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Autore: Malia_    24/11/2010    6 recensioni
E finalmente... come promesso. New moon dal punto di vista di Edward.
Estratto dalla prefazione: -E io… un
mostro, un animale senza respiro, non avevo più alcun motivo
per vivere, nulla aveva più senso, niente sembrava
più avere una direzione. Guardai la luce del sole
abbracciare le figure rosse che affollavano la piazza e sorrisi appena.
Morte, unica compagnia, unica speranza. Ah quanto dolore, quanta
sofferenza...-.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Come avevo promesso, eccomi qui ad aggiornare anche Nadir. Mi dispiace del ritardo. Qualcuno mi ha fatto notare che tendo un po' troppo a dimenticare questa fic... ha ragione. Ehhh, perdo colpi. Comunque volevo dirvi, come sto facendo per ogni fic, da questo capitolo risponderò direttamente alle recensioni. Così evito di correre per postare con i sensi di colpa che non rispondo mai a nessuno. Problema risolto, questo cambiamento mi piace. Cos'altro ho da dire? Sì, capisco che ci siano perplessità sulle allucinazioni di Edward, però ho ritenuto opportuno far vivere anche lui qualcosa di simile a ciò che vive Bella (apparizioni di Edward) solo moltiplicato, quintuplicato. Non risparmiamo dolore ai vampiri... purtroppo (Malia è sadica). Mi sto inoltrano su un terreno pericoloso e voglio proprio vedere dove arriverò. Speriamo bene (O_o non dovrei dirlo). 
Non solo devo ringraziarvi per i commenti e le letture questa volta, ma anche per la pazienza che avete nell'aspettare gli aggiornamenti. Fa bene ogni tanto sentirsi dire "datti una mossa", dico sul serio, perciò ringrazio tanto Silvia. Un bacione a tutti!!!



P.S. Il disegno qui sotto è di Emdigin, mi sembra corretto dirlo.

Ancora allucinazioni.

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Il problema per me ora era riuscire a contattare Carlisle. Non potevo nemmeno concepire il pensiero di allontanarmi da Bella, non ero ancora pronto per farlo, però ero cosciente che qualcosa dentro di me stava inesorabilmente cambiando. Dicembre ormai era inoltrato, Natale si avvicinava, ed io ero in un continuo inesorabile confronto con me stesso.

La mia mente, inevitabilmente spossata dalle mie continue lotte, chiedeva riposo. Il pensiero di Bella, la sua costante presenza dentro di me, mi rendevano succube dell’amore che provavo. E più lei sembrava rimettersi più io cadevo in un baratro di nulla senza fine.
Mi sedetti sul pavimento, passandomi una mano tra i capelli ormai completamente spettinati. Dentro di me una fame ardente minacciava le mie viscere, ma non volevo allontanarmi dal mio cerbiattino per nulla al mondo. La verità era che avevo paura, paura che si ripresentassero delle allucinazioni.
Sentii qualcuno salire le scale e immaginai che fosse lei con il suo pranzo. Non sentivo pensieri. Mi nascosi dietro la poltrona, facendo ben attenzione ad appiattirmi contro il muro, e, quando Bella entrò, chiusi gli occhi e li riaprii come per accertarmi che fosse reale. Ormai stavo diventando paranoico.
-Jingle bells, Jingle bells-. Canticchiò serena e io istintivamente sorrisi.
Forse il Natale l’avrebbe aiutata a superare quella tensione e quella tristezza che ancora non le permettevano di dormire tranquilla la notte. Seppur a fatica aveva da poco ripreso ad andare a scuola e io ero felice di questo. La controllavo a distanza, ovviamente senza farmi vedere, e nonostante la solitudine di cui si era circondata, non c’era più pericolo per lei di non superare l’anno scolastico. Per me era un sollievo e non solo per me, anche per Charlie.
Però quello sguardo spento e quell’atteggiamento svuotato di forze sembravano non volerla abbandonare mai. Non avevo altra scelta che rimanere fino a quando non si sarebbe ripresa del tutto. Appoggiai la nuca contro la parete e sbirciai nel suo piatto.
