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Autore: Callie_Stephanides    20/11/2010    0 recensioni
haido e tetsu nei giorni dell'Asianlive: un'armonia irrimediabilmente perduta, o i terribili corollari di un affetto assoluto?
[...] haido non perdona a tetsu di non avergli dato fiducia. Di non essersi mai aperto, mai confidato, di averlo sempre trattato come un ragazzino scemo, come un surrogato del suo pomerarian Ren.
tetsu, per contro, imputa a haido di non averlo mai capito, malgrado dodici anni passati fianco a fianco; di aver abbracciato tutti, tranne lui: quando ne aveva bisogno e nessuno se ne rendeva conto.
Di essere troppo fragile per quel che gli aveva regalato, e dunque di andare in pezzi trascinando con sé tutti i suoi sogni.
Anzi gli rimprovera di non aver mai compreso la cosa più importante, e che cioè Tetsuya gli si era dato fino alle estreme conseguenze, regalandogli tutte le sue aspirazioni e chiedendogli in cambio solo di farne buon uso. Invece haido aveva voluto spezzare la catena, senza neppure realizzare che era la sua ancora.
Senza Tetchan, insomma, restava una deriva di silenzio [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: hyde, Sakura, Tetsuya, Yukihiro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando raggiungi l’apice del successo, guadagni abbastanza da poterti dimenticare del valore che hanno i soldi. O di come li spendi. O di come si vive in un mondo in cui un salario medio è dieci volte inferiore a quel che ti frutta un passaggio televisivo di cinque minuti. È una tranquillità pericolosa, perché ti fa pure dimenticare quanto precario sia l’universo in cui vivi la tua invincibilità.
La grande fortuna di accarezzare i milioni dopo i trent’anni, probabilmente, sta proprio nel fatto che hai sguazzato abbastanza nelle pozzanghere della normalità o della fame per non montarti la testa. Sotto questo profilo, nei fatti, i L’Arc~en~ciel sono molto diversi dai ragazzini che debuttano oggi. A quindici, sedici anni sono già abituati alla televisione e agli ingaggi. La gavetta è già sotto le telecamere. Hanno manager e truccatori e persino chi scrive le battute più cool e più spiritose. Sanno tutto e non sanno nulla. Non sanno neppure che non sarà per sempre così.
Anche se dimostrava dieci anni di meno, haido aveva più di ventiquattro anni quando il gruppo entrò nella scuderia della Sony. Ventisei, quando poté cominciare a sentirsi davvero qualcuno, a guadagnare tanto da dare un senso ai sacrifici. A ventotto, però, aveva già perso tutto.
Il prezzo dello scandalo del novantasette fu una penale che la Ki/oon scontò soprattutto sulla sua pelle; finché non ripagò dieci volte tanto i contratti sfumati, continuò a cantare e a registrare. Salì sul palco con il raffreddore, con la febbre, con la gola infetta. Nessuna data venne spostata. Nessuna tregua concessa. Fece interviste sostanzialmente afono, con giornalisti imbarazzati che continuavano a chiedergli se stesse bene. Si innamorò e la Sony gli tolse pure quel diritto, perché non era il momento giusto. Prima di incontrare Megumi – e fare il possibile per tenersela stretta – la sua vita era in uno studio di registrazione.
Era così per tutti, beninteso, ma non siamo fatti con lo stampo, ognuno ha i suoi tempi e i suoi bisogni.
Non era un eroe. Non lo era neppure Tetsuya che non dormiva, non mangiava, riempiva tabs di note e faceva il contabile di debiti che non aveva neppure contratto. Erano musicisti bravi, ambiziosi, che dovevano recuperare terreno, dunque lavoravano. Ma se per tetsu il gruppo era il principio e la fine della sua esistenza, haido non era dello stesso avviso. Era molto più umano. Era riuscito a stargli dietro finché c’era Sakura e quella strana specie di famiglia allargata lo proteggeva dalle sue ansie peggiori. Poi era stato quasi l’avessero afferrato brutalmente per le spalle, scosso senza riguardo e apostrofato rudemente con uno ‘Svegliati, imbecille. La vita funziona in un altro modo’.
