Memories 03:
Alucard
Gli esseri umani sono creature deboli, che si rassegnano facilmente e si abbandonano fra le fredde braccia della morte. Si riconosce l’uomo forte solo quando decide di non arrendersi davanti al pericolo, fino a tal punto da abbandonare la sua vecchia vita e rinascere sotto nuove spoglie. Come una fenice rinasce dalle sue stesse piume. Anch’io ero così. Ero debole. Forse lo sono ancora, ma sono troppo orgoglioso per ammetterlo o rendermene conto. Prima ero un debole essere umano… E ora? Che cosa sono?
Io
sono solo un mostro. Un mostro folle e assetato di sangue, che si abbevera alla
fonte della vita eterna come ossessionato dalla immane distruzione di se
stesso. Sono morto e rinato in nuove spoglie. La mia morte… è stata forse un
sogno? Talvolta mi sembra di essere restato così per l’eternità… Di non essere
mutato… Sono sempre stato un mostro. E non me ne pento.
“La carne è come l’erba appassita. E la gloria
degli uomini è come fiori nell’erba. L’erba avvizzisce e il fiore appassisce,
cadendo lontano… Ma le mie parole resteranno per sempre”.
Questa voce… Questa fioca luce…
Il colpo arriva improvviso. Preciso. Doloroso. Dritto al cuore, come se lo aspettava dall’inizio. Il sangue esce a fiotti dalla ferita e la sua bocca vomita quel liquido rosso che tanto desiderava e divorava voracemente.
Il paletto di frassino è riuscito nel suo intento:
trafiggere il cuore del Conte.
Ma non l’anima. Quella resterà per sempre.
Dolore! Cosa mi succede…?! Cos’è questa fitta che provo?!
Un rantolo strozzato esce dalla sua gola. Finalmente si decide ad aprire gli occhi e guardare il volto del suo assassino. Un volto che conosceva molto bene.
Ma vede solo un’enorme ombra indistinta che lo sovrasta. L’ombra copre tutto. Perfino la luna.
Tu…
Trova la forza di parlare.
“Io… Sono stato… sconfitto?”
La voce gli esce a stento. Debole e strozzata. Molto diversa da quella che usava alcuni giorno fa: la voce sicura e altera di un sovrano, profonda e decisa, di chi è abituato ad affermare la propria autorità.
E adesso… Si sente così debole… Le forze iniziano a mancargli.
Qualcosa bagna il suo volto: lacrime. Quelle che non versava da tempo e che non è mai riuscito a versare… Lacrime rosso sangue che hanno un sapore salato. Lui non piangeva mai. Non era un debole umano, ormai non lo era più. E si vergognava ad apparire in un aspetto così misero davanti al suo acerrimo nemico.
Lui, il Conte Dracula, piangeva. Lui poteva provare dei sentimenti così infimi come il dolore, o la paura? Paura di cosa? Della morte che lo aveva già accolto fra le sue braccia una volta?
No. Non era quello.
Non aveva mai compreso che cosa fosse la paura. Aveva solo provato nuovi dolori che continuavano a persistere nel corso degli anni che si succedevano e che per lui non sembravano passare mai. Il dolore – quello sì – sapeva che cos’era. Ormai non ci dava più molto peso.
L’uomo-ombra di fronte a lui lo guarda. Il Conte
riesce a immaginare benissimo la sua espressione: una smorfia di disprezzo e di
vittoria, una smorfia che prova una riluttante pietà per quell’essere che
adesso giace nella tomba in un lago di sangue. Adesso quell’uomo, Abraham Van
Helsing, si sentiva inebriato dalla vittoria e dalla buona riuscita del suo
intento, si sentiva potente su quel mostro che molto tempo fa lo terrorizzava
anche a sentirne solo il nome.
Il Conte sapeva perché era venuto.
“Proprio così. Hai perso”.
Quelle parole, pronunciate con la massima calma e
freddezza, facevano sentire Dracula ancora più debole. Non voleva più
ascoltare, desiderava che quell’uomo se ne andasse e lo lasciasse in pace a
morire. Invece no. Vuole pregustarsi questo momento di gioia, in cui le forze
del bene sovrastano quelle del male. Come è giusto che sia.
Ma è davvero giusto che le cose vadano così…?
Lui non lo sapeva. Non conosceva questa differenza. Non gliene è mai importato niente di questa contrapposizione che si ponevano gli esseri umani. Finora.
