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Autore: Atreius    22/11/2010    4 recensioni
"Si sentì disperato, sconfitto, e le lacrime, il dolore accumulato in quei mesi di fuga, esplosero, facendolo scoppiare in un pianto silenzioso. Aveva solo diciassette anni, era troppo per lui, tutta questa sofferenza. Avrebbe voluto essere con Ted adesso, non sentire più nulla, essere solo un corpo freddo sulla nuda terra, lasciarsi sfaldare dalla natura, finchè le sue membra non sarebbero diventate terra, acqua, anima del bosco."
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Thomas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Dean sentiva il cuore esplodere, battendo all'impazzata, nel suo petto. Le gambe, pesanti per la lunga corsa, tremavano, mentre all'interno dell'albero dove si era rifugiato per riprendere fiato, cercava di trattenere il respiro.
Sembravano lontani, non udiva più i loro passi, ma sapeva che per un mago questo non era un problema. Tese le orecchie, temendo di udire il crack di una Smaterializzazione vicino a lui. Restò fermo, per istanti che gli parvero eterni, in attesa dell'oscurità per poter uscire e tentare la fuga. Se si fosse Smaterializzato, era certo che sarebbe stato scoperto.
Ogni rumore, dal fruscio innocente di una foglia, al latrato di un cane, bastava a farlo trasalire.
Quando anche la più piccola luce del tramonto si spense, il ragazzo uscì, guardingo, la bacchetta in pugno. Ogni suo muscolo era teso fino allo spasimo, mentre avanzava piano nel buio.
La sua carnagione scura lo aiutava a mimetizzarsi con le ombre degli alberi, mentre sussurrava a bassa voce incantesemi di Illusione in grado di garantirgli una minima protezione.
Si chiese quale direzione avrebbe dovuto prendere, questa volta, per sentirsi più lontano dai Ghermidori e dai Mangiamorte. Era una caccia, e lui, lui nient'altro che la preda.
La sua mente tornò al giorno prima, a quando avevano fatto irruzione nel piccolo accampamento dove aveva vissuto per alcuni giorni, con Dick, Ted e i due folletti, Gonci e Unci-Unci. I Mezzosangue, i Babbanofili, e i "sudici ibridi", come aveva sentito definire i folletti, erano in fuga da mesi, da quando i registri erano stati adottati al Ministero.
Dean si era rifugiato in quel piccolo gruppo di reietti, riuscendo a mantenere viva quel po' di speranza che era riuscito a tenersi stretto. Ripensò al sorriso di Ted, quando aveva scoperto che sarebbe diventato nonno, e si sentì salire le lacrime agli occhi. Corse più rapido, come per scacciare i terribili ricordi che gli attanagliavano il cuore.
"Scappa ragazzo, scappa!" Gli aveva gridato l'uomo, prima di girarsi a fronteggiare i Mangiamorte. Aveva appena fatto in tempo a vedere un lampo di luce verde illuminare il bosco. Dean non aveva sentito pronunciare la maledizione, ma sapeva bene qual'era.
I suoi passi diventarono pesanti, mentre affannato correva, come a mettere più strada possibile fra lui, e il corpo esanime di Ted, a terra, gli occhi ancora spalancati.
Inciampò in una radice, cadendo bocconi. Dean sentì il gusto metallico del sangue invadergli la bocca e sputò, sentendo il dolore dalla lingua irradiarsi a tutto il viso. Le mani gli facevano male, piccoli sassi si erano infilati sotto i palmi e cercò di rialzarsi, ma i suoi muscoli esausti, glielo impedirono, e il ragazzo si ritrovò accasciato nella terra umida del sottobosco.
Si sentì disperato, sconfitto, e le lacrime, il dolore accumulato in quei mesi di fuga, esplosero, facendolo scoppiare in un pianto silenzioso. Aveva solo diciassette anni, era troppo per lui, tutta questa sofferenza. Avrebbe voluto essere con Ted adesso, non sentire più nulla, essere solo un corpo  freddo sulla nuda terra, lasciarsi sfaldare dalla natura, finchè le sue membra non sarebbero diventate terra, acqua, anima del bosco.