A ventinove anni, haido era già caduto una volta, si era rialzato e, al di là di quello che credevano le fangirl, era pieno di consapevolezze molto adulte e dolorose.
Quel che voglio dire, insomma, è che i L’Arc~en~ciel non somigliano alle cicale, ma in un mondo composto quasi solo di quest’ultime, sono le formiche della situazione.
tetsu, Ken e haido sono passati per il Purgatorio della diffamazione. Il sottoscritto, dopo i Dies in cries, per quello dell’incertezza e della disoccupazione. Sappiamo, insomma, quanto valgono i soldi, e il modo in cui li spendiamo dice davvero molto di noi.
A me piace l’elettronica. Non mi importa quanto possa essere costosa. A ben vedere, poi, non sperpero molto più di quanto non pretenda un ragazzino nato oggi, e ci lavoro. In un certo senso, sotto questo profilo, dimostro tutti i miei trentasette anni: mi diverto e ammortizzo la spesa al tempo stesso. Poi DVD, CD, qualche accessorio di moda. Nessuna follia particolare; anche se non sembra, la vita di un musicista major ha pause talmente ridotte che non sai come spendere quel che guadagni. Non ne hai il tempo. Se poi investi in progetti di produzione finisci con il trovarti al più parte di una catena che ricicla soldi: da un lato ne guadagni, lavori e ne muovi, dall’altro li rendi. Ripeto, è un discorso da vecchio o da operaio. È un discorso di buonsenso.
tetsu è più glamour e più complicato. Spende molto per sé e ti viene da pensare sia una cicala egoista. Poi scopri che garantisce l’investimento di un cognato, riempie di giocattoli i nipoti o salda il mutuo di una delle sorelle, e realizzi che è un altro con i piedi ben piantati a terra, malgrado l’attico a Omotesando.
Ken vuole vivere senza rimpianti. Coglie l’attimo. In ogni senso.
haido, tra tutti, è quello che somiglia meno a una rockstar. Non so se dipenda dal fatto che i suoi fossero poveri – per davvero – e abbia così realizzato sulla sua pelle di figlio anche troppo viziato quanto valore avesse un pugno di yen (figlio viziato, poi: haido era anche un bambino che a otto anni preparava da solo i propri pasti. E da solo, nella maggior parte dei casi, mangiava), oppure sia più maturo di noi tre, ma il suo modo di amministrarsi è sempre stato diverso dal nostro. È lo stesso, in fin dei conti, che l’ha reso molto più ricco del resto del gruppo e ne ha fatto uno degli uomini più facoltosi del Giappone.
L’orgoglio di haido sta soprattutto nell’aver liberato i coniugi Takarai da ogni problema economico, fosse passato, presente o futuro. Una giovane rockstar – si presume – dovrebbe pensare soltanto a darsi alla bella vita, alle belle donne, alle automobili di lusso; la prima cosa che fece haido da – finalmente – ricco, fu soddisfare una vecchia promessa e comprare una casa confortevole per i propri genitori. Poi investimenti finanziari, immobiliari, fondi, come un ragioniere o un contadino oculato. Certo, ha una villa di lusso e un appartamento di servizio che vale altrettanto, oltre a una casa di produzione che alimenta investendo se stesso, ma non sono che una minima percentuale di tutto quel che il suo patrimonio produce. Ha una minicooper persino ordinaria. Quanto agli abiti, se spende è perché vi è costretto dalle sue dimensioni, non certo perché gliene importi qualcosa.
