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Autore: Abraxas    23/11/2010    5 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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- #5: Houston, abbiamo un problema... -

 
Bene, la velocità non è un vizio esclusivo di Eva. Ma un conto è andare a centosessanta su un Cayenne sapendo che c’è un Aesir al volante, un altro è raggiungere la stessa velocità con un’auto usata di terza mano che avrà minimo trent’anni, tenuta insieme da sputo e preghiere. Sto disperatamente cercando di non lasciare i segni delle unghie sul sedile.

“L’ho sistemata io questa macchina, sai?”, mi informa Embry con un sorriso.

Rispondo con un mh-mh poco convinto, tentando di scacciare dalla mente le macabre immagini della macchina che finisce per integrarsi in un abete secolare a lato della strada.Chissà se mi aggiusteranno ancora, se mi spezzo un’altra volta la colonna vertebrale…

Stupida, stupidissima paura delle auto. Non sono ancora riuscito a superarla, né credo che ci riuscirò mai. E’ così strano, per uno abituato a tenere sotto controllo ogni singola sensazione, essere costretto a cedere ad un qualcosa di così irrazionale. Beh, certo, poi c’è anche tutto il capitolo dell’attrazione per Eva che rientra nella categoria incontrollabile, ma è un altro discorso.

Immerso in queste mie riflessioni quasi non mi accorgo che abbiamo raggiunto la spiaggia, senza rischiare di schiantarci nemmeno una volta, stranamente… Embry comincia a guadagnare punti nella mia classifica.

“Ciao Eva, ciao Matt!”, ci raggiunge Jared con un sorriso enorme stampato in faccia appena metto piede a terra. Kim si limita a farci un gesto di saluto con la mano, arrossendo. Quella ragazza è fin troppo timida… mi stupisco che sia riuscita a fidanzarsi. Oh sì, è simpatica e tutto, però… si blocca troppo.
Già, perché invece io sono questo mostro di estroversione.

“Paul?”, domando.

“Figuriamoci se arriva in orario, quello.”, borbotta Embry, prendendo i teli da spiaggia dal bagagliaio. Cosa abbia intenzione di farci, considerando le nuvole nere che sembrano volerci cacciare, è fuori dalle mie capacità di comprensione. A dire il vero tutta la gitarella in spiaggia è un azzardo fuori dalla mia comprensione. Sfidare il clima dev’essere una tradizione del secolo.

“Tranquillo, non pioverà.”, mi rassicura Jared notando il mio sguardo inquisitore rivolto al cielo.

“Dici?”

“Fidati.”, insiste, dandomi una pacca sulla spalla.

Mah, sarà… non sono convinto.

“Sembra quasi che non siate mai stati in spiaggia…”, ridacchia Embry mentre stende il telo.

“Sai com’è, quella di Barcellona è un filo diversa. Niente felpe, per esempio.”, replica Eva.

“Venite a fare il bagno?”, chiede intanto Jared, che si sta… spogliando?

“Con dieci gradi?”, domando allibito.

“Ce ne saranno almeno tredici!”

“Ah beh, allora…”

“Vieni o no?”

“No, grazie, credo che darò buca e mi dedicherò ad un po’ di ciciareccio con queste affascinanti fanciulle…”

Uno, non ho la minima intenzione di entrare in acqua se la temperatura è inferiore ai venticinque gradi. Due, non ho il costume. Tre, mostrare al mondo una schiena su cui affiorano le placche metalliche che sostituiscono le prime vertebre non è un’idea brillante per mantenere la segretezza sulle nostre origini. Il tatuaggio dell’Ansuz* con numero di matricola sulla spalla può anche passare come un capriccio ricercato, ma quelle proprio no.

Noto che anche loro due hanno un tatuaggio sulla spalla, lo stesso. Sono due lupi, quelli disegnati? Belli. Sicuramente meglio della mia runa nordica.

Embry mi sta fissando con tanto d’occhi “Non ci credo. Preferisci stare a sorbirti dei pettegolezzi che venire con noi?”

A cosa non costringe la segretezza, eh?

“Sono svizzero, no? Non mi piace l’acqua.”, butto lì, cercando di giustificarmi. Fobia in più, fobia in meno…

I due Quileute ci lasciano scuotendo la testa con disapprovazione, correndo in mare mentre borbottano qualcosa riguardo alle mie stranezze. Temo di aver appena perso posizioni nelle loro graduatorie. Aristocratico, viziato, ed ora anche asociale. Che bella copertura che mi è capitata.
Guardo triste Eva che mi sorride di rimando, comprensiva.

“Beh, allora, Kim…”, comincia, sedendosi su uno dei teli, “…raccontaci qualcosa di questo posto!”

“Oh… non saprei. Cosa volete che vi dica?”, domanda titubante.

“Boh… quello che vuoi…”, intervengo, accomodandomi accanto ad Eva con le gambe strette al corpo ed il mento appoggiato sulle ginocchia. “Ad esempio, come fate a fare il bagno con queste temperature.”

“Sono abituati.”, mormora lei scrollando le spalle con noncuranza, “E poi non sta piovendo, quindi è il caso di approfittarne… non ti preoccupare, da quando li conosco non si sono mai ammalati.”

“Dev’essere qualcosa che avete qui nell’aria. Tutti grandi, grossi e sani.”

Comincio ad essere invidioso.

“Per la gioia di noi ragazze.”, ridacchia Eva, mentre Kim arrossisce. Ancora.

Le lancio un’occhiataccia perfettamente giustificata dal mio status di fidanzato ufficiale.

“Beh? Non posso guardare?”, domanda.

