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Autore: bloodingeyes    15/11/2010    1 recensioni
Monaldo desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Ma suo fratello Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servirlo, come se fosse diventato il suo cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gare

Una giornata leggermente nuvolosa era quella in cui cominciava il palio. Sfilavano davanti al re le otto contrade della città: la contrada dell’Aquila bianca, la contrada dell’Idra, la contrada del Paraduro, quella della Lince bendata, la contrada dell’Aquila sulla ruota, quella della granata svampante, quella dell’unicorno e quella dell’anello episcopale. Ogni gonfaloniere portava i colori delle contrade e lo seguivano gli armati, gli sbandieratori, i musici e poi tutti gli altri appartenenti alla contrada. Monaldo sorrideva e i suoi occhi erano luminosi per l’eccitazione, era già stanco di vedere la sfilata e desiderava che presto iniziassero le gare. Riconosceva già fra i vari sbandieratori i solisti più bravi, quelli che ogni anno si contendevano il palio nelle gare di singolo, le più belle insieme alla grande squadra, in cui una decina di sbandieratori si muovevano all’unisono sulla piazza. Vederli era sempre un emozione forte, unica, che ogni anno si ripeteva e ogni anno era differente. I gonfalonieri lo salutarono e gli enunciarono i nomi dei campioni di quell’anno. Tutto stava durando anche troppo, oramai il giovane re doveva ficcarsi le unghie nei palmi delle mani per imporsi di stare calmo e non iniziare a saltellare come un pazzo sul suo trono. E poi finalmente cominciarono, i tamburi della prima contrada iniziarono a battere il tempo e i rullanti scandirono le battute mentre il primo singolista scendeva nella piazza fra gli squilli delle chiarine. La sua bandiera fendeva l’aria e lui la lanciava alta riprendendola e muovendola egregiamente. Poi le bandiere divennero due, poi tre e poi quattro e ancora lo sbandieratore le muoveva e le lanciava in aria riprendendole e muovendole anche grazie alle gambe, mentre i tamburi e i rullanti scandivano il tempo dei suoi movimenti e dei suoi lanci. E poi la quinta bandiera gli venne lanciata e ancora lo sbandieratore si muoveva come se non se ne accorgesse. Le aveva sentite in mano Monaldo quelle bandiere, e pesavano, tanto. Eppure l’uomo si muoveva e lanciava le sue bandiere bianche e nere senza dimostrare alcuna fatica e riprendendole con precisione. Cinque bandiere, le mosse per un tempo quasi troppo corto eppure quando completò il numero inginocchiandosi e rendendo onore al re la folla esplose in un boato di applausi e grida e perfino Monaldo si lasciò andare battendo le mani forte e per molto tempo, sorridendo contento e con gli occhi che luccicavano. Lo sbandieratore e i musici della contrada dell’Aquila sulla ruota lasciarono il posto alla contrada dell’Idra e poi dopo di loro tutte le altre. E la giornata passò veloce e le gare si susseguivano. Si esibirono i singoli di tutte le contrade e poi anche la piccola squadra, composta da al massimo 5 o 6 sbandieratori. La sera scese e non si riuscì a continuare e il re fu costretto a tornare al castello, anche se desiderava che quella magnifica festa continuasse anche per tutta la notte ma con l’oscurità era impossibile vedere chiaramente le bandire e se non voleva che qualcuno si facesse male, doveva aspettare il giorno seguente per vedere le ultime due gare di bandiere

-Mio re- lo chiamò Argo venendogli incontro e distogliendolo dai suoi pensieri e dai suoi sogni ad occhi aperti

-Si?- chiese sorridendo e il fratello lo guardò per un attimo senza dire nulla facendo appassire leggermente il sorriso sul volto del giovane, che già temeva il peggio

-Nulla, perdonatemi per il disturbo- Monaldo lo guardò perplesso mentre si allontanava.

   
 
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