Siamo molto più ordinari di quel che si pensa. Siamo talmente ordinari che quando ci incontrano, spesso e volentieri, neppure comprendono chi siamo, e che siamo veri, soprattutto. È un corollario della fama, come il perdere la pace e la faccia con estrema facilità. Siamo ordinari soprattutto dentro, ed è quello che nessuno realizza, quando ti prende, ti sbatte in prima pagina e ci confeziona sopra l’articolo, neppure fossi fatto di carta come la spazzatura su cui pubblicano.
Tutto questo preambolo per raccontare una storia come tante, tra le molte che si sono intrecciate nella lunga agonia dell’Iride; una storia che somiglia a un film muto, visto che non ci sono dialoghi o scambi degni di questo nome. Eppure lancia un messaggio inequivocabile.
tetsu è un automobilista particolarmente abile. Ha la guida nel sangue, si può dire. Non ha molte occasioni per farsi notare, perché per lo più sono pulmini con vetri oscurati e autista, ma è cosa nota. Me ne accorsi anche quando facemmo quella disgraziata corsa sui kart, senza immaginare quanto sarebbe accaduto; ha la freddezza e la fluidità dei professionisti. Ogawa ne è consapevole e manifesta la propria vanità senza ostentarla, ma con stile. Ken ama le automobili americane, vistose e dalla cilindrata potente. tetsu, no, preferisce l’eleganza del design a un motore che i limiti del buonsenso non potrebbero comunque far girare oltre il consentito. Sono berline europee, spesso italiane e ovviamente quasi introvabili in Giappone: per questo saltano subito all’occhio.
haido, che ha una memoria delle forme ipersensibilizzata dai suoi studi di design, sicuramente non aveva dimenticato l’ultimo acquisto del nostro leader, prima che ci separassimo. Una sera d’inverno – forse era già la fine di marzo, ma quell’anno la primavera stentava a farsi trovare – Hideto mise il guinzaglio al piccolo cane di sua moglie, per fargli fare una passeggiata. Non è qualcosa che faccia d’abitudine, perché i suoi orari sono talmente disordinati da non adattarsi neppure ai bisogni di un cane. Può darsi che volesse approfittare dell’eccezione per fare qualcosa che ricordasse a Megumi di avere un marito, oppure avesse bisogno di stare un po’ da solo – del tutto – con una scusa. Fu così che la vide, posteggiata non troppo distante dalla sua villa. Stesso colore, stessa linea: quante potevano essercene a Tokyo? Per certo non moltissime, era pur sempre un articolo di lusso. La zona in cui era stata lasciata, del resto, gli faceva sperare ci fosse un perché.
Posso immaginare il suo cuore che batte più forte, mentre si ferma sul marciapiede opposto e non smette di guardarla. Magari immagina che Tetsuya non ha ancora deciso se bussare o meno alla sua porta, ma ha voglia di vederlo. È una felicità improvvisa, strana, confusa. È un sogno ad occhi aperti ch’è però anche molto realistico; è trascorso un intero anno dal suo matrimonio, molto è cambiato, anche se non i sentimenti di haido. Piuttosto ha forse paura che tetsu l’abbia del tutto cancellato, e questa potrebbe essere la prova del contrario. Qualcosa, insomma, che fuga finalmente i suoi timori.
È davvero così?
Mi fa pena pensare che haido non abbia realizzato da solo che poteva anche trattarsi di tutt’altro; che è un uomo ricco e che vive in mezzo ai propri simili, che tetsu, dunque, potrebbe non essere il solo amante di un certo modello destinato a chi ha abbastanza soldi da concedersi di rendere palpabili i sogni.
Vuol dire comunque che era, se non disperato, abbastanza vicino a un punto di rottura.
Hideto era rimasto immobile a fissare una berlina per un arco di tempo che non era stato più in grado di calcolare. Forse aveva ripercorso con la mente dieci anni privi di asperità o porte chiuse. Forse era tornato indietro fino ai giorni in cui lo chiamava da una brutta cabina telefonica sotto casa Ogawa. Il piccolo cane aveva fatto i propri bisogni una o due volte. Moriva di freddo come il proprio padrone, ma aveva il buongusto di rendersene conto. Forse anche il buongusto di realizzare ch’era poco probabile Tetsuya fosse rimasto commosso da Roentgen.