C’erano un bicchiere di succo d’arancia rossa, ketchup e una fetta di carne che a me sembrava cruda, di colore rosso, per l’appunto. Scossi la testa con un ghigno divertito. Forse in quel modo riusciva a sopportare meglio la mia mancanza, forse…
Si portò il bicchiere alle labbra e si sedette sul letto con il suo portatile. A parte il suo diario giornaliero per Alice, c’era qualcos’altro che aveva iniziato a dilettarla: scrivere lettere d’amore per me. E questo non faceva che peggiorare la mia condizione di innamorato cronico, perché sentirla piangere ogni volta mi uccideva psicologicamente. Cominciai a convincermi davvero che la morte fosse meno dolorosa della vita.
La guardai sospirare sconsolata e abbandonarsi sul letto con il bicchiere in mano.
-Chissà dove sei e cosa stai facendo-. Bisbigliò osservando il succo rosso muoversi lentamente.
-Mi mancano i tuoi baci-. Continuò abbassando il braccio e poggiando il bicchiere sul comodino.
In quel momento se mi fossi avvicinato di un solo passo l’avrei divorata, perciò mi imposi calma e controllo. In fondo ero sempre stato bravo in quello, no? Perciò nessun problema.
Si stiracchiò e si rannicchiò su un lato del letto chiudendo le palpebre. Non aveva ancora toccato la sua carne e io, apprensivo, me ne stavo lì seduto come un cucciolo in attesa vederla mangiare.
Le squillò così improvvisamente il cellulare che io mi riscossi dal mio leggero torpore. Ero sicuro che fosse sua madre. Ormai la chiamava a giorni alterni per sapere come si sentisse. L’eco di ciò che era successo tra noi era arrivato fino a lei.
-Mamma?-. Rispose sonnacchiosa e io sentii chiaramente la voce di Renée dall’altra parte.
-Come stai, tesoro mio dolce?-. Le chiese apprensiva e io sorrisi.
-Potrei stare meglio-. Riprese Bella un po’ accigliata per il tono tenero di sua madre.
-Pensi ancora ad Edward, vero? Io te l’avevo detto…-. Continuò sicura con uno sbuffo che io sentii chiaramente.
Inizialmente pensai che Bella non avrebbe risposto e si sarebbe limitata a cambiare argomento. Ero diventato una sorta di tabù sulle sue labbra. Questa volta però non si scompose.
-Sì, penso sempre a lui-. Disse decisa e io inorridii. Quella forza non significava certamente qualcosa di positivo. Le dava speranza ed era quello che avrei voluto evitare.
-Se lo ha detto, non tornerà. Non ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo poco sincero-. Riprese Renée e io vidi il viso di Bella rabbuiarsi.
-Io avevo la sensazione che mi amasse-. Borbottò il mio piccolo Bambi e io mi strinsi le ginocchia al petto. Sensazione più che esatta, peccato che la parola amore fosse qualcosa di limitativo per ciò che provavo per lei.
-A dir la verità, anche io-. Confessò sua madre e io mi sentii scoperto. -Era palese dal modo in cui ti guardava. E non ti ha mai lasciato sola all’ospedale-.
Bella prese un profondo respiro, come a volersi fare forza e io mi ritrovai a sospirare con lei. Non pensavo di essere così trasparente nei miei sentimenti, evidentemente però il mio amore per Bella riusciva a superare persino il mio buon senso.
-Ma quale buon senso? Ormai non so più nemmeno cosa sia-. Borbottai tra me e me. Mi sentivo solamente uno stupido indeciso, l’eterno stupido indeciso.
-Alla vostra età, l’amore va e viene, tesoro. Non devi preoccuparti-. Riprese Renèe cercando in qualche modo di consolare sua figlia, che fece una smorfia di disaccordo, ma preferì non parlare.
Intuii che non le interessava affatto l’opinione di sua madre, era convinta che mi avrebbe sempre amato comunque fossero andate le cose.
Trascorse una settimana più tranquilla del solito. Charlie riempiva Bella di regali non appena poteva e cercava di non lasciarla mai sola. Mi accorsi che il loro legame si stava approfondendo sempre di più e di questo ero felice. Volevo evitare che il mio piccolo Bambi si sentisse sola.