Io sono il male… Ed è giusto che muoia… è davvero questa la legge universale?
Lui ha sempre ballato sul confine fra la vita e la morte, fra la ragione e la follia. Senza mai preoccuparsi di nessuno. Lui uccideva gli esseri umani, si nutriva del loro sangue, della loro anima e dei loro ricordi perché era giusto così. Non poteva fare altrimenti, se voleva sopravvivere nell’arco dei secoli. Lui viveva, gli altri morivano. Questa cosa non l’ha mai disturbato.
Poi… Sono arrivati loro…
“Non c’è incubo dal quale non ci si possa
risvegliare”.
Non è vero… Dal mio incubo non mi sono mai svegliato…
“Il tuo castello e il tuo casato sono ormai in rovina”.
Lo so… Non ho più niente, ho perso tutto. Per colpa della mia stessa voracità, della mia follia, che è diventata causa della mia rovina.
“Anche i tuoi servi sono tutti morti”
Tutti…
Forse è solo un sogno… Forse è la fine del mio
incubo…
“La ragazza che hai marchiato ha abbandonato la sua preziosa carne… Lei non sarà mai tua!”
Lei… Mina!
Quella donna… La sua ultima draculina,
l’ultima persona con cui ha parlato prima di nascondersi come un vigliacco
nella sua bara e aspettare il suo destino di morte. La donna che era riuscita
ad affascinarlo, incuriosirlo fino al punto di trasformarla in un suo simile. E
condannarla. Per l’eternità.
Perché l’aveva fatto… Non lo sapeva nemmeno lui.
Per capriccio, per follia o forse per un altro sentimento a lui sconosciuto… Lui
non lo sapeva ma… Temeva che le avessero fatto del male.
Io che mi preoccupo… Sono davvero caduto in basso…
Ma ormai non gli importava
più niente. Aveva perso
Van
Hellsing alzò il pugno e si preparò a colpire il paletto. La fitta di dolore
arrivò subito, immediata e mortale, come la lama della falce che strappa
l’anima dal corpo e la porta all’Inferno. Il paletto si conficcò ancora di più
nella carne, lasciando scorrere nuovo sangue dal cuore che aveva ormai smesso
di battere gli ultimi rintocchi dell’orologio della sua vita.
Un
grido strozzato uscì dalla sua gola ormai secca e nuove lacrime scesero a
macchiare il volto scarno e bianco, ormai prossimo alla fine. Il volto
stravolto dal dolore, dalla rabbia e dalla paura. Paura di una morte che aveva
già conosciuto, ma che stavolta lo colpiva con il suo ultimo fendente di spada.
Condannandolo definitivamente.
L’uomo
lo prese per la collottola dell’abito e lo strattonò ripetendo delle parole
ormai vuote e prive di senso, parole che risultavano insignificanti e
fastidiose al Conte. La sua testa stava per esplodere, un nuovo grido di dolore
proveniva dal posto più profondo della sua anima dannata e si ripeteva come un
eco infinito. Guardò gli occhi del suo assassino, desiderava vedere lo
sguardo dell’uomo che è riuscito a sconfiggere il Mostro.
Sguardo
disgustato. Bocca piegata in una smorfia di commiserazione, occhi illuminati
dalla luce dell’odio e un enorme senso di nausea per quella creatura
abominevole, che giaceva ormai inerme fra le sua mani sporche di sangue. Sangue
non umano, sangue che era giusto far scorrere: sangue di un assassino nelle
mani di un assassino. Ecco come lo vedeva.
“Conte…
Non ti è rimasto più nulla. Oh, povero No Life King...”
Dracula
lo guardava. Sentiva nuove lacrime pronte a scorrere ma le trattenne, poiché
non ne valeva la pena e voleva mantenere un certo ritegno, almeno alla fine.
Per la prima volta, provò stima e odio verso gli esseri umani, che da anni lo
braccavano per avere la sua testa e da anni lo temevano.
Lo
odiava. Ed era per questo che lo considerava un degno avversario.
“Non
ti è rimasto più nulla… Nulla!”
Parole
che si perdevano nel vuoto.
Sentiva
le palpebre farsi più pesanti, sentiva il gelido fiato della morte sul suo
collo. Ormai era pronto a lasciare tutto e non tornare. Ormai non aveva più
niente per continuare a esistere.