Si dice gli animali abbiano fiuto; magari quello di Megumi la pensava come Ken.
Trascorsero così due ore. Poi il proprietario della berlina tornò, ingranò la marcia e riprese la propria strada, incurante di una piccola ombra sul lato opposto del marciapiede. Magari l’avrà presa per un bambino. O per un poco di buono. Chissà? Non era Tetsuya, comunque: haido era rimasto immobile per due ore ad aspettare un fantasma. Poteva sollevare la cornetta e provare a chiamarlo, ma è molto più tortuoso e fragile di quanto sia lecito ipotizzare.
Due ore al freddo, quando per ammalarsi gli bastano due minuti, e doveva promuovere Roentgen.
Ho appreso questa storia in due tempi e poi riunito i frammenti di un puzzle tanto facile d’esser accessibile pure a un principiante.
La prima parte mi fu raccontata da Megumi.
Quando conosci un po’ la Oishi realizzi cosa abbia fatto innamorare Hideto: prima ancora d’essere bella, è una donna gentile, intelligente e indulgente, senza che tuttavia ciò la privi di un’ironia simpatica e sempre molto appropriata alle circostanze. All’epoca, tranne forse un paio di spot pubblicitari e qualche set fotografico, non lavorava. Era entrata nel primo anno di matrimonio e giocava a fare la giovane casalinga. I suoi abiti sportivi erano senz’altro estremamente costosi, ma li portava senza farlo pesare. Una ragazza d’alta classe, che in fin dei conti veniva da un mondo altoborghese lontanissimo da quello che segnava le nostre origini – intimidiva un po’, a dirla tutta.
Megumi, però – e ciò spiega perché haido l’abbia sposata – è una conversatrice brillante, simpatica e ha un bel sorriso; lo stesso con cui mi accolse e mi intrattenne un giorno in cui pensai di portare a Hideto un paio di CD che gli avevo promesso.
haido è un talento incomprensibile: non è aggiornato sul fronte delle novità musicali, compra musica che non ascolta, litiga con il suo ipod e poi finisce con il produrre talenti straordinari, che incrementano il suo fatturato prima ancora che lo realizzi. Poi, mentre masterizzo qualcosa, capita che mi piombi silenzioso alle spalle, ascolti per cinque minuti a bocca aperta come un bambino piccolo e mi dica – più o meno dice sempre la stessa cosa – ‘Interessante, Yukki. Me lo presti?’. Oppure: ‘Tu sì che te ne intendi di musica’, e lo dice come se fosse davvero un barista di Wakayama e non HYDE.
Senza la minima ironia, cioè.
Così è finita con una specie di tacito accordo: tutte le volte in cui mi capita di ascoltare qualcosa che so possa piacere anche a lui – in fin dei conti lo conosco da dodici anni – glielo presto ancora prima che me lo chieda. Poi, probabilmente, non troverà il tempo di ascoltarlo, lo perderà nel suo disordine o si dimenticherà di restituirmelo, ma mi ringrazierà comunque con tutto il calore del mondo.
Non ricordo cosa gli portassi allora, ma mi accolse Megumi. haido aveva la febbre altissima da un paio di giorni. Avevano dovuto anche spostare un paio di set fotografici. La notizia in sé non era eclatante, perché il periodo era quello: tra gennaio e aprile, Hideto aveva un raffreddore più o meno significativo ogni due, tre settimane – se non altro ora era abbastanza importante da poter restare a letto e rinunciare al massacro delle riprese pubblicitarie. Quando avevo cominciato a lavorare con i L’Arc~en~ciel, del resto, non era concesso neppure quello: doveva perdere del tutto la voce per fermarsi. Io stesso avevo suonato anche con un braccio al collo.