Era arrivato però il momento per me di andare a caccia. Non potevo continuare a soffrire in quel modo la fame e per quanto il dolore fosse benvenuto rischiavo in quel modo di mettere Bella in pericolo. Sospirai e mi allontanai da casa Swan, di notte, sentendo dentro una tale sofferenza da strapparmi l’anima. Ero ridotto a uno zombie, o forse peggio, ma l’idea di starle lontano anche solo per un’ora mi gettava in uno stato di panico. Il suo profumo per me era diventato ormai una sorta di calmante tentatore.
Sorrisi e corsi via, cercando nel vento un’alternativa ai miei pensieri: tanti, confusi, ma innamorati fino allo sfinimento.
Mi fermai solo quando sentii odore di cerbiatto nell’aria e l’acquolina mi fece fremere. Mi voltai, pensando di vedere al mio fianco la forma elegante di quell’animale, ma trattenni il fiato non appena focalizzai un volto fanciullesco. No, no, no…
Indietreggiai di un passo e lei mi sorrise dolcemente.
-Ciao, Edward-. Mi disse alzando la sua piccola manina per salutarmi. Ancora quella bambina.
Per la prima volta in vita mia provai terrore. Una paura cieca che non mi permise di riprendere fiato.
-Sei di nuovo ammutolito?-. Mi domandò con un sorrisetto divertito.
Sembrava una semplice bimba dagli occhi profondi e molto sveglia, ma io sapevo che non era che il frutto di una mia allucinazione.
-Sei Bella non è vero?-. Le chiesi come se si trattasse di una nemica. Lei mise il broncio e si offese del mio tono scontroso.
La osservai singhiozzare, sorpreso, e mi passai una mano sulla fronte. Era reale, troppo reale. Non riuscivo a capire come la mia mente potesse aver formato quell’esistenza.
-Perché sei così cattivo con me-. Mormorò innocente e io mi sentii invadere da una strana sensazione di tristezza.
Non volevo essere scontroso, in verità stavo solo cercando di comprendere me stesso. Mi avvicinai lentamente, poggiandole una mano sulla nuca e chinandomi, quando i suoi occhi incrociarono i miei.
-Tu pensi che io non esista-. Sussurrò afflitta e io trattenni il fiato.
La mia pazzia stava oltrepassando i limiti fino ad arrivare all’assurdo, eppure c’era qualcosa di estremamente lucido nelle mie visioni. Che fosse un segnale?
-Mi spieghi perché sei qui?-. Le domandai incuriosito, addolcendo il tono della mia voce per non spaventarla.
Mi fissò sorpresa, come se non si fosse affatto aspettata una simile domanda, e ci pensò su per qualche secondo.
-Quando lei non c’è, posso farti compagnia io. Non vuoi?-. Mi chiese, intimorita, e io intuii immediatamente il senso di quella frase.
Mi sedetti vicino a lei che mi poggiò una mano sulla spalla, comprensiva.
-Quindi tu sei nata per rimpiazzare la sua assenza-. Bisbigliai portandomi di nuovo le dita tra i capelli in un gesto nervoso. Questo poteva significare solo che la mia mente e il mio corpo si rifiutavano categoricamente di allontanarsi da Bella. E come poteva non essere così se il mio cuore si scaldava solo al suono della sua voce?
-Ho fame-. Sussurrai sofferente e la sentii sedersi accanto a me.
-Puoi cacciare-. Bisbigliò paziente, ma il solo pensiero di farlo davanti ai suoi occhi mi disgustava.
-No, non davanti a te. Non ce la farei mai-. Le confessai e sentii le sue piccole braccia circondarmi il collo dolcemente.
-Io ti capisco, non devi avere paura di me-. Disse sottovoce. Le sue manine arrivarono a sfiorarmi le guance. -Se lei non c’è, ci sono io. Io lo so che sei qui-.
Le sue parole riuscirono a consolarmi. Non capii come fosse possibile che una proiezione potesse darmi tutto quel conforto, ma cacciai quel pensiero dalla mia mente maledicendo i miei dubbi. Avevo bisogno, estremo bisogno di non sentirmi solo, ma solo Bella poteva lenire quella sofferenza solitaria. Perciò ero felice di averla in qualche modo vicina, anche se in miniatura.
-Resisterò-. Mormorai stringendo i denti.
