Il divario di somiglianza tra gli uomini e le macchine è enorme, e non solo perché gli uomini hanno un cuore pulsante, un corpo fatto di carne debole al dolore e all’affaticamento fisico.
Gli uomini sono il riflesso di quelle che erano state, in passato, creature elette con la capacità di pensiero, di comunicazione; doti inestimabili, comuni solo agli uomini. Le macchine sono frutti dell’intelligenza umana; puoi smontarle, cambiare i loro pezzi, sceglierle le funzioni che preferisci. Una macchina ha un posto preciso nel mondo, un obbiettivo stabilito dal suo fidato creatore.
Rikku provava una strana sensazione di pena, sia per gli Yevoniti che per le macchine Albhed. I primi erano seguaci di un credo che li odiava, e, frustati, gli Yevoniti riversavano tutte le colpe del mondo su coloro che erano diversi da loro, sugli Albhed. Le seconde erano povere creazioni umane, sorelle di tutti gli abitanti del deserto, della sua razza, avevano sangue Albhed nel loro olio di carburazione. Erano i compagni di cella dell’eterna prigionia di tutti gli allegri Albhed, ed entrambi erano reietti della società, respinti dal credo di Yevon.
Eppure, Rikku era sicura che tutte le macchine avessero come la piacevole inconsapevolezza di essere odiate dall’umanità, almeno finché c’era un solo Albhed che cambiasse loro l’olio del motore e che la rimontasse in caso di una rottura.
Gli Yevoniti erano stranamente simili a delle macchine: immagazzinavano i propri doveri per la religione, ed erano pronti a sacrificare un invocatore, come diceva il credo. Era buffo pensare che gli Yevoniti fossero simili in molte occasioni alle macchine, macchine proibite dal loro stesso dio. Un dio poi che non li voleva, un dio che predicava la morte, che diffondeva morte tra i suoi stessi apostoli. Lo stesso dio che si nascondeva dentro la più piaga di Spira: Sin.
Gli uomini piangono, piangono un destino ingiusto, una crudeltà senza senso, un sacrificio millenario imposto da una finta fede, il sole fatuo che rischiarava Spira e donava speranza –o consolazione– al popolo.
Le macchine no, non piangono. Gli Yevoniti le odiano, le scherniscono, a volte le riducono in rottami, ci sputano sopra, ma le macchine non piangono, non si lamentano. Portano un invisibile sorriso inconsapevole sulla parte frontale di quella loro corazza di metallo, in una posizione incondizionata rispetto al loro mondo, rispetto alle persone, che siano Albhed o Yevoniti. Hanno come sempre un’espressione immutabile, uguale sia per gli elogi che per gli insulti, sia prima che dopo la fatica. Incondizionatamente. Senza cuore.
Nella loro inconsapevolezza, non soffrono, immerse nel loro eterno Bonacciale e non conoscono l’arrivo di Sin. In posizione incondizionata, tra gli Yevoniti con il loro dio traditore e gli Albhed emarginati, rinchiusi ai margini del loro mondo.
Bene,
e con questo
capitolo si chiude la trilogia di Rikku. L’intera
“raccolta” è dedicata a
crimtriforce (dopotutto, credo di essermi affezionata^^). Spero che la
pin-up
vi sia piaciuta, anche perché il primo riquadro
(sì, lo ammetto, non c’entra
niente) l’ho disegnato mentre facevo greco.
L’ultimo riquadro non ha un
significato particolare, ma mi piace molto, spero che sia lo stesso
anche per
voi! XD