Pensò a sua madre, agli occhi castani che brillavano mentre lo guardava, alle sue mani calde mentre gli accarezzava i capelli, da bambino, a cosa stesse facendo in quel momento, ai suoi fratellini ignari e al sicuro sotto le coperte. Aveva detto loro che sarebbe tornato ad Hogwarts, mentre in realtà si era dato alla fuga. L'aveva fatto per proteggerli. Poi aveva cancellato loro la memoria, sapendo che una menzogna non li avrebbe salvati, e che l'unico modo per salvarli davvero, era cancellare il suo ricordo.
Raccolse il suo corpo in posizione fetale, singhiozzando, capendo che se fosse morto, per la sua famiglia sarebbe stato come non essere mai esistito. Nessuno di loro si sarebbe accorto della sua morte. Pensò al sorriso di Seamus Finnigan, ai suoi capelli biondi color sabbia, alla promessa fattagli una sera d'inverno il primo anno, in infermeria, dopo una baruffa particolarmente accesa con due Serpeverde del settimo anno. Avrebbero combattuto l'uno al fianco dell'altro, sempre. Dov'era adesso Seamus? Si erano separati, eppure il ricordo della sua amicizia lo scaldava ancora. Pensò all'E.S., a tutti coloro che aveva chiamato amici, e che ora erano persi nel mondo, braccati, come lui, oppure a Hogwarts sotto i Carrow. Hogwarts gli mancava. Gli mancava la sua innocenza di ragazzo, la sua speranza per il mondo, la sua gioia di vivere, la spensieratezza dei pomeriggi passati nel Parco, quando nient'altri problemi c'erano, che fare un compito di Pozioni o un tema Storia della magia.
Non doveva morire, non poteva morire. Dean voleva ancora tornare a vivere, voleva ancora pezzi della sua vecchia vita, voleva tenere stretto il loro ricordo dentro di sè.
Solo allora pensò ad Harry, Ron ed Hermione, persi chissà dove, in quell'isola fatta di scogli e pianure verdi, di brughiere e boschi,  chiamata Gran Bretagna. Stavano ancora lottando. Lottavano non per sopravvivere a se stessi, per salvarsi, ma per salvare migliaia di vite, maghi, streghe, perfino Babbani che ignari di tutto non conoscevano neppure i loro nomi. Lottavano per quel po' di bene che era rimasto.
Dean desiderò ardentemente vivere, vivere per poter salvare quel poco che era rimasto, per dare speranza ad altri, che ora si sentivano smarriti, come lui si era sentito fino a qualche istante prima.
Si alzò in piedi, a fatica, però lo fece, incespicando ad ogni passo, ma continuando a camminare. Avrebbe raggiunto i Weasley, e gli uomini dell'Ordine della Fenice, a Nord, come aveva sentito dire da Ted. Si sarebbero diretti lì, se i Mangiamorte non li avessero attaccati.
In lontananza udì chiaramente lo scalpiccio di piedi nella boscaglia, seguito da rumori di esplosioni, incantesimi lanciati contro ogni oggetto in grado di nascondere un uomo.
In breve la foresta fu illuminata dalla luce soffusa di piccoli incendi, il cui fumo verde, magico, annebbiava la vista di Dean. Lo stavano stanando, come un animale.
Una luna, beffarda, rischiarò le ultime ombre che ancora riuscivano a nasconderlo, facendo capolino dalle nuvole che l'avevano nascosta fino a poco prima.. Era piena.
Un ululato acuto e selvaggio si fece strada nella notte, facendogli rizzare i capelli e accapponare la pelle. Fenrir Greyback. Ora i Ghermidori avevano il loro segugio.
Si fermò, capendo che era troppo tardi per scappare, che era inutile sprecare energie per una fuga disperata. Scivolò silenzioso in una conca, lasciando le spalle al muro di roccia. Nessun nemico avrebbe potuto attaccarlo senza essere visto.
Le voci dei Mangiamorte, e il latrato di Greyback erano sempre più vicini. Un rumore più forte alla sua sinistra attirò la sua attenzione.
"Stupeficium!" Urlò, con quanto fiato avesse in gola. Il corpo di un uomo cadde a terra. Il cappuccio in testa a mascherarne il viso. Mangiamorte. Dean si tenne in posizione di difesa. Non si sarebbe arreso facilmente.
"Arrenditi, ragazzino". Esclamò una uomo a pochi metri da lui, mentre due figure incappucciate avanzavano dal folto del bosco.
Il ragazzo strinse la bacchetta fra le dita. Senza rispondere.