-Vuoi che sparisca?-. Mi chiese allora e io scossi la testa. Improvvisamente l’idea della sua assenza non era più così allettante e capii di aver bisogno che lei mi parlasse.
-No, non sparire-. Ammisi un po’ reticente e aspettai in silenzio che mi dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa, non importava poi molto che avesse un senso o meno.
Era l’inizio della mia distruzione? O semplicemente la fine di me stesso? Capire sarebbe soltanto servito a farmi ancora più male.
Cercai di alzarmi in piedi e lei mi seguì aggrappandosi al mio braccio. La guardai e il suo sorriso mi riportò alla mente quello del mio cerbiattino. I suoi occhi erano gli stessi e il suo sguardo riusciva a sciogliere quel blocco di dolore e sensi di colpa che mi schiacciavano il petto.
-Sai cosa devi fare, io te l’ho detto-. Mi disse allora e io la fissai confuso.
-Ti sei solamente perso. È umano-. Continuò convinta e trotterellò intorno a me proprio come una bimba bisognosa di attenzioni.
-Io non sono umano-. Ribattei sarcastico e la vidi ridacchiare. Scosse il piccolo capo facendo ondeggiare i capelli castani e mi fissò severa.
-Il tuo cuore lo è. Sei buono e sacrifichi te stesso per chi ami. Molti esseri umani non lo fanno-. La sua voce decisa non si incrinò, e io mi resi conto di quanto il mio cuore agognasse quelle parole. Mi sentii immensamente più leggero.
-Anche io ho fatto del male, persino alla donna che amo-. Bofonchiai cercando un modo per sentirmi ancora in colpa.
-No, tu vuoi fare solo male a te stesso. Possibile che tu non ti conosca nonostante sia passato tanto tempo? Chi sei Edward?-. La sua domanda mi spiazzò.
Non ne avevo idea. Prima di conoscere Bella la mia vita non aveva senso, dopo di lei tutto si era colorato, ma adesso mi sentivo di nuovo vuoto e privo di ciò che mi aveva reso vivo grazie al mio amore.
-Niente senza di lei-. Risposi convinto e mi sentii debole.
-E cosa puoi darle di te stesso se sei solamente un guscio vuoto?-. Mi rinfacciò con fastidio.
Sorrisi, non aveva tutti torti il mio grillo parlante. Probabilmente era davvero la mia coscienza quella che ora mi stava parlando, non una banale allucinazione.
-Quindi cosa dovrei fare-. Le chiesi incuriosito.
Mi fissò e scosse la testa esasperata. Quel visetto innocente, così premuroso nei miei confronti e inflessibile, mi strappò un sorriso. Sì, era proprio così che avevo immaginato la mia Bella da bambina: ribelle, birichina e vivace.
-Sei tu che devi dirlo a te stesso. Lo sai!-. Mi rimproverò puntandomi il dito contro e io cercai di capire cosa intendesse dire. Non ero ancora pronto per ammettere a me stesso ciò che il mio cuore vagamente mi consigliava di fare.
Allontanarmi da Bella, tornare dalla mia famiglia, lenire il mio dolore cercando di vivere al meglio la mia vita eterna. Al solo pensarci il desiderio della morte si faceva ancora più intenso e pregnante.
-Non è ancora destino che torniate insieme-. Mormorò con un sospiro e io mi voltai per guardarla. Io non volevo affatto tornare con Bella, come poteva pensarlo?
Sparita. Non c’era più. Osservai con attenzione il punto in cui era apparsa, ma non vidi più nulla. Insistere sarebbe servito a poco, ne ero consapevole.
Cacciai finalmente, ripensando con insistenza alle sue parole, e mi saziai abbastanza, ma il bisogno di tornare indietro mi opprimeva. Senza Bella facevo persino fatica a respirare. L’aria non aveva il suo odore e in me cominciava a bruciare la mancanza di averla accanto.
Ancora una volta mi ritrovai sulla strada di casa Swan, pensieroso e solo, e ripensai a ciò che mi stava  succedendo con una certa apprensione. Mi sembrava tutto così illogico.
Entrai dalla finestra e vidi il mio cerbiattino rigirarsi tra le coperte come sempre. Sonno agitato ancora una volta… Mi avvicinai a passi veloci. Non sopportavo l’idea di vederla muoversi in modo così convulso e riuscii a prenderla prima che cadesse dal letto.
