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Autore: Callie_Stephanides    20/11/2010    0 recensioni
haido e tetsu nei giorni dell'Asianlive: un'armonia irrimediabilmente perduta, o i terribili corollari di un affetto assoluto?
[...] haido non perdona a tetsu di non avergli dato fiducia. Di non essersi mai aperto, mai confidato, di averlo sempre trattato come un ragazzino scemo, come un surrogato del suo pomerarian Ren.
tetsu, per contro, imputa a haido di non averlo mai capito, malgrado dodici anni passati fianco a fianco; di aver abbracciato tutti, tranne lui: quando ne aveva bisogno e nessuno se ne rendeva conto.
Di essere troppo fragile per quel che gli aveva regalato, e dunque di andare in pezzi trascinando con sé tutti i suoi sogni.
Anzi gli rimprovera di non aver mai compreso la cosa più importante, e che cioè Tetsuya gli si era dato fino alle estreme conseguenze, regalandogli tutte le sue aspirazioni e chiedendogli in cambio solo di farne buon uso. Invece haido aveva voluto spezzare la catena, senza neppure realizzare che era la sua ancora.
Senza Tetchan, insomma, restava una deriva di silenzio [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: hyde, Sakura, Tetsuya, Yukihiro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando qualcuno domanda a Yasunori ‘Ma allora, tra te e haido…’, Sakurazawa sorride o ride di gusto, compie un ampio gesto con il braccio – quasi una specie di inchino teatrale – e risponde: ‘Tu cosa ne dici?’, ed è il Tu cosa ne dici? più divertito del mondo; la risposta di un uomo che è ormai alle soglie dei quarant’anni e, anche se gioca a fare il bambinone, è quasi vecchio. Come siamo un po’ tutti. Com’è anche haido, padre di un bambino che gli somiglia molto più di quanto vorrebbe. Eppure, fosse solo per il fatto che siamo quel che siamo, sembra quasi che non ci venga neppure riconosciuto il diritto di crescere, di imparare dai nostri errori e di lasciarci alle spalle il passato.
A Sakura e haido è successo questo; sono due amici che se vogliono vedersi o fare una bevuta insieme, devo nascondersi o camuffarsi o incontrarsi là dove nessuno potrebbe registrare la loro presenza, sbatterli su un giornaletto e confezionarci sopra la favola gay.
Per Yasunori parlare della propria tossicodipendenza e del carcere, a tratti, sembra quasi più facile che non affrontare il passato dei Laruku, quand’era un batterista famosissimo, un ragazzo dalla bellezza quasi imbarazzante tanto era sfacciata, e, soprattutto, quand’era la metà inseparabile di haido.
Nessuno conosce la verità autentica. Nessuno sa perché quell’amicizia così stretta e così ambigua tacque per quasi un lustro di reciproca indifferenza. Non lo sa neppure Ken, ch’era abbastanza in confidenza con Yacchan da poter immaginare i non detti. Come suppongo non lo sappia tetsu, che per certo ha letto nel degrado progressivo di Hideto i segni della verità. A volte mi viene da pensare che sia stata proprio l’intensità di quello che hanno vissuto a imporre una pausa: solo agendo in tal modo hanno potuto raccogliere i pezzi di un’identità che avevano fuso e ricostruirsi come individui.
Cinque anni di disintossicazione e poi di nuovo l’uno davanti all’altro: più adulti, più forti, più consapevoli, meno spaventati. Hideto ora aveva le sue radici in Megumi e Yacchan la sua libertà; quelle ombre e quei fantasmi che, perseguitandoli tacitamente, avevano concorso pure a legarli in modo indissolubile, si erano dissolti.
Finalmente v’erano i presupposti di un’amicizia matura.
Eppure, come ho già detto, a noi non è concesso cambiare; se Hideto e Yasunori siedono vicini, tutti ripensano solo a com’erano nel giugno del millenovecentonovantacinque. O nel maggio di un anno dopo, alle prese con un flirt così ambiguo da rendere difficile pensare fosse solo una finzione.
