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Autore: Atreius    21/11/2010    11 recensioni
"Dudley Dursley era un uomo banale. Abitava in una piccola casa nel Surrey, anonima, come tutte le altre del circondario, con il giardino ben curato, le siepi ben potate e il cane ben educato che corre incontro al padrone appena aperta la porta di casa."
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Dudley Dursley era un uomo banale. Abitava in una piccola casa nel Surrey, anonima, come tutte le altre del circondario, con il giardino ben curato, le siepi ben potate e il cane ben educato che corre incontro al padrone appena aperta la porta di casa.
Dudley, aveva preso in consegna la ditta del padre, il granitico Vernon Dursley, la Grunnings, produttrice di trapani, dove si recava a lavorare ogni giorno, dalle otto precise alle sedici e trenta in punto. Molti avevano avuto consigliato il padre di continuare lui stesso, il lavoro in azienda, consci del fatto che se il padre era assai intellettualmente limitato, il figlio non avrebbe potuto che peggiorare la stiuazione, ma Dudley aveva stupito tutti, sviluppando quel non so che di senso del commercio che anche i semplici, gli ultimi della classe, riescono a padroneggiare nella contingenza della vita.
I maligni sostennero per molto che Dudley avesse appreso con facilità la nozione che per mantenere lo stile di vita agiato cui era stato abituato, sarebbe stato opportuno imparare un mestiere.
Ad ogni modo, gli utili della ditta si erano mantenuti stabili, nonostante la sfavorevole congiuntura economica che aveva flagellato il Vecchio Continente, come una di quelle vecchie bagnarole che emergono dalle tempeste, inaffondabili e quasi indipendenti dalla volontà del proprio timoniere.

Quella mattina d'aprile Dudley Dursley fu svegliato alle sette dall'insopportabile trillo della sua sveglia d'ottone, come tutte le mattine. Dudley grugnì, abitudine che l'accompagnava fin dalla più tenera età, cercando con la mano tozza il tasto di spegnimento.
Si alzò a fatica dal letto, grattandosi la testa squadrata e facendo correre la mano fra i capelli biondi a spazzola. Tirò su le tapparelle, andò in bagno a radersi, e si infilò un completo da ufficio blu scuro, che lo faceva sorprendentemente somigliare ad un gorilla di un'agenzia di sicurezza.
Con passo pesante scese le scale della villetta, rischiando di inciampare almeno due volte, prima in un'automobilina giocattolo, poi in un pattino a rotelle mezzo rotto, abbandonati sul pianerottolo.
Un buon odore di fritelle allo sciroppo d'acero solleticò le sue narici, e Dudley, che aveva le dimensioni di un cucciolo di Beluga, si rallegrò, facendo il suo ingresso in cucina.
"Buongiorno Dudley!" Pigolò allegra la signora Dursley, Annah. Era una donna minuta, che stonava alquanto con l'immagine dell'imponente marito. Il naso affilato, i due prominenti incisivi marcavano la somiglianza che aveva col fratello, Piers Polkiss, amico d'infanzia del marito.
"'Giorno Annah" Esclamò Dudley, stampandole un rumoroso bacio sulla guancia, prima di girarsi verso la tavola, dove due ragazzini stavano seduti, in silenzio. Il primo, grassoccio, identico al padre, a parte i capelli castani, eredità materna, fissava inebetito il televisore, nemmeno facendo caso alla presenza paterna. Pareva immobile, tranne che il dito indice, che continuava a saltare sui tasti del telecomando.
Il secondo era piccolino, minuto, simile alla madre, ma con occhi verde smeraldo e capelli di un sorprendente colore rossiccio. Sorrise al padre, allegro, prendendo un biscotto dal piatto della colazione.
Dopo la nascita del figlio, per giorni Dudley e Annah si erano interrogati circa il ramo della famiglia da cui il bimbo avesse preso tali caratteri, e Dudley aveva volontariamente rimosso una certa zia Lily, di cui ben poco sapeva, ma di cui era certo ben poco bisognava dire.
Aveva invitato suo cugino e la sua famiglia al matrimonio, al battesimo di Osvald Dudley Junior e anche a quello di Harold Vernon, ma in nessun caso Harry Potter e la sua strana famiglia si erano presentati, con gran gioia di Vernon Dursley Senior.
"Osvald, saluta il papà!" Gracchiò Annah, spegnendo il televisore al figlio, che protestò animatamente, urlando con tutta la potenza che i suoi polmoni da bambino di dieci anni gli permettevano, finche la madre, esasperata, non infilò nel piatto del figlio una fumante porzione di frittelle, paragonabile a quella del padre.
Osvald era un Dursley, un vero Dursley, come dicevano nonno Vernon e zia Marge, che non perdevano occasione per esprimere la loro preferenza verso quel nipote che sposava in pieno le loro aspettative, mentre Harold, bè... Harold, come diceva Vernon, era sicuramente più un Polkiss.
Dudley baciò affettuosamente la moglie, salutandola per andare in ufficio, e caricò i figli per portarli alla scuola elementare St. Crispin, in fondo alla strada, sopportando le grida di rito che Osvald riservava a tutti come ogni mattina, e le osservazioni stralunate, ma acute di Harold.
Harold aveva nove anni, un carattere acuto, spesso troppo per la sua età, infatti i compagni spesso lo prendevano in giro, ma era caparbio, orgoglioso, con una passione per i libri che Dudley non riusciva a spiegarsi. Era solitario, non perchè non amasse parlare, ma perchè spesso amava isolarsi e osservare.
Inutile dire che Osvald spesso aveva la meglio su Harold, ma Harold non sembrava curarsene troppo. Dudley era un po' preoccupato, spesso il figlio tornava a casa con qualche livido, aveva cercato di insegnarli un po' di boxe, era un campione ai tempi del liceo, però il ragazzino si era prestato alle lezioni più per far contento il rissoso padre che per difesa personale.
Scaricò i figli davanti alla scuola, e proseguì verso la sede della Grunnings.