-Edward, Edward-. Ancora il mio nome. Basta. Doveva capire che non sarei più tornato!
La rabbia mi accecò per un breve attimo, ma poi le sfiorai la fronte con la mia e le baciai leggero le palpebre. Non era colpa sua, ma solo mia se quell’amore stava distruggendo entrambi nella più completa disperazione.
Le rimboccai le coperte con cura, cercando di non svegliarla, e poi tornai a sedermi sulla poltrona. Non riuscivo ad annoiarmi. Trascorrevo ogni notte in contemplazione della sua immagine, ma non riuscivo affatto a stancarmi di guardarla. Ogni suo piccolo particolare riusciva ancora a stupirmi.
-Ti amo-. Mormorai appoggiando la testa contro lo schienale e chiusi gli occhi annusando l’aria intorno a me.
-Edward-. Mi sentii chiamare ancora e il lieve battito diverso del suo cuore mi indusse a nascondermi velocemente.
Feci appena in tempo a nascondermi che la vidi svegliarsi e fissare la finestra delusa.
Per fortuna non era stato un incubo, ma le lacrime sulle sue guance riuscirono ugualmente a farmi sentire uno schifo.
-Non piangere per me, piuttosto odiami, ma non piangere. Per favore. Rendi tutto più difficile-. Bisbigliai battendo la testa ripetutamente contro la poltrona. Ogni volta la stessa scena. Era una fortuna per me che ci fosse quel facile nascondiglio.
Sentii Bella prendere un profondo respiro e poi smettere. Quasi ne fui sollevato. La guardai di sfuggita e non appena mi accorsi delle sue mani congiunte e dei suoi sussurri non potei fare a meno di provare un dolore intenso dentro di me. Che fosse il cuore? Non ne ero certo, ma vedere il mio cerbiattino pregare mi fece provare un intenso senso di sconforto.
Io non avrei mai saputo la verità su Dio, ma se fosse realmente esistito in quel momento gli avrei chiesto solo una cosa: far star bene l’unica donna che avessi mai amato.
Non importava come, solo… avevo bisogno di sapere che lei stava bene per poter andare avanti. Così non ce l’avrai mai fatta, non così.
-Agli esseri dannati non è concesso l’amore?-. Sussurrò Bella e io sorrisi.
Sì, sì, anche a noi era concesso amare, ma non un essere umano. Non un umano. O probabilmente ero io a volermi convincere di questo. Non riuscivo a capire cosa fosse giusto o no. Davvero tutte le mie idee cominciavano a confondersi.
Bella tornò tra le coperte e io percepii ancora i suoi singhiozzi, il battito del suo cuore irregolare. Involontariamente mi portai più vicino a lei e la sentii addormentarsi inevitabilmente non appena la spossatezza tornò ad invaderla.
Le accarezzai una mano, dolcemente, come facevo in passato, e cominciai ad intonare una canzone che ben conoscevo e che avevo composto io per lei. La mia ninna nanna. Appoggiai la fronte sul suo letto e continuai ad cantarla fino a quando le sue braccia non si rilassarono e la sua bocca si schiuse in respiri profondi.
Adesso avrei potuto riposare la mia mente tranquillo. Ultimamente avevo imparato a svuotarla e a lasciarla libera, a non angustiarmi e rimuginare su me stesso, così decisi di tornare seduto e di osservarla senza pensieri fino a quando il giorno non mi avesse scoperto.
La mattina arrivò fin troppo presto e non appena sentii Charlie uscire per andare a lavoro un’idea malsana prese possesso di me. E se… se avessi usato il telefono di casa Swan per chiamare Carlisle? Chi se ne sarebbe accorto in fondo? Nessuno...
Bella si stiracchiò nel letto, sonnacchiosa. Mancava circa un quarto d’ora al suono della sua sveglia. Scesi in fretta, agitato, e alzai la cornetta componendo il numero del cellulare di Carl senza quasi rendermene conto.
Mi rispose al primo squillo.
-Edward, mio dio, grazie al cielo-. La sua voce sollevata e la sua risposta veloce mi fecero pensare ad Alice. Sicuramente c’era il suo zampino.