Muovo le labbra in una smorfia che esprime abbastanza chiaramente il mio no.

“Io te l’ho detto che avresti dovuto iscriverti in palestra… saresti parecchio più interessante.”

Sospiro, sperando che la pianti alla svelta, ma non sono così fortunato.

“Nel caso potrei sempre mollarti qui… Embry è libero, no?”, continua.

Ah, è così? Bene, se la pensa così…

Nel caso potrei invitare fuori Pocahontas, una sera…”, rispondo con aria pensosa.

“Pocahontas?”, chiede curiosa.

“Quella che era due file davanti a te a Trigonometria, hai presente? Alta, snella, capelli neri, occhi castano scuro, un fisico da…”

“Intendi Roseann Hart?”, interviene Kim.

“Non ne ho idea. Si chiama così? Per me è la copia sputata di quella della Disney", dico candidamente, cercando di non ridere davanti alla bocca spalancata di Eva. Ah, la gelosia femminile...

“Beh, devi sapere che è una delle ex di Paul che…”

Conversazione deviata con successo sull’argomento pettegolezzi. Applausi al sottoscritto per come riesce a ad allontanare l’attenzione da sé in queste situazioni delicate… Ora devo solo sorbirmi vita morte e miracoli della riserva senza crollare addormentato.

Tutto questo a soli seimila crediti all’anno? E’ ora che mi decida a chiedere un aumento.
 

 . . .


Sono troppo preso a fingere interesse nella conversazione delle due che chiacchierano come se fossero amiche da una vita per accorgermi di Embry e Jared che sono silenziosamente sgusciati alle mie spalle.

“…e tre!”, urla Jared, afferrandomi le braccia.

“Ehi, cosa…?”

Embry fa altrettanto con le caviglie, e in men che non si dica mi ritrovo a mollo nel Pacifico.

Freddo. Troppo freddo.

Il mio primo pensiero riguarda i vestiti. E’ l’ultima felpa pulita che ho, ed ora è irrimediabilmente infradiciata, grazie a quei due rompiscatole formato extralarge. Fastidio.

Il secondo è parecchio più semplice. Vendetta.

Lo sguardo che ho quando riemergo rivela vagamente le mie intenzioni assassine mentre lo arpiono saldamente addosso a Jared. Probabilmente sarei un poco più intimidatorio senza l’alga che ho sui capelli. E se riuscissi a guardarlo in faccia senza dover alzare la testa. E se le altre due la piantassero di ridere. Troppi e se mi fanno capire che ho fallito miseramente nel mio intento di apparire minaccioso.

“Voi… come… avete… osato…”

“Te lo dicevo che non avrebbe apprezzato…”, ridacchia Embry. “Non è abbastanza raffinato come scherzo…”

Se è dura cercare di tenere sotto controllo la tentazione naturale di sparare ai Quileute, figuriamoci quando fanno anche gli strafottenti. Mi convinco controvoglia che no, prenderli a sassate non è per niente un buon modo di sistemare le cose e che anche prenderli a pugni non è un’opzione accettabile.

Plotch.

Per poco non scivolo di nuovo in acqua mentre inciampo sul fondale sconnesso. Ci mancava solo fare un’altra figura del genere davanti a loro…

“Abbiamo anche problemi di equilibrio, eh, svizzero?”, chiede con finto dispiacere Jared quando lo raggiungo sulla terraferma, grondante e decisamente irritato.

“Oh, non sono l’unico…”, borbotto spingendolo in acqua con un calcio ben assestato, senza preoccuparmi troppo di dosare la forza. Non si aspetta una reazione del genere, ed il vederlo a mollo mi fa tornare il buonumore.

Uno pari.

“Ehi, non penserai di cavartela così?”, ridacchia rialzandosi.

“A dire il vero, sì…”

“Speranza vana!”

E mi trascina nuovamente in acqua.

Bene, ora non solo sono completamente fradicio, ma mi stanno anche tenendo la testa sott’acqua. Afferro il braccio colpevole dell’azione – stranamente caldo, nonostante la temperatura glaciale - e, torcendolo fin quasi al punto di rottura con una mossa decisa, riesco a liberarmi.

Tu guarda se devo essere costretto ad usare queste tecniche con un diciassettenne.

“Affogarmi fa parte della vostra idea di un pomeriggio alla spiaggia?”, domando a metà fra l’arrabbiato ed il divertito mentre mi rannicchio in posizione di difesa, respirando avidamente l’aria che fino a pochi secondi fa mi era negata. O almeno mi rannicchio per quanto consenta l'essere con l’acqua fino alla cintola.

Jared mi osserva sorpreso.

“Tutta questa tua combattività da dove salta fuori?”

“Ho… fatto un corso di autodifesa. E poi non mi va di essere sballottato in giro da voialtri solo perché avete dieci centimetri e venti chili più di me.”

Sì, credo che un anno di addestramento possa passare come corso di autodifesa.

“Jared…”, lo chiama Embry, vagamente preoccupato.

“Che c… merda.”

Mi volto anch’io nella direzione in cui stanno guardando, e vedo in lontananza altri due indiani dirigersi verso la spiaggia. Sempre formato armadio, naturalmente. Questi però hanno i capelli lunghi… apparterranno ad una banda diversa. Forse è per questo che Embry e Jared si sono rabbuiati così di colpo?

“C’è… qualche problema?”, chiedo, perplesso.

“Sì”, ringhia Embry, “Se non mi vedessero qui sarebbe meglio. Mi sa che vi lascio.”

“Ma…”

“E’ stato un piacere”, sorride, prima di voltarsi e correre nel bosco. Ancora fradicio e mezzo nudo. Guardo interrogativo Jared, aspettandomi una qualche sorta di spiegazione.