Cosa c’è di vero? Cosa c’è di falso?
Mi chiedo se haido non abbia scritto Lies and Truth anche – se non soprattutto – pensando a quel che restava del suo mondo affettivo.
Oggi essere gay è quasi una moda. Ci si sposa e si professa persino l’orgoglio di essere omosessuali. Dieci anni fa non era affatto così. Sospetto che in Giappone non valga neppure ora. O meglio, va bene finché si dice, finché si mima e finché si mormora. Poi, se hai la sfortuna di innamorarti sul serio, preferisci fare quello che migliaia di ragazzi qui fanno ogni giorno: ti butti sulle rotaie della Yamanote, dal tetto della scuola, ti tagli i polsi.
Ti togli di mezzo.
Sai da solo che hai violato il sistema e che il sistema non perdona.
Semplice. Pulito. Lineare. Giapponese.
Tutto questo non implica affatto sia vero che Yacchan e haido siano stati amanti come dicevano – e volevano – tutti. Era voce comune che anche Sakura avesse un sacco di amiche e pure Hideto, al di là di quel faccino innocente, era uno che poteva portarsi a letto chiunque. Intendo dire che se anche i loro sentimenti fossero stati del tutto puliti, era il contesto in cui vivevano a sporcarli. E poi c’erano troppo lavoro e tanta solitudine; non tutti sono in grado di venirne a capo. Ken aveva avuto quattro anni di università e vita indipendente ad addestrarlo. tetsu era uno che si bastava da solo e spesso persino la sua ombra era di troppo. Sakura aveva bisogno degli altri, perché riusciva a divertirsi e rilassarsi solo così. Hideto aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di lui, perché non era autonomo nell’unica cosa che i soldi e la fama non possano comprare: la sicurezza di esistere e valere più dei settecento yen di una rivista.
È così che si sono trovati: io penso a te - tu pensi a me. Non credo che sia difficile immaginarli allora, due ragazzi che cavalcano l’onda del successo. Sono giovani, sono belli, sono sulle copertine di ogni rivista. Sono sulla bocca di tutti. Sono pieni di ragazze che farebbero follie anche solo per sfiorarli, perché – e Ken e tetsu non hanno problemi ad ammetterlo – sono quelli che spiccano con maggiore evidenza. Tutto questo in superficie; in sostanza non hanno quasi il tempo di respirare, perché tutta la loro vita si consuma tra set e sessioni di registrazione. Prima che riescano a realizzarlo, vivono insieme tutto il giorno.
Sakura sa che il formidabile tenore di un palco illuminato da faretti dozzinali nel privato è timido come un coniglietto. Hideto sa che il cattivo ragazzo dei PV, il maschio maledetto e kakkoi, è in verità un bambinone attaccato alle gonne di sua sorella Yuki e un figlio di mamma non meno coccolato di quanto non sia stato per primo.
Sakura sa che Hideto è allergico al pelo del gatto e si raffredda con niente. Hideto sa che Sakura soffre d’insonnia cronica e non beve caffè per questo stesso motivo.
Sakura sa che il piatto preferito di Hideto è il riso al curry. Hideto sa che a Sakura fa schifo il latte.
Tanti piccoli dettagli, che si sommano l’uno all’altro e cominciano a congiungersi come piccoli, robusti anelli di una strana catena di circostanze. Diventano amici. Poi qualcosa in più. Poi, forse proprio durante il lunghissimo tour dell’estate del millenovecentonovantacinque, una sera bevono troppo.
Completamente sbronzi tornano in camera, ma l’alcool in circolo impedisce a entrambi di prendere sonno. Fa caldo. Sakura va a farsi una doccia. Il bagno resta aperto, perché i fratelli non hanno pudori, ed è così che si sentono reciprocamente. Fratelli.
