Combattimento
Alla luce del
primo mattino la spada di Monaldo splendeva come fosse fatta di pura
luce.
Mentre il giovane re la affilava lanciava tante piccole scintille per
terra,
sul pavimento grigio e regolare del suo campo di addestramento
protetto. Era un
semplice terrazzo con vista sul villaggio, c’era una
balconata ricoperta quasi
totalmente da edera verde sgargiante e ai lati della terrazza
c’erano piantati
anche due alberi secolari. All’inizio, quando il castello era
stato costruito,
non erano altro che due piccoli arbusti buoni neppure a
fare ombra alle dame nei pomeriggi assolati.
Ora invece erano grandi e le loro radici avevano spaccato anche la
pietra in
alcuni punti. Ma il terrazzo era solido e non c’era pericolo
che potesse
crollare, non nell’immediato futuro per lo meno. Non
c’era nient’altro su quel
balcone, tranne i due alberi, Monaldo e la sua spada. Non
c’era neppure
l’insegnate di scherma perché malato e si stava
ancora cercando un sostituto.
Così il giovane re ora aveva un po’ di tempo tutto
per sé stesso. C’erano tanti
pensieri nella sua testa, soprattutto riguardavano il nobile che aveva
ucciso
appena due giorni prima, ancora lo sognava la notte e si svegliava
piangendo e
tremando. Non aveva ragionato abbastanza lucidamente in
quell’istante, sapeva
di essere stato trasportato dalla rabbia, dal desiderio di vendicare
l’onore di
suo fratello e ora ne stava pagando le conseguenze con tremendi incubi,
in cui
si rivedeva più e più volte compiere lo stesso
gesto letale. Vedeva come se
tutto fosse rallentato ogni istante, come ogni millimetro della lama
entrava
nella carne della vittima e come, quando l’aveva estratta,
aveva schizzato il
sangue dappertutto, sporcando lui e tutto quello che si trovava
attorno. E poi
come il corpo, con una lentezza quasi esasperante, era caduto a terra
producendo un tonfo attutito dai vestiti, e ancora il sangue usciva
copioso
dalla ferita. Ogni istante era impresso a fuoco nella sua memoria e lo
sarebbe
stato per sempre, per tutto il resto della sua esistenza. Il giorno
dopo quel
banchetto, quando aveva visto il suo coltello appeso alla sedia, dove
era solito
lasciarlo ogni sera prima di andare a letto, aveva avuto un attimo di
tentennamento. Aveva paura a riprenderlo in mano, il ricordo di quello
che
aveva fatto era ancora così forte e vivido nella sua mente
che temeva di
doverlo rivivere ancora e ancora, all’infinito. Una paura
sciocca e
irrazionale. Alla fine, dopo essere stato quasi un quarto
d’ora a fissare
quell’arma l’aveva presa e se l’era
appesa al fianco come tutti i giorni. Ma da
allora era stato più consapevole di quella lama letale
appesa al suo fianco
sinistro, aveva assunto un significato diverso ed era come se avesse
assorbito
il sangue di quel nobile che aveva ucciso, perché ora gli
sembrava
incredibilmente più pesante. Era un vero sollievo poterla
togliere alla sera o
nei momenti più tranquilli, quelli in cui era sicuro non
sarebbe stato
attaccato. Come in quell’istante: il pugnale stava nella sua
guaina appoggiato
alla ringhiera dove il re stava appoggiato, alla distanza di un
braccio. Era
sempre un bene averlo a portata di mano, anche quando impugnava la sua
spada.
Le porte che collegavano il castello al terrazzo si aprirono e il
giovane re
scattò in piedi, pronto a ricevere un qualsiasi visitatore
ma quasi subito si
rilassò
-Mio re- lo salutò
Argo facendolo irritare da subito –mi dispiace abbiate dovuto
aspettare così
tanto ma non siamo riusciti a trovarvi un maestro di scherma per questa
mattina- gli annunciò e Monaldo sospirò
sommessamente
-Va bene, fa lo
stesso- gli disse mentre andava a prendere il fodero della spada
–vorrà dire
che andrò a sbrigare qualche altra faccenda… -
sospirò un'altra volta. Gli
piaceva combattere, gli piaceva la strana sensazione di
libertà e agitazione
mentale che provocava essere completamente assorbiti nel combattimento,
era un
divertente passatempo e l’aiutava a rimanere in forma. E poi
presto ci sarebbe
stato il palio e lui aveva bisogno di allenarsi
-Mio re- lo chiamò
Argo con appena un accenno di tentennamento nella voce
-Dio, Argo!
Smettila di chiamarmi “mio re”!- sbottò
il ragazzo -Siamo solo noi due in
questo momento, anche se mi chiami per nome nessuno lo verrà
a sapere e a me di
sicuro non da fastidio-
-Mi dispiace- gli
rispose Argo abbassando gli occhi a terra –ma se volete
poterei combattere io
contro di voi- Monaldo si voltò stupito verso il fratello e
lo guardò perplesso
e sorpreso. Da quanto tempo era che non combattevano più?