"Arrenditi, abbiamo ucciso Tonks, pensi che ci faremmo scrupolo di ammazzare un Mezzosangue come te?" Disse ancora l'uomo. Erano sicuri, maledettamente sicuri di sè.
"Potremmo ucciderti adesso, subito, in modo indolore. Basterebbe che tu ci dicessi dove stavi scappando e come raggiungere l'Ordine, sai?" Proseguì il Mangiamorte, quasi con una nota di dolcezza nella voce, mentre Dean deglutiva, rabbrividendo. Erano fermi, davanti a lui.
"Se non lo facessi?" Chiese, cercando di dare un'aria di sfida alle sue parole.
"Se non lo facessi?” Ripetè, sconfiggendo il tremolio del labbro, che gli impediva di scandire le parole.
Il Mangiamorte ghignò, attraverso la maschera, ma alle orecchie di Dean la risata suonò come un rantolo metallico.
"In tal caso, credo proprio che dovremo trattenerti insieme a noi." Affermò il Mangiamorte, con un tono falsamente dispiaciuto.
"Puoi scordartelo." Scandì Dean, stupendosi del suo coraggio. Si domandò fra sè e sè, se fosse "Il canto del Cigno".
"Troveremo il modo di discutere di questa cosa in privato... Abbiamo conversatori molto abili e persuasivi".  Chiosò l'uomo, mentre Dean inorridì, vedendo una sagoma nera, senza mantelli, coperta solo dalla sua pelliccia, scivolare fuori dal folto del bosco. Gli occhi gialli, famelici brillavano nella notte, mentre le fauci del mostro si spalancarono in quel che pareva un tremendo sorriso, scintillando nella cupa notte.
"Fenrir ha avuto la cortesia di raggiungerci." Completò il Mangiamorte, mentre il Licantropo, ringhiò nella direzione dello stesso, come fosse un saluto, prima di guardare Dean. Era completamente trasformato, più grosso e col muso più corto e tozzo di un lupo normale. Affascinato e atterrito allo stesso tempo, il ragazzo contemplò il mostro, e richiamò alla mente una lezione di Difesa Contro Le Arti Oscure, tenuta dal professor Lupin, qualche anno prima.
Strinse il manico della Bacchetta e urlò: "Reducto!", colpendo il Mangiamorte alla sua sinistra, preso alla sprovvista , che urlò di dolore guardando la sua mano rimpicciolirsi e avvizzire.
Il Licantropo ringhiò, mentre gli altri si lanciavano contro di lui.


Dean sentì un dolore tremendo al braccio sinistro, e qualcosa di umido inzuppargli la fronte, mentre una mano fredda come il marmo gli accarezzava i capelli. Aprì gli occhi, ma non c'era molta luce in quella stanza, o forse i suoi occhi non riuscivano a vederla. Cercò di sedersi, ma una fitta atroce lo bloccò, mozzandogli il respiro, costringendolo a restare sdraiato. Sentiva la punta dei piedi e delle mani gelata, e il pavimento gli sembrò vibrare, prima di accorgersi di essere lui, a tremare.
"Sto morendo." Biascicò alla mano che con dolcezza continuava a prendersi cura di lui. Guardò alla sua sinistra, intravedendo una figura che parava essere d'una ragazza dai capelli biondi.
"Sei prigioniero Dean, come me. Ti hanno preso questa notte. Erano molto arrabbiati. Devi aver dato loro del filo da torcere".
"Chi sei? Non ci vedo".
La ragazzà sembrò sorridere, con amarezza.
"Ti hanno accecato con un incanto Luminescente. Mio padre l'aveva scritto sul Cavillo che i Mangiamorte ne erano provvisti."
Dean non seppe per quale motivo pronunciò la frase seguente. A molti sarebbe parsa una frase insensata, dettata forse dallo stato confusionale cui era stato ridotto. Non lo seppe mai. Per un attimo si scordò forse di dov'era. O forse per un attimo il ragazzino che ancora era sepolto dentro di lui, volle uscire, come per dargli una speranza di normalità. Una cosa fu certa: Dean ricordò quel momento per il resto della sua vita. E quella frase, e il sorriso della ragazza davanti a lui, dopo averla pronunciata, sono alcuni dei ricordi che invoca, evocando un Patronus ancora oggi.
"Questa stanza sarà piena di Nargilli, Luna", sussurrò, prima di svenire ancora sul pagliericcio su cui giaceva.
  
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