Fino a quel momento, almeno, lo sono stati.
haido si spoglia come un sonnambulo, lo raggiunge e lo abbraccia come fa sempre. Si bagnano, ridacchiano e giocano. Si eccitano l’uno con l’altro. haido ha capelli sanguigni che gli scivolano fino ai fianchi. Per la prima volta Yasunori realizza che è vero, che non sembra un maschio. Che ha un viso bellissimo.
Forse Hideto lo provoca. ‘Vuoi baciarmi, Yacchan?
Accade.
Lo vogliono e non lo vorrebbero al contempo, ma accade. Forse è persino bello, perché anche l’affetto è una specie di amore.
Quando sono abbastanza lucidi da realizzare quel che è accaduto, è troppo tardi: hanno saltato il fosso.
È shockante, imbarazzante, quasi deprimente; sono due ragazzi eterosessuali in cui si insinua il tarlo del dubbio. Hideto è più coraggioso, non ha paura dei propri sentimenti.
È cresciuto con i Beatles e i baronetti gli hanno insegnato che All you need is love. Quale importanza può avere il sesso?
Sakura no; magari, da buon buddista, si chiede quale sia l’antico tumore del suo karma, se l’ha sviato ancora una volta.
Forse resta un episodio isolato, di cui non parlano mai. Forse si ripete. haido, in ogni caso, vuole dormire con lui, e questo solo basta a far mormorare il Giappone.
Infine il tramonto. Sakura ha un problema che neppure haido riesce a risolvere. Gli sta morendo davanti e Takarai non può fare niente. Niente di niente. Neppure parlarne con tetsu, perché ha perso l’abitudine, da quando è sempre incollato a Yacchan. Ogawa non recrimina, perché come sempre pensa al gruppo. Poi c’è l’arresto, e forse chiede a haido cosa cazzo avesse in testa, per aspettare che si arrivasse a un punto di rottura. O, probabilmente, non dice nulla per l’ennesima volta, perché haido piange e vomita in un bagno fino al collasso completo.
Buio.
Sono semplici illazioni, che pure si compongono in un mosaico credibile: un mosaico in cui c’è un terzo termine che all’improvviso può permettersi di dettare legge.
Hanno distrutto in un niente sei anni di lavoro del loro leader; hanno distrutto la fiducia che tetsu aveva riposto in loro. haido si sveglia lentamente, ma quando finalmente realizza, cade in preda al panico. All’improvviso ricorda quanto sia unico e importante Tetsuya e fa di tutto per rientrare nelle sue grazie. Niente distrazioni, niente Sakura: solo lavoro. E poi ha paura, paura di trovarsi davanti Yasunori e vedersi costretto con le spalle al muro, perché la prima vera prova di amicizia che doveva dargli era – checché creda – fare la spia. Invece ha taciuto.
Ma cosa pensa davvero Tetsuya?
È curioso che nessuno si sia mai posto questa domanda. Sono tutti talmente presi da una sceneggiata sakuhai da perdere di vista la realtà: e la realtà è che il leader del gruppo non è Hideto e neppure Sakura. Il leader è Ogawa, e su Ogawa cadono la merda del caso, le ritorsioni della Sony e le conseguenze di una debolezza che non è la sua. È a partire da questo momento, immagino, che il rapporto tra tetsu e haido cambia. Si sbilancia del tutto.
Prima la corrente della fiducia e della stima fluiva con reciprocità. Ora Hideto è il debitore che deve trovare il mezzo per affrancarsi, mentre Tetsuya è un creditore muto.
Nella loro storia entrai proprio in quel momento. Il mio prima e dopo nasce da ricordi esterni, beninteso, ma penso che ci siano buone probabilità che non sia tutto frutto della mia immaginazione. Sbaglia chi crede che tetsu abbia tolto il saluto a haido o l’abbia perseguitato in qualche modo. Ogawa rimase sempre molto sollecito e molto gentile. Lo pungolava con ironia, scherzava con affabilità, lo incoraggiava prima delle uscite pubbliche.