Era una mattina normale come tante, il lavoro procedeva come al solito, anche se Dudley avvertì dentro di sè una spiacevole sensazione, quella tipica di quando si sospetta l'accadimento di qualcosa di estremamente sgradevole.
Decise di non curarsi, e di non farsi prendere dalle suggestioni. Mica era come suo cugino Harry, non aveva certo il dono della preveggenza!
Ridacchiò fra sè e sè, riponendo quell'inquietudine che l'aveva turbato in un cassetto della sua anima, e riprese il lavoro come al solito. Rispose ad un paio di telefonate, gestì gli ordini, ispezionò personalmente l'azienda, da cima a fondo, e si preparò alle quattro e mezza di pomeriggio ad andare a prendere i figli a scuola.
Era alla guida della sua famigliare grigio metallizzata, quando il suo telefonino squillò. Dudley accese il vivavoce e si mise in ascolto.
"Pronto? Il signor Dursley?" Chiese una voce femminile dall'altro capo del telefono.
"Sono io, dica pure".
"Sono la signorina Amanda Dickinson, la segretaria del preside Crooks. Chiamo dalla St. Crispin."
La sensazione di disagio che aveva disturbato Dudley quel mattino, fece capolino dentro di lui.
"E' successo qualcosa?" Chiese, cauto.
"Eh... La mandavamo a chiamare proprio per questo, suo figlio è qui in presidenza, il signor Crooks vuole parlare con lei. Può passare fra poco?"
"Certamente. Ma stanno bene?" Chiese l'uomo, preoccupato.
"Certo! E' una questione disciplinare, meglio che passi da noi."
Dudley chiuse la chiamata. Sicuramente Osvald aveva di nuovo pestato qualche ragazzino. Ne era certo. Avrebbe dovuto togliergli la televisione per un po'. E forse metterlo a dieta, perchè magari se fosse dimagrito almeno un po' forse avrebbe smesso di schiacciare i compagni più piccoli. Pensò a se stesso da bambino, e diventò paonazzo. Gli somigliava.

