Gare
Una giornata
leggermente nuvolosa era quella in cui cominciava il palio. Sfilavano
davanti
al re le otto contrade della città: la contrada
dell’Aquila bianca, la contrada
dell’Idra, la contrada del Paraduro, quella della Lince
bendata, la contrada
dell’Aquila sulla ruota, quella della granata svampante,
quella dell’unicorno e
quella dell’anello episcopale. Ogni gonfaloniere portava i
colori delle
contrade e lo seguivano gli armati, gli sbandieratori, i musici e poi
tutti gli
altri appartenenti alla contrada. Monaldo sorrideva e i suoi occhi
erano
luminosi per l’eccitazione, era già stanco di
vedere la sfilata e desiderava
che presto iniziassero le gare. Riconosceva già fra i vari
sbandieratori i
solisti più bravi, quelli che ogni anno si contendevano il
palio nelle gare di
singolo, le più belle insieme alla grande squadra, in cui
una decina di
sbandieratori si muovevano all’unisono sulla piazza. Vederli
era sempre un
emozione forte, unica, che ogni anno si ripeteva e ogni anno era
differente. I
gonfalonieri lo salutarono e gli enunciarono i nomi dei campioni di
quell’anno.
Tutto stava durando anche troppo, oramai il giovane re doveva ficcarsi
le
unghie nei palmi delle mani per imporsi di stare calmo e non iniziare a
saltellare come un pazzo sul suo trono. E poi finalmente cominciarono,
i
tamburi della prima contrada iniziarono a battere il tempo e i rullanti
scandirono le battute mentre il primo singolista scendeva nella piazza
fra gli
squilli delle chiarine. La sua bandiera fendeva l’aria e lui
la lanciava alta
riprendendola e muovendola egregiamente. Poi le bandiere divennero due,
poi tre
e poi quattro e ancora lo sbandieratore le muoveva e le lanciava in
aria
riprendendole e muovendole anche grazie alle gambe, mentre i tamburi e
i
rullanti scandivano il tempo dei suoi movimenti e dei suoi lanci. E poi
la
quinta bandiera gli venne lanciata e ancora lo sbandieratore si muoveva
come se
non se ne accorgesse. Le aveva sentite in mano Monaldo quelle bandiere,
e
pesavano, tanto. Eppure l’uomo si muoveva e lanciava le sue
bandiere bianche e
nere senza dimostrare alcuna fatica e riprendendole con precisione.
Cinque
bandiere, le mosse per un tempo quasi troppo corto eppure quando
completò il
numero inginocchiandosi e rendendo onore al re la folla esplose in un
boato di
applausi e grida e perfino Monaldo si lasciò andare battendo
le mani forte e
per molto tempo, sorridendo contento e con gli occhi che luccicavano.
Lo
sbandieratore e i musici della contrada dell’Aquila sulla
ruota lasciarono il
posto alla contrada dell’Idra e poi dopo di loro tutte le
altre. E la giornata
passò veloce e le gare si susseguivano. Si esibirono i
singoli di tutte le
contrade e poi anche la piccola squadra, composta da al massimo 5 o 6
sbandieratori. La sera scese e non si riuscì a continuare e
il re fu costretto
a tornare al castello, anche se desiderava che quella magnifica festa
continuasse anche per tutta la notte ma con
l’oscurità era impossibile vedere
chiaramente le bandire e se non voleva che qualcuno si facesse male,
doveva
aspettare il giorno seguente per vedere le ultime due gare di bandiere
-Mio re- lo chiamò
Argo venendogli incontro e distogliendolo dai suoi pensieri e dai suoi
sogni ad
occhi aperti
-Si?- chiese
sorridendo e il fratello lo guardò per un attimo senza dire
nulla facendo
appassire leggermente il sorriso sul volto del giovane, che
già temeva il
peggio
-Nulla,
perdonatemi per il disturbo- Monaldo lo guardò perplesso
mentre si allontanava.