Cos’era cambiato, dunque?
Penso che a haido rimordesse la coscienza e vedesse nel solito Tetsuya gli interessi del leader e non quelli dell’amico. A volte capita di odiare se stessi e dunque trasferire sugli altri il peso di sentimenti tanto ostili; come ho già detto, siamo umani. Forse, però, era anche vero che Ogawa non fosse perfetto e velasse appena meglio degli altri antiche recriminazioni, le stesse che alla fine trovarono una voce.
Un bel giorno Tetsuya disse che aveva pronta una canzone per il nuovo album. Ci fece ascoltare qualche demo della base e tutti convenimmo fosse un ottimo lavoro. Anche Hideto, che ci aveva canticchiato sopra, disse che non sarebbe stato difficile trovare le parole. tetsu sorrise come una Monna Lisa, prima di menare la stoccata. ‘Le parole già ci sono. Le ho scritte io.’
Era Perfect Blue.
Qualcosa si ruppe dunque anche in Hideto, immagino, che non era tanto stupido da non capire a chi fosse rivolto quel testo feroce, ma non poteva neppure protestare e scoprirsi. haido sapeva di aver sbagliato, di aver contratto un debito immenso, ma anche di non averlo fatto con calcolo e cattiveria. Invece Tetsuya, come un vero leader, era spietato, e gli chiedeva di cantare una canzone in cui dava del cane a Sakura e a quell’idiota di Doihachan. Gli chiedeva, insomma, di interpretare l’atto di accusa del suo stesso processo. Erano passati due anni dal crimine, ma per tetsu non esisteva prescrizione.
haido lo assecondò fino in fondo, poi si rifugiò in Megumi senza chiedere il permesso a nessuno; ne aveva abbastanza di farsi prendere a morsi il cuore dalla musica. Aveva bisogno di ossigeno. Aveva bisogno di un amore e di una donna e di radici. Quel biennio l’aveva come prosciugato, ma era pronto finalmente a ribellarsi.
Staccò la spina per un po’, cominciò a prendersi cura del suo corpo, rinunciando per sempre a quegli ultimi strani residui di femminilità che si trascinava dietro. Fece l’amore con la donna che aveva scelto. Mise su chili di muscoli fin troppo evidenti, si tatuò sulla schiena le ali che aveva sempre sognato. Disse ‘Mi sposo’ senza consultare neppure il manager. Cominciò a fregarsene di Tetsuya o a fingere fosse possibile; pose le basi di una recita che credeva fosse la realtà, insomma, forse convinto che lo sarebbe diventata. Poi, man mano che la freddezza di tetsu verso quel suo atteggiamento più volitivo, solipsista e ribelle si faceva evidente, cominciò forse a sentire anche il fremito viscido della paura. Strinse i denti e lo negò. Ormai era andato troppo avanti perché potesse tornare indietro.
Mi accorgo che il racconto è ellittico, confuso, pieno di passato e di presente insieme; il problema è che il tempo negli affetti non esiste. Non c’è neppure causa-effetto: devi seguire il buonsenso, l’ispirazione e la fiducia nel tuo istinto.
Parlavo del duemiladue, citando i grandi successi di tetsu. Ma il duemiladue fu anche l’anno di Moon Child. Il film non è un capolavoro di quelli che diresti indimenticabili, perché è evidente ch’è destinato a fanatiche dei protagonisti più che della storia, ma haido è bravo, molto più bravo di quel che ti aspetteresti da un principiante. Soprattutto sembra coinvolto dal complesso gioco di sentimenti in atto, forse perché gli somigliano davvero.