“Oh… diciamo che fra loro tre non… non corre buon sangue, ecco.”, mi risponde impacciato.

“E per questo che prende e ci molla qui così, con tanto di auto?”

“Beh… Jacob e Quil erano i suoi migliori amici ma… hanno litigato, ecco, e non gli va di affrontare adesso la questione.”

“Ha litigato?”, ripeto alzando un sopracciglio. Il mio sesto senso sta urlando balle!

“Sì. Dai, vieni fuori. Se resti ancora in acqua ti prenderai il raffreddore.”

D’altronde saranno anche fatti suoi se non li vuole vedere… ci spiegherà meglio un’altra volta i perché ed i percome. Ora è più urgente il fatto che io sia completamente fradicio e si stia alzando il vento.

“Grazie, mamma, ma dovevi pensarci prima di buttarmi a mollo.”, sbuffo uscendo, afferrando il telo che mi lancia e cercando di asciugarmi alla bell’e meglio. I due nuovi arrivati, intanto, sembrano essersi accorti della fuga di Embry, dato che si fermano brevemente a parlottare per poi fare marcia indietro. Due potenziali conoscenze in meno, sostituite dall’arrivo di Paul dopo qualche minuto. Che, essendo Paul, non può fare a meno di richiamare l’attenzione su di sé, sedendosi fra Eva e Kim.

“Parlavate di Roseann? Chi, quella put…”
 

- - -

 
Il giorno successivo, dopo la scuola, siamo sulla nostra macchina diretti verso un punto non meglio precisato della foresta di Hoh per sistemare il famigerato gruppo sensori. Trekking pomeridiano con prova pratica da antennisti inclusa nel pacchetto vacanza. Cosa si potrebbe desiderare di più?

Una poltrona davanti all’olovisione sintonizzata sulla finale di Honi, ecco cosa.

“…e comunque, dico, si può non saper giocare a schiaccia sette? E’ un gioco storico!”

Eva scrolla le spalle dal posto del guidatore. Quando ho scoperto che i ragazzi della riserva non avevano la più pallida idea di cosa fosse quel gioco era crollato uno dei pilastri portanti della mia esistenza.

“Gliel’hai spiegato, comunque. Hai portato un po’ di luce nel triste buio della loro vuota esistenza”, mi risponde mentre svolta a sinistra per prendere la Highway 110. Sempre alla sua assurda velocità di centocinquanta chilometri orari, ovviamente. Mi sono avvinghiato talmente saldamente al sedile durante la curva che mi stupisco di riuscire ancora a staccarmi dallo schienale.

Stupida, stupidissima paura delle auto.

“Abbiamo le coordinate precise di questo fantomatico posto?”, domanda, rivolgendomi uno sguardo esasperato come a volermi dire non l’ho presa poi così forte, la curva!

 “Cinque miglia in direzione sei-quattro-uno dalla fine della pavimentazione stradale. I sensori dovrebbero essere collocati entro un margine di cinquanta metri dal centro di una radura che noteremo sicuramente. Per la serie… le infallibili indicazioni militari.”

“Dopo sette anni di servizio, dovresti saperlo… così vanno le cose.”

“Certo, certo… ma la CHRONOS ha un satellite da queste parti, non potrebbero usare quello per fare le loro belle analisi senza scomodare noialtri?”

Ultimamente lamentarmi sta diventando il mio sport preferito.

“Credo che al momento sia utilizzato da una squadra di agenti in Iraq. Comunque poteva andarci peggio… alla fine è solo una passeggiata.”

Due romantici ragazzi che per stare un po’ insieme decidono di appartarsi nel bosco… ignorando gli avvertimenti dei loro cari amici Quileute sulla presenza di un enorme orso nero occupato a mietere vittime fra i campeggiatori. Certo, certo, come no. Magari c’è anche un drago dentro la foresta, già che ci siamo. Si può arrivare a credere cose del genere?

“A che pensi?”, mi domanda mentre ferma il Cayenne nello spiazzo all’inizio del sentiero. Cominciamo a conoscerci più che bene ed a saper interpretare i momenti di silenzio dell’uno e dell’altro. Per la gioia di quella piccola parte di me che non fa altro che ricordarmi quanto sia incantevole Eva.

“A quanto siano idiote le voci che circolano da queste parti. Scompaiono un paio di escursionisti, e la spiegazione migliore che riescono a trovare è un orso assassino…”, le spiego mentre prendo lo zaino con dentro i sensori, mentre Eva si mette a tracolla il borsone con gli attrezzi necessari a montarli.

“Sì, me l’ha detto Sam quando mi ha sentito accennare ad Emily che volevamo fare un giro da queste parti. Gli ho promesso che avremmo portato un bel vasetto di miele in caso d’emergenza”, mi informa mentre ci incamminiamo a passi rapidi lungo il sentiero.

“Uuuuh. Sam cuore-di-pietra si preoccupa per noi!”, commento sarcastico. Al di là della repulsione naturale per lui e per gli altri ragazzi, che lentamente stavamo imparando a controllare, aveva un modo di fare che mi lasciava perplesso. Come se dovesse a tutti i costi addossarsi una qualche responsabilità enorme e fosse orgoglioso di farlo, ecco. Emana un’aura di fierezza, il nostro caro vicino di casa, che tuttavia si scioglie tutte le volte che guarda Emily.

La sua Emily.