Entrò nella St. Crispin a passo rapido e fu condotto dalla signorina Amanda nell'ufficio del preside Crooks.
Era una stanza grande, con le sedie imbottite e una grossa scrivania centrale, dove l'uomo era seduto.
Trasse un sospiro e si avvicinò al tavolo.
"Cos'ha combinato Osvald questa volta?" Chiese, a mo' di saluto.
"In verità l'ho chiamata per Harold. Oggi è salito sul tetto della scuola." Dudley ebbe un tuffo al cuore, diventando paonazzo.
"C-come?" Chiese, con un filo di voce.
"Il ragazzo non riesce a spiegarselo. Ha detto che stava correndo in cortile, quando all'improvviso si è trovato sul tetto, dopo un bel salto. Ovviamente non ha senso." Affermò Crooks, mentre Dudley diventava da violaceo a pallido come un fantasma. Poteva essere? No, non poteva, non poteva essere. Affermò il Dursley dentro di lui. Eppure una vocina lontanta gli stava facendo ricordare un episodio del suo passato, che credeva ormai d'aver rimosso.
Stava inseguendo suo cugino Harry, avevano nove anni. Non ricordava esattamente il perchè, ma sapeva che in quel periodo era il suo punching-ball preferito. Ad un certo punto Harry aveva saltato ed era sparito dalla sua visuale. Era stato ritrovato poco dopo sul tetto della scuola.
Dudley rabbrividì.
Il preside continuò per un bel pezzo, parlando di norme disciplinari, di comportamenti, ma Dudley non l'ascoltava più. La sua mente era tornata indietro, scomponeva e ricomponeva il salto di Harry, più e più volte. La vocina dentro di lui ormai aveva assunto le proporzioni di un'allarmante sirena da ambulanza.
Uscì frastornato dalla scuola, con un orrendo mostro del dubbio a tormentarlo. In silenzio caricò Osvald, che non faceva che ridere, contento del fatto che per una volta il preside avesse richiamato Harold e non lui, e Harold, che cupo e silenzioso si sedette.
Non dissero una parola per tutto il viaggio.

Dopo le spiegazioni ad Annah, dopo aver rifilato due scapaccioni ad entrambi, e averli spediti a letto senza cartoni animati, Dudley entrò in camera di Harold, che seduto con le ginocchia abbracciate, fissava il copriletto.
Dudley si sedette con cautela sul bordo, mentre il materasso cedeva un po' sotto il suo peso. Restarono in silenzio per un bel po'. Dudley a fronteggiare la sua peggiore paura, e Harold a meditare sull'accaduto.
"Non l'ho fatto apposta, papà". Disse infine il ragazzino, fissando il padre coi suoi sorprendenti occhi verdi. Dudley non disse niente, limitandosi a fissarlo. In quel momento l'immagine di Harry, da piccolo, nella sua mente, si sovrappose a quella del figlio. Harold scoppiò in lacrime.
"Stavo scappando da Dennis Fisher. Lui e i suoi amici volevano chiudermi nell'armadietto delle scope. Stavo correndo, ho cercato di saltare il muretto delle cucine e mi sono ritrovato sul tetto!" Gridò, in un modo quasi disperato.
Dudley lo prese in braccio, stringendolo forte, per scacciare ogni paura, più in se stesso, che nel figlio.
"E' la prima volta che succede?" Chiese piano, mentre accarezzava la fronte di Harold. Il ragazzino lo fissò, curioso, prima di fare cenno di no con la testa. In quel momento Dudley ebbe paura di svenire.
"La settimana scorsa ero in mensa. C'erano i broccoli. Non mi piacciono i broccoli. Ho immaginato di mangiare le patatine fritte che stava mangiando il preside Crooks. E all'improvviso le mangiavo davvero! E' stato incredibile!". Cantilenò allegro Harold, con la stessa espressione di un bimbo che aveva appena preso un bel voto a scuola.
"Sono stato bravo, vero papà?" Chiese, guardando Dudley negli occhi. Era suo figlio. Non poteva essere... Come quelli. Eppure Dudley, sotto sotto incominciava a capire.
"Sei stato bravo". Mentì, accarezzando la testa del ragazzo, dopo avergli rimboccato le coperte.

Dudley restò sveglio tutta la notte a fissare il soffitto. Tutto stava prendendo forma. Immaginò il viso paonazzo di Vernon Senior. Immaginò la faccia inorridita di Petunia Dursley. Immaginò la sorpresa negli occhi della moglie. Immaginò che non ce l'avrebbe fatta a fare tutto da solo. Non era capace. In quel momento Dudley Dursley, per la prima volta in vita sua, capì che aveva bisogno d'aiuto. Capì che era troppo per lui e avrebbe dovuto farsi aiutare. C'era un'unica persona in grado di farlo.
Si alzò dal letto, pensando a quel che in quel momento provava suo figlio, alla spiegazione del perchè si era sempre sentito diverso, strano, lontano dai suoi coetanei. In quell'istante capì la solitudine e il dolore provati da Harry nell'infanzia. Si sentì in colpa. Decise che suo figlio avrebbe avuto il meglio, decise che non andava soffocato, nè costretto.
Scese le scale, e prese il telefono, aprendo la rubrica. Un foglio ormai ingiallito ne uscì fuori. Compose il numero che mai si era immaginato di dover chiamare. Il telefono squillò più volte, finchè una voce maschile, impastata dal sonno, gli rispose.
"Pronto?"
"Sono Dudley Dursley. Ciao Harry."

  
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