Queste sono le regole del mondo major: più arrivi in alto, più sudi sangue. Se non sei davvero bravo – o molto forte – crepi prima di rendertene conto. Era quello ch’era successo a Sakura.
Non so se sia colpa sua o del cane. Si sono raffreddati tutti e due,’ disse con un piccolo sorriso, accennando a quella strana passeggiata nel freddo di una notte come mille altre. Poi, con infinita tenerezza, la vidi anche rimboccare le coperte al malato, quasi fossero una mamma e il suo bambino, tanto piccolo – davvero – è haido, e più minuscolo ancora quando si raggomitola tra le coperte.
Tornai qualche giorno più tardi. Aveva ancora una tosse tremenda, ma stava abbastanza bene da esasperare la moglie con quei suoi irresistibili infantilismi; avvolto in un plaid, nei fatti, giocava con la playstation e fumava senza prestare attenzione all’inevitabile incompatibilità di una simile operazione con il suo raffreddore. Fu molto felice di vedermi, credo, anche perché gli davo una scusa per sottrarsi al plotone di Megumi. Tra una chiacchiera e l’altra venne il resto: mi confessò, cioè, che era rimasto ad aspettare Tetsuya, ma Ogawa non si era proprio visto.
Pensi che sia scemo?’ mi disse. In verità ho pensato fosse migliore di molti di noi, perché tra le sue priorità c’erano sentimenti che i soldi di solito fanno dimenticare.
Ci perdemmo di vista per un po’; lavoravamo entrambi e lavoravamo duro. haido era sempre più spesso all’estero, dove la sua popolarità era vertiginosa. A volte mi capitava di pensare che fosse una specie di fuga, la sua; da Tetsuya, soprattutto. Se fosse andato in luoghi in cui tetsu non poteva esistere in alcun caso, forse, credeva di potersi mettere il cuore in pace. Non è solo, haido: ho già detto che è una persona affascinante e carina, dunque in grado di attrarre gli altri. Però è anche vero che tende a radicarsi, e le radici più profonde del suo ego sono in Ogawa. Non può essere altrimenti.
Il duemiladue, del resto, fu in un certo senso l’anno di tetsu. Lavorò molto, raggiunse un buon successo, i suoi PV avevano un’ottima visibilità e anche il suo seguito si faceva più convinto. Come se non bastasse, il naufragio della sua storia con la Mochida riempì brutte pagine di gossip per parecchio, facendogli una pubblicità non richiesta ma senz’altro utile. Ebbi modo di vederlo in parecchie circostanze; al contrario di haido, sembrava più giovane, molto sereno e più rilassato di come lo ricordavo. Si era concesso qualche bel viaggio all’estero, aveva fatto shopping a Roma e a Milano, la sua condizione di single non gli pesava – e in ogni caso non era come haido; anche se gli avesse fatto male il cuore, per certo non l’avrebbe confidato a nessuno. Neppure a un compagno di squadra.
Era il ritratto di un trentenne rampante, avviato a una luminosa carriera e ben determinato a puntare in alto. Sempre più in alto.
Da che l’ho conosciuto, del resto, Tetsuya mi ha sempre dato l’aria d’essere proprio come i grattacieli che adora: un piano più in alto degli altri. Se non ha il talento, ha però l’ambizione giusta. Se anche quella non basta, stringe i denti, chiude gli occhi e si getta senza paura nell’ennesima prova. Non è un cattivo perdente, ma soprattutto è uno straordinario vincente; per questo, di solito, non sta simpatico ai fan più giovani. Bisogna crescere un po’ per capire quanto sia difficile vivere alla Ogawa e quanto bisogno ci sia di quelli come lui.