Ogni tanto mi ero fermato nel vederli per caso mentre si baciavano, sulla veranda o fuori di casa, e tutte le volte ero stato costretto a distogliere lo sguardo imbarazzato. Si guardavano come se fossero tutto l’uno per l’altra, e questo mi faceva vergognare. Sempre. Perché dentro di me so benissimo che nonostante tutto quello che sento per Eva, non saprei mai avvicinarmi al legame che unisce quei due, nemmeno lontanamente. Senza contare che mentre io mi blocco ancora ad osservarla con sguardo adorante (o da triglia lessa, a seconda dei punti di vista), lei non ha mai dato un solo segno che possa provare qualcosa di simile nei miei confronti… ovviamente. Per lei sono solo l’amico ritrovato dopo tre anni. Come dovrebbe essere, d’altronde… sono io quello anormale, quello che si è preso una sbandata troppo forte per una cotta che credeva superata. E sicuramente io non farei mai il primo passo verso una qualsiasi forma di dichiarazione nei suoi confronti.

Assolutamente.

Sarebbe ammettere ufficialmente che qualcosa di serio per lei lo provo, che è più di una semplice sbandata.

Sarebbe ammettere che tengo ad un’altra persona più di quanto non abbia fatto con Vivianne.

Sarebbe pugnalare la sua memoria.

D’altronde con Eva sono riuscito quasi a dimenticarla. Ho messo da parte il dolore e l’angoscia con cui ho convissuto per sei mesi.

Quindi è questo il punto? Ho paura di dimenticare?

Hai paura di ammettere con te stesso che esiste una donna più importante di lei?

Hai paura di sostituirla con un’altra?

No! Lei non sarà mai sostituita!

E allora cosa stai facendo?

Sto cercando di tirare avanti…

Come puoi pensare di tirare avanti, dopo averla uccisa? Come puoi pensare di essere in pace con te stesso, adesso che la scambi così, come una bambola rotta? Come una bambola che
tu hai rotto?

Io…

Non posso.

O sì?

Ma proprio adesso dovevo cominciare questo monologo interiore?

I tentativi di Eva per avviare una conversazione cadono nel vuoto. Mi guarda come per chiedermi se c’è qualcosa che non va, ma stringo i denti e faccio finta di nulla.

Non devo, non posso piangere. Non qui, non davanti a lei. E’ fuori discussione che mi abbandoni ad una reazione del genere. Davanti ad una ragazza, poi.

Lei continua a non dire niente, mettendomi una mano sulla spalla. Una scintilla di felicità si sprigiona per un attimo da quell’innocente contatto.

Non è possibile che mi sia ridotto così.

. . .

 
“La amavi così tanto?”, chiede dolcemente dopo il mio lungo silenzio, abbracciandomi con delicatezza. Io mi limito a scuotere la testa, conscio che se aprissi bocca crollerei, con buona pace di quella briciola d’orgoglio che mi è rimasta.

No, non era amore. Era… cosa? Complicità? Perfetta comunione? Condivisione totale? Era tutto, ma non era amore. Non quell'amore, almeno. Ma allora cosa diavolo era?

Non lo so, non riesco proprio a definirlo. Però era completamente diverso da quello che sento per Eva. Possibile che in qualche settimana sia riuscita a rimpiazzare… qualunque cosa fosse?

No, non rimpiazzare. Piantala di usare quel termine.

“Io credo di sì.”, continua, leggendomi nel pensiero le mie riflessioni autolesionistiche. “Ce l’hai scritto in faccia che lei era tutto per te.”

“Non è la stessa cosa. Era… diverso.”

Caspita. Ben sette parole pronunciate mantenendo il timbro vocale nel mio range. Niente ottave sopra la norma. Sono fiero di me.

Non era amore, perché… perché altrimenti quello che provo per te come lo dovrei chiamare?

Una domanda che non verrà mai espressa ad alta voce.

Da quando è morta mi sento come se mancasse un pezzo di me. Come se, tutto d’un tratto, avessi scoperto di essere incompleto. Una sensazione che prima non avevo mai provavo.

Non è vero.

Non così frequentemente, almeno.

E’ diverso.

Non sminuirla così!

Sto solo mostrando i fatti.

Mi sto solo dimostrando uno schifoso egoista.

Già, perché il punto non è che io sia responsabile o meno per la sua scomparsa. Ciò che mi preme di più è il fatto che io non mi senta bene senza di lei. Il punto non è lei, sono io. Perlomeno c’è ancora una parte di me capace di vergognarsi per il modo in cui sto trattando Vivianne. E’… ingiusto. Posso anche non averla uccisa sette mesi fa, ma sicuramente l’ho uccisa adesso.

E’ sempre colpa mia.

Alzo le mani di fronte ad Eva, cedendo alla mia vena melodrammatica, “…qui c’è ancora odore di sangue, e tutti i profumi d’Arabia non basteranno a raddolcire questa piccola mano…”

E’ una parte femminile, babbeo.

Ops.

Il concetto è quello, in ogni caso. Tradimento.

 “Non è tornata da Polaris, eh? Non è colpa tua. E scusa tanto se te lo dico, ma la citazione dal Macbeth non c’entra nulla. Credi che lei ti odi per questo?”

Io mi blocco un momento, e lei procede, inesorabile.

“Se ti odia è perché tu stai buttando via la vita che hai ancora... credi che lei vorrebbe vederti morto? Non pensi che forse non te ne farebbe nessuna colpa?”

“Io… non lo so.”

Resto fisso a guardarla. Poi, qualcosa dentro di me si sblocca.

Che abbia ragione?

Mi permetto il lusso di credere a quello che mi ha appena detto. Mi permetto il lusso di essere egoista. E ricambio il suo abbraccio.

“Grazie.”