Lo rividi in autunno; era abbronzato, ma più magro ancora di quel che ricordavo. Rideva, non con lo sguardo, però. Era altrove, persino s’era davanti ai tuoi occhi in quel medesimo istante. Era impossibile dire cosa pensasse; forse Tetsuya, che c’era già passato, avrebbe capito che stava scivolando di nuovo nel baratro della depressione. Aveva problemi con Megumi, pareva. Parecchi giornali scandalistici vomitavano fango su di loro e parlavano di un naufragio sentimentale da milioni di yen. A me non disse niente, però, e questo mi bastava a credere fosse ancora tutto falso e cattivo. Ingiustamente cattivo, per una persona infelice e indifesa come lui.
haido beveva molto, troppo per la sua costituzione. Mangiava poco, non dormiva. Prendeva sonniferi e, probabilmente, aveva ricominciato con gli antidepressivi. Il suo viso era gonfio anche se era magro come un chiodo. Il suo umore era un’altalena di euforie malate e tetraggini inquietanti. Senza rendersene conto parlava spesso di morte. Credo che Megumi fosse spaventata e non sapesse come affrontare il discorso, né come aiutarlo; Hideto, del resto, non era quasi mai in casa. Se c’era, disegnava o dormiva. A volte poteva farlo per un giorno intero, scivolando in stati di apatia totale, ch’era però difficile comprendere quanto fossero legati al suo umore e quanto all’inevitabile stanchezza di ritmi infernali. Mandava avanti la casa di produzione, si sforzava di perfezionare il proprio inglese, faceva su e giù con Londra. Forse il Giappone era il luogo in cui si sentiva meno a casa, o forse, come aveva già fatto, fuggiva e basta.
Da tutto.
È in questo periodo che Sakura tornò nella sua vita, salvandolo da qualche gesto sconsiderato. Yasunori aveva toccato il fondo e credo sapesse riconoscere a pelle le avvisaglie. Con cautela e intelligenza, ma anche con la forza di una vecchia amicizia, fece stavolta le veci di tetsu e lo tenne a galla. Senza fanatismi e senza sbilanciarsi troppo: piccole offerte, la certezza di una presenza calda e nessun giudizio. Gli permise di fare quel che già si era detto, cantare insieme anche senza il gruppo. Ritrovarci su un palco e divertirci come non capitava da un secolo.
Una sera, in albergo, durante il Bubble Festival, però, Sakura mi cercò e me lo chiese senza mezzi termini: ‘Che sta succedendo?
Era evidente fosse arrivato da solo alle conclusioni e non riuscisse a capacitarsene; conveniva con la circostanza che tetsu potesse odiarlo, ma che c’entrava haido?
La verità era che non ci fossero fronti, né buoni, né cattivi, era qualcosa che trascendeva tutto perché era solo loro. Apparteneva al miracolo e al mistero della loro amicizia. Al più potevamo guardare o salvare il salvabile.
Megumi rimase incinta. haido alternava momenti di entusiasmo a silenzi che lasciavano intendere se la stesse facendo addosso, perché doveva ancora imparare per sé il gioco della vita e non si sentiva pronto a insegnarla a nessuno. Non era più il ragazzo di ventiquattro anni che si immaginava una bella famigliola felice, la realtà l’aveva tempestato di colpi e gli aveva inoculato il sospetto e la paura. In tutti quei mesi, tetsu non gli fece neppure una telefonata: suppongo che haido avesse persino smesso di aspettarla.
I Laruku erano morti, poco da fare. Tutto lo spirito con cui si erano tenuti a galla sino ad allora era scomparso, inghiottito da non so cosa, forse proprio l’ineluttabilità della vita. Con l’amicizia di haido e tetsu si era anche spezzato l’invisibile filo rosso che ci aveva sempre tenuti uniti: ora potevamo far leva unicamente sulla nostra volontà. Darci la mano come in un carosello da bambini, e solo se lo desideravamo.
In apparenza haido era come l’avevo sempre visto e conosciuto: silenzioso, rispettoso, timido, affettuoso e molto fisico nel mostrare affetto ai volti noti. Dentro, però, qualcosa si era come interrotto. L’impressione era quella di vederlo recitare sempre, non più solo sul palco, ma anche nella vita. Come se Hideto – i suoi sentimenti, i suoi scazzi – non contassero più nulla. La gente si aspettava sorridesse, dunque lo faceva.