Con tetsu ho sempre avuto un magnifico rapporto. Pensandoci bene – non so perché – sono sempre andato d’accordo tanto con Ogawa che con Takarai, che pure sono due personalità opposte. Evidentemente, in un modo o nell’altro, Ken e io siamo quelli che bilanciano i loro estremi. Proprio perché c’è sempre stata affinità, tetsu è stato amichevole, simpatico, rilassato, per nulla incline alla recriminazione o alla critica. Mi ero dimenticato di quanto fosse piacevole, con il suo sorriso pronto e il suo cinismo un po’ caustico, l’autoironia con cui sapeva guardarsi e lo sguardo disincantato con cui ti raccontava il mondo, o l’entusiasmo con cui poteva riassumerti una replica di Evangelion.
Non sembrava il cattivo della situazione: a ben vedere, anzi, non lo era per niente.
tetsu era il più giovane di noi. Era il leader. Per dieci anni aveva subito pressioni feroci. Aveva perso un amico, un batterista e la faccia per uno scandalo di cui non aveva colpa. Non aveva dormito per giorni, aveva lavorato per trecentosessantasei giorni su trecentosessantacinque, ci aveva fatto da manager e da balia, senza aspettarsi un grazie, subendo anzi gli scazzi, gli imprevisti, qualunque fortunale ci fosse capitato addosso.
Non aveva mai perso le staffe – non quanto avrebbe dovuto. Usava il futuro senza paura. Tutto questo per dieci anni, forse troppi per la pazienza di chiunque. Se haido non ha paura della propria fragilità – dunque ti costringe a impietosirti – tetsu tace; forse preferisce essere condannato che non assolto per compassione. È un uomo complicato non meno di Takarai, insomma. Non meno infelice per lo stesso motivo.
Di haido non disse nulla; non lo nominò nemmeno, come se non fosse un termine rilevante, per quanto pure dovesse farci i conti dalle parti dell’Oricon. Non so perché, di sicuro non per invidia. tetsu non invidia nessuno: ammira. Il che è profondamente diverso.
Credo che haido l’abbia ferito in qualche modo, senz’altro senza rendersene conto, perché la sensibilità di Tetsuya è troppo sottile per palesarsi nelle evidenze, ma è un dato di fatto. Forse tutto nasce davvero da un pugno di canzoni scritte in lunghe notti di pianto e di insonnia: canzoni in cui non c’è traccia di speranza, quasi quel Tetsuya Ogawa che stringeva le spalle di Doihachan e gli prometteva che tutto sarebbe andato bene anche senza Sakura, non fosse mai esistito. Come se Tetchan fosse stato quello che era rimasto a guardare, invece di piangerci di nascosto di incredulità, avvilimento e rabbia come tutti. Però tetsu aveva sempre gli occhi asciutti davanti al gruppo; tetsu era il leader, quello che potevi chiamare stronzo senza sentirti in colpa, tanto non aveva la minima sensibilità.
Più ci penso, più mi viene da pensare che la crepa sia questo fraintendimento: haido non perdona a tetsu di non avergli dato fiducia. Di non essersi mai aperto, mai confidato, di averlo sempre trattato come un ragazzino scemo, come un surrogato del suo pomerarian Ren.
tetsu, per contro, imputa a haido di non averlo mai capito, malgrado dodici anni passati fianco a fianco; di aver abbracciato tutti, tranne lui: quando ne aveva bisogno e nessuno se ne rendeva conto.
Di essere troppo fragile per quel che gli aveva regalato, e dunque di andare in pezzi trascinando con sé tutti i suoi sogni.
Anzi gli rimprovera di non aver mai compreso la cosa più importante, e che cioè Tetsuya gli si era dato fino alle estreme conseguenze, regalandogli tutte le sue aspirazioni e chiedendogli in cambio solo di farne buon uso. Invece haido aveva voluto spezzare la catena, senza neppure realizzare che era la sua ancora.
Senza Tetchan, insomma, restava una deriva di silenzio.

   
 
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