“Di nulla, socio.”

Socio. Già, niente di più, constato amaramente. Beh, ben mi sta.
 

- - -

 
Piante, piante, e ancora piante. Che foresta noiosa. Uno scoiattolo ogni tanto per spezzare la monotonia è chiedere troppo?

…Victoria crede che sia molto più sensato uccidere te, anziché Edward: uno scambio equo, compagna per compagno…

E’ un attimo. Il nostro udito potenziato ci fa recepire parole solo sussurrate a qualche decina di metri più avanti da una voce deliziosamente melodiosa, ma da cui traspira violenza e morte. Ci guardiamo nello stesso momento, sorpresi. Stiamo per assistere ad un omicidio nel bel mezzo della foresta più dimenticata d’America?

Così imparo a lamentarmi della monotonia.

Qual è la procedura per questi casi? Dobbiamo intervenire o no? Secondo gli ordini…

Al diavolo gli ordini. Sei stato creato per proteggere. Proteggi.

Lascio cadere lo zaino e scatto di corsa verso la radura poco distante da cui provengono le voci. In pochi secondi la mia mente si svuota. I pensieri malinconici di poco fa non esistono più, sostituiti da  puro, semplice istinto, adrenalina che scorre incontrollata nel sangue, subconscio che ora mi urla salva.

Il fatto che sia praticamente disarmato è un dettaglio assolutamente trascurabile al momento. Così come la voce di Eva alle mie spalle.

“Vedila così, Bella. Sei fortunata che ti abbia trovata io per primo.”

“Davvero?”

“Sì. Farò in fretta. Non sentirai niente, te lo prometto. Ah, ovviamente a Victoria racconterò una bugia, per metterle il cuore in pace. Se sapessi cosa aveva in programma per te, Bella…”

Con un salto supero gli ultimi alberi ed esco allo scoperto, nella radura. Una ragazza (Bella?) è costretta contro un albero da uno degli uomini più… beh, oggettivamente, più belli che io abbia mai visto, un uomo che le sta annusando i capelli mentre con il naso segue il profilo del suo collo.

Il tizio in questione ha una delicatissima carnagione olivastro pallido, con capelli lucidi che gli ricadono sulle spalle. Quando sente il mio non troppo delicato atterraggio in mezzo allo spiazzo, si volta a guardarmi. E lì li noto.

Occhi rossi, iniettati di sangue. Un rosso così scuro da sembrare quasi nero.

Pericolo. Soggetto potenzialmente ostile.

E’ sempre un piacere entrare in simbiosi con la parte meccanica del mio cervello in queste situazioni.

La ragazza mi guarda terrorizzata, cominciando a balbettare dopo qualche secondo qualcosa a proposito di fuggire e di mettermi in salvo prima che sia troppo tardi. Ma io non la sento.

Inizializzare sequenza d’attacco.

Mi scaglio verso l’uomo, che sorride beffardo senza spostarsi, restando davanti alla ragazza come a voler sancire una sua proprietà.

Accelero per rendere il colpo rapido e letale. Al mio avversario si gela il sorriso sulle labbra mentre è costretto a muoversi per schivarmi, sorpreso dalla velocità.

Troppo lento.

Non si aspetta tutta questa foga, e ciò mi permette di balzargli alle spalle e di colpirlo alla base del cranio con tutte le mie forze.

Crack. Un suono secco, mentre il mio radio si spezza.

Dolore.

Il dolore è irrilevante, decreta la mia mente, rimuovendolo dai dati sensoriali rilevanti.

Mi allontano di scatto, notando con stupore il mio avambraccio sinistro malamente piegato ad arco. Lo stesso fa l’uomo, che mi guarda con un misto di curiosità, sorpresa e… paura?

Cosa sei?”, sibila.

Nuovi dati acquisiti. Modifiche alla sequenza d’attacco in corso… modifiche completate. Reinizializzazione sequenza.

Non riceve risposta, se non il coltello che scatta nella mano sana.

“Non importa… non mi fermerai.”

E morde la ragazza al collo, lacerandole la giugulare con una facilità impressionante.

Sangue.

Disgusto.

Il disgusto è irrilevante.

Poi la getta a terra, quasi fosse stanco di giocare con lei, prima che io possa riprendere il mio assalto.

Ira.

L’ira è irrilevante.

Scopre i denti, ringhiando in segno di sfida.

Elaborazione scenario in corso… elaborazione completata. L’avversario tenterà una finta a sinistra…

Cerca di scansarmi buttandosi a sinistra, ma anticipo la sua mossa.

…per poi indietreggiare…

Indietreggia lentamente, un passo alla volta.

…e cercare un varco sulla destra sfruttando la sua velocità.

Ancora una volta prevengo le sue mosse, ed in un lampo quindici centimetri di lama di adamantio affondano nella carne del suo braccio mentre tenta di sgusciare alle mie spalle.

Carne?

Mi sembra piuttosto di incidere una roccia. Una roccia che comunque alla fine cede, cadendo a terra con un tonfo sordo. Chi diavolo ho di fronte?

Nessun riscontro in memoria. Entità sconosciuta.

Un urlo sgraziato e lancinante esce dalla bocca dell’entità sconosciuta, mentre si guarda con orrore l’arto appena amputato, stringendosi il moncherino con la mano destra. Io continuo a studiarlo impassibile, tenendo pronto il coltello per il prossimo attacco. Il mio avambraccio sinistro, nel frattempo, sta lentamente tornando alla sua posizione naturale. Avverto un fastidioso formicolio mentre i naniti** si mettono all’opera per ripristinare i tessuti danneggiati un microscopico pezzo alla volta.
Dietro di me Eva soccorre la malcapitata, tamponando la ferita alla gola. Spero che se la cavi.