-Aveva previsto la mia telefonata, vero?-. Chiesi immediatamente e lo sentii ridere.
Stavo facendo preoccupare la mia famiglia con il mio comportamento, ma nonostante questo li sentivo sempre vicino a me.
-Sì, Alice mi ha detto ogni cosa-. Mi informò subito e io sospirai sollevato. Perfetto, così non avrei dovuto nemmeno spiegare tutto ciò che stava succedendo.
-Cosa ne pensi?-. Gli chiesi allora, allarmato.
Cercai di non leggere nella sua mente, rispettando la sua intimità come sempre, ma fu difficile.
-Non ho mai sentito di vampiri con allucinazioni, ma è evidente che tu le abbia-. Mi rispose piuttosto schietto e io ridacchiai. Non mi stava aiutando.
-A cosa credi siano dovute?-. Non era affatto una conversazione sensata, ma forse il mio era soltanto un bisogno, quello di sentire la sua voce rassicurarmi. Lui lo sapeva, Carlisle l’aveva intuito.
-Penso che solo tu possa saperlo-. La sua risposta mi fece capire che era proprio come pensavo. Mio padre voleva soltanto farmi sapere che sarebbe stato sempre e comunque con me se ne avessi avuto bisogno. Le risposte avrei dovuto trovarle da solo.
-Edward, Edward, tesoro mio, come stai?-. La voce di Esme nella cornetta mi riempì d’affetto.
Mi mancava anche lei, la mia mamma vampira.
-Si tira avanti-. Ridacchiai e lei mi sgridò bonariamente, chiedendomi se riuscivo a nutrirmi abbastanza, se pensavo a me stesso e alla mia salute... insomma proprio come una vera mamma.
-Sta tranquilla, davvero-. Cercai di tranquillizzarla, ma sapevo già che quando Esme si comportava in modo così apprensivo era impossibile farla demordere.
-Per favore-. Continuai quando mi chiese se avevo bisogno di vestiti puliti.
L’avrei abbracciata. Era tanto tempo che qualcuno non si preoccupava per me in quel modo.
-Edward, per favore, non farci preoccupare. Non passa giorno che non pensiamo a te-. Mormorò lei e io mi sentii avvolto dal suo candore. Non esisteva un’altra persona come lei, Esme aveva sempre una parola buona per tutti.
-Non vuoi che io torni però-. Lessi nella sua mente e la sentii ridacchiare imbarazzata.
-No, io voglio vederti con Bella. Siete così carini insieme-. La sua ammissione riuscì a farmi salire un groppo in gola.
La mia famiglia aveva fatto ciò che io volevo senza chiedere nulla, ma in verità io sapevo quanta fatica era costata a tutti allontanarsi da Forks.
-Ehi, tu, moccioso-. Riconobbi immediatamente Rose e scoppiai a ridere. -Ridi, ridi… Edward, ma ti strozzerei con le mie stesse mani-. Fu l’unica cosa che mi disse e io intuii di mancarle molto.
Anche lei mi mancava. Le sue gelosie e i suoi scoppi d’ira con Emmett erano sempre fantastici e molto fantasiosi.
-Non ti sei dimenticato di me, vero?-. Eccola lei, la mia preferita.
-Folletto-. Sogghignai contento. -Questa riunione di famiglia è causa tua, vero?-. Borbottai divertito.
-Mi manchi tanto. Lo sai, lo sai, mannaggia-. Mi spiazzò con quell’ammissione. Ah, piccola Alice…
-Anche voi mi mancate-. Ammisi stanco.
-C’è ancora molta strada da fare, ma non scoraggiarti, siamo tutti con te-. Mi parlò dolcemente e io la ringraziai dentro di me per quelle parole.
Sentii d’improvviso dei rumori venire dal piano di sopra e capii che Bella si stava svegliando.
-Vai pure se devi, ti saluto Jazz ed Emm. Sapevo già che non avresti fatto in tempo a parlare con loro. Sono dispiaciuti, ma va bene così. Vedi di richiamarci e non sparire-. Mi rimproverò il mio folletto e io attaccai velocemente, tornando a nascondermi dietro la scalinata.
La mia famiglia sarebbe stata sempre lì per aiutarmi. Mi accorsi per la prima volta di essere davvero amato.




   
 
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