Volse
lo sguardo, per un’ultima volta, al cielo tinto di un colore roseo, pronto a
lasciare il posto all’alba. Non aveva mai visto il sole sorgere. Non poteva.
Perché lui era un vampiro. Osservò con tristezza e un senso di malinconia il
disco luminoso che sorgeva oltre le colline e tingeva il cielo blu della notte:
guardò per l’ultima volta l’alba e ne assaporò tutta la sua bellezza. Osservò
la sua ultima alba e pensò che non ce ne erano mai state di così belle come
quella, per un’unica volta il suo cuore ormai spento si sentiva appagato e
felice. Libero di abbracciare una vita che a lui non era mai toccata.
Mai.
Chiuse
gli occhi e si abbandonò al dolce sonno della morte, che lo accolse felice fra
le sue fredde braccia che da tempo lo attendevano.
Sorge
l’alba della vita, tramonta l’esistenza del Conte.
“Tu
non sei più un re… Non sei nemmeno un servitore di Dio… Non sei neppure più un
essere umano!”
Allora
dimmi tu cosa sono: io combattevo per la Gerusalemme Celeste, per donare agli
uomini il loro Paradiso… Quello che a me non è mai toccato. Avanti, dimmelo!
Che
cosa sono io? Dillo! Dillo! Esegui il tuo verdetto su di me!
“Hai
ucciso tutti, nemici e amici… Hai ucciso anche te stesso. Sei un abominio… Sei
solo un mostro degenere… Conte!”
Sì…
è vero. Sono un mostro.
Ma
io ho combattuto e non mi sono mai arreso… Perfino ora, che mi trovo ad un
passo dalla morte, non posso arrendermi. Non posso abbandonare il mio regno,
non posso abbandonare il mio sogno.
Io
voglio vivere!
Attendo
la lama funesta dell’arma che mi strapperà la vita. Il corpo appassirà, morirà…
Ma l’anima resterà per sempre.
Strisce
di sangue, del mio e di altri colpevoli, scorre davanti ai miei occhi e mi
invita con voce suadente ad abbeverarmi dell’elisir di lunga vita. A cibarmi di
altri uomini e donne, vecchi e bambini, per poter sopravvivere e realizzare il
mio regno.
Il
destino mi sta cedendo una seconda possibilità.
Voglio
approfittarne. La Morte dovrà attendere ancora molto per avere la mia anima.
Non sono ancora pronto a morire. Non ancora.
La
lama scende e taglia.
Il
resto è silenzio e buio.
Talvolta penso di vivere in un sogno, temo di svegliarmi da un momento all’altro e di scoprire che tutto questo è una mera illusione del mio folle desiderio. Ogni notte questi incubi, anzi, questi frammenti di memoria, mi perseguitano come se volessero avvertirmi di qualcosa. Purtroppo, sono troppo orgoglioso per perdermi nel passato e piangere una vita distrutta dalle mie stesse mani. Io vado avanti, non mi fermo e non mi arrendo: la rassegnazione porta gli uomini alla distruzione di se stessi.
Ormai
l’ho imparato. Non penso di dimenticarlo facilmente, ho ancora una lunga vita
davanti e sono ben lontano dal pensare già alla fine.
SPAZIO DELL’AUTRICE:
finalmente ho terminato. È finita.
Sono soddisfatta dal lavoro che ne è venuto fuori.
Ora che ho messo la parola “fine” a questo ultimo capitolo, mi sento svuotata:
mi succede spesso, come se un frammento della mia anima è scivolato fra le righe
di questo racconto, lasciando la sua impronta indelebile. Lo so che è strano
pensarlo, ma io mi sento così…
Per questo capitolo avevo già iniziato a
rifletterci fin dall’inizio, perché sapevo che sarebbe stato quello più
difficile e complicato di tutti: entrare nella mente di Alucard e analizzare i
suoi ricordi… Che fatica…
Nell’ultima parte ho ripreso un pezzo che c’era nel
manga n. 8, riguarda la morte del Conte Vlad prima di diventare Dracula… Credo…
Se ho sbagliato vi autorizzo a correggermi.
Comunque non voglio dilungarmi troppo e ringrazio
tutti quelli che mi hanno seguito fin qui e che hanno commentato le mie storie.
Grazie di cuore! Vi prego, lasciate commenti anche a questa, perché temo che
non sia venuta un granchè…