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Autore: bloodingeyes    15/11/2010    1 recensioni
Monaldo desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Ma suo fratello Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servirlo, come se fosse diventato il suo cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Combattimento

Alla luce del primo mattino la spada di Monaldo splendeva come fosse fatta di pura luce. Mentre il giovane re la affilava lanciava tante piccole scintille per terra, sul pavimento grigio e regolare del suo campo di addestramento protetto. Era un semplice terrazzo con vista sul villaggio, c’era una balconata ricoperta quasi totalmente da edera verde sgargiante e ai lati della terrazza c’erano piantati anche due alberi secolari. All’inizio, quando il castello era stato costruito, non erano altro che due piccoli arbusti buoni neppure a  fare ombra alle dame nei pomeriggi assolati. Ora invece erano grandi e le loro radici avevano spaccato anche la pietra in alcuni punti. Ma il terrazzo era solido e non c’era pericolo che potesse crollare, non nell’immediato futuro per lo meno. Non c’era nient’altro su quel balcone, tranne i due alberi, Monaldo e la sua spada. Non c’era neppure l’insegnate di scherma perché malato e si stava ancora cercando un sostituto. Così il giovane re ora aveva un po’ di tempo tutto per sé stesso. C’erano tanti pensieri nella sua testa, soprattutto riguardavano il nobile che aveva ucciso appena due giorni prima, ancora lo sognava la notte e si svegliava piangendo e tremando. Non aveva ragionato abbastanza lucidamente in quell’istante, sapeva di essere stato trasportato dalla rabbia, dal desiderio di vendicare l’onore di suo fratello e ora ne stava pagando le conseguenze con tremendi incubi, in cui si rivedeva più e più volte compiere lo stesso gesto letale. Vedeva come se tutto fosse rallentato ogni istante, come ogni millimetro della lama entrava nella carne della vittima e come, quando l’aveva estratta, aveva schizzato il sangue dappertutto, sporcando lui e tutto quello che si trovava attorno. E poi come il corpo, con una lentezza quasi esasperante, era caduto a terra producendo un tonfo attutito dai vestiti, e ancora il sangue usciva copioso dalla ferita. Ogni istante era impresso a fuoco nella sua memoria e lo sarebbe stato per sempre, per tutto il resto della sua esistenza. Il giorno dopo quel banchetto, quando aveva visto il suo coltello appeso alla sedia, dove era solito lasciarlo ogni sera prima di andare a letto, aveva avuto un attimo di tentennamento. Aveva paura a riprenderlo in mano, il ricordo di quello che aveva fatto era ancora così forte e vivido nella sua mente che temeva di doverlo rivivere ancora e ancora, all’infinito. Una paura sciocca e irrazionale. Alla fine, dopo essere stato quasi un quarto d’ora a fissare quell’arma l’aveva presa e se l’era appesa al fianco come tutti i giorni. Ma da allora era stato più consapevole di quella lama letale appesa al suo fianco sinistro, aveva assunto un significato diverso ed era come se avesse assorbito il sangue di quel nobile che aveva ucciso, perché ora gli sembrava incredibilmente più pesante. Era un vero sollievo poterla togliere alla sera o nei momenti più tranquilli, quelli in cui era sicuro non sarebbe stato attaccato. Come in quell’istante: il pugnale stava nella sua guaina appoggiato alla ringhiera dove il re stava appoggiato, alla distanza di un braccio. Era sempre un bene averlo a portata di mano, anche quando impugnava la sua spada. Le porte che collegavano il castello al terrazzo si aprirono e il giovane re scattò in piedi, pronto a ricevere un qualsiasi visitatore ma quasi subito si rilassò

-Mio re- lo salutò Argo facendolo irritare da subito –mi dispiace abbiate dovuto aspettare così tanto ma non siamo riusciti a trovarvi un maestro di scherma per questa mattina- gli annunciò e Monaldo sospirò sommessamente

-Va bene, fa lo stesso- gli disse mentre andava a prendere il fodero della spada –vorrà dire che andrò a sbrigare qualche altra faccenda… - sospirò un'altra volta. Gli piaceva combattere, gli piaceva la strana sensazione di libertà e agitazione mentale che provocava essere completamente assorbiti nel combattimento, era un divertente passatempo e l’aiutava a rimanere in forma. E poi presto ci sarebbe stato il palio e lui aveva bisogno di allenarsi

-Mio re- lo chiamò Argo con appena un accenno di tentennamento nella voce

-Dio, Argo! Smettila di chiamarmi “mio re”!- sbottò il ragazzo -Siamo solo noi due in questo momento, anche se mi chiami per nome nessuno lo verrà a sapere e a me di sicuro non da fastidio-