Torno a concentrarmi sul mio avversario, che ora sta correndo via dalla radura, ma prima che io possa inseguirlo un ruggito come di tuono scuote gli alberi, e cinque lupi giganteschi si fanno lentamente avanti, in una processione maestosa e terrificante.

Aggiornamento priorità. Copri Eva, mi viene ordinato. Eseguo indietreggiando lentamente.

Devo proteggerla da cosa, da un incrocio fra un lupo ed un elefante?

Pensiero irrilevante. Concentrarsi sull’azione.

Quattro dei lupi si lanciano all’inseguimento dell’uomo con latrati spaventosi. Il quinto, il più grande di tutti, dalla pelliccia nera come la notte, si volta lentamente verso noi tre, scoprendo le zanne più affilate di rasoi ed emettendo un ringhio continuo, basso e minaccioso.

Analisi in corso… analisi terminata. Nessun riscontro in memoria. Entità sconosciuta.

Calcolo pericolosità effettiva in corso…

Comincia ad avvicinarsi, senza smettere di ringhiare.

Calcolo terminato. L’entità è potenzialmente pericolosa. Strategia consigliata: eliminazione preventiva.

“Se non facciamo qualcosa non se la caverà. La porto via”, mi informa Eva mentre si carica in spalla la ragazza. “Dammi un po’ di vantaggio. Ti aspetto all’auto.”

Mi lancio verso l’animale, che con un ruggito mi si avventa contro. La mia corsa diventa una scivolata che mi permette di sgusciare sotto le sue zampe e di colpirlo con un calcio allo sterno, scaraventandolo contro alcuni alberi con un soddisfacente rumore di ossa che si spezzano.

Obiettivo completato. Ripiegare.

Alias correre a perdifiato nella foresta, impiegando una manciata di minuti per ripercorrere il sentiero che prima ci aveva portato via una buona mezz’oretta. Schivando tronchi, rami bassi e radici sporgenti, naturalmente.
Nota mentale, chiedere ad Eva come cavolo ci è riuscita portandosi una ragazza ferita sulle spalle.

Pensiero irrilevante. Concentrarsi sull’azione..

Uffa, ho capito!

Eva nel frattempo ha sistemato in qualche modo Bella sull’auto, e mi fa segno di sbrigarmi a raggiungerla dal posto di guida. Non faccio in tempo a chiudere la portiera che lei pigia a fondo l’acceleratore e la macchina schizza sulla strada alla folle velocità di duecentodieci chilometri orari.
Sento il mio respiro affannoso calmarsi poco a poco, poco alla volta riacquisto lucidità. La mia simpatica testolina manifesta il suo ritorno alla normalità preparando un lungo elenco di domande. Do voce alla prima.

“Cosa diavolo era?”

“Cosa, il tizio pallido, i lupi formato mammut o quella dannatissima cosa che le ha iniettato con il morso?”, mi chiede, con lo sguardo a dir poco spiritato fisso sulla strada davanti a lei. “Non ha smesso un solo istante di urlare, le ho sparato in endovena tutta la morfina che avevo dietro... per il momento è a nanna, ma dobbiamo operarla, ed alla svelta. Non so quanto reggerà il tampone alla giugulare.”

“Non avevi la Neuroateleina?”

“Credevo che fossimo usciti per fare gli antennisti, non per ficcarci in uno scontro! E’ a casa, insieme al resto del kit medico serio!”

“Fra quanto ci arriviamo, a questa velocità?”

“Dieci minuti, anche meno.”

Spero vivamente che ci faccia il piacere di restare viva altri dieci minuti, dopo che l’abbiamo salvata da… da chi? Quel coso non rientra nelle definizioni di alcuna creatura terrestre e/o aliena che conosco, così come i lupi giganti. Coso e cosi sono un eccellente nome per entrambi, al momento.

“So che probabilmente è tardi per pensarci, ma… non avremo combinato qualche casino mettendoci in mezzo a questa storia?”, borbotto sovrappensiero.

“Dico, ma ci senti quando ti parlo? Il conteggio tachionico era fuori scala prima del tuo intervento!”

“E quando me l’avresti detto, scusa?”, domando sorpreso.

“Te l’ho urlato due secondi prima che tu partissi in quarta per sezionare il tipo.”

“Non ho sentito nulla.”

“Per forza, eri in piena modalità sadico-assetato-di-sangue. Beh, adesso mi stai sentendo. Azzarderei dire che il nostro intervento è stato un qualcosa di necessario nell’ordine degli eventi, ma propongo di discutere questo interessantissimo dettaglio più tardi.”

“Concordo.”

“...anche perchè Il nero ci sta seguendo”, mi informa controllando lo specchietto.

EH? Stai andando a…”

Duecentoventuno chilometri orari, constato lanciando un’occhiata fugace al tachimetro, cercando di controllare il mio solito terrore della velocità. Va tutto bene, sta guidando Eva… Eva non si schianta contro gli alberi… Eva non mette a rischio inutilmente la vita dei passeggeri… Eva sa come si controlla questo mezzo…

No, un attimo. Fermi tutti.

Il lupo formato maggiolino sta correndo a duecentoventuno chilometri orari? Devo essermi perso il momento in cui le leggi della natura hanno annunciato l’abbandono di questo mondo. Voglio dire, non è realisticamente possibile che un animale raggiunga queste velocità!
Sì, insomma, anche lupi di quelle dimensioni non sono realisticamente possibili, però…
E poi non si era rotto un paio di ossa quando l’ho scaraventato contro gli alberi?

