Si appoggiò al bancone, fissando la porta-finestra e il giardino al di fuori. Pioveva.

Provò a contare i giorni che aveva passato lì dentro. Ventidue. Tre settimane e un giorno.

Lentamente, si fece scivolare in basso, fino a sedersi sul pavimento, con la schiena appoggiata al bancone. Appoggiò il bicchiere a terra, si strinse le ginocchia con le braccia, fissando il mondo fuori dalla finestra.

Senza neppure accorgersene, iniziò a piangere.

 

Passarono minuti, forse ore, prima che sentisse un rumore che non fosse il regolare ticchettio della pioggia. Prima che potesse fare alcun gesto, voltò la testa e si ritrovò a fissare la persona che meno avrebbe voluto vedere in quel momento.

“Vattene.” sibilò, apatica. La sua voce aveva perso ogni sfumatura, persino l’usuale aggressività. L’unica cosa che vi si poteva leggere era pacata rassegnazione.

“Fino a prova contraria, questa è la mia cucina.” Rispose Artemis secco. Elinor, che teneva lo sguardo fisso sul pavimento, sentì il rumore dei passi che si avvicinavano. Non rispose, né alzò gli occhi, e sentì che il ragazzo si sporgeva per afferrare un bicchiere sopra di lei, per poi posarlo sul bancone.

Fu in quel momento che Artemis si fermò e la fissò, accorgendosi improvvisamente dei luccichii delle lacrime sul viso della ragazza.

“Stai piangendo.” disse. La sua voce non tradiva alcuna emozione.

Elinor non rispose. Fu allora che Artemis fece ciò che la ragazza non si sarebbe mai aspettata: si sedette accanto a lei, in perfetto silenzio.

“Mi manca la pioggia.” sussurrò Elinor. Non poteva crederci. L’aveva detto ad alta voce. Aveva confidato una sua spontanea riflessione alla persona che più detestava in quel momento. Lui non rispose, in un chiaro invito a continuare. Elinor, troppo stanca per ingaggiare una dura lotta con i suoi nervi, si lasciò andare.

“Mi manca l’erba. E il profumo degli alberi. Mi manca l’aria. Mi manca il freddo che sento di prima mattina, mentre vado a scuola. Mi manca prendere il pullman e mi manca arrivare in ritardo ovunque io vada. Mi manca la mia macchinetta del caffè. Quanto mi manca. Sai, è una Nespresso, grande più o meno così.” Staccò le braccia dalle ginocchia e ne mostrò ad Artemis a larghezza.

Improvvisamente si sentì molto stupida, e si rinchiuse in un malinconico silenzio.

Artemis, al suo fianco, non emetteva alcun suono. Rimasero così per un po’, ad ascoltare la pioggia.

“Vieni.” sussurrò lui, alzandosi.

 

Non sapeva perché lo stava facendo. Tutte le cellule del suo corpo, tutti i neuroni del suo formidabile cervello gli gridavano di fermarsi, ma lui non riusciva a dar loro ascolto.

Si alzò, sussurrandole di seguirlo. In un attimo, fu vicino alla finestra, cosciente dello sguardo indagatore e sospettoso di Elinor su di sé, la quale non riusciva sicuramente a capire cosa stesse facendo, e soprattutto il perché.

Siamo in due, allora.

Allungò una mano e afferrò la maniglia. Per un attimo, il suo carattere egoista e scostante gli suggerì di voltarsi e tornare a dormire, lasciando lì quella bambinetta a piangere quanto voleva. Poi pensò alle sue parole. Le mancava la pioggia. Lei lo aveva salvato. Glielo doveva.

Senza ascoltare la sua testa, aprì la porta-finestra.

Immediatamente entrò una folata di vento gelido, seguita da qualche goccia di pioggia.

 

Elinor evitò accuratamente di chiedersi perché quel ragazzo, che nella sua testa rispondeva solo all’appellativo di “essere abominevole”, le stava facendo cenno di uscire in giardino. Decise che ci avrebbe pensato più tardi. per il momento, sentiva il vento sulla sua pelle, gocce di pioggia sulla sua mano tesa. Sentiva il profumo dell’erba bagnata.

Sfilò le ciabatte e uscì. Sorrise istintivamente, dimenticando il ragazzo che, dentro la cucina, la osservava.

Iniziò a correre. In un attimo, era completamente fradicia. I capelli erano attaccati alla fronte, la camicia da notte si era incollata alla pelle. Chiuse gli occhi, e inspirò a pieni polmoni. Ascoltò il rumore della pioggia, sorridendo.

 

Artemis la fissava, assorto. Calcolò le probabilità che la ragazza si prendesse una polmonite, e concluse che erano decisamente alte.

Una in meno, pensò sogghignando. Eppure, quel pensiero non gli procurò alcun piacere.

Elinor, improvvisamente, si voltò. I capelli erano bagnati, e sembravano scuri sotto la pioggia. Le braccia erano leggermente allargate, e i palmi erano rivolti all’insù, come se non volesse perdersi neppure una goccia. La sottile vestaglia, impregnata d’acqua, svolazzava leggermente per il vento.

Dev’essere bello.

Questa piccola, innocua riflessione turbò Artemis profondamente. Era troppo intelligente per pensare che stare al freddo e sotto la pioggia potesse procurargli il benché minimo piacere. Eppure…

Elinor aprì gli occhi e lo fissò. Improvvisamente il suo volto si aprì in un rilassato sorriso.

“Grazie.” sussurrò.

Senza pensarci troppo, Artemis si sfilò le ciabatte e uscì, a piedi nudi sotto la pioggia.

 

Artemis continuava a fissare il soffitto, come aveva fatto da quando era tornato in camera, contando il lento scorrere dei minuti, e aspettando che diventasse mattina.

Lisciò con ampi movimenti delle braccia la coperta, chiedendosi intanto se lui, Artemis Fowl Junior, fosse effettivamente un genio. Il suo Q.I. non lasciava spazio a dubbi, però… Insomma, quella notte si era comportato come un adolescente qualsiasi in crisi ormonale. E quello, decisamente, non era un comportamento da genio.

Le sue riflessioni furono interrotte da un rumoroso bip proveniente dal suo comodino. Artemis afferrò il dispositivo e rispose.

“Spero di averti svegliato.” disse una speranzosa voce equina.

“Purtroppo per te, Polledro, ero già sveglio.” mormorò Artemis in risposta.

“Fowl, dobbiamo parlare.” la voce burbera di Tubero eliminò ogni traccia di torpore dalla mente di Artemis.

“Che è successo?” chiese, in tono pacato, ammirando il suo stesso autocontrollo.

“Chiama Spinella e gli altri e metteteci in vivavoce. Abbiamo delle novità. E non sono buone.”

Rinunciando al suo gelido autocontrollo, Artemis si lasciò sfuggire un sospiro.

Bel modo di iniziare la giornata.

 

 

  
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