Prima della morte di
loro padre lo facevano almeno una volta alla settimana e Monaldo era
sempre
quello che finiva battuto, ma da quando era diventato re suo fratello
non aveva
più accettato di combattere contro di lui, neppure quando
l’aveva supplicato
non aveva ceduto. E invece ora si offriva di fargli da avversario
-Dici sul serio?-
gli chiese sorridendo radioso
-Se lo desiderate-
gli rispose Argo con la sua solita freddezza e il fratello si
lasciò sfuggire
un urletto di felicità, ben poco regale. Era così
tanto che non combatteva
contro Argo, era così tanto che non faceva qualcosa con lui
che non fosse
litigare, era così tanto che non facevano insieme qualcosa
da fratelli! Gli
veniva quasi voglia di piangere dalla felicità
-Si, lo voglio-
gli rispose e Argo si voltò, serio e imperturbabile quanto
una statua di marmo,
e si andò a posizionare al centro della terrazza, sfoderando
la sua spada.
Monaldo lo raggiunse, ancora sorridente e si preparò a
combattere –Non ti
trattenere, per favore- gli disse e Argo tentennò prima di
annuire molto
lentamente, come se non fosse molto sicuro che fosse una buona idea. Si
toccarono con le spade appena un paio di volte, per iniziare. Colpi
quasi lenti
e neppure sferrati con molta forza, giusto per capire se ancora
l’avversario
reagiva nella stessa maniera di… quanto? Tre anni prima?
Più o meno era quello
il tempo che era passato da quando i due fratelli si erano confrontati
in una
battaglia e con lentezza e cautela ora riprendevano quella che prima
era stata
quasi una routine. In poco però i colpi divennero
più forti e più veloci,
sempre più spesso i due fratelli dovevano rotolare per
schivare i fendenti
dell’altro e in poco si ritrovarono a combattere entrambi al
meglio delle loro
abilità. Argo era forte, veloce e aveva
l’esperienza dalla sua parte, Monaldo
era altrettanto veloce, ma più agile e aveva riflessi
più pronti. In maniere
diverse entrambi erano forti e sapevano come mettere in
difficoltà
l’avversario. Monaldo ancora si ricordava molto bene che il
fratello aveva la
brutta abitudine di scoprirsi completamente in fianco destro quando
caricava i
colpi da sinistra e Argo si ricordava molto bene che il fratello quando
voleva
affondare con forza divaricava leggermente le gambe e portava indietro
la
sinistra e una volta schivato il suo affondo gli ci volevano alcuni
istanti per
rialzare la guardia. In quell’allenamento era come se il
tempo si fosse fermato
e anche se i due stavano sudando e quasi sentivano i loro cuori uscire
dal
petto non riuscivano, non volevano fermarsi. Eppure vennero interrotti
proprio
mentre le loro spade si incrociavano per l’ennesima volta un
urlo di paura li
distrasse. Monaldo si voltò per capire cos’era
successo e Argo gli fece lo
sgambetto, buttandolo a terra. Subito il giovane re si
preparò a parare ma il
fratello lo guardò sorpreso, come se trovasse strano esserlo
riuscito davvero a
buttare a terra, poi però una voce li fece voltare entrambi
-Argo ma che stai
facendo?- la giovane donna gli venne in contro e gli prese la mano
sinistra fra
le sue –Stai bene? Ti sei fatto male?- gli chiese apprensiva
osservando
attentamente i vestiti sbrindellati qua e là, su cui
però non c’era traccia
alcuna di sangue
-Si, tutto apposto
Ninime- gli rispose Argo con il fiatone –ci stavamo solo
allenando- la donna lo
guardò perplessa, non capiva come fosse possibile che un
duello così accanito
fosse solo un allenamento. La sua fronte liscia si aggrottò
e gli occhi castani
si fissarono su quelli di Argo. Poi si voltò ad osservare
l’avversario e si
portò una mano alle labbra per nascondere lo stupore, quando
riconobbe Monaldo
-Sire- lo salutò
con una piccola riverenza
-Buon giorno, mia
signora- la salutò il re chinando appena la testa
-Mi dispiace di
avervi interrotti- disse la ragazza sempre stringendo la mano di Argo
–ma non
avevo capito che vi stavate allenando-
-Non si preoccupi,
va bene così… - gli rispose il re andando a
rinfoderare la spada –anzi, mi ha
fatto un favore, avevo ormai perso la cognizione del tempo! Adesso sono
in
ritardo per l’assemblea-
-Mi dispiace-
disse Argo chinando la testa
-No, fratello, non
è colpa tua- gli sorrise e si risistemò i capelli
–comunque ora devo andare-
salutò entrambi e senza aggiungere neppure una parola se ne
andò.