-Mi dispiace- gli rispose Argo abbassando gli occhi a terra –ma se volete poterei combattere io contro di voi- Monaldo si voltò stupito verso il fratello e lo guardò perplesso e sorpreso. Da quanto tempo era che non combattevano più? Prima della morte di loro padre lo facevano almeno una volta alla settimana e Monaldo era sempre quello che finiva battuto, ma da quando era diventato re suo fratello non aveva più accettato di combattere contro di lui, neppure quando l’aveva supplicato non aveva ceduto. E invece ora si offriva di fargli da avversario

-Dici sul serio?- gli chiese sorridendo radioso

-Se lo desiderate- gli rispose Argo con la sua solita freddezza e il fratello si lasciò sfuggire un urletto di felicità, ben poco regale. Era così tanto che non combatteva contro Argo, era così tanto che non faceva qualcosa con lui che non fosse litigare, era così tanto che non facevano insieme qualcosa da fratelli! Gli veniva quasi voglia di piangere dalla felicità

-Si, lo voglio- gli rispose e Argo si voltò, serio e imperturbabile quanto una statua di marmo, e si andò a posizionare al centro della terrazza, sfoderando la sua spada. Monaldo lo raggiunse, ancora sorridente e si preparò a combattere –Non ti trattenere, per favore- gli disse e Argo tentennò prima di annuire molto lentamente, come se non fosse molto sicuro che fosse una buona idea. Si toccarono con le spade appena un paio di volte, per iniziare. Colpi quasi lenti e neppure sferrati con molta forza, giusto per capire se ancora l’avversario reagiva nella stessa maniera di… quanto? Tre anni prima? Più o meno era quello il tempo che era passato da quando i due fratelli si erano confrontati in una battaglia e con lentezza e cautela ora riprendevano quella che prima era stata quasi una routine. In poco però i colpi divennero più forti e più veloci, sempre più spesso i due fratelli dovevano rotolare per schivare i fendenti dell’altro e in poco si ritrovarono a combattere entrambi al meglio delle loro abilità. Argo era forte, veloce e aveva l’esperienza dalla sua parte, Monaldo era altrettanto veloce, ma più agile e aveva riflessi più pronti. In maniere diverse entrambi erano forti e sapevano come mettere in difficoltà l’avversario. Monaldo ancora si ricordava molto bene che il fratello aveva la brutta abitudine di scoprirsi completamente in fianco destro quando caricava i colpi da sinistra e Argo si ricordava molto bene che il fratello quando voleva affondare con forza divaricava leggermente le gambe e portava indietro la sinistra e una volta schivato il suo affondo gli ci volevano alcuni istanti per rialzare la guardia. In quell’allenamento era come se il tempo si fosse fermato e anche se i due stavano sudando e quasi sentivano i loro cuori uscire dal petto non riuscivano, non volevano fermarsi. Eppure vennero interrotti proprio mentre le loro spade si incrociavano per l’ennesima volta un urlo di paura li distrasse. Monaldo si voltò per capire cos’era successo e Argo gli fece lo sgambetto, buttandolo a terra. Subito il giovane re si preparò a parare ma il fratello lo guardò sorpreso, come se trovasse strano esserlo riuscito davvero a buttare a terra, poi però una voce li fece voltare entrambi

-Argo ma che stai facendo?- la giovane donna gli venne in contro e gli prese la mano sinistra fra le sue –Stai bene? Ti sei fatto male?- gli chiese apprensiva osservando attentamente i vestiti sbrindellati qua e là, su cui però non c’era traccia alcuna di sangue

-Si, tutto apposto Ninime- gli rispose Argo con il fiatone –ci stavamo solo allenando- la donna lo guardò perplessa, non capiva come fosse possibile che un duello così accanito fosse solo un allenamento. La sua fronte liscia si aggrottò e gli occhi castani si fissarono su quelli di Argo. Poi si voltò ad osservare l’avversario e si portò una mano alle labbra per nascondere lo stupore, quando riconobbe Monaldo

-Sire- lo salutò con una piccola riverenza

-Buon giorno, mia signora- la salutò il re chinando appena la testa

-Mi dispiace di avervi interrotti- disse la ragazza sempre stringendo la mano di Argo –ma non avevo capito che vi stavate allenando-

-Non si preoccupi, va bene così… - gli rispose il re andando a rinfoderare la spada –anzi, mi ha fatto un favore, avevo ormai perso la cognizione del tempo! Adesso sono in ritardo per l’assemblea-

-Mi dispiace- disse Argo chinando la testa

-No, fratello, non è colpa tua- gli sorrise e si risistemò i capelli –comunque ora devo andare- salutò entrambi e senza aggiungere neppure una parola se ne andò.

   
 
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