Fu la Sony a volerci di nuovo insieme per l’estate. Anzi, a organizzare i tempi per otto concerti e persino le tappe obbligate delle nuove pubblicazioni, due o tre singoli e un nuovo album per il nuovo anno. Semplice no?
Tanto ormai vendereste pure merda.
La sostanza era quella.
L’assurdo di quell’incontro fu la tranquillità con cui tetsu ci accolse insieme al resto dei dirigenti della Ki/oon: un bel sorriso, abiti informali, l’espressione serena e rilassata di chi guarda ai vecchi amici con indulgente distacco.
Certo che ti fa proprio bene stare lontano da noi, eh?’ gli disse Ken ridendo, ma so per certo che Kitamura tentasse solo di fargli capire quale fosse la situazione dall’altro capo della barricata.
Durante la lavorazione di Smile, poco alla volta, haido e Tetsuya si riavvicinarono. Giorno per giorno, lavorando insieme, il feeling sommerso tornò in superficie. Era qualcosa di piacevole e consolante, perché anche se nessuno doveva o chiedeva perdono, sembrava che la ferita si fosse richiusa. Eppure era difficile dire dove finisse l’amico e cominciasse il leader, visto che non era un mistero per nessuno bisognasse tamponare in qualche modo il crollo di Hideto.
L’ho detto, siamo umani. Non carta e non macchine.
A trentaquattro anni, il corpo di haido era quello di un uomo con il doppio della sua età. Era sempre stato delicato, ma negli ultimi due anni l’iperlavoro e l’abuso di alcool – forse anche di altro, ma di certo non era nulla di pubblico – l’avevano massacrato. A gennaio aveva avuto una bronchite da cui non si era più del tutto ripreso. Di fatto la voce gli si era abbassata e certi falsetti che un tempo gli venivano naturali erano diventati un ricordo. Anche i testi erano qualitativamente inferiori a quelli che sapeva scrivere, ma era quasi per primo sapesse ormai come i Laruku non fossero che una macchina per produrre soldi. Non emozioni.
Persino le sue ne erano state divorate.
Smile non è un album di grande spessore. È accattivante e le vendite furono strepitose, ma non vibrava in profondità come sapevo fosse possibile. Somigliava davvero a uno zombie, qualcosa di morto che finge di essere vivo.
Un po’ come il gruppo.
Del resto era pur vero, ciascuno per contro proprio, pensassimo ancora alle carriere soliste; se non altro suonavi con la soddisfazione di sentirti qualcosa di più di un ipocrita che vende perché ha una confezione gradevole.
haido aveva un modo molto carino per descrivere quell’esperienza: diceva che gli era servita a capire tutta l’importanza del nostro lavoro. Come HYDE doveva registrare in due tempi – prima la chitarra e poi la voce. Doveva occuparsi dei testi e anche della promozione.
Proprio io, che come leader ho sempre fatto pena. Pensa un po’.
Nicchiava così, mentre la sua minuscola copia gli tirava le guance o i capelli di nuovo lunghi. Faceva una strana impressione vederlo padre, perché aveva ancora tutte le incertezze di un figlio. Abbandonato, per giunta. Eppure adesso mi chiedo se anch’io non stessi sbagliando, incasellandolo nello schema delle mie aspettative e delle mie convinzioni, facendo coincidere Hideto con haido, senza capire che Takarai era uno che, da un giorno all’altro, si era accorto di non poter sbagliare e di non avere neppure un amico vero. Per questo guardava a suo figlio con un misto di rimpianto e di simpatia, sforzandosi di ricordare com’era il mondo nei suoi occhi, prima che la vita glieli aprisse con gli aghi di quello che acclamano come buonsenso.
E invece è una fregatura chiamata disillusione.
È per questo, forse, che voleva morire a trent’anni: preferiva tenersi stretti tutti i suoi sogni.

   
 
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