“Se hai finito con i tuoi affascinanti monologhi mentali, potresti anche renderti utile. Il coso ci sta raggiungendo, e se riuscissi a togliercelo dalle scatole penso proprio che sarebbe una buona cosa!”, Eva mi urla nell’orecchio, riscuotendomi dalle mie riflessioni non proprio opportune.

“E come faccio?” le rispondo a tono, “Non è un autoblindo, questo, quindi niente mitragliatrice calibro 50 sul tetto!”

“E secondo te ci lasciavano andare in missione così alla buona? Nel baule c’è un lanciarazzi.”

Un lanciarazzi. Sono andato in giro per una riserva indiana del ventunesimo secolo con un lanciarazzi nel baule. Chissà, magari se lavorassi per l’MI6 invece che per la CHRONOS mi avrebbero dato anche un’Aston Martin con targa girevole, distributore di chiodi e sedili eiettabili. Ed avrei potuto girare per locali d’alta classe ordinando vodka Martini. Agitati, non mescolati.

“Matt?”

“Sì?”

M-U-O-V-I-T-I!

Eva non apprezza queste mie piccole divagazioni. Peccato.

Mi tolgo la cintura, scavalco Bella, distesa incosciente lungo i sedili posteriori ed imbragata in qualche modo, e salto nel baule. Prima botta, primo di numerosi altri ahia. In una delle poche casse che non ho scaricato trovo quello che cerco: un cilindro cavo lungo pressappoco un metro. Un pratico lanciamissili magnetico.
Prendo con estrema attenzione il proiettile bianco con strisce rosse, mentre ringrazio mentalmente Zeus ed un’altra mezza dozzina di divinità a caso per averci fatto capitare fra le mani un’arma ultimo modello e non uno dei soliti residuati che solitamente vengono sbolognati alle operazioni temporali. Perlomeno posso sparare al lupetto senza timore di incenerire l’auto con le fiammate di scarico del razzo.
Certo, caricare un’arma del genere costretto nel bagagliaio di un’auto che ora tocca i duecentocinquanta all’ora è un’impresa ardua, ma in qualche modo ci riesco. Qualche modo sottintende una lunga serie di testate nell’angusto spazio in cui sono accucciato, ed un’altrettanto lunga serie di fantasiose imprecazioni apprese in sei anni di servizio nella Flotta.
Alzo lo sguardo e noto che il lupo sta… accorciando le distanze?

Ok, direi che è ora di far tornare la razionalità in questo mondo.

Con una mano mi tengo al poggiatesta di un sedile e con l’altra cerco di prendere la mira mentre Eva apre il baule. Cerco di non pensare a quello che potrebbe succedermi se cadessi in strada in questo momento. Considerando la velocità, finirei spiattellato su almeno cento metri di…

Ho detto non pensarci.

D’accordo, d’accordo. Concentrazione, ora…

Bersaglio acquisito.

Au revoir, palla di pelo.”

E premo il grilletto.
 

. . .

 
Il razzo abbagliante esplode a metà strada fra il Cayenne ed il lupo, accendendo per una frazione di secondo un altro sole direttamente sulla terra. Chiudo gli occhi e mi volto, ma anche così facendo la luce è accecante. Aspetto i dieci secondi previsti dal manuale prima di rialzare le palpebre, dieci secondi in cui Eva è riuscita non so come a rimanere in carreggiata. Credo sia il caso di ringraziare il GPS incorporato nell’impianto corticale di noi Aesir.
L’animale intanto lancia un acutissimo guaito di dolore quando perde l’uso della vista, accasciandosi al suolo, incapace di proseguire.

Spero che tu ci rimanga, bestiaccia.

Ripongo l’arma e chiudo il baule, rischiando di sfracellarmi al suolo mentre mi sporgo ad afferrare la maniglia interna. Nemmeno cinque minuti dopo Eva inchioda l’auto di fronte a casa nostra.

Entriamo di corsa, posando Bella sul tavolo al centro del soggiorno che Eva libera frettolosamente con una manata, mandando un vaso di fiori ed un posacenere di cristallo ad infrangersi in mille pezzi sul pavimento. Lei poi si precipita verso l’armadio, recuperando il proiettore olografico mentre io cerco di agire con ordine e metodo sulla nostra paziente. Con una mossa fluida strappo la camicetta per poterle ispezionare meglio il collo.

Ahia.

La pelle intorno al morso è di un bianco stranissimo, che sembra marmo al tatto. Ed è gelida, come morta.
Come la pelle del nostro amichetto Occhi Rossi, a ben pensare.

“Cosa diavolo è?”, domando a nessuno in particolare. Dietro di me sento Eva fare rapporto concitatamente al Generale Novikova, che sembra comprendere al volo la gravità della situazione.

Controllo il polso dell’umana – Isabella -… è terribilmente debole. E continua a biascicare confusamente brucia in mezzo al confuso sonno regalatole dalla morfina.

E’ colpa nostra se è in queste condizioni? Se non fossimo intervenuti magari…

Se non foste intervenuti ora sarebbe dissanguata e/o nello stomaco di quei canidi troppo cresciuti.

Sì, ma…

Irrilevante. La priorità ora è salvare l’indigena.

“Suggerimenti su cosa fare?”, chiedo ad Eva mentre controllo il portafoglio di Bella, scoprendo che il vero nome è Isabella. Isabella Swan. Qualche secondo dopo ho acceso il laptop e sto saccheggiando la banca dati dell’anagrafe statunitense. Bene, adesso ho un gruppo sanguigno su cui lavorare.

“Il Generale ci sta passando per non so quali canali al CDC di Atlanta. Un altro paio di minuti ed avremo a nostra disposizione il miglior microbiologo di tutta l’Alleanza… così mi ha garantito.”, mi informa allungandomi la cassa con le attrezzature mediche.

Sarà meglio che si muova.

“Perché dal taglio al collo non esce più sangue?”

“Non lo so, ma non è nulla di buono…”

“…brucia…”

“Zitta, te.”, bofonchio preoccupato, passando un bioscanner sulla gola e leggendo preoccupato i risultati sullo schermo. Urge una revitalizzazione cutanea, poco ma sicuro. E c’è una sostanza sconosciuta nelle vene. Fantastico. Nemmeno ventiquattr’ore fa il mio problema più grosso era l’essere buttato in acqua da diciassettenni formato armadio, ed ora sono qui a cercare di salvare un’adolescente in fin di vita. Davvero fantastico. Ho decisamente bisogno di un aumento di stipendio… ne pretenderò almeno almeno settemila.

“Merda!”, esclamo quando la siringa con cui ho aspirato un campione di quella sostanza in circolo mi si fonde fra le dita con uno sfrigolare minaccioso. Sempre più fantastico, ha in circolo acido. Nota mentale: cambiare il tappeto. Quella roba che ha appena fuso la siringa ci ha anche fatto un bel buco sopra. Allarme biocontaminazione, direi.

Problemi, problemi… sempre altri problemi, sbuffo infilandomi i guanti. Piove sul bagnato.

“Ok, abbiamo la linea…” mormora Eva alle mie spalle. “Solo audio, però.”

Beh, sentiamo cos’ha da dirci questo microbiologo…

Dottor Carisle Cullen. Mi hanno detto che c’è un’emergenza… Cosa posso fare per voi?
 
***

* L’Ansuz è la runa nordica per la lettera a, dal cui nome deriva il termine Aesir. Tutti i supersoldati sono marchiati con questo simbolo al momento della loro trasformazione.
 
** I naniti sono robot sub-microscopici che agiscono a livello molecolare per curare malattie o ferite. I nostri intrepidi eroi dispongono di qualche miliardo di questi aggeggi in giro per il sistema circolatorio, il che permette loro di riparare quasi istantaneamente contusioni non letali.

N.d.A.: Questo capitolo è stato un parto. Si comincia quattro innocenti paginette di bozza. Si aggiunge una Beta che "Scusa, finisci il capitolo prima con loro che vanno in spiaggia e non ne parli?", una crisi esistenziale a metà testo ("oddio ma questa roba schifosamente patetica l'ho scritta io? Doveva essere una di quelle giornate decisamente no, assolutamente..." - e fidatevi, l'originale era mooooooolto più smielato di quello che avete letto. Ancora più smielato ed ancora più illogico, se proprio devo dirla tutta), un'illuminazione divina a tre quarti ("Nah, non sono cyborg... sono simbionti! Così la cosa funziona molto meglio! Sìsìsì!), un monologo dubitativo ("Insomma, non starò esagerando a far finire un bazooka in Twilight? Oh, amen, ogni film d'azione che si rispetti ha almeno un po' di esplosioni e qualche inseguimento in auto."), una mezza dozzina di idee per gli interludi che si sono affollate esattamente in questo periodo, e basta credo. Fatto sta che alla fine mi sono ritrovato con nove pagine.
Unica pecca? Non mi piacevano.
Di solito quando rileggo i pezzi già scritti agisco con un bisturi. Una ripetizione qui, un qualcosa di troppo lì... via, con delicatezza e pazienza. Stavolta invece del bisturi ho usato una motosega elettrica, tranciando via paragrafi a destra e manca, facendo a pezzi intere parti già costruite... ed in genere piuttosto che cancellare un pezzo già scritto ci aggiungo una pagina intera per farlo star meglio nella storia.
Il risultato sono queste dieci pagine e mezzo di word, pubblicate più perché non ne posso più di rileggerle fino alla nausea e di trovare ogni volta qualcosa che puntualmente riscrivo, che per altro. Con ben due noticine alla fine, cosa che io odio ma di cui non ho potuto fare a meno stavolta. Stavo per postare ieri notte, prima di accorgermi che ero solo a metà capitolo con l'ultima rilettura e ricordarmi che gli appunti in università non si prendono da soli. L'incoscienza di una matricola.

Senza contare che la mia insofferenza per il capitolo mi ha portato a lasciare quel piccolo cliffhanger alla fine... una delle cose che come lettore odio di più.

Per rispondere a Jakefan e Blacksea... beh, inizialmente pensavo ad Irina come a Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly con un paio di modifiche, poi sono andato a guardare chi fosse la capa di James Bond e sono rimasto con un "E' lei!". Beh, Quantum of Solace non mi era piaciuto più di tanto (se non per quel fantasticherrimo megacomputer touch screen che hanno all'MI6 e che VOGLIO pure io!), quindi credo di essere scusato se l'avevo rimossa. La breve allusione all'agente di Sua Maestà che si fa nel capitolo è tutta merito vostro.
Poi se non fossi completamente negato per il disegno di esseri viventi vi mostrerei come immagino i personaggi, ma non ci tengo a creare imitazioni cubiste. Proprio per niente.

Bene, dopo aver scritto questo papiro, direi che posso anche chiudere qui, sperando di non aver scritto troppi strafalcioni. Ci sono un paio di storie aggiornate a tradimento che mi impediscono di andare a dormire come invece dovrei fare (sì, Jakefan, è proprio colpa tua.)
Al prossimo